LOOKING FOR THE VICTIM SHIVERING IN BED

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  1. FaithLess
     
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    CAPITOLO 6.

    Rimasi impietrita seduta al bar, lui mi aveva baciato prima di andare via. Come se fossimo una coppia, una normale coppia che stava facendo colazione: lui va al lavoro, bacia lei e vissero felici e contenti. Prima di scoprire che lui nel tempo libero veste da infermiera sexy la segretaria, di poco più giovane della figlia, e che la moglie si ubriaca fino a risvegliarsi nel pianto e nel vomito.

    No grazie, non fa per me.
    Dovevo riuscire ad interrompere quella spirale che mi stava travolgendo.
    Io non ero la ragazza di nessuno, ero mia e le cose me le sbrigavo da sola.

    Non avevo bisogno di nessuno.

    Rimasi a giocherellare con la forchetta sul piatto, ormai vuoto, della mia colazione. Pensavo a cosa avrei dovuto fare quella sera.
    Non potevo negarlo, quell’inglese aveva il potere di confondermi, senza dubbio riusciva a farmi cose assurde. Era pericoloso. Io ero pericolosa.

    Dannazione. Avrei dovuto dargli molto meno peso. Comportarmi come se quando ero con lui non mi accadesse nulla. Negare tutto quello che provavo, magari comportarmi da stronza, da insensibile, ferirlo il più possibile. Così sarebbe stato lui ad allontanarsi da me, per sempre.
    Non so cosa aveva intravisto in me che gli piaceva, in ogni caso dovevo dimostrargli che si era sbagliato.

    Sono solo una ragazza molto cattiva.
    Una ragazza pericolosa. Devo stare da sola.
    Quello che ho fatto in passato può riaffiorare in qualsiasi momento.

    Mi alzai e mi diressi verso il mio alloggio, non tutti i dubbi si erano dipanati. Arrivata in stanza, mi spogliai e rimasi in mutande e reggiseno, accesi la tv. Davano un vecchio film in bianco e nero.
    Mi sdraiai sul letto e decisi di guardarlo.

    Il film era estremamente sentimentale. C’era lei vestita come un angelo, addirittura con il cappellino con la veletta, che non si concedeva a lui, che ormai era uno zerbino.
    Alla fine si sposeranno e andrà tutto a meraviglia, ne ho visto un milione di film così. Solo che si fermano tutti alla luna di miele. E poi? Che succede dopo alle coppie felici?

    Considerato con quanti uomini sposati, avevo scopato e com’era andata la storia tra i miei, non credo che il matrimonio sia un dono divino. Avevo sentito dire fosse la tomba dell’amore, ero d’accordo.
    Qualcuno diceva che si può vivere insieme senza sposarsi, convivere.
    Non capivo la differenza, come poteva essere meno doloroso. Tutti alla fine ti deludono.
    Ti feriscono, è così che gira il mondo. Credo sia la delusione, il dolore e la rabbia a farlo funzionare.

    Eppure ogni tanto, raramente, m’immaginavo con qualcuno accanto. Qualcuno con cui divedere la tristezza, il dolore e la stanchezza. Magari che trasformasse il tutto in attimi di gioia.

    Era da quando ero bambina che facevo a pugni con il mondo.
    Non immaginavo si potesse smettere, credevo che la vita fosse una rissa continua. Lottare, era l’unica cosa che avevo imparato.
    Immaginai quanto sarebbe stato bello avere qualcuno che ti copre le spalle, qualcuno che dà i pugni che non avevi fatto in tempo a sferrare.

    Non sarei mai stata una donna angelica, di quelle con i tacchi ed i vestitini chiari a fiori. Con uomini in cravatta che le aprono le portiere, o le spostano le sedie. Non sarei mai riuscita a fingermi così educata, o a reprimere la rabbia.
    Chissà se quelle donne sono felici, se quando s’infilano quei maledetti tacchi, ne sentono il dolore, o sentono i piedini comodi, comodi. Quando smaltano le loro unghie, profumano la loro pelle o quando ridono a orrende battute, si sentono bene o anche loro nascondono solitudine.
    Non le invidiavo, non volevo essere come loro, ma avrei voluto davvero qualcuno accanto. Qualcuno di cui fidarmi. Non per smettere di lottare e farmi difendere, ma per poter lottare per qualcun altro, non solo per me stessa. Immaginai se quell’inglese potesse essere ciò che cercavo. Pensai come saremmo stati insieme.

    “Al diavolo” mormorai “Non fare la femminuccia ora, Lehane”.

    Quei pensieri erano inutili, tanto non sarei mai stata una signora né una moglie. Tanto valeva che mi vivessi quel poco che avevo. Significava andare alla cena dal maledetto ossigenato e scoprire dove aveva intenzione di arrivare.
    Poi ero un secolo che non mi veniva offerta una cena. Diciamo che da quando ero arrivata nella grande mela, ero più sola di prima. Eccetto sveltine, non chiacchieravo con qualcuno da tantissimo. Non che ne avessi bisogno, io vivevo perfettamente in solitudine, o almeno così pensavo, ma neanche poteva farmi male.
    In più quel ragazzo a letto era davvero un asso. Ci sapeva fare davvero, non avevo mai immaginato che un culo inglese potesse essere così focoso. Insomma pensavo da lì venisse solo il tè in bustina, il whisky buono e il rock old school.
    Avevo già conosciuto un inglese prima.
    Nei servizi sociali c’era un tipo, mi sembra si chiamasse Wesley. Aveva provato ad aiutarmi, pensava di fami affidare ad un’altra famiglia. Gli avevo raccontato cosa accadeva a casa, prima con mio padre, quindi anche il motivo della mia prima fuga. Poi gli avevo detto del nuovo compagno di mia madre e di quello che cercava di farmi.
    Lui mi consigliò di attendere i documenti del trasferimento.
    Bel consiglio del cazzo che mi diede.
    Quando poi dovetti scappare, lo cercai per farmi aiutare. Lui preferì chiamare la polizia. Ed ecco il motivo per cui sono qui.
    Dovetti scappare lontano da Boston ed ottenere dei documenti falsi. Non fu facile ottenerli, ma sono forte, questa è l’unica cosa che ho capito.

    I brutti ricordi lasciarono spazio al viso di Spike. Riflettei che quello non poteva essere il suo vero nome.
    In quel momento compresi che m’interessava sapere di più di lui. Insomma perché diavolo lui era finito in una città del genere?
    Decisi che quella sera avrei scoperto tutto, avrei scrutato la sua casa, cercato di capire se era uno a posto.
    Con quei propositi mi appisolai, dovevo essere molto stanca, la notte avevamo fatto tutto tranne che dormire. Quelle poche ore di sonno della mattina non erano sufficienti. Così mi addormentai profondamente.

    Mi svegliai di colpo, per delle urla provenienti dalla camera accanto alla mia. Sobbalzai sul letto. Me ne fregai dei vicini e guardai l’ora erano già le cinque del pomeriggio.
    Mi sentivo riposata, avevo dormito benissimo, ma una strana ansia iniziava a salirmi.
    Mi feci una doccia. Una volta uscita decisi di mettermi su tutto il corpo, una vecchia crema profumata che avevo comprato tantissimo tempo prima ed usato pochissimo.

    Presi ad accarezzare la mia pelle con calma, finché la crema non si fosse assorbita in tutto il corpo.
    Cercai nel borsone dei vestiti diversi.

    Infilai un tanga nero di pizzo ed uno splendido reggiseno in coordinato.
    Trovai dei pantaloni neri di pelle e li infilai, mi stavano d’incanto, il mio sedere sembrava ancora più sodo. Scelsi di abbinarci una maglietta rossa scurissima, quasi bordò. Era scollata sul seno ed aveva le maniche lunghe svasate. Era molto aderente e corta, in modo da lasciarmi l’ombelico scoperto.

    Indossai la cinta con le borchie e gli anfibi. Pettinai i capelli e decisi di legarli. Li raccolsi in una coda alta, lasciai due ciocche ad incorniciarmi il viso.
    Mi truccai meno scura, sugli occhi misi la matita e un pochino di ombretto chiaro. Le labbra le lascai del mio colore, aggiunsi solo del gloss trasparente.
    Mi laccai le unghie con dello smalto nero.

    Sentii un claxon suonare davanti la mia finestra, mi affacciai ed era lui sulla moto, mi sorrise.
    Presi la giacca di pelle nera e senza indugio uscii. Lo guardai mentre chiudevo la porta della stanza, era bellissimo, aveva un sorriso dolcissimo e degli occhi penetranti.
    I pensieri che mi avevano accompagnato da tutto il giorno si dileguarono appena sentii il suo odore, in moto lo strinsi più forte che potei.
    Una strana sensazione di serenità si fece largo nella mia mente e il mio cuore si sentì come protetto.
    Mai il south Bronx mi era sembrato così bello come in quel breve tragitto, la città sembrava sorridere al suo passaggio, al nostro passaggio.
     
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