LOOKING FOR THE VICTIM SHIVERING IN BED

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  1. FaithLess
     
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    ed ecco subito subito il secondo..

    CAPITOLO 2.


    Arrivati davanti alla mia pensione, gli diedi uno sbuffo sulla spalla e gliela indicai. Si fermò, mentre accavallettava la moto, riprese a chiacchierare:
    “Così vivi in una pensione…Devi essere da poco in città?”
    “Da più di un anno.”
    “Allora sei più sola di quanto pensassi. Hey piccola non ce l’hai una famiglia?”
    “Non faceva per me. Ti assicuro che quella pensione è la cosa più vicina ad una casa che io abbia mai avuto.” Non sapevo perché gli avevo detto questo, non mi piace parlare di me. E poi sto stronzo come osava chiamarmi piccola, tra un paio d’ore vedrai cosa ti avrà fatto la tua piccola. Brutto porco. Con lo sguardo risentito aggiunsi “E’ poi sentiamo, tu dove abiti?”
    “Be…io…abito, tecnicamente in una cantina, ma è molto chic.”
    “Non sono l’unica che capisce le persone con uno sguardo. Quanto tempo è che sei in America? Inglese.”
    “Ok, il mio accento non ti è sfuggito. In effetti, sono di Londra. E sono in città da un po’ più di te. Abbastanza da aver superato la pensione ed essere arrivato in una cantina tutta per me.”
    Rise cinicamente di se stesso. Contagiò anche me, la mia risata era un po’ arrugginita.

    Lo invitai ad entrare, la stanza era un disastro. Doveva essere così da settimane ma me ne resi conto solo in quel momento. Il letto era sfatto e pieno di vestiti, per terra c’era di tutto, dai tanga, fino a cartoni unti di pizza e bottiglie vuote di birra. In cucina c’erano bottiglie ovunque.
    “Non sei un’amante dell’arredo?”
    “No, direi di no. Non amo la casa.” Spostai un involucro di plastica vuoto, di una vecchia cena cinese e gli feci cenno di sedersi.
    “Vediamo, posso offrirti della birra e…” Guardai nel frigo “una carota, un po’ di maionese e della vodka. Mi spiace, non amo nemmeno la cucina.”
    “Finora ho scoperto cosa non ami, credi che riuscirò a scoprire cosa ami prima di andar via?” il suo sguardo era penetrante, le sue labbra rimasero sospese in una smorfia di malizia.
    “Mi piacerebbe vederti provare.” Quel gioco iniziava a piacermi.
    “Non mancherò. Bourbon ne hai?”
    “No, al massimo vodka.”
    “Vada per la vodka.” Presi dei bicchierini dallo scaffale in truciolato, due uguali non ce n’erano. Altra cosa di cui non mi ero mai accorta. Versai la vodka e brindammo. Bevvi tutto d’un fiato e lui fece lo stesso.
    Era una vodka molto forte, il sapore era pessimo, credo fosse la più economica in circolazione, ma ero abituata, non creò problemi nemmeno a lui, suppongo non fosse la sua prima vodka economica.
    “Allora Faith, cosa ti stai lasciando alle spalle? Da dove vieni?”
    “Boston, mi sono lasciata alle spalle un mucchio di merda. E tu?”
    “Come ti ho già detto vengo da Londra e mi sono lasciata alle spalle la regina, un mucchio di stupide regole borghesi ed un possibile fottuto futuro da impiegato.”
    “Direi che ci conosciamo abbastanza adesso.” Odio la conversazione, non mi fregava niente di quel tipo. Tanto domani non ci sarebbe stato più ed era meglio non sapere nulla.
    “Sì, anche per me può andare. Poi la tua conversazione è davvero fuori allenamento. Possiamo passare alle cose serie, dolcezza.”
    Mi alzai dalla sedia e lentamente mi poggiai sul bordo del tavolo davanti a lui. Con gli occhi vispi mi scrutò tutta, sembrava parecchio interessato alla mia carrozzeria. Mi tolsi la giacca e la poggiai sul tavolo, mostrando i miei tatuaggi, mi sgranchii le braccia con calma, avvicinai il mio viso pericolosamente al suo e gli sussurrai:
    “Allora, te che cosa stai cercando qui, biondo?”
    Si alzò dalla sedia, si parò dinanzi a me. Le gambe le aveva leggermente divaricate, mi sfiorò con un dito i tatuaggi, studiandoli con attenzione.
    “Cerco te.” S’inumidì velocemente le labbra con la lingua, il suo movimento fu quasi impercettibile, molto sensuale.
    Iniziai a giocare con una ciocca di capelli guardandolo un pochino di sguincio.
    “Allora prendimi.”
    Sapevo che mi voleva da morire. Il suo dito dal braccio salì sulla mia chioma e pian piano strinse la mano dietro la mia nuca. Con l’altro braccio mi cinse la vita e mi spinse verso il tavolo. Sentì la sua lingua fare strage della mia e le sue mani dappertutto. Gli infilai una mano sotto la maglietta, i suoi muscoli erano tesi, scolpiti nella roccia, senti un’eccitazione furiosa.
    Iniziai ad accarezzargli il pacco, il tessuto dei suoi pantaloni era ruvido e tirato, sembrava che qualcosa stesse esplodendo lì dentro. L’eccitazione si mescolò con l’orgoglio.
    Le mie mani senza controllo erano sulla fibbia della sua cinta. Mi sfilò la maglietta, slacciò il mio reggiseno con una mano e lo lasciò non curante precipitare al suolo. Infilò la testa fra i seni. La sua lingua setaccio ogni angolo fino alle mie labbra. Mi sollevò prendendomi dal sedere e ci tuffammo nel letto. Si tolse la giacca e la lasciò cadere, così come la sua maglietta, che finì in terra accanto al mio reggiseno. Il suo membro lo avevo estratto dall’abbottonatura aperta dei pantaloni. Volevo averlo dentro, lo desideravo davvero.
    Non era più un gioco, pretendevo quell’uomo dentro di me.
    Le mie labbra trovarono il suo sesso e d’improvviso sentì il suo sapore.
    Mi sfilai rapidamente i pantaloni e gli saltai addosso. Sopra di lui scostai il mio tanga, presi la sua mano, la guidai ripetutamente sulla mia fessura bagnata. Sentivo il suo respiro divenire affannato, la sua bocca era serrata ed i muscoli delle mascelle ingrossati. Mi guardava implorante, i suoi occhi cercavano i miei.
    D’improvviso mi resi conto di non sopportare il suo sguardo, volevo finisse il prima possibile.
    Lo infilai prepotentemente dentro di me ed inizia a cavalcarlo crudelmente.
    Non riuscivo a capire cosa cercasse nei miei occhi e perché si fosse concentrato su di loro, aveva il mio corpo nudo che gli fremeva addosso e lui preferiva guardarmi gli occhi.
    Il mio viso si fece buio, cercai con tutta la violenza che avevo di farlo venire. D’improvviso mi prese per il bacino e mi fermò. Carezzò i miei capelli, mi sorrise con dolcezza.
    “Fottuto bastardo, scopami e basta.” Sussurrai.
    Avrei voluto scansare la sua mano bruscamente e tornare a sbattermelo per poi fiondarlo velocemente fuori di casa ma ero come paralizzata, i suoi modi mi lasciavano spiazzata.
    Prese le mie mani. In quel momento mi accorsi di avergli conficcato tutte e dieci le unghie sui pettorali, aprendogli delle piccole ferite. Le strinse tra le sue, se le portò alla bocca e le baciò.
    Il mio sguardo era attonito, nella mia mente lo imploravo di smettere.
    Si ribaltò sopra di me. Non doveva essere lui sopra di me, quella serata stava andando tutta nel verso sbagliato.
    Continuò a scoparmi, all’inizio dolcemente con movimenti circolare, poi sempre più forte, sempre più brutalmente. La sua furia fu tale da buttarmi per metà fuori dal letto. Appoggiai entrambi i palmi sul pavimento e cercai di contrastare la sua irruenza. Persi ogni battaglia, mi consegnai a lui come una prigioniera, il destino di quella notte era ormai nelle sue mani.
    Mi ritrovai ad urlare il suo nome ancora e ancora. Il mio viso era incandescente e il mio corpo zuppo dei nostri sudori. Lo sentivo ansimare, pulsare, invocare il mio nome. La sua lingua sfiorò la mia pelle in ogni dove. La mia mente si andava dissolvendo, rimase solo il ritmo incessante del nostro desiderio.
     
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