LOOKING FOR THE VICTIM SHIVERING IN BED

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  1. FaithLess
     
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    CAPITOLO 7.

    Feci tutti i giri che dovevo per lavoro, consegnai il carburatore al grassone e diedi una sistemata alla mia piccola ragazza. Decisi che i pezzi che dovevo sostituirci me li sarei procurato la notte seguente quando Faith era al lavoro.
    Mi liberai intorno alle quattro del pomeriggio. Corsi dal macellaio e comprai del pollo. Avevo deciso di cucinare io stesso.
    In casa velocemente mi lavai le mani e preparai in una teglia il pollo con le patate. Decisi di farlo molto condito. Lo infornai e preparai un’insalata.
    Avevo preso una cassa di birra buona, infilai più bottiglie possibili nel frigo. Di bourbon in casa, fortunatamente ce n’era molto, in più avevo preso un po’ di vodka di media qualità.

    Quella cena mi era costata parecchio, ma niente che non potessi recuperare con un paio di furti qua e la… e poi se avessi aggiustato la moto, avrei guadagnato parecchio tutto insieme.
    Comunque non me ne importava nulla, sentivo dentro che quella dolce selvaggia aveva bisogno di coccole, non me lo permetteva fisicamente, allora avrei trovato un altro modo per farlo e la cucina mi sembrò il modo migliore.

    Mentre il pollo si cucinava nel forno, mi lavai ben bene, mi rasai e scelsi i miei abiti migliori: Jeans neri 501, una maglietta aderente nera a maniche lunghe, la mia catena al collo e anfibi.
    Sistemai i capelli non all’indietro come al mio solito, ma con del gel li resi spettinati e dritti, sembravano meno curati, non volevo pensasse che ci avessi perso molto tempo.
    Sistemai lo smalto nero nelle unghie, guardai l’orologio, le sei si avvicinavano. Controllai il pollo era praticamente cotto, spensi il forno, lo avrei riacceso al mio ritorno.

    Guardai la casa tutto intorno, non volevo sembrasse un appuntamento romantico, anche se nella mia testa nessuna uscita con una donna era stata più vicino di quella ad esserlo.

    M’infilai la mia giacca lunga di pelle e saltai in sella. In dieci minuti ero davanti la sua finestra che suonavo il claxon.
    Lei si affacciò dalla finestra ed uscì dalla porta quasi subito, era incantevole. Più bella del solito.
    Sembrava serena, raggiante. Il viso scoperto dai capelli, raccolti in una coda alta, mostrava i suoi occhi da cerbiatta, più in risalto che mai, profondi e magnetici.
    Il suo sorriso aveva qualcosa d’infantile, ma nel complesso il suo volto era duro, forte. Questo la rendeva la donna più interessante che avessi mai visto.

    Ero convinto che avrebbe potuto prendere il mondo a pugni in faccia e con la stessa determinazione carezzarmi ogni notte prima di addormentarmi.
    Sapevo adesso cosa volevo da lei.
    Volevo solo poterle guardare le spalle e starle accanto, non aveva bisogno di essere protetta, era evidente.
    Sentivo che io e lei, insieme avremmo potuto lottare senza stancarci mai.

    Il suo profumo mi travolse come un abbraccio, appena fece per salire in sella, quando poi misi in moto le sue braccia, si strinsero forte intorno alla mia vita, tanto che non sapevo se lo avessi immaginato o realmente mi stesse così dolcemente avvinghiata.

    Il tragitto fu come essere su un treno impazzito.
    Mi veniva voglia di gridare al mondo la mia felicità, volevo festeggiare e solo perché lei mi stava stringendo. Una donna così forte era così saldamente attaccata al caro vecchio William.

    Arrivati a casa le presi la giacca e l’attaccai all’ingresso. La maglietta aderente le stava da schianto, per un momento pensai a quello che avrei voluto fargli, anche lì per terra. Volevo sentirla ancora ansimare il mio nome mentre il suo corpo tremava di piacere.

    Scansai quel pensiero, decisi che non era il momento, quella sera sarebbe stato completamente diverso. Sentivo di volergli dimostrare qualcosa, non avevo perfettamente idea di come lo avrei fatto, ma volevo dimostrargli che ero diverso, migliore.

    Mille dubbi mi assalirono, dubitai di essere davvero un uomo migliore, in passato avevo fatto degli sbagli enormi, non mi ero comportato da grande uomo. Anzi per la precisione era una vita che collezionavo scelte stupide. E poi ero solo un ladro, come può un misero ladro sentirsi migliore.

    Presi una birra dal frigo e la stappai, la passai a Faith, che si guardava intorno curiosa, ne presi un’altra per me.
    “Un brindisi a te, passerotto.” Alzai il bicchierino e la guardai negli occhi “Sei bellissima”.
    Vidi il suo viso divenire un tantino rosso e sorridermi, quella ragazza era capace di farmi sussultare il cuore con uno sguardo.
    “Grazie. Un brindisi anche a te, inglese. Che non sei niente male.”
    Riaccesi il forno.
    “Spero ti piaccia il pollo con le patate. Non ho altro da cucinare velocemente”.
    “Certo che mi piace. Le patate al forno mi fanno impazzire. Non dirmi che sai anche cucinare?”
    “Me lo dirai te, appena avrai assaggiato.”
    “Caspita, sono davvero fortunata.”
    “Mai quanto me. Spero di averti messo a tuo agio?”
    “Come cavalcare un motociclista.” Il suo sguardo era ammiccante, ma c’era qualcosa d’ironico che non avevo notato prima.
    Risi, immaginai che sarebbe stata una serata fantastica.

    Mangiammo il pollo, era davvero ottimo. In cucina ci sapevo fare. Mi piaceva e lo trovavo un buon modo per fare colpo.
    Decidemmo di andare sul divano dopo cena. Chiacchieravamo con serenità. Lei era davvero simpatica, raccontava delle storie molto divertenti sui suoi vari lavori. Non era sciolta, si vedeva che nascondeva qualcosa, probabilmente i suoi sentimenti ma rispetto al primo giorno erano dei grandi passi avanti.
    “Allora, inglese, cosa mi nascondi? Sì, insomma, che diavolo hai che non va per essere tutto solo, senza una donna?”.
    “Che domanda. Abbiamo tutti i nostri scheletri nell’armadio.”
    “Dovrò controllare il tuo. Non sia mai che ci trovo davvero i cadaveri delle tue ex.”
    “Di solito preferisco sparire, non farmi più trovare. Più semplice, niente sangue da pulire dopo, soprattutto avrei bisogno di una cabina guardaroba immensa. Problemi di spazio. Ho solo un armadio a due ante.”
    Lei rise. Mi guardava negli occhi, era la prima volta che mi guardava così, non era rimasto niente della rabbia che avevo visto la prima sera. Era stupenda, più provocante che mai.
    Mi sentì orgoglioso. Avevo fatto breccia, le stavo dimostrando di essere diverso dagli altri.

    “Sai la gente sottovaluta la birra di marca americana.” Alzai la bottiglia e feci per brindare con lei.
    Bevemmo entrambi, lei continuava a fissarmi.
    “Hai mai sentito dire che la birra …” guardai l’etichetta per leggere la marca “che la birra Dixie è un potente afrodisiaco.”

    Un breve sorriso solcò il suo viso, poi piegò un tantino il mento in basso e mi guardò di sbieco. Il suo volto era perfetto, i suoi lineamenti angelici furono sopraffatti dalla selvaggia della sua espressione. Quella bambola emanava sesso in ogni suo movimento.
    “No, ma potrei provare.”

    Avvicinai le mie labbra alle sue abbastanza da sentire il suo odore, il suo respiro che lieve soffiava sul mio. Esitai un istante per assaporarla prima ancora di baciarla.

    Il nostro momento fu interrotto da un bussare incessante alla mia porta. Cercai di far finta di nulla.
    “Non vai ad aprire, prima che ti buttino giù la porta.”
    “Dolcezza sicuramente sono dei rompiscatole.”

    Cercai di immaginare chi diavolo poteva essere a quell’ora. Guai, ne ero certo.
    Maledizione dovevo andare ad aprire, lei aveva ragione, mi avrebbero buttato giù la porta.

    Stavo per prendere la mazza da baseball posata al muro, prima di andare ad aprire.
    Mi fermai un attimo prima di impugnarla, che cosa avrebbe pensato lei se lo avessi fatto. Insomma un “uomo migliore” non impugna una mazza da baseball prima di aprire la porta.

    Dannazione di nuovo il mio passato che torna alla porta. In tutti i sensi.
    Aprì deciso la porta. Rimasi impietrito.
    “Oh, non dirmi che non sei felice di vedermi Willy?!”
    “Casa diavolo ci fai qui, Liam? Come diavolo mi hai trovato?”
    “Non mi dire che hai davvero creduto che non sapessi dove ti fossi ficcato? Sei rimasto il solito sempliciotto che eri Willy”.
    “Non chiamarmi così… adesso sparisci, prima che…”
    “Hey hey, calmati brave heart, sono solo venuto a riprendermi quello che mi devi.”
    “Io non ti devo nulla. Ti sei già preso fin troppo di quello che era mio.”
    “Willy, Willy, ancora con quella storia. Lei era una puttana e come tale non poteva essere tua. In più non aveva niente a che fare con i soldi che mi devi. O ti devo ricordare chi era prima e come vivevi?”
    “Fottiti.”
    Avevo una gran voglia di prenderlo a pugni finché il suo sangue non mi fosse colato dalle mani, ma c’era lei. Non volevo mi vedesse per quello che era stato.
    “Oh si certo. Fottermi, come ho fatto con Dru, il tuo destino. Sei solo un sentimentale, un poeta da quattro soldi. La vita che stai vivendo te l’ho data io. Sbaglio o i documenti che affermano che ti chiami Randy ti sono stati di molto aiuto?”
    “Ero stato chiaro, non dovevi più venire a cercarmi. Sbaglio, o anch’io ho un paio di cosette con cui ricattarti, Liam?”
    “Oh già, il mio passato. Solo che a differenza tua non lo rinnego. Sei un mostro, esattamente come me. Sei violento, lo sei sempre stato.”
    “Io non sono come te.”
    Gli ringhiai in faccia. La mia pazienza stava per darla vinta alla furia. Stringevo i pugni fin quasi a farmi male.
    “Oh certo, ci siamo incontrati a Dover, nella stiva di una nave nascosti come i topi, per caso. Non credo che tua madre ti abbia denunciato per le troppe carezze.”
    Il furore prese decisamente il sopravvento.
    “Non nominare mia madre.”

    Mentre urlavo quelle parole lo presi per il colletto della maglietta e lo sbattei al muro. Stavo per colpirlo quando un rumore all’interno della stanza attirò la mia attenzione.
    Era Faith che aveva fatto cadere la birra dalle sue mani. Era in piedi dinanzi il divano, indietreggiava con il volto sconvolto, la sua rabbia cieca si mescolava alla paura.

    “Ahahahaah, povero vecchio Willy, ancora puttane nella tua vita.”
    “Lei non la devi neanche guardare.” Misi una mano brutalmente sul viso del verme come per coprirgli la vista.
    “Faith sta tranquilla, il bastardo ha finito. Adesso va via, vero?”
    “Faith ecco come si chiama. Ti ricordi di me? Bella scopata, un po’ troppo rabbiosa per i miei gusti, ma niente male.”
    “Ma che diavolo stai dicendo.”
    Lo guardai perplesso.
    “Oh allora la puttanella non ti ha detto che lavoro fa. Willy sei il solito coglione. Vedi una sottana e corri in aiuto. Ma questa è troppo anche per un coglione come te. Ti farà a dadini, è pericolosa, non sai quanto sa di essere una puttana, è troppo selvaggia per te dammi retta. Ci vuole ben altro per domarla. Eh piccola?!”
    “Fanculo, lurido verme. Non provare a toccarmi di nuovo.” Le urlò contro Faith carica d’ira.
    In quel momento non capì più niente. Come “toccare di nuovo”. Quel bastardo aveva toccato Faith. Di nuovo aveva toccato e una persona vicina a me. Dannazione.

    Iniziai a prenderlo a pugni più forte che potevo, lo stesi in terra e continuai a picchiarlo. Presi anch’io qualche colpo, ma tale era la furia che non mi accorsi nemmeno che il labbro mi sanguinava.
    Le tirai dei calci fortissimi sulle costole e sui reni, volevo la sua morte.
    Mi accorsi d’un tratto delle grida di Faith.
    “Basta, lo stai uccidendo. Fermati.”
    Tornai in me, lui era in terra e non reagiva. Cercai di tirarlo su, quando all’improvviso si riprese.
    “Lo sapevo che sei solo un animale. Esattamente come me.”
    Mentre parlava, sputava sangue.
    “Adesso vado, mi pare che per stasera ho fatto abbastanza.”

    S’incamminò velocemente verso la strada, gli sbattei dietro la porta e rimasi qualche istante impietrito.
    Corsi verso Faith, che era al centro della stanza, il suo viso era sfigurato dalla rabbia.

    “Faith, non preoccuparti. Non è niente. Quell’individuo è…”
    “So perfettamente chi è.” M’interruppe. “Adesso ho capito. Doveva esserci qualcosa che non andava. Le tue amicizie, il fatto che sei un animale…”

    “Io non frequento quel bastardo. Non ora. Non sono un animale, maledizione, è colpa sua, mi fa perdere la testa. Ogni volta.”
    “A me sembrava vi conosceste bene tu e Angelus.”
    “Hey piccola, non fare la santarellina. Anche a me sembrava voi vi conosceste bene.”
    “Sì, infatti, ed ha ragione lui. Sono una puttana e sono pericolosa. Perciò adesso lasciami andare a casa.”
    “No aspetta non volevo dire quello che pensi. So che non sei una puttana.”
    “Sì che lo sono. Tu cosa ne sai. Tu non mi conosci, non sai niente di me.”

    In quell’istante lei corse verso la porta e scappò via.
    Presi a calci il divano, distrussi un tavolino ed una bottiglia di birra la tirai, facendola esplodere sul muro. Urlai tutte le imprecazioni che mi vennero alla mente.
    Maledissi il suo nome ed il mio, infine corsi in strada a cercarla.

    Lei non si vedeva, probabilmente era corsa via e aveva guadagnato parecchia strada.
    Saltai sulla moto e partì come un razzo.
    La incrocia pochi isolati dopo.
    “Faith, aspetta. Ti prego fammi spiegare.”
    “Che cosa? Il tuo passato? Non m’interessa.”
    “Non dire così, quello che hai visto non ero io. Davvero io sono diverso, ho solo perso la testa.”
    “Sembra una cosa che facevi spesso, da quanto ha detto Angelus.”
    “Senti il mio passato è uno schifo, lo ammetto sono stato un coglione ed ho fatto cose orribili, ma non sono più così. Non farla tanto lunga, volevo solo dargli una lezione… lui se lo merita…”
    “Non m’importa nulla di te. Non mi è mai importato.”
    “Questo non è vero. Non puoi negarlo, c’è qualcosa tra noi. Calore, desiderio…”

    Lei mi guardò fredda e non rispose. Continuò a correre verso casa sua mentre io continuavo a seguirla in moto. Arrivammo davanti alla sua pensione, parcheggiai e corsi verso di lei.
    Sentivo la testa esplodere. Doveva credermi, doveva darmi una possibilità di farle capire chi ero.

    “Faith, guardami. Aspetta per favore dobbiamo parlare.”
    Lei mi guardò annoiata ed indifferente.
    “Non ho niente da dirti.”
    “Tu non ti rendi conto io…”
    “Sei tu che non ti rendi conto. Non m’interessa, non m’importa nulla di te. Non m’importava nemmeno prima.”

    Quella frase mi ferì profondamente. Il suo sguardo freddo mi gelò il sangue. Pensai che quella maledetta puttana si stava prendendo gioco di me.
    Le presi un polso, mentre cercava di andarsene, e lo strinsi forte in modo da bloccargli il braccio.

    “Te adesso mi ascolti, dolcezza. Quello che è successo stasera non cambia che tu mi vuoi.
    Coraggio lo sento che vuoi ballare ancora con me.”

    Le sussurrai quelle parole all’orecchio mentre lei cercava con strattoni di liberarsi. All’improvviso mi sferrò una gomitata nel basso ventre e mentre cercavo di tamponarmi il dolore, mi assestò un pugno in pieno viso. Rimasi paralizzato.

    “Sei un animale. Come tutti gli altri.”

    Mi urlò quelle parole mentre correva verso la porta di casa. Furono come un cazzotto, molto più forte di quello che mi aveva dato. Mi appoggiai alla moto e mi accorsi che tremavo.
    La rabbia divenne pian piano disperazione.

    Guardavo fisso verso la sua finestra, la vista mi si offuscava sempre di più. Sentì in bocca il sapore del sangue mescolarsi con quello delle lacrime.
    Iniziò a piovere, ero ancora lì, accartocciato su me stesso.

    Presi coraggio e mi avvicinai alla sua porta:

    “Faith. Ti chiedo scusa. Davvero, non volevo mi vedessi così. Per favore ho bisogno di parlarti. Domani tornerò, per chiarire, voglio dirti tutto. Non ti chiederò nulla del tuo passato, in ogni caso non cambierebbe quello che penso e quello che provo.”

    Guardai la porta fra la pioggia e le lacrime, speravo che lei avesse sentito.
    Rimasi ad attendere ancora per un po’, disperato presi la moto e corsi verso casa.
     
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