LOOKING FOR THE VICTIM SHIVERING IN BED

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  1. FaithLess
     
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    Ancora un altro tentativo... ;) forse stavolta ho davvero fatto il passo più lungo della gamba :huh:.. ho cercato di raccontare due tra i personaggi più complicati del Buffyverse (a mio avviso): Faith e Spike.
    Li ho entrambi estrapolati dai loro rispettivi ruoli di cacciatrice e vampiro, cercando di evidenziare e raccontare in questo modo i loro lati umani. Vi avverto che è uno studio sui personaggi, nel senso che, mentre ve li racconto, cerco di studiarli ed approfondirli man mano che gli eventi li travolgono.
    Ho cercato anche e soprattutto di dare corpo (e giustizia per me :P) alla figura di Faith, la cacciatrice ribelle, immaginandola e raccontandola come donna, ragazza ed amante.
    Spero di non stravolgere i personaggi e se lo faccio vi prego tutte di dirmelo.
    Buona lettura e mi raccomando commentate, ho tanto bisogno delle vostre sagge opinioni e dei vostri consigli. :D

    Disclaimer: i personaggi utilizzati non appartengono a me ma alla mutant enemy ed a Joss Whedon e a chiunque ne possegga i diritti. Li utilizzo a scopo dilettevole, molto dilettevole. :P
    Universo: AU - tutti umani
    Bollino: giallo-rosso
    Chapters: Faith, Spike e forse anche qualche altro.
    Generi: introspettivo, malinconico, erotico e probabilmente un po’ angst :P

    Looking for the victim shivering in bed

    buffy718dirtygirls2


    DRIIN DRIIN – DRIIN DRIIN – DRIIN DRIIN

    Maledizione. Che diavolo è… cazzo già la sveglia.

    Allungai il braccio per cercare di spegnere quel frastuono, il mio movimento fece cadere delle cose dal comodino. Sembravano cd e forse qualche lattina vuota. Al diavolo.
    La afferrai. La maledetta continuava a trillarmi tra le mani. Non trovavo il pulsante.

    Finalmente, silenzio.
    Guardai l’ora erano le 16.
    Avevo un gran mal di testa. La notte precedente l’avevo passata a lavorare in una discoteca. Non mi era piaciuto, preferisco i locali con musica dal vivo. Mi piace scatenarmi, ma la musica deve essere buona. Quella sera dovevo lavorare in un pub, una serata punk-rock, mi piaceva come idea. Almeno mentre sfacchinavo, avrei sentito buona musica.
    Mi alzai velocemente, tirai su le tapparelle della mia unica finestra.
    Vivevo in una pensione da parecchi mesi ormai, speravo di trovare dei lavori meno saltuari così avrei potuto permettermi un monolocale in un posto leggermente meno malfamato.
    Chissà cosa credevo il giorno che ero arrivata in quella schifosa città.
    La grande mela, un paradiso per chi non vuole più essere aiutato da nessuno, per chi vuole passare inosservato e continuare a maltrattare la propria vita. Sì perché anch’io come tutti gli altri ero una fuggiasca. Fuggita da tutte le persone che dicevano:
    “Uh poverina, che vita difficile. Povera ragazza.”
    Povera ragazza un cazzo, maledetti ipocriti.

    Non avevo bisogno di nessuno.

    In bagno cercai di lavarmi con l’acqua fredda, quella calda si pagava a parte e quella settimana avevo lavorato poco. Il mio corpo magro e nerboruto s’irrigidiva sotto gli schizzi gelidi della doccia. La mia carnagione diveniva ancora più chiara.

    Andai in cucina, nuda e bagnata, presi un pochino di pizza fredda. La birra ghiacciata era la cosa migliore di quei miei frugali pasti. Alle 18 iniziavo il nuovo lavoro, il pub non era molto lontano dal mio alloggio. Sarei andata a piedi, al massimo avrei preso la metro al ritorno, quando potevo essere stanca.
    Il south bronx può essere un quartieraccio anche per me, se si è troppo stanchi.

    Allora: jeans, maglietta aderente nera, anfibi, cinta di pelle con le borchie ed ero pronta.

    Lo specchio mostrava la mia immagine ero magra, mora, viso eccitante. La maglietta a canotta metteva in bella mostra il mio braccio sinistro completamente tatuato. Sulla spalla avevo incisa una pin-up, la migliore di tutte: Bettie Page. Era in una posa provocante, con frustino, vestita interamente di pelle nera.
    Nell’avambraccio avevo un intreccio di rovi, con rose rosse e spine, dal quale uscivano delle farfalline insanguinate che sembravano arrancare verso Bettie. Sulle nocche delle quattro dita della mano destra avevo scritto RAGE.
    Li avevo fatti anni prima, quand’ero molto più piccola ma non mi ero pentita. Facevano parte di me.

    Spazzolai i miei capelli sciolti e mi truccai. Nero sugli occhi, rossetto rosso scuro sulle labbra. Non volevo infrangere questo stereotipo: Le ragazze cattive vestono così!!!

    In strada l’aria era fresca, maggio era sempre così a New York, il giorno caldo, la sera fredda. La mia giacca di pelle mi difendeva appena dal vento. Avrei voluto portarmi una felpa. Chiaramente dovetti farne a meno e arrangiarmi bevendo qualche drink in più.
    Quel locale era la prima volta che mi chiamava per lavorare, speravo di riuscire a fare una bella impressione. Avevo bisogno di un lavoro regolare. I soldi erano sempre di meno e non sapevo quanto ancora sarei riuscita a mantenermi.
    E’ buffo che nonostante tutto questo, in quella fottuta città mi sentissi protetta. Casa mia era l’inferno, lì era una specie di purgatorio.
    Immaginavo che il paradiso non fosse per gente come me, quindi quello era il meglio che potevo. Potevo migliorarlo, era tutto nelle mie mani, come sempre da sola me la sarei cavata.

    Arrivai in orario a lavoro.
    Sebbene servire alcolici ai tavoli non è la mia passione, non è nemmeno il peggiore dei lavori che avevo fatto in precedenza.
    Scaricare casse nei magazzini fu il più faticoso: ambiente maschilista, sforzo continuo e colleghi che ti vogliono portare a letto; cosa che alcune sere può anche essere ben accetta.
    Portiere notturno in una fabbrica, il più noioso. Non mi dispiaceva nonostante la noia, lasciava il tempo per pensare ai fatti miei, forse anche troppo. La paga non era male. Purtroppo la fabbrica chiuse i battenti dopo alcuni mesi che ero lì. Fanculo, solita sfiga.
    La baby-sitter non faceva per me. Una volta l’avevo fatta per un moccioso nei quartieri alti. Un disastro, quel maledetto faceva un capriccio dopo l’altro. Piangeva. Mi guardavo intorno, lui aveva tutto, o almeno tanto, tantissimo. Avrei voluto dargli uno schiaffo forte.
    Decisi che non faceva per me, tanto la madre non mi avrebbe mai richiamato.
    Quando ero arrivata, mi aveva guardato come il diavolo. Fortuna che mi ero vestita di bianco, avevo legato i capelli con una treccia e non mi ero truccata. Forse ce l’ho stampato in faccia, il mio passato, da dove vengo.

    Intanto il servizio andava abbastanza bene. Ero brava nel portare vassoio e ricevere pacche sul culo. Sembravo nata apposta.
    I drink iniziavano a fare effetto, per fortuna, ora tutto sembrava più divertente, sia le tastate che gli occhi dolci, o le occhiate nella scollatura, tutto la stessa storia, tutti lo stesso pensiero: scopare con me. Qualcuno sarà accontentato, certo sarò io a decidere.
    “Per stasera mi sa che passo, nessuno di questi scemi mi porterà a letto.” Pensai quando una voce attirò la mia attenzione:
    “Bourbon, un bicchiere, passerotto”
    Mi girai di scatto, come osava parlarmi così? Pensai al lavoro e a quanto mi serviva.
    “Glielo porto subito” Il tipo mi guardava fisso. Non era male, bella giacca di pelle, capelli ossigenati, ricordava vagamente Billy Idol, il che non mi dispiaceva.
    “Dammi pure del tu, mora.”
    Lo guardai ammiccante ed andai a prendere la sua ordinazione.
    Gliela portai appena fu pronta, il tipo m’intrigava, a letto ci sapeva fare lo vedevo da come muoveva le labbra.
    “Ecco, tieni.”
    “Grazie bambola. Sei nuova vero?!”
    “Sì, serata di prova.” Il suo sorriso si fece ancora più interessante.
    “Se ti metto una buona parola, posso riaccompagnarti a casa?” Nel dirlo gli si dipinse un’aria sfacciata, aprì un tantino le labbra e appoggiò la lingua al palato, nel farlo mi fissava.
    Cristo santo, era la mia serata, avrei accentato, non ci perdevo nulla. Male che andava non mi avrebbe aiutato, oppure magari avrebbe potuto, così avrei preso due piccioni con una fava, anche se era molto più probabile solo la fava….
    “Dipende da quello che vuoi fare una volta che mi hai accompagnato” Gli gettai un’occhiatina maliziosa e lentamente mi morsi il labbra inferiore.
    “Wow… vado subito a parlare bene di te al proprietario. Magari quest’ultima parte la lascio fuori dal curriculum.”
    Afferrò il suo bicchiere e si diresse al bancone. Lo osservavo con la coda dell’occhio mentre continuavo a servire ai tavoli. Stava davvero parlando con il proprietario e m’indicavano. Dubitavo che mi stesse aiutando davvero, conosco il tipo come lui, ne hanno una diversa a sera, come me d’altronde. Non hanno bisogno di aiutare nessuno.
    Arrivai a fine turno. Lo avevo perso di vista ma non mi preoccupavo se davvero era un predatore, sarebbe stato appostato ad attendere. Andai dal proprietario per il pagamento.
    “E’ andato tutto bene?”
    “Sì, al cento per cento.”
    “Bene, il tuo amico mi ha detto che ne hai bisogno e sei stata brava stasera. Torna anche domani e vedremo poi che turni ti farò fare in futuro.”
    Brutto porco come osava dire che io avevo bisogno. Maledizione.
    “Grazie” dissi infine stringendo i denti, tanto da farlo sembrare un ringhio.
    “Allora domani stessa ora.”
    “Perfetto a domani”.
    Le mani mi tremavano per la rabbia e l’umiliazione. Era stata un’idea pessima farmi aiutare. Gettai il vassoio nel retro del bancone e mi diressi verso l’uscita secondaria. Una volta contati, infilai i soldi nella tasca dei pantaloni e presi una sigaretta. Tastai le tasche della giacca in cerca dell’accendino. Una fiamma mi si accese dinanzi.
    “Dolcezza, la carrozza è pronta”
    Lo guardai in cagnesco, ma i suoi modi mi ammaliavano, un sorriso tradì i miei pensieri. La cosa lo deve aver divertito, perché un guizzo gli illuminò gli occhi. Mi portò verso un Harley un po’ vecchia, salì in sella ed aspettò in silenzio che finissi la sigaretta.
    La lanciai dall’altra parte del marciapiede, mi fece un cenno:
    “Dove la porto signora?”
    “338 East street, South Bronx.”
    “Mi manca solo il tuo nome.” Mi guardava aspettando.
    “Faith.” Feci per salire dietro di lui sulla sella, quando rispose sorpreso:
    “Il mio lo vuoi sapere?”
    “Non particolarmente.”
    “Allora Spike può bastarti.”
    “Immagino di sì”
    In tutta risposta fece rombare il motore e partii. Il tragitto fu breve ma il suo odore riuscì a colpirmi, sapeva di quello che per me era un uomo: Bourbon, sigarette, cuoio e un vago sentore di benzina.

    Edited by FaithLess - 23/5/2013, 17:28
     
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