Dreams and Mirrors

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  1. Kiki May
     
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    Keiko: Cara, grazie! çWç Questa storia la sto scrivendo per quattro persone contate, oltre che per me stessa. Drusilla è un pochino impopolare, soprattutto se non associata al classico triangolo con Angelus e Spike, ma io mi sto appassionando. Ho un miliardo di idee XD Spero che riuscirò ad estrinsecarle tutte.

    Kasumi: Grazie anche a te! Sono davvero contenta che l'idea ti piaccia. Le informazioni su Drusilla da umana sono veramente pochissime. Dal canon si sa solo che aveva una sorella (Uccisa assieme al resto della famiglia da Angelus) e che ad un certo punto vuole diventare suora. Praticamente tutto il background, dal nome alla personalità alle parentele me lo sono inventato io di sana pianta. XD Anche questo capitolo è tutto farina del mio sacco.





    ˜ Uno




    18 Gennaio 1857







    La pioggia cadeva veloce tra i rami di rose e i ciliegi appassiti per il freddo.
    Judith osservava la dolcezza delle gocce che si infrangevano sul terreno del giardino dall’uscio di casa. Alitava piano contro il vetro della porta e disegnava fiori sulla superficie inumidita, poi li guardava svanire, nella quieta felicità del suo gioco segreto.
    “Judith, vieni qui, mia cara,” comandò suo padre, accomodatosi nella poltrona preferita.
    Judith cancellò con un colpo di mano i suoi disegni e si avvicinò al padre. Si sedette accanto a lui, sul pavimento, come sempre faceva.
    “Domani è il tuo compleanno,” disse il padre. “Desideri qualcosa in particolare?”
    Judith scosse il capo, ricordando le parole della madre sui regali troppo dispendiosi e sul suo dovere di essere umile e dimessa.
    “Quel che ritenete opportuno voi, padre. Fosse anche una viola di campo.”
    Il signor Cecil rise.
    “La tua modestia ti fa onore, Judy, ma domani è il tuo giorno ed hai il diritto di chiedere ciò che desideri di più.”
    Judith si morse le labbra, imponendosi silenzio.
    Un pensiero soltanto le attraversò la mente, un pensiero da bambina: il desiderio di una bambola nuova; una principessa dei boschi o una regina del castello dall’abito color porpora. Una nuova compagna di giochi, bianca e dorata.
    “Allora, ci hai pensato?”
    Judith serrò gli occhi dolorosamente.
    “Un nuovo abito, padre. Un abito per la domenica.” Rispose.
    “Ed un nuovo abito avrai,” sancì il signor Cecil, carezzandole il capo.
    Judith ebbe l’impulso di rimangiarsi le sue parole, supplicare il padre di guardarla e scoppiare a piangere senza vergogna, confidando nella sua premura.
    “Vi ringrazio, padre.” Disse soltanto.
    Il giorno successivo avrebbe compiuto diciassette anni. Era una donna ormai, un comportamento del genere sarebbe risultato più che inappropriato.
    “Sei la più pia tra le figlie, Judy cara,” mormorò il padre e Judith non riuscì a dominare il rossore che le colorava le guance.
    Non era la più pia tra le figlie, non lo era affatto. Era solo capace di controllarsi e rispondere a modo seguendo gli insegnamenti della madre.
    Era brava a mentire.
    “Non dite così, padre. Mi lusingate senza ragione.”
    “Oh, ma non è affatto vero. Sei buona, Judith. Sei buona e dolce più di ogni altra fanciulla della tua età.”
    Stavolta Judith rinunciò a contraddire il genitore. Rivolse lo sguardo al giardino fuori dalla stanza e notò il bagliore dei lampi che esplodevano nel cielo.
    “A volte penso che …” sussurrò a bassissima voce.
    “Cosa pensi, cara?”
    “Io penso che …” si forzò a continuare. “Penso di aver preso in prestito il giorno del mio compleanno. Lo sento come se non fosse mio, se fosse il giorno destinato ad una ragazza diversa, in un tempo diverso. Mi sento quasi una ladra.” Confessò, senza riuscire a frenarsi.
    Alzò il capo allora, e rivolse lo sguardo spaventato a quello padre, che la fissava in silenzio. Attese il suo rimprovero e si stupì quando sentì la sua risata.
    “Padre …”
    “Che sciocchezze dici, mia cara!” esclamò lui, un lampo di divertimento nell’azzurro dei suoi occhi. “Hai proprio una grande immaginazione! Ma l’immaginazione va imbrigliata come ogni altra cosa, soprattutto per una giovane donna come te.” Aggiunse il padre, con grande saggezza. “Presto diventerai una sposa e una madre e non potrai più perderti nei tuoi mondi immaginari.”
    Judith annuì.
    “Lo so, padre. Avete ragione.”
    “Bene.” Replicò lui. “Eppure sei ancora la mia bambina …” mormorò, più a se stesso che a lei. “Quasi non mi sento in colpa a lasciarti vivere nei sogni.”
    Seguì un breve silenzio, il bagliore di un nuovo lampo.
    “Ogni giorno dell’anno è dedicato ad un santo,” disse dunque Judith. “Prendiamo in prestito il giorno di un santo.”
    “Certo, mia cara. È proprio così. Domani sarai vegliata dal santo che ha permesso la tua nascita.”
    Judith annuì di nuovo.
    Conosceva la storia della sua origine. Sapeva che sarebbe dovuta nascere a Marzo, nella stagione più mite, allo sbocciare dei primi fiori, ma un malore straordinario della madre l’aveva costretta a venire al mondo nel gelo dell’inverno.
    “Sembravi quasi morta,” raccontò suo padre. “Avevamo la certezza che non saresti sopravvissuta neanche un giorno, piccola e fragile com’eri. E invece! Dio ha deciso di conservarti, di salvarti e donarti a noi. A Dio devi consacrare la tua vita ed ognuna delle tue opere.”
    “Sì, padre,” sussurrò lei.
    Il pensiero che Dio la stesse vegliando, che avesse consentito la sua stessa nascita, era da sempre una fonte di conforto e gioia per Judith, che si alzò, si diresse alla finestra ed alitò sul vetro, lo spirito nuovamente in quiete.

    Edited by Kiki May - 14/11/2014, 21:33
     
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