LOOKING FOR THE VICTIM SHIVERING IN BED

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  1. FaithLess
     
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    CAPITOLO 5.


    Arrivato a casa posai i soldi in un doppio fondo di un cassetto insieme a molti altri.
    Mi spogliai tutto e mi diressi nella doccia. Mi insaponai per bene, cercando di far andar via di dosso l’odore di carburante e di grasso.
    Presi una spazzolina per le unghie e iniziai a massaggiarle con il sapone. Dovevo togliere le macchie nere di grasso, mi dava fastidio andarci in giro, vedevo la gente che me le guardava e giudicava o almeno così mi pareva.
    Mi vestii velocemente ma con cura e sistemai i miei capelli ossigenati, di lì a poco avrei dovuto rischiarirli, la ricrescita stava per essere troppo evidente.

    Infilai la giacca e cercai nelle tasche la fiaschetta di bourbon, ne presi un bel sorso e la rimisi apposto, uscii pensieroso dalla porta e salii in moto.
    Mentre parcheggiavo, vidi che al locale non c’era molta gente, pensai che non fosse strano, era martedì sera e non tutti uscivano per bere.
    Appena dentro iniziai a scrutare le persone, il più disinvolto possibile.
    La cercavo, guardai al bancone e non la trovai, in sala neanche. Mi avvicinai al bancone ed ordinai del bourbon, la barista mi sorrideva. Era una biondina abbastanza carina, qualche sera prima avrei approfittato ma stasera mi sembrava vuota, insulsa. Volevo lei, le altre erano solo un ripiego. Fui imbarazzato per i miei pensieri, come potevo essere già così ridotto.
    Al diavolo, la volevo e l’avrei cercata.
    “Senti scusa, cerco una ragazza.”
    “Non ne avevo dubbi.” M’interruppe “Se aspetti la fine del turno, mi porti dove ti pare.”
    “Senti, bellezza, si chiama Faith e lavora qui, ne sai niente?”
    “Sì, ma non lavora fino a giovedì. Lavora solo quattro sere. Se vuoi, gli dico giovedì che l’hai cercata. C’è altro che posso fare per te?”. Mi guardava ammiccante.
    “No guarda non fa niente. Anzi non le dire niente, ci penso io. Grazie.”

    Uscii velocemente dal locale, rimasi seduto sulla sella per qualche minuto. Non sapevo bene cosa fare. Bevvi ancora dalla mia fiaschetta e carezzai distrattamente il fianco sinistro della moto. Trovai il coraggio e decisi di recarmi a casa sua, non prima di aver bevuto ancora. Mi scolai l’intera fiaschetta e finalmente con qualcosa di più simile all’incoscienza, che non al coraggio, accesi la moto.
    Arrivai al piazzale della pensione, spensi il motore e rimasi a guardare la sua finestra. Era in casa ed era sveglia, delle luci si proiettavano dalla sua finestra, probabilmente guardava la tv. Cercavo di immaginare cosa le avrei potuto dire. Non mi veniva nessuna frase alla mente. Volevo baciarla e magari fare di nuovo l’amore con lei.
    Volevo sentirla vicina. Mi accesi una sigaretta mentre continuavo a fissare la sua finestra. D’improvviso vidi la tapparella che si spostava leggermente. I suoi occhi erano un po’ sfocati, ma vedevo chiaramente che mi stavano guardando. Rimanemmo un po’ di tempo così, lei mi scrutava di nascosto ed io la braccavo come una preda.
    Vidi un movimento impercettibile del suo viso, forse fu l’alcol oppure la distanza, ma quel gesto mi parve un invito. Non so ancora se lo fece davvero o lo immaginai.
    Balzai di scatto dalla sella e mi diressi verso la porta, giunto di fronte, quella si spalancò prima ancora di bussare.
    Lei era lì dinanzi a me, era splendida, misteriosamente magnifica. La guardai esterrefatto, mi accorsi solo dopo che era praticamente nuda, ad eccezione per una canotta lunga, bianca, non aveva nulla addosso. Anche quella era ben poco, seppure fosse piuttosto larga, lasciava trasparire molto, le si vedevano i seni e l’ombelico.
    Rimanemmo molto in silenzio.
    “Posso entrare?” dissi infine.
    “ssshhhh… non parlare, inglese”

    Mi afferrò per una mano e mi tirò dentro, la iniziai a baciare. Stringevo forte i suoi capelli tra le mie mani, erano così belli.
    Le carezzavo il viso, e il collo, quella sera sembrava diversa, non sapevo dire in cosa. Mi sfilò la maglietta e la tirò via, facendola volare per terra. Con il piede diedi un calcio alla porta per farla chiudere dietro di me.
    Lei mi carezzava il ventre e il pacco, era selvaggia come la notte precedente ma c’era qualcosa di tenero e di spaventato in lei, credevo di sentirla stringermi più forte, quasi volesse non lasciarmi più andare.
    Percepivo che non era solo il mio corpo che voleva, in qualche modo quella ragazza mi desiderava, desiderava avermi dentro di lei.
    La accontentai, almeno in senso fisico. Penetrandola mi accorsi di comprenderla, non percepivo solo la sua pelle liscia e profumata a contrasto con la mia, sentivo la sua essenza, credevo di percepire la sua paura, il suo eccitamento.
    Toccavo le sue cosce sudate con il mio bacino come in un unico corpo e mi chiedevo cosa fosse, perché le sue mani sembravano fondersi con i miei pettorali e le mie labbra con le sue.
    Poteva essere l’effetto dell’alcol, oppure davvero i nostri corpi si stavano dicendo tutto quello che non sarebbe mai uscito dalle nostre voci.
    Continuammo a giocare tra noi gran parte della notte, senza dirci nemmeno una parola, finché la stanchezza non prese il sopravvento, ci addormentammo abbracciati.

    Mi svegliai prima di lei, il suo volto mentre dormiva era angelico. Si teneva forte con le braccia alla mia vita ed appoggiava il lato sinistro del suo viso sul mio petto. Il suo profilo perfetto era illuminato da un impercettibile sorriso.
    La vigilavo in silenzio, notai come fosse bella senza il trucco, le sue labbra erano meno provocanti e più graziose, quasi perfette.
    La sua mano destra era distesa su di me, guardai la scritta sulle nocche “RAGE”; pensai che di rabbia quella ragazza ne avesse davvero tanta dentro. Guardando bene vidi come delle piccole abrasioni, mi chiesi se in qualche modo gliele avessi procurate io, forse durante la prima notte. D’improvviso mi sentii in colpa.
    Poi il mio pensiero fu distratto, un raggio di sole le sfiorava una spalla scoperta, spostai delicatamente il lenzuolo e le sbirciai la schiena. La sua pelle era liscia e candida, senza imperfezioni.

    Le carezzai dolcemente i capelli e cercai di godere il più possibile del suo profumo. Sentì la voglia di penetrarla di nuovo, salirmi in tutto il corpo e concentrarsi in un solo punto indurendolo.

    In quell’istante lei si svegliava, alzò il capo lentamente e con stupore mi guardò.
    “Buongiorno passerotto, dormito bene?” Nel dirlo mi scoprì imbarazzato.
    Il suo sguardo scorreva agitato da un mio occhio all’altro. Si alzò velocemente, mi fissava dal lato del letto.
    “Al cento per cento. Ora vado a lavarmi.”
    Aveva un’aria spaventata, mentre ostentava sicurezza, pensai che fosse pentita di essersi lasciata andare ma non riuscivo a capacitarmi bene del perché.
    Pensavo di cosa mai potesse aver paura una ragazza così bella e forte. Immaginai che la risposta l’avrei trovata nel suo passato e decisi sul momento che avrei indagato.

    Mi allungai a prendere una sigaretta e rimasi nudo nel letto ad attenderla. Dopo poco sbucò dalla porta scorrevole del bagno, al solito era nuda ed ancora bagnata. Nel vederla mi scoprì nuovamente eccitato.
    “Hai intenzione di scaraventarmi fuori di casa come l’altra mattina? No perché, in caso devi darmi cinque minuti in più, che non riesco ad immaginare dove siano finiti i miei pantaloni.”
    Cercavo di stabilire un contatto, se mi avesse buttato fuori un’altra volta, sarei davvero divenuto furioso.
    “Nessun problema, rimani quanto vuoi. Io vado a cercare del caffè al bar.”
    Era la risposta che avrei desiderato, ma il suo modo di rimanere impassibile mi ferì maggiormente. Sembrava completamente disinteressata alla mia presenza. Se me ne fossi andato o fossi restato non avrebbe fatto alcuna differenza. Sentì la rabbia montarmi dentro.
    “Diavolo la mattina sei strana un bel po’.”
    “Non sei il primo a dirmelo.”
    “Cristo” mormorai “Stanotte sembravi più interessata alla mia presenza. Sentivo come sospiravi per quello che ti facevo.”
    “Non montarti la testa bambolotto. Mi hai fatto solo quello che volevo.”
    “Non mi sembra ti abbia dovuto pregare, amore.”
    “Non ce n’era bisogno. E comunque non sarebbe servito.”
    La sua risposta mi aveva innervosito davvero. Si prendeva gioco di me, quella notte l’avevo sentita vicino, ora non poteva negare.
    “Stiamo facendo conversazione, bene, facciamo dei progressi, mia cara.”
    Mi guardò ostinata, nei suoi occhi vidi la rabbia salire.
    “Faresti meglio a vestirti. Ho fame, andrò a fare colazione qui al bar. Te che intenzioni hai?”
    Per tutta risposta m’infilai i pantaloni e presi la mia camicia, la lasciai slacciata, vedevo il suo sguardo esitare sui miei addominali. Cercava di non farsi notare ma sentivo che mi voleva. Probabilmente era solo un abbraccio quello che cercava, non ne ero sicuro.

    “Allora capitano, le va bene se vengo in missione con lei. Quante ciambelle dovremmo abbattere?”
    Cercavo di eliminare l’imbarazzo che si era creato dal suo risveglio.
    Mi guardò sorridendo, mentre si vestiva, lo feci anch’io di rimando, era stupenda quando sorrideva.

    Ci incamminammo verso il bar. Una volta dentro ordinammo e ci sedemmo ad un tavolo, proprio come avrebbe fatto una coppia qualsiasi. Il suo modo di parlarmi era costruito ed un tantino arrogante. Era chiaro che stesse ancora sulla difensiva.

    “Allora io prendo uova e pancetta. La adoro quando è tutta croccante.”
    Mi resi conto che quella era la prima cosa che diceva di piacerle, evidentemente per quanto lei si sforzasse di negarlo, qualcosa stava lentamente cambiando.
    “Allora ami qualcosa anche tu.”
    Cercai di scrutarla il più che potei, volevo interpretare ogni singola reazione. Quella ragazza era in parte ancora un mistero per me, ed ero intenzionato a venirne a capo.
    “Sì, forse qual cosina c’è.”
    “Io invece amo le ciambelle. Da inglese quale sono, non posso far a meno di apprezzare le vostre cose più genuine bourbon e ciambelle. Mi sembra siano le armi con cui avete conquistato il vecchio west.”

    La conversazione, seppur a singhiozzi, sembrava aver preso piede, lei più che altro sorrideva e già questo ero di gran lunga superiore a ciò che potevo immaginare.
    “Allora sei stata sempre e solo a Boston prima della grande mela?”
    Lei mi guardò leggermente perplessa, forse non si aspettava domande sul suo passato.
    “Maggiormente. Non ho mai fatto dei veri e propri viaggi. Ho solo cambiato città, quando mi diventava stretta.” Avevo percepito un leggerissimo cambio nel suo sguardo, sembrava propensa a raccontarmi qualcosa.
    “E come mai Boston ti era diventata stretta? Dicono sia una città carina.”
    “Lo è. Il punto è che se scappi di casa è troppo facile che i servizi sociali ti rintraccino. Specialmente se sono sulle tue tracce.”
    Mi resi conto per la prima volta di quanto fosse più piccola di me. Doveva avere al massimo vent’anni, ma forse anche qualche cosa di meno. Come minimo aveva quindici anni meno di me. Eppure aveva già il viso così duro, così segnato dalla solitudine e dalla rabbia che sembrava una mia coetanea.
    “A che età sei scappata di casa?”
    “La prima volta a quattordici anni, per via di un ragazzo più grande. Mi rintracciarono dopo quasi un anno, ero sola, niente più ragazzo, vagavo moribonda nella periferia di Boston. Stetti un annetto in famiglia, con mia madre e il suo compagno nuovo. Non mi dispiaceva, tutto era meglio di mio padre. Evidentemente mi sbagliavo, così a sedici anni dovetti scappare di nuovo e stavolta per sempre. Non ho più nessuno da cui tornare anche volendo.”
    Il suo sguardo s’incantò fuori dal vetro del bar, cercava qualcosa all’orizzonte. Il suo dolore era scritto nei suoi movimenti, sapevo che non mi aveva detto tutto, ma avevo ottenuto un pizzico della sua fiducia.
    “Come mai? Sono morti?”
    “Mio padre no, vorrei poter dire che non glielo auguro, ma mentirei. Mia madre fu uccisa il giorno che scappai di casa. Non era un asso nello scegliersi i compagni. Ammesso che esistano uomini migliori.”
    “Non per difendere la categoria, ma non siamo tutti uguali.”
    “Tutti gli uomini sono bestie. Vogliono solo darci la caccia. Possederci.”
    “Non hai una gran considerazione degli uomini. Ma ti capisco, la maggior parte di noi sono come dici. Tutti no.”
    Mi guardava con un sopracciglio leggermente alzato ed un’espressione come di sfida dipinta sul viso.
    “Perché te cosa cercavi l’altra sera? Non cercavi di possedermi?”
    La sua domanda mi imbarazzò.
    “Ma ora sono ancora qui. Comunque se non ho capito male stasera non lavori?! Perché non stiamo a cena insieme, se vuoi ti porto a cena fuori o ti porto la cena lì a casa tua? O vuoi venire da me?”.
    Mi fissò un secondo attentamente negli occhi.
    “A casa tua va bene, passami a prendere alle sei. Non ti montare la testa.”
    “Ok, alle sei in punto. Ora devo scappare. Devo sistemare delle faccende di lavoro. Ci vediamo dopo.”
    Mi alzai velocemente, lasciai sul tavolo i soldi per entrambe le colazioni e prima che lei potesse accorgersene, le bacia innocentemente le labbra e senza voltarmi scappai via. Immaginavo la sua espressione, probabilmente la cosa l’aveva fatta arrabbiare ed ora mi stava maledicendo con lo sguardo. Oppure era contenta che l’avessi fatto.
    Era un mistero quella ragazza. Non avrei mollato, non ora, non ora che avevo saputo di più.
     
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