Dreams and Mirrors

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  1. Kiki May
     
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    Le Allegre Comari
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    Disclaimer: Non possiedo nessuno dei personaggi citati (Eccetto i miei OC, credo XD) E scrivo per pura gioia fangirlistica.

    La storia è incentrata su Drusilla, i sogni spezzati, le gioie e i dolori della vampira che voleva diventare santa.
    I pairing sono Dru/Angelus, Dru/Darla, Dru/Spike e, sì, Dru/Buffy.
    Warning: Contenuti forti, non-con, cose vampiriche.





    Dreams and Mirrors





    Basta con Drusilla. Vedi, Drusilla non c’è più. E sai cosa rimane?

    Albert Camus, Caligola. Atto Primo.












    “C’era una volta una principessa …”

    Così cominciavano tutte le storie raccontate dalla tutrice: le avventure nell’estremo Oriente, quelle nelle coste dell’India remota; i duelli tra i monti innevati della Siberia e le favole amorose in Assisi e Gerusalemme. Quando la tutrice si sedeva a raccontare, dinanzi al fuoco del camino o nel ventre caldo di una camera da letto per bambine, le sorelle Cecil chiudevano gli occhi e si lasciavano condurre dalle sue parole in mondi meravigliosi.
    Erano quattro, le sorelle Cecil, legate tra loro dall’amore innocente e profondo dei consanguinei.
    La più grande, Judith, sognava più forte delle altre.








    Judith aveva occhi grandi, chiari e cangianti come quelli di un gatto. Lunghi capelli neri che legava con un nastro bianco e la dolcezza di una bambina cresciuta in una casa di uomini e donne pie.
    Ogni tanto si perdeva, Judith, nei giardini della residenza estiva del padre, tra i cipressi maestosi e i cespugli di more.
    Vagava cantando, sfiorando i boccioli di rose, rincorrendo le sorelle minori che sfuggivano veloci come volpi nella stagione della caccia e ripetendo tra sé e sé le parole meravigliose della tutrice.
    C’era una volta una principessa. Una ragazza.
    Sorrideva Judith, e immaginava balli sfrenati sino alle prime luci dell’alba ed eroi a cavallo. Poi si rimproverava. Ricordava le raccomandazioni della madre, le lezioni sul peccato e sul desiderio, e provava nuovamente ribrezzo per il suo nome difficile. Giuditta, che nella Bibbia tagliava la testa ad Oloferne, non aveva la purezza sublime né la docile sottomissione a Dio di Maria. Nella Bibbia agiva come un uomo, fisicamente e violentemente, per questo Judith sentiva la necessita di pregare più forte.
    Pregava Judith. Per le sorelle, per il padre che aveva ceduto ad un vano capriccio e la madre che da sempre la guidava nel percorso di fede.
    Per se stessa, che desiderava vedere e conoscere e ballare con un cavaliere dall’armatura scintillante. Con una principessa. Come una principessa.







    “Judith, corri!”

    Mary ed Elizabeth si erano già allontanate ridendo, alla ricerca di un nascondiglio.
    Judith abbassò la benda che le copriva gli occhi ed ebbe il tempo di scorgere Anne ghignante, oltre i rami di un vecchio pino appassito.
    Coscienziosa, impose a se stessa di non correre immediatamente all’inseguimento della sorella minore, che avrebbe perduto subito al gioco, ma aspettare e contare sino a dieci, rimettendo la benda al suo posto.
    Riuscì ad arrivare sino ad otto: la curiosità di sapere dove si erano nascoste le sorelle fu più grande di qualsiasi premura.
    “Ora arrivo!” annunciò contenta, riaprendo gli occhi per la ricerca.
    Si guardò attorno con grande circospezione e mosse i primi tentativi passi nel giardino in fiore.
    Le sorelle dovevano essersi nascoste ai limiti della proprietà: Judith non riusciva a scorgere le loro ombre né ad udire i loro passi. La percezione della loro lontananza si acuiva ogni istante sempre più e con essa cresceva l’assurdo timore di averle perdute per sempre.
    Judith,” recitò una voce lontana.
    La bambina voltò il capo in tutte le direzioni, ma non riuscì ad individuare il misterioso interlocutore. Un passerotto la raggiunse e si posò per un istante tra le sue dita.
    Judith sorrise, prima che un lampo di dolore le mozzasse il respiro. Si piegò in avanti, sino a sfiorare con le ginocchia il terreno umido, e fissò lo sguardo nel passerotto tra le sue dita. Riuscì ad esaminare con estrema nitidezza il colore del suo piumaggio e la luce viva nei suoi occhi neri.
    Si sedette su un sasso scivoloso.
    Sentiva la testa pulsarle e il cuore batterle all’impazzata, come in un giorno di vigilia. Aveva la percezione dello spazio che si allungava e restringeva al ritmo del suo respiro e la vista che si appannava.
    Fu allora che lo vide.
    Un uomo avvolto in un giaccone nero, dai lunghi capelli castani ed il sorriso cattivo.
    Dondolò avanti ed indietro, lasciandosi cullare dalla visione.
    Era un angelo – no, un diavolo – un angelo, ed era venuto a prenderla a portarla via. Sul suo petto ardeva un simbolo infiammato e stringeva tra le mani le sue bambole di bambina, tutte accecate e rotte. Parlava con accento straniero.
    E nella nebbia della visione, le sue parole si mescolavano.

    Lo vedi, padre? Ho fatto qualcosa di me stesso dopotutto.

    Posso rimanere in città per tutto il tempo che vuoi.

    Oh Buffy, cosa è successo?

    Non è il demone in me che ha bisogno di uccidere, è l’uomo.



    “Oh basta …” ansimò Judith, sfinita.
    Chiuse gli occhi e si prese il capo tra le mani, comandando al vortice di voci dentro sé di tacere.
    Vide ancora l’uomo e il sangue, il dolore. Pianse le perdite che avrebbe sofferto e che ancora non sapeva. Si sentì perduta e sola come non mai.
    Fu allora che la vide.
    La ragazza bionda, armata di una spada scintillante. Judith l’avrebbe rivista per secoli nei suoi sogni confusi, nelle visioni del plenilunio.
    Tese una mano per sfiorarla, ma la sentì svanire come foschia all’orizzonte.
    Le rimase impresso, però, il suo cipiglio deciso, la forza con cui brandiva la spada e il crocifisso sul suo petto. Non aveva nome, ma non poteva che chiamarsi salvezza e protezione. Ed era venuta per lei.
    Il pulsare alle tempie si intensificò per un istante, accompagnato da un nodo allo stomaco. Judith sentì un fiotto caldo scorrerle tra le gambe e la liberazione della fine del dolore.
    Riaprì gli occhi e vide Anne a pochi passi da lei, intenta a fissarla.
    “Stai bene?” domandò la sorella.
    Judith annuì. Abbozzò un sorriso prima incerto poi solare. Corse ad abbracciare la sorella.
    Sul sasso scivoloso il sangue del suo menarca.

    Edited by Kiki May - 16/11/2014, 13:47
     
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