Questi Piccoli Equivoci

In corso

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. _Blythe
     
    .

    User deleted


    DISCLAIMER

    I personaggi appartengono a Joss Whedon e alla Mutant Enemy.

    Pairing: L'unica coppia ufficiale (e solida) è il Bangel. Le altre le scoprirete leggendo.
    Timeline: Universo Alternativo. Buffy si è trasferita a Sunnydale, ha combattuto il male e si è innamorata di un vampiro con l'anima, Angel. Solo che lui l'ha perduta, e non l'ha più riacquistata.
    Summary: Si tratterà di scongiurare l'apocalisse della Seconda Stagione, voluta da Angel(us) e non solo.
    Rating: Arancione. I temi sono abbastanza scottati e anche qualche scena, ma non sconfino nel vietato ai minori.
    Feedback: Sempre ben accetto.
    Note : E' una ff folle, o quantomeno originale, quindi aspettatevi di tutto.



    Prologo



    Le sirene rimbombavano nelle sue orecchie quando con uno scatto felino, saltò giù dal porticato, diretto verso la libertà.
    — Muoviti! — gridò alle sue spalle. Non c’era molto tempo, questione di attimi e li avrebbero acciuffati, di nuovo. Nell’aria si respirava un profumo diverso; polvere, gelo e umidità, odore di asfalto e fertilizzanti scaduti riempivano i suoi polmoni, e non era affatto una sensazione sgradevole.
    Eppure lei non si sbrigava. Strinse i denti e imprecò, nell’accorgersi che la volante della polizia era a pochi centimetri di distanza. D’istintivo, si nascose dietro una Ford malridotta, e allora la vide.
    L’agente dalla pancia pronunciata strinse a sé il megafono. — Codice K, a tutte le unità. Detenuta S-4, ti invitiamo ad alzare le mani e ad arrenderti seduta stante.
    La ragazza dai capeli rossi sembrava una statua di marmo: era circondata, non aveva possibilità di fuga e i fari dell’auto le bruciavano gli occhi. Ciononostante, sorrise: — Mi state minacciando?
    Gli uomini si guardarono stupiti, le dita serrate attorno al grilletto. — Ripeto. Detenuta S-4, ti invitiamo a non opporre resistenza, altrimenti…
    — Altrimenti cosa, mi sparate?
    — Niente scherzi, Detenuta S-4.
    — E chi ha detto che sto scherzando?
    Le sue mani scivolarono sui bottoni della divisa consunta: uno, due, tre. Se ne liberò gettandola al vento, mentre con lo sguardo li sfidava. Ci fu un istante di silenzio rotto solo dall’abbaiare dei cani. L’agente col megafono cercò di reprimere il crescente imbarazzo misto a deprecabile curiosità, e gridò più forte: — Adesso basta!
    Obscurate eum.
    Perse l’equilibrio e cadde a terra come un tronco abbattuto. Il compagno non ebbe il tempo di rispondere al secondo pugno, mentre il terzo venne disarmato con un calcio dritto al pancreas. La ragazza raccolse la pistola e la puntò verso di loro; nel frattempo lo sportello della volante si aprì, sbattuto in faccia ad un quarto agente, e il motore si accese all’improvviso. Con una sterzata, l’auto raggiunse la ragazza che, con aria trionfante, esclamò: — E’ stato un piacere! Adios!
    Ingranando la retromarcia la volante schizzò via come una saponetta, lontano dal penitenziario.
    — Bel diversivo, Will. Davvero un grande piano.
    — Ti ringrazio, bibì.
    — Piantala con quel nomignolo!
    — Che posso farci? Sbaglio o non sei il mio fratellone maggiore?
    — In questo momento non sono neanche corporeo.
    La ragazza era troppo occupata a rovistare nelle tasche dei sedili posteriori per dargli retta.
    — Che stai facendo?
    — Cerco qualcosa da mettermi. Fa freddo in reggiseno, sai.
    — Se è per questo, fa impressione non riuscire a vedersi neanche i pollici. Allora, ti decidi?
    E aggiunse, notando il suo fastidio: — Per favore?
    — Ed ecco le parole magiche, altro che stupidi incantesimi — scherzò la sorella, infilandosi un maglione sformato. — Solvi.
    D’un tratto il conducente riacquistò il proprio aspetto; con la coda dell’occhio, fissò lo specchietto e i suoi occhi scuri si ravvivarono di una nuova forza. Si passò una mano fra i capelli ossigenati, mentre gli angoli della bocca si aprivano in una smorfia divertita. “Sembra di stare in vecchio film anni Settanta.”
    — A cosa stai pensando di bello?
    — Niente di particolare — rispose lui, imboccando l’autostrada. — Willow, la mappa.
    — Ah, giusto!
    Prontamente, Willow dispiegò la cartina che portava con sé dall’inizio del viaggio. — Teoricamente dovresti svoltare a destra fra duecento metri, poi a sinistra tra ottocento e infine proseguire finchè non avvisti un grosso cartello con su scritto “Benvenuti a Sunnydale”. Più facile di così.
    — Sei sicura? A me sembrava di aver letto…
    — Fidati di me, bibì. So leggere le macchie di ketchup. — Appallottolò la cartina e si distese pigramente sul sedile. — William?
    — Sì, sorellina?
    — Ho intenzione di fare una bella e lunga siesta, ergo scordati che ti aiuto a tornare indietro se sbagli strada.
    — Chiaro.
    — A dopo, allora — sbadigliò, accovacciandosi contro lo sportello. William le lanciò un’occhiata distratta e non potè fare a meno di sorridere dentro di sé: aldilà del reggiseno imbottito, l’alito di nicotina e i vestiti attilati e provocanti, ogni volta che si addormentava, sua sorella recuperava la serenità e la dolcezza della bambina di cinque anni che non smetteva mai di stargli dietro, a costo di esasperarlo. Quella bambina dalle trecce rosse e la voce squillante, che adesso aveva diciotto anni ed era diventata un’adolescente temibile e anticoformista. La stessa che, pur odiando tutto questo, lo stava accompagnando al suo incontro col destino. E non solo il suo, ma quello dell’umanità.
    Svoltò a destra come lei gli aveva suggerito e inserì la quinta, sparendo nell’oscurità della notte.
     
    Top
    .
  2. p.i.a
     
    .

    User deleted


    Oh Mon Dieu!
    Willow con il reggiseno imbottito!!XDXD
    Non è la cosa che mi ha sconvolto di più ma...diamine!!
    Il primo capitolo mi è piaciuto molto:veloce e pimpante.
    Non vedo l' ora di leggerne ancora
    e bravo il nostro sissolino
     
    Top
    .
  3. piccola06
     
    .

    User deleted


    Adori Buffy, ti piace Spike e ora abbiamo scoperto che sai scrivere benissimo, complimenti. La storia mi intriga molto e vedere Willow così mi ha lasciata di stucco, ora non vedo l'ora di leggere il seguito.
     
    Top
    .
  4. keiko89
     
    .

    User deleted


    Blyyyyyy!

    *-*


    Quando ho letto il pairing principale ho storto il naso (c'è poco da fare io il bangel non lo sopporto proprio >*<) ma per curiosità ho iniziato a leggere.
    E meno male!

    Mi piace. Tanto.
    Quindi mo' vedi di postarmi subito il primo capitolo! ù_ù
    L'ho detto o no che sono una piccola stalker?! *CCC*


    Solo un piccolo appunto, William ha gli occhi chiari, sono tendenti al blu. XD
     
    Top
    .
  5. _Blythe
     
    .

    User deleted


    Grazie mille per il feedback, ragazze. Noto con estremo piacere di essere riuscito nell'intento primario della fic: stupirvi.
    (Ps: perdonatemi solo la svista, ho sempre creduto che Spike avesse gli occhi scuri. Sorry)

    Ed ecco il primo capitolo:

    1.
    Incidenti di percorso



    Il tipo del motel aveva tutta l’aria di essere inglese. Panciotto, occhiali rotondi, rughe poco curate. E parlantina tutt’altro che sciolta.
    — Non è un gran che — fece Willow, toccando le pareti bianche e rovinate. Effettivamente la stanza era piccola e l’arrendamento decisamente scarno: un letto matrimoniale a materasso duro, una mensola cadente per una televisione di terza mano, e un armadio di legno che poteva contenere al massimo due cappotti.
    — Mi piace definirlo minimalista — rispose l’uomo, pulendosi gli occhiali.
    — Cristo, il bagno è qualcosa di indecente! E dire che, a confronto, la mia cella era una reggia!
    William la fulminò con uno sguardo. — La mia cella — ripetè Willow, sorridendo imbarazzata — è slang americano, sa? Un po’ come dire la mia tana. Ha afferrato la metafora, vero?
    — In realtà, vivo qui da molto più tempo di quanto possa sembrare, miss Rosenberg — la corresse l’inglese. William era chino ad osservare una boccetta d’acqua in cui nuotava un pesce rosso.
    — Le piacciono i pesci, signor Giles?
    Giles annuì. — Ho vinto Leslie tre anni fa al luna park, e da allora non me ne sono più separato.
    — Davvero?
    — No, è il pesce dell’inquilino che ha liberato la stanza due giorni fa. Suppongo che se ne sia dimenticato.
    — D’accordo, la prendiamo.
    Willow strabuzzò gli occhi, incredula. — Che cosa!?
    — Hai sentito, Will. Ci trasferiamo qui. A quando il primo versamento?
    Anche Giles era chiaramente sorpreso. Un’emozione indefinibile gli attraversò il viso: — La prossima settimana. Fate con comodo, signor Rosenberg.
    — Suvvia, mi chiami William — fece il ragazzo, consegnandogli una mazzetta di banconote da un dollaro. Giles non se lo fece ripetere due volte e, chiudendo piano la porta, li salutò allegramente:
    —Buona permanenza.
    — Sì, come no — commentò Willow, a braccia conserte, visibilmente seccata — dico, ti è dato di volta il cervello? Questo è un buco, non c’è spazio per un tavolo da pranzo, figurarsi un armamentario!
    — Andrà benone — la rassicurò William, tuffandosi nel letto, telecomando alla mano.
    — Dimmi solo perché, bibì. Sinceramente.
    — Per Leslie. Ovvio — rispose il fratello, accendendo la televisione.
    Willow trasse un profondo sospiro e si rinchiuse nello sgabuzzino, altresì noto come bagno. Avevano viaggiato per quasi tre ore: l’ultima cosa che William ricordava, prima di chiudere gli occhi, era il parcheggio deserto di un autogrill. Sua sorella poi, una volta desta, aveva provveduto a svegliarlo amorevolmente a suon di clacson, causandogli un bel malditesta che non aveva ancora, del tutto, smaltito. Avevano fatto colazione all’alba con dei biscotti senza zucchero e Willow aveva insistito perché comprassero delle tavolette di cioccolato al mou. E l’emicrania di William lo spingeva alla resa incondizionata.
    Si erano fermati da Macy’s per comprare degli abiti nuovi: William aveva addosso solo una canotta logora e Willow non faceva altro che lamentarsi del maglione che le pizzicava da morire, per non parlare del colore che le ricordava la cacca campestre, e William per poco non era scoppiato a ridere. — Strano, ti ho fatto ridere — aveva osservato lei — quand’è stata l’ultima volta?
    — Divertente, Will.
    Finalmente la ragazza era sbucata fuori dal camerino. Con aria semicivettuola, gli aveva chiesto:
    — Allora, sono una bomba sì o no?
    Indossava una camicetta azzurra che lasciava decisamente poco spazio all’immaginazione, e dei pantaloni a zampa assolutamente pacchiani. William la squadrò, serio. — Sei oscena.
    — Bè, il ganzo laggiù non la pensa allo stesso modo — replicò Willow, facendo l’occhiolino al bellimbusto in tuta Adidas che, dal reparto opposto, se la stava mangiando con gli occhi, mano nella mano con una bassina occhialuta, presumibilmente la fidanzata. William l’aveva guardato di traverso, e l’aveva trascinata via. — Perché devi sempre esagerare? Il sesso non è tutto.
    — Già, ma tutto è sesso.
    — Che perla di saggezza. Di un po’, ci pensi la notte o ti vengono al momento?
    Willow aveva fatto spallucce. — Dubito che tu possa capire. D’altronde il mio fratellone è vergine, che può saperne lui delle gioie dell’amore?
    William avrebbe voluto risponderle per le rime, ma sapeva che era inutile. Sua sorella nutriva una sorta di fissazione e lui non riusciva a comprenderla. — Adesso tocca a te — gli aveva detto, sorridendo maliziosa; e in men che non si dica, si era ritrovato ad acquistare delle magliette con delle scritte incomprensibili.
    Così, vestiti e ripuliti, giunsero a Sunnydale.
    — Su Google sembrava più grande — fu il primo commento di Willow, non appena suo fratello accostò.
    — Quello deve essere il cartello — aveva detto William.
    — Bene, la prima parte del piano è andata. Ora ci serve un posto dove stare.
    — Dobbiamo sbarazzarci della macchina, ricordi?
    — Oh, questo non è un problema.
    Schioccò le dita e in un baleno, la volante si trasformò in una Volkswagen. William deglutì.
    — Da quand’è che conosci questo trucchetto?
    — E’ uno degli incantesimi più elementari.
    — E perché diamine non l’hai usato non appena siamo evasi?
    — Perché la tappezzeria è scomoda e mi avrebbe disturbato il sonno. Semplice, bibì.
    William aveva rinunciato ad arrabbiarsi, emicrania a parte.
    Riguardo alla sistemazione, i due fratelli avevano avuto la fortuna di imbattersi in una conversazione tra il barista e una donna ispanica. Pur essendo pieni di caffeina, e non sopportando i bar, Willow lo aveva convinto ad andarci perché “di solito nei film è così che la gente conosce altra gente e trova le risposte che cerca”. E di nuovo l’emicrania aveva vinto.
    — Si è trasferita da poco?
    — Sono arrivata stamattina con il pullmann di Santa Clara. Non ho particolari esigenze, desidero solo un letto caldo. Non mi tratterrò a lungo — gli aveva spiegato la donna, con forte accento portoghese. Il barista si lisciò i baffi, pensieroso. — Non ha molto denaro con sé?
    — A dirla tutta, no.
    — Vada al motel sulla 44esima, allora. I prezzi sono onesti e…bè, i letti sono a temperatura ambiente.
    La donna parve illuminarsi. — Grazie mille, signore.
    — Obrigado — le aveva risposto il barista, salutandola calorosamente con la mano.
    — Visto? — bisbigliò Willow.
    William si era alzato in piedi, come per seguire la donna. Il barista se ne era accorto, e prima che i due riuscissero a farla franca, disse: — Anche voi di fretta?
    — Abbiamo lasciato l’auto in doppiafila e rischiamo una multa salatissima — aveva esclamato Willow.
    — Guardi cosa non si fa per un buon caffè. Arrivederci! — concordò William.
    La 44esima era una delle strade più periferiche della città, ma non era stato difficile arrivarci, merito del formidabile senso dell’orientamento di Willow. Il motel era riconoscibile solo dall’insegna al neon, ed era di un bianco spento e anonimo. Prima di scendere dall’auto, William aveva controllato i risparmi. — Solo quaranta dollari. È una miseria.
    — Vedremo di farli fruttare.
    “Vorrei tanto che il suo ottimismo bastasse per tutti e due” si era ritrovato a pensare.
    C’erano solo tre piani. Dall’ingresso principale entrarono in una hall che si rivelò essere una sorta di ufficio di collocamento per sbandati, tra l’altro poco illuminato. Dietro una scrivania di pino, stava un uomo in borghese, intento a leggere degli antichi volumi polverosi. Neanche si accorse della loro presenza, finchè Willow non gli rivolse esplicitamente la parola: — Salve.
    L’uomo per poco non morì di crepacuore. — B…Buo…buongiorno, signori. Desiderate?
    — Una stanza dove alloggiare a tempo indeterminato — aveva chiarito William, a scanso di equivoci. Doveva avere una quarantina d’anni e passa, e un animo facilmente impressionabile. “O forse stava facendo qualcosa di losco e non pensava di ricevere clienti” ipotizzò.
    Il propretario richiuse velocemente i tomi e sgombrò la scrivania, dopodichè aprì un quaderno e ne sfogliò le pagine. — Avete dei documenti?
    — Sicuro. — William gli porse le loro carte d’identità, piuttosto stropicciate. L’uomo le aveva studate per qualche secondo e poi aveva chiesto: — Avete particolari richieste?
    — Nessuna.
    — Il primo piano, se possibile. Odio fare le scale — aveva risposto Willow.
    L’uomo le offrì la mano. — Piacere, sono Rupert Giles.
    — Willow Rosenberg. E lui è mio fratello William.
    — Seguitemi, signori Rosenberg.
    La stanza era la 193: Willow aveva trovato buffo che il numero della camera coincidesse con il suo compleanno. A William della camera non importava un accidente, era talmente stanco che avrebbe accettato di dormire anche in un cassonetto, se fosse stato possibile. Perciò la prima cosa che aveva fatto era stato circondarsi di cuscini; prima che potesse rendersene conto, era scivolato nel mondo dei sogni. E ci sarebbe rimasto, nonostante lo scrosciare dell’acqua e le finte risate delle sit-com, se l’emicrania avesse avuto pietà di lui.
    Si rimise a sedere, massaggiandosi le tempie, e si accorse di essere solo. Fuori il sole era già sul punto di tramontare. “Chissà dov’è andata.”
    Accarezzerò la boccia d’acqua. Leslie era quasi immobile, e William invidiava la sua tranquillità.
    “Devo fare qualcosa.”
    — Ha dello scotch, signor Giles?
    Il locandiere glielo fornì senza esitare. — Gradisce del rum?
    William inarcò le sopracciglia. — Curioso. Credevo che voi inglesi beveste solo tè aromatizzato.
    — So di essere atipico, ma detesto cordialmente il tè — confermò Giles.
    — Grazie ancora — disse William, ritornando in camera. Purtroppo sua sorella non era una grande fan dell’ordine, e la mappa poteva trovarsi dovunque. Si abbassò, flettendo il braccio, e riuscì ad acchiapparla sotto il letto; successivamente la attaccò alla parete, servendosi dell scotch. Fortunatamente, le macchie di ketchup non erano molto estese.
    “Dodici cimiteri, il più grande è quello di Restfield. Ci vorranno almeno tre notti per esaminarli tutti” calcolò, facendo scorrere l’indice sui punti in nero “potrei cominciare dal Thomas. È a pochi isolati da qui, e non è molto grande.
    Crack.
    Il rumore di uno schianto. William si precipitò alla porta e, mediante lo spioncino, ispezionò il corridoio: vide sparpagliati i cocci di quello che doveva essere un grosso vaso di ceramica, e il signor Giles intento a raccattarli.
    — Vuole una mano?
    — Sarebbe molto gentile da parte sua.
    William ne prese un paio e li depositò sul vassoio di Giles: — Era molto prezioso?
    — Fortunatamente no — rispose l’inglese.
    — Aspetti un attimo, devo resituirle lo scotch — gli ricordò William. Giles restò fermo davanti l’uscio, finchè William non riapparve. — Stia più attento la prossima volta.
    — Senz’altro — gli assicurò Giles.
    William tornò in camera sua e trascorse il resto del tempo a vedere delle televendite, una dopo l’altra. Si trattava di oggetti di poco valore e palesemente taroccati, anche se, doveva ammetterlo, decisamente originali e inconsueti: amuleti filandesi dell’Alto Medioevo con qualche topazio, collane di ardesia con i segni dello Zodiaco, maschere di antichi spiriti aborigeni, mani di scimmia a ventuno dollari e novantanove…
    Mani di scimmia?
    — Avete capito bene, signori! Mani di scimmia a ventuno dollari e novantanove cent! Senza costi di spedizione aggiuntivi, solo per questo mese! In regalo un filtro contro l’impotenza testato su cinquanta specie animali! Cosa aspettate? Per maggiori informazioni…
    — Gesù — mormorò William, infilandosi un pullover rosso e coprendolo con un cappotto nero.
    Curvo sul bauletto che Willow aveva adoperato come trolley, iniziò a lucidare la collezione di bottigliette di acqua santa e ne ficcò due nelle tasche; tirò fuori le catene con cui amava spezzare i colli dei nonmorti e se le rigirò tra le dita, provando piacere al contatto con il freddo metallo; stava rassettando negli appositi tubetti i chiodi con cui trapassava il petto di quei mostri, quando bussarono alla porta. William cambiò canale e chiuse violentemente il bauletto. — Chi è?
    — Sono Giles.
    — Mi dica.
    — Se ne intende di elettronica?
    — Cosa è successo?
    — Si è fulminata la lampadina della scrivania. Mi aiuterebbe a ripararla?
    “Ma ce l’ha una casa?” pensò William, leggermente irritato. — Per caso lei vive qui?
    — Diciamo che ci trascorro la maggior parte del tempo.
    Almeno il guasto non era grave: William ci impiegò pochissimo ad aggiustare la lampadina, il che lo portò inevitabilmente a chiedersi perché Giles avesse chiesto proprio il suo aiuto per ovviare ad un problema tanto cretino.
    “Che mi stia spiando?”
    Poco dopo, la porta si riaprì. — ‘Sera, bibì! Ti vedo in gran forma!
    William si voltò verso di lei. — Alla buon’ora, Will.
    Sua sorella aveva l’aria di essere felice, o giù di lì. Appoggiò le borse sul letto e gli rivolse un sorriso radioso: — Ti sei deciso a farti la barba. A proposito, ci stai una favola.
    — Dove sei stata finora?
    — In giro a fare shopping selvaggio. Ne avevo bisogno.
    — Immaginavo. Cos’hai trovato?
    — Creme idratanti a prezzi stracciati. E questi — rispose Willow, estraendo una mole impressionante di cosmetici, tra cui ombretti, mascara e lucidalabbra marca PUPA. — Ehi, so di aver fatto l’affare del secolo, ma non c’è bisogno di essere così emozionati.
    — Willow!
    — Oh, forse ti riferivi agli ingredienti della pozione. Bè, in tal caso, guarda tu stesso. Dovrebbe esserci tutto.
    William aprì una delle buste, mentre sua sorella scompariva nuovamente in bagno. — Lingua di lucertola, coda di rospo, artigli di leone, essenza di rosmarino...
    — Quelle schifezze costano quanto dei gioielli.
    — E sangue di vergine.
    — Scorte esaurite, sia lodato il Signore. Un altro po’ e sarei finita al verde.
    William non credeva alle proprie orecchie. — Dici sul serio?
    — Certo che sì. Il rivenditore ha detto che non ne arriveranno altre prima di dieci giorni. Un classico, direi. Oramai, viene utilizzato il sangue di vergine anche per guarire i raffreddori mistici.
    — Esistono raffreddori mistici?
    — Andiamo, mi hai capito!
    Suo fratello era interdetto. — E se prelevassimo il mio?
    — Sarebbe perfettamene inutile, bibì. La tradizione richiede quello di una ragazza, simbolo di innocenza, virtù e castità, bla bla bla. È incredibile quanto quei testi siano sessisti.
    — E quindi cosa proponi di fare?
    Willow ripose il mascara nella pochette. — Ho lavorato tutto il pomeriggio, credo di meritarmi un po’ di riposo, adesso. Jesse e Cordelia mi danno un passaggio fino al Bronze.
    — Jesse? Cordelia? Bronze?
    — Lui è dolce come il miele, e Cordelia è in pratica la reginetta del liceo di Sunnydale. Li ho incontrati per caso al negozio di dischi e non ci siamo più separati. Te li farei anche conoscere, ma a quanto vedo, stasera hai programmi migliori — gli rivelò Willow, tutta sorridente. — Ci vediamo più tardi! Mi raccomando, stendili tutti, eh!
    — Willow! — esclamò William, come se con la sola voce potesse richiamarla a sé. Ma sua sorella aveva già richiuso la porta.

    Per ammazzare il tempo, camminando avanti e indietro tra le tombe del cimitero di Thomas, William cominciò a contare le pecore. Era inattivo da almeno tre quarti d’ora, e la cosa lo infastidiva enormemente: era come se i vampiri si fossero organizzati per sparire dalla circolazione tutti assieme, lasciandolo lì, solo e annoiato. Si sedette su una lapide qualsiasi, sbuffando. L’unico vampiro che aveva individuato era scappato come un vigliacco, senza dargli neanche due secondi per parcheggiare la Volks.
    Guardò l’orologio. Le undici e trenta.
    — Patetico.
     
    Top
    .
  6. piccola06
     
    .

    User deleted


    Quindi lei è una strega (cos'altro se no?) e lui uccide vampiri tipo .... cacciatrice? (cacciatore forse e meglio) La cosa continua a stuzzicarmi sono curiosissima di sapere cosa stanno cercando nei cimiteri.
     
    Top
    .
  7. kasumi
     
    .

    User deleted


    Una rivisitazione un po' pazza del telefilm!^^
    Mi piace tutta questa azione e i dialoghi brillanti! E mi piace anche questa Willow! (sembra più Faith che Willow, ma vabbè! XDD)
    Però i passaggi di scena sono troppo veloci e si fa un po' di confusione a seguire la storia.
    (perchè si sistemano a Sunnydale, dopo aver preso in affitto l'altro appartamento nel prologo?)

    PS:
    CITAZIONE
    — La mia cella — ripetè Willow, sorridendo imbarazzata — è slang americano, sa? Un po’ come dire la mia tana. Ha afferrato la metafora, vero?

    citazione della sesta serie, vero? ;) spike che parla con l'assistente sociale: scena mitica!
    solo che lì diceva cripta e non cella.

    A presto!
     
    Top
    .
  8. _Blythe
     
    .

    User deleted


    @kasumi: essì, ho sconvolto un po' tutto e volutamente (anche se il meglio deve ancora venire), nel caso dei personaggi, ho semplicemente enfatizzato alcune loro caratteristiche, spesso marginali (ad esempio, l'atteggiamento anticonformista è insito già in Willow. E della Faith classica ha solo l'interesse spasmodico per il sesso fine a se stesso XD)
    per quanto riguarda i passaggi, aldilà della rapidità, credevo fossero abbastanza chiari (ok, ammetto che nel I capitolo ho fatto un miscuglio temporale di verbi, ma solo per rendere meglio il filo discontinuo di pensieri di William. Rileggendo magari si nota di più: nella prima parte è descritto il momento in cui i Rosenberg vedono la stanza, nella seconda parte William ripercorre mentalmente tutta la giornata a partire dallalba, ma parliamo sempre dello stesso motel).

    Spero di non aver deluso le attese^^

    2
    L’unione fa la forza


    Fumo e led colorati spruzzavano da ogni angolo del Bronze in occasione della serata psychedelic punk del mercoledì, perciò la visuale non era per niente nitida. I ragazzi avevano occupato un tavolo a debita distanza dal palco su cui una band anonima schitarrava euforica: erano solo al secondo giro di drink e Jesse sembrava già sul punto di vomitare.
    — Poi c’è stato Paul, che mi aveva promesso la luna ma non poteva permettersi nemmeno il drive-in, e così l’ho mollato. D’accordo, ho cominciato a frequentare George solo per ripicca a Moses, però tra noi è scattato qualcosa, e ci sono rimasta per tre mesi. Finchè…
    Jesse tossì violentemente. — Ehi, tutto a posto? — chiese Willow.
    — A meraviglia — bofonchiò il ragazzo.
    Cordelia non lo degnò di uno sguardo e continuò a rivolgersi a Willow. — Ho capito che l’amore non fa per me. Troppo complicato, troppo assurdo. E fa venire le rughe.
    — Sante parole — acconsentì Willow, bevendo un altro sorso di Jack.
    — Perché, tu sei mai stata innamorata?
    — Ho avuto le mie storie, ma niente di trascendentale. Diciamo che il massimo della conversazione era: “da me o da te?” — rispose Willow, ammiccante.
    Cordelia spalancò la bocca, sorpresa: — Una vera assatanata!
    Willow finì la sua bibita. — Preferisco considerarmi una libera professionista.
    Ad un tratto il batterista cominciò a portare il tempo con le bacchette, e il frontaman del gruppo urlò: — One, two, three, four!
    Un folta schiera di ragazzi invase la pista da ballo, battendo le mani a ritmo. La canzone, con tonalità pressappoco dance, pareva aver caricato tutti i presenti. O quasi. — Ma questa è Let It Whip! — esclamò Willow, eccitata — non possiamo non ballarla!
    — Scherzi? Alle case di riposo trasmettono musica più decente!
    — Non eri tu quella che voleva divertirsi, al diavolo l’amore?
    — Non se il prezzo è venire palpata da gente con gusti così orribili — rispose Cordelia.
    Willow si alzò dallo sgabello, piccata. — E va bene, vorrà dire che ci vado da sola. E non ho intenzione di dividere!
    — Dividere cosa, esattamente?
    — Ah, eccoti — disse Willow — mi chiedevo quando saresti arrivato. Scommetto che è stata una noia tombale, vero?
    — Ero preoccupato per te.
    — Capisco. A proposito, ti presento i miei amici. Ragazzi, lui è mio fratello William.
    William sollevò una mano. — Ciao.
    Gli occhi di Cordelia si illuminarono di colpo.
    — Lui è Jesse. Lei è Cordelia.
    Enchantè — sorrise lei, scavalcando il povero Jesse e porgendo la mano a William che gliela strinse debolmente; Cordelia lo fissò estasiata, come una bimba di fronte a un cielo stellato.
    — Dio, smalto a parte, non vi somigliate molto.
    — Quello fa parte del suo nuovo look da strafigo.
    Jesse, che aveva smesso di tossire da almeno mezz’ora, si decise a giocarsi l’ultima carta:
    — C…Cordelia, ti andrebbe di ballare?
    — Non ora Jesse, sto cercando di farmi adottare! — replicò burbera; salvo poi lasciarsi scappare una risatina isterica di circostanza davanti ai Rosenberg.
    “Questa è tutta matta” pensò William.
    — Non prendeterla, Jesse. Ti andrebbe di scatenarti con la sottoscritta? — propose Willow, prendendoselo sotto braccio e senza dargli possibilità di replica. — Auguri — aggiunse, rivolta a Cordelia, prima di confodersi con una massa di quindicenni sballati di hashish.
    — Allora, ehm, quanti anni hai?
    — Trentadue.
    — Davvero? Te li porti benissimo, lasciatelo dire — ridacchiò Cordelia.
    William si guardò le unghie laccate di nero, affidandosi nuovamente alla conta delle pecore per scacciare la noia e il bisogno impellente di tornare a casa.
    — Willow mi ha detto che siete arrivati da poco in città e che in pratica non conoscete nessuno. Magari, se non hai impegni nel fine settimana, posso mostrarti come ci divertiamo qui a Sunnydale. Sai, bowling, pattinaggio, minigolf…Da Stewie il sabato ci sono gli sconti pazzeschi per comitive – bè, noi teoricamente saremmo una coppia però con Willow e Jesse il problema è risolto, giusto? – e potremmo affittare una limousine. Papà mi ha dato una bella paghetta, quindi tranquillo offro io, so che non puoi permettertelo. Se vuoi, ti do il mio numero così ci accordiamo meglio.
    Che ne pensi?
    Il ragazzo la guardò finalmente negli occhi. — In tutta onestà, non penso di trattenermi a lungo, e preferirei donare un rene in ogni caso. Senza offesa. Vado a fumarmi una sigaretta.
    E la lasciò lì, senza fare tanti complimenti.
    Mentre cercava di farsi strada fino all’uscita, del vapore rosso gli entrò nelle narici e, non capendoci più niente, andò a sbattere contro un pilastro. Che si dimostrò essere invece un individuo piuttosto alto in giacca e cravatta, abbigliamento decisamente inusuale per un discopub. Ma ciò che colpì William non era nemmeno la pettinatura lucida di gel e gli occhi chiari nascosti da un paio di piccoli lenti ovali. Si abbassò a raccogliere qualcosa, ma non appena fece per restituirgliela, le sue dita si arroventarono. Le boccette caddero sul pavimento, e il tizio esclamò: — Sacripante color di rosa!
    E prima che potesse ucciderlo, si era già dissolto nel nul fumo.
    “Un vampiro!”
    William schizzò in avanti, dando spintoni a destra e a manca, sperando di riuscire a raggiungerlo nella confusione generale, invano. Una volta fuori dal locale, prese a guardarsi intorno con circospezione: sembrava essersi volatilizzato. “Maledizione!”
    — Grazie mille — disse ad un tratto una voce femminile nelle vicinanze.
    — Si figuri — rispose il gentiluomo, impassibile.
    Tirate fuori le catene d’acciaio, William mirò alla sua nuca e per un soffio non gli distrusse gli occhiali. La donna strillò per il terrore, e il vampiro la spinse via; William approfittò della sua mo-mentena distrazione per legargliele al collo e le avrebbe strette senza pensarci due volte, se non fosse stato sbattuto di lato da una forza misteriosa.
    Il vampiro si diede dei colpetti sul petto.
    — Tutto bene?
    — Alquanto — boccheggiò l’altro.
    Inaspettatamente William si ritrovò spalle al muro, con un forte dolore alla schiena e una bellissima ragazza seduta calvacioni su di lui. Paletto di legno alla mano puntato dritto al suo cuore, tra le altre cose. Sbattè le palpebre, confuso: — Si può sapere che diavolo stai facendo?
    — Potrei chiederti la stessa cosa — fu la secca risposta della sconosciuta.
    Con un spinta, William si divincolò da lei e si rimise in piedi. — Non so quali siano le tue intenzioni, cocca, ma stai combattendo dal lato sbagliato della forza. Quello è un mostro!
    — In teoria…
    La ragazza lo zittì con un movimento del braccio. — Me la vedo io, Wes.
    Avanzando di un passo, gli domandò: — Chi sei?
    — “Potrei chiederti la stessa cosa”— la schernì William, serrando la presa intorno alle catene e passando all’offensiva. La ragazza si abbassò immediatamente e lo bloccò con un calcio frontale che per poco non gli spaccò la mandibola. William riacquistò il controllo delle catene e gliele allacciò alla caviglia, ma la ragazza fu più agile di lui e, sostendendosi soltanto con le mani, menò un secondo calcio col piede libero. William ruzzolò a terra, ma non si fece sorprendere nuovamente e, non appena la ragazza fu abbastanza vicina, finse di mirare alla cieca per assestarle un bel pugno nello stomaco. L’avversaria, colta impreparata, perse l’equilibrio per qualche istante ma riuscì egualmente a parare i colpi sistematici di William.
    — Ok, ora mi hai stufato — mormorò tra i denti. Con una mossa rapidissima, gli tirò le catene e le scagliò lontano. William indietreggiò, sbalordito e disarmato, e alzò le mani in segno di resa:
    — Per la miseria…
    Defensum!
    Una specie di campo energetico si frappose tra i due, sbalzando lontano la ragazza e fungendo da scudo protettivo per William, dalle cui labbra gocciolava del sangue. Il vampiro, agitato, corse in aiuto della compagna, atterrata in mezzo ai bidoni.
    — William!
    Sua sorella lo abbracciò, impetuosa. Non accadeva spesso, perciò William decise di godersi l’attimo fugace di tenerezza: — Sono ancora intero, non preoccuparti.
    — Preoccuparmi? — Willow si staccò bruscamente. — Quello è il tuo mestiere, bibì, non il mio.
    “Volevo ben dire” pensò William. — Allora perché sei uscita?
    — Cordelia è venuta da me tutta singhiozzante, dice che l’hai trattata malissimo ed è andata a piangere in chissà quale ripostiglio. Jesse ha colto la palla al balzo e con la scusa più deficiente del mondo l’ha rincorsa. Meglio così, tanto nel giro di un paio di minuti l’avrei scaricato comunque, quel ragazzo ha le movenze da bradipo narcotizzato e la charme di uno sogliola in salmì. E tu? Ti azzuffi e non mi dici niente?
    — Più che una zuffa, direi che si è trattato di un increscioso malinteso — intervenne il vampiro; entrambi si voltarono verso di lui, immobile come un palo.
    — Malinteso? — ripeté William — La situazione mi sembra abbastanza limpida. Tu sei un succhiasangue, lei è WonderWoman…
    — E tu probabilmente ti fai di crack — borbottò la ragazza, togliendosi delle cartacce dal giubotto di jeans nero.
    — Naaah, fidati. Tutte le volte che cerco di passargli uno spinello comincia a tossire come un isterico — s’intromise Willow, schietta.
    — Toh. Una strega che fa uso di stupefacenti e va in giro in minigonna è vera e propria mosca bianca, non trovi? — commentò il vampiro, sistemandosi con cura gli occhiali opachi.
    Willow parve offesa: — Sentiamo, damerino, cos’hai contro lo stile casual?
    — Assolu…
    — Credi di essere elegante? Mi dispiace deluderti,ma quella cravatta non se la filerebbe neanche un barbone sotto minaccia di morte. Per non parlare del look trash della tua socia. Non sa che le croci sono sono fuori moda da almeno tre secoli?
    — Tu porti la croce?
    La ragazza accarezzò il piccolo pendente d’argento che emanava un tenue bagliore. — E’ una mia scelta. Non tutte lo fanno.
    — Tutte chi? — l’incalzò William, le ginocchia immerse nel fango della pozzanghera.
    — Desumo che l’ignoranza spieghi i suoi metodi poco ortodossi. — Il vampiro, marmoreo, gli rivolse un’occhiata eloquente: — Il paletto non ti suggerisce proprio nulla?
    —Onestamente, anche se si diverte con le catene dubito che ne sappia qualcosa, Wes — replicò la compagna.
    — Divertirsi? Lui? Oh, no no, William prende molto seriamente lo sterminio dei vampiri — ribattè Willow — anche troppo, direi. Sostiene che è un dono, ma a mio parere è solo una maledizione che gli impedisce di avere una normale vita sociale. Come me, per esempio.
    Adesso era la ragazza ad essere sorpresa: — Tu stermini i vampiri?
    — Sì — confermò William.
    — Impossibile, quello è il mio mestiere.
    William la fissò, esterrefatto. La ragazza era poco più bassa di lui e poteva avere l’età di sua sorella. Ciononostante, nei suoi occhi scuri cerchiati di matita vibrava un’energia arcana ed insondabile che lo lasciò senza fiato quando, con voce roca, dichiarò: — Mi chiamo Faith Lehane e questa è la mia città. Sono la Cacciatrice.

    — Un esercito di superdonne in lotta contro le forze oscure?
    Il vampiro sollevò una tazza dal vassoio e con garbo la porse a Willow, stravaccata sul soffice divano dell’appartamento a cui erano stati condotti da quei tipi strambi. — Il termine tecnico è Cacciatrici — la corresse il nonmorto. — Grazie — fece William, afferrando la sua.
    — Fa lo stesso. Allora, da quand’è che prendi a calci i cattivi?— domandò Willow, curiosa.
    — Due anni, sono arrivata a Sunnydale che ne avevo diciassette. All’epoca, ero molto spaventata ed insicura: un vampiro con gli zoccoli da capra aveva ucciso la mia Osservatrice, io l’ho sfregiato e lui mi ha inseguita fin qua, assetato di vendetta — rivelò Faith, giocherellando con le ciocche corvine. — E la provvidenza ci ha fatti incrociare — aggiunse, lanciando uno sguardo di beffarda tenerezza al vampiro che le sedeva di fronte. — Continuo a giudicarla una mera circostanza fortuita — sottolineò lui, imperturbabile.
    — Ossia? — fece William, sorseggiando il tè verde.
    — Prima di trasferirmi qui, alloggiavo ad un ostello sulla 44esima, e la terza notte, Kakistos si fece vivo. Stava per infilzarmi, quando è intervenuto Wes. Pioveva a dirotto, tutto mi sembrava sfocato e lontano, per cui vidi soltanto una macchia azzurra agitarsi e gridare “uccidi me!” Kakistos non lo considerò, era molto più interessato al mio cuore, ma restò interdetto qualche secondo di troppo dandomi così l’occasione di trapassarlo. Con il paletto, intendo.
    — Ma tu guarda le coincidenze! Anche noi stiamo da Giles! — esclamò Willow.
    — Volevi ucciderti? — gli chiese William.
    — Un Osservatore che ad un tratto si ritrova un demone è un controsenso, non credi? — replicò il vampiro, senza la minima emozione. — Sono stato tradito dalla mia Cacciatrice, che mi ha teso un’imboscata barattando la sua libertà con il mio decesso. Niente di personale, aveva solo paura della vita di sangue e sacrifici che le si prospettava davanti, il che presumo sia comprensibile. D’altro canto neanche i vampiri ce l’avevano con me, volevano semplicemente nutrirsi. E, pur avendo istruito Janeka a dovere, non mi ero mai cimentato nello scontro diretto con uno di loro.
    Quando ho ripreso conoscenza, e mi sono reso conto di quanto era accaduto, ho cercato il suicidio.
    Nessuno dei presenti aprì bocca. — Vagabondando per le strade della città alla ricerca di un oggetto a forma di punta che potesse porre fine alle mie sofferenze, mi sono imbattutto in una scena raccapricciante. Una ragazza in procinto di morire, per mano di un mostro talmente grosso che avrebbe potuto graziarmi. Pertanto ho iniziato ad urlare per attirare la sua attenzione, inutilmente: Faith l’ha polverizzato. Le ho pregato di fare altrettanto, sebbene, come vedete, sia ancora qui.
    — E ci hai mai riprovato?
    — Svariate volte. Ma Faith riesce sempre a sventare tutti i miei piani. Crede sinceramente che ci sia del buono in me, aldilà dell’anima che non possiedo più, ormai.
    — Dio è disposto a perdonare chi lo merita — asserì Faith.
    — Una fanatica della Bibbia nel bel mezzo della crisi di valori del ventesimo secolo! Ora sì che sono sconcertata! — commentò Willow, allegra.
    — Ho soltanto fede nel Signore e nella mia missione— precisò l’altra — e Wes è una presenza fondamentale nella mia vita. Senza di lui, sarei cibo per cani da un bel pezzo. Ha fatto di me una guerriera, e non smetterò mai di essergli riconoscente.
    — Quindi in pratica lavorate insieme — dedusse Willow.
    — Esatto.
    — Come una coppia.
    — Willow — la rimbeccò William, esasperato.
    — Conclusione del tutto errata — rispose il vampiro, bevendo un sorso di tè — la relazione che c’è tra noi è principalmente professionale, anche se ammetto di provare una sorta di affetto paterno nei suoi confronti. E ora parliamo di voi, ragazzi. Che cosa vi ha portato nella ridente cittadina di Sunnydale?
    — Facile, l’A.D.S — fu la risposta di Willow.
    Notando la confusione negli sguardi dei due, William rettificò: — Il Giorno del Ringraziamento sono tornato a casa per le vacanze, e dato che non ci vedevamo da parecchio, mia sorella mi ha fatto trovare sul comodino della mia vecchia stanza una confezione di Skittles sapendo che ne vado matto. Aprendolo, ci abbiamo scovato una profezia sull’ Apocalisse del Mondo che avrà luogo alla Bocca dell’Inferno.
    Faith inarcò le sopracciglia, disorientata: — E come fai ad esserne sicuro?
    — “La Bocca dell’Inferno presto si aprirà e l’intero globo crudamente inghiottirà” — recitò Willow — il testo parla chiaro. Non sono una cima in spagnolo, ma andando a senso…
    — Esiste una seconda Bocca dell’Inferno localizzata a Cleveland — osservò il vampiro, gelido.
    — E invece si tratta di Sunnydale — ribattè Willow.
    — Perché?
    — Perché me lo sento nelle ovaie, damerino. Ti basta come spiegazione? — obiettò Willow, minacciosa.
    Il vampiro non si scompose. — Come dire, tesi inconfutabile.
    — In realtà ha avuto un sogno premonitore in cui c’era il cartello di benvenuto della città — ribadì William — siamo andati per logica. In quattro e quattr’otto io ho preparato le valigie, lei si è occupata di robe magiche e siamo partiti. Peccato che ci abbiano arrestato a Memphis perché qualcuno si è dimenticato di occultare decentemente la polvere per gli incantesimi che i poliziotti hanno subito scambiato per eroina.
    — Come potevo immaginare che avrebbero aperto proprio il bagagliaio? — si difese Willow, a braccia conserte.
    — Comunque, siamo riusciti a evadere. Ora, a parte quella frase non abbiamo indizi su cosa consista questa apocalisse. Perciò le ho chiesto di predisporre un incantesimo che ci dica dove e quando si verificherà ma soprattutto, cosa dobbiamo aspettarci — proseguì William.
    — Che tipo di incantesimo? — volle sapere il vampiro.
    — La pozione “scruta-futuro”. Gli ingredienti sono facilmente reperibili, infatti ce li abbiamo quasi tutti, tranne il sangue di vergine che ho già ordinato al Magic Box. Confido in uno sconto per i clienti ebrei — spiegò Willow.
    Faith sembrava pensierosa. — Nobile intento, il vostro.
    — Non diverso dal tuo. — William la guardò, serio. Quella ragazza era tosta, ombrosa, e stranamente incantevole. Deglutì, scoprendosi a pensare cose del genere all’una e ventitrè di notte.
    — D’accordo, ci stiamo.
    — In che senso? — chiese William, stupito.
    — L’hai detto tu prima. Tu stermini, io stermino. Siamo due paladini della giustizia, con l’unica differenza che io ho più esperienza di te e sono di gran lunga più brava — rispose Faith con assoluta convinzione, e l’accenno di un sorriso all’angolo destro della bocca tinta di rosso scarlatto.
    — Grande. Chi è a favore? — domandò Willow, alzando automaticamente la mano.
    — Mi sembra una buona idea — valutò il vampiro, alzandosi a sua volta in piedi.
    William spostò lo sguardo da sua sorella al vampiro e infine alla Cacciatrice che gli si stava davanti, in attesa. — Va bene — mormorò.
    — Hai un numero sul quale possiamo contattarti? — sbadigliò ad un tratto Willow.
    Faith parve colta alla sprovvista da una domanda tanto banale quanto legittima e dopo un attimo di esitazione, rispose: — Certo. Wes.
    Il vampiro obbedì con sollecitudine e strappò un foglio dal bloc notes che gli spuntava dalla tasca dei pantaloni; appoggiandosi al tavolo, scrisse una serie di cifre e lo consegnò al biondo. — Vi accompagno alla porta — biascicò poi.
    — William?
    Sulla soglia, il ragazzo si voltò appena nella direzione di Faith, rimasta in salotto.
    — Sarà una collaborazione e nient’altro. Non significa che diventeremo amici — specificò la ragazza.
    — Non è ciò che spero — assicurò lui, avviandosi alle scale.
    — Allora grazie per la serata — sorrise Willow — è stato un piacere conoscervi. A proposito, come hai detto di chiamarti?
    Per un istante, gli occhi cerulei del vampiro sfavillarono di qualcosa di molto simile all’imbarazzo:
    — Wesley Windham-Price.
    — Willow!
    — Notte ‘Wes! — lo salutò lei, piazzandogli un microscopico bacio sulla guancia sinistra e raggiungendo il fratello. — Arrivo!
    Wesley non mosse un muscolo, quasi paralizzato da quel gesto così umano.
    “Una strega che fraternizza con un vampiro è più rara di una mosca bianca. E certamente più bislacca” riflettè.

    Edited by _Blythe - 13/12/2012, 21:11
     
    Top
    .
  9. piccola06
     
    .

    User deleted


    Mi piace, mi piace proprio tanto e forse sono riuscita anche a capire che coppie si formeranno. Non vedo l'ora di leggere il seguito.
     
    Top
    .
  10. keiko89
     
    .

    User deleted


    Eccomi!

    Ero rimasta un po' indietro ma ho recuperato tutto. La storia mi piace, è fresca, coinvolgente, i dialoghi sono ben fatti e il tutto scivola via senza intoppi.
    Da ispanofona, poi, non posso far a meno che adorare quel adios e obrigado (anche se è portoghese e mi piace un po' meno). Il mio cuoricino ringrazia.

    Attendo il prossimo post *CC*
     
    Top
    .
  11. _Blythe
     
    .

    User deleted


    Posto con un po' di ritardo perchè questi sono stati giorni ricchi di impegni, quindi vi porgo le mie scuse.
    @piccola: grazie mille per il feedback e l'entusiasmo. I tuoi commenti sono come i biscotti al cioccolato, mi tirano sempre su di morale e fanno tanto piacere ^^
    (ps: troverò il modo di stupirti, tranquilla)

    @keiko: ahahah non pensavo te gustasse la terra Iberica XD Scherzi a parte, grazie mille per i complimenti, detti da te una fanwriter del tuo calibro significano molto.

    Spero di non deludervi.



    3
    Chiamate inaspettate


    Il traghetto ondeggiava sulle placide acque notturne di Sunnydale.
    Alle quattro del mattino, ora locale, l’uomo entrò nella cabina con passo felpato. Una donna bionda era raggomitolata sul sedile; si curvò su di lei, e dolcemente le sussurrò all’orecchio:
    — Sveglia, mon amour.
    I suoi occhi si aprirono pian piano, come quelli di un cucciolo appena destatosi.
    —E’ già ora? — biascicò assonata.
    — Guarda tu stessa — la invitò l’uomo, indicandole il paesaggio alle sue spalle. La donna si stiracchiò, volgendo lo sguardo oltre la finestra rettangolare appannata: una distesa di casette e punti luminosi informi che non rivedeva da quasi trent’anni. Un moto di spontaneo piacere le attraversò la nuca fredda, e non era per via delle mani dure di lui che le solcavano il dorso, lentamente. — Che ne pensi? — le domandò.
    — E’ ora di scendere! — esclamò una voce lontana e anonima.
    La donna prese ad accarezzargli le dita. — Direi che sarebbe magnifico, se mi avessi portato anche la colazione.
    — Come se non ci avessi pensato — rispose sarcastico l’uomo, alzandosi in piedi ed offrendole cavallerescamente la mano.
    — I signori vogliono trattenersi ancora a lungo? — chiese stizzito il facchino, materializzandosi improvvisamente alla porta. I due si scambiarono un’occhiata d’intesa, e prima che potesse protestare, il facchino si ritrovò spalmato come maionese sul pavimento, incapace di muoversi. La donna lo sovrastava centimetro per centimetro, e sembrava uno di quegli animali che si godono lo spettacolo del terrore delle vittime prima di sbranarle. E lui era uno di loro.
    — Posso, vero?
    L’uomo le rivolse un sorriso mellifuo: — Ho già mangiato. È tutto tuo.
    Le urla attirarono l’attenzione: — Ehi, che succede qui?
    — Con permesso, cara— esclamò lui, dando una gomitata all’inserviente che aveva fatto appena capolino: il poveretto andò a sbattere contro il muro del corridoio spezzandosi un paio di ossa, e comunque l’uomo non si fermò. Un altro cercò di immobilizzargli le braccia, ma fu troppo lento: in meno di un minuto i suoi organi erano già stati spappolati, con rimasugli appiccicati ai grossi vetri. Le fece segno di sbrigarsi.
    Percorsero il corridoio a grandi falcate e saltarono giù dal traghetto. Il capitano agitò i pugni in aria, gridando furibondo: — Dove credete di andare?
    Con un righio, l’uomo si voltò mostrandogli la sua vera faccia. Il capitano barcollò, come colpito da un infarto, e immediatamente fece dietrofront, impostando tutte le manovre necessarie a prendere il largo da quei mostri.
    — Grazie ancora per il passaggio! — lo ringraziò l’altro mentre il traghetto si allontanava a gran velocità.
    — Tutto sommato avevi ragione. Ho fatto bene ad aspettare— gli disse la donna — buon sangue non mente.
    — Io ho sempre ragione — gli fece eco l’uomo — e tu hai sempre fame.
    — Già, meno male che ho un metabolismo supersonico e un fidanzato tanto galante da fare certe insinuazioni.
    — Suvvia, cara, stavo scherzando. E poi, non sei contenta di essere tornata? — rispose l’uomo con fare sornione, baciandole la guancia. Sulle labbra sottili della donna spuntò un debole sorriso di accondiscendenza, mentre osservava la sua vecchia città:
    — Casa dolce casa.

    — Signori che nottata!
    Con le mani salde al volante, William oltrepassò un divieto d’accesso per recuperare tempo. In mezzo alla strada c’erano soltanto loro e un paio di sbronzi dall’aria poco raccomandabile che si scambiavano insulti: meglio non rischiare.
    — Voglio dire, abbiamo trovato degli alleati e non alleati qualunque! Un vampiro impomatato e una Cacciatrice pseudopunk – che, peraltro, convivono. Anche se scommetto che ci danno dentro nel weekend.
    William le scoccò un’occhiata indecifrabile a metà tra lo sfinito e il diffidente. — Il tuo è proprio un chiodo fisso.
    — Eddai, bibì, non fare il finto tonto. Hai sempre detto che la lotta è un’elettrizzante scarica di adrenalina ed è risaputo che non esiste valvola di sfogo più gratificante di…
    — Falla finita— la zittì William.
    — Che maniere! È questo il modo di ringraziare la tua fidata sorellina? — ribattè Willow, storcendo le labbra in una smorfia infantile di disappunto.
    — Ringraziarti di cosa?
    — Di questo. — Willow gli sventolò il famoso post-it col numero di Faith. — Ed è tutto merito mio. Non dire che non te ne frega nulla perché non sai mentire.
    — Hai ragione, ma fortunatamente c’è chi lo fa per me.
    — Non sarà facile conquistarla, però sono certa che tu abbia una chance. La sua facciata da dura nasconde qualcosa, forse un cuore di zucchero, ma anche se così non fosse io dico, chissene. Intanto è un gran bel vedere — commentò Willow, fissando il bigliettino.
    “Ci mancava solo questa” pensò William, non proferendo parola.
    Ad un tratto gli chiese: — Se tra voi non funzionasse, credi che…
    — Non ci pensare neanche — sbottò William.
    — Calmati, bibì! Dicevo tanto per dire. Sai che non faccio mai sul serio — si giustificò Willow, accartocciando il foglietto e infilandolo in tasca; William svoltò in direzione della 44esima.
    Il parcheggio del motel era compleamente deserto, proprio come la “hall”. William cercò le chiavi.
    — Buonasera, signor Giles — fece Willow, stropicciandosi gli occhi.
    Suo fratello si voltò di scatto, quasi sbigottito. “Forse abita davvero qui”.
    — Signori Rosenberg — li salutò l’inglese, inespressivo. Sembrava un fantasma colto in flagrante con un prezioso bottino; Willow sbirciò la bottiglia che aveva nella mano destra e senza il minimo senso del pudore, gli domandò: — A cosa brindiamo?
    Giles si strofinò il naso, evidentemente imbarazzato. — Solo il mio compleanno. Nessuna occasione formale, comunque.
    — Tanti auguri — fece William, poco convinto, aprendo la porta e trascinando con sé la sorella.
    La ragazza cadde a peso morto sul letto, e William non la fermò. Si tolse il cappotto e gingillò con le catene sporche di fango, le dita fredde come iceberg. Tutta quella storia gli aveva scombussolato il cervello, non riusciva a fare a meno di pensare ai paletti e alle gloriose generazioni di Cacciatrici che l’avevano impugnato prima di lui. “Che ragione ho di combattere?”
    E niente riusciva a turbarlo più del suo stesso silenzio in merito.

    Spiritus Sanctus, advoco te quem in siculis mansit et sempiternus es.
    Cantilenò Rupert Giles versando il contenuto del boccale nel cerchio tracciato col gesso sul pavi-mento traslucido della stanzetta umida dove erano stipati i cappotti, meglio nota come guardaroba, che, tra parentesi, era anche la sua residenza. Attese, finchè tutto intorno non si levò del vapore, segno inequivocabile che Lui si era destato.
    — Guaritore, ma che sorpresa. Sono trascorsi mesi dall’ultima evocazione.
    — Ad essere precisi, solo cinque settimane — lo corresse Giles dandogli le spalle.
    — Un buon discepolo si vede soprattutto dai dettagli, e la tua fiscalità mi è sempre gradita. Sup-pongo che non si tratti solo di una chiacchierata tra allievo e maestro, però.
    — Da cosa lo arguisci? — chiese Giles.
    — Stai cercando un libro nell’armadio dove custodisci i mantelli — replicò la voce profonda del Sacro Spirito del Brandy.
    Giles si lasciò scappare un grugnito arrendevole e divertito.
    — Hai ragione, Spirito. L’agitazione gioca brutti scherzi.
    — Cos’è che disturba la tua serenità?
    Chiudendo le ante dell’armadio, l’inglese si voltò verso l’ectoplasma che, a gambe incrociate, levitava nell’oscurità della camera, illuminato esclusivamente dalla sua stessa essenza soprannaturale. Era praticamente calvo e la maggior parte dei peli era condensata nella folta barba riccia che gli donava un’aura saggia; nelle mani stringeva il boccale usato per il rito e sorseggiava la sua razione con il garbo di un gentiluomo. — Ultimamente, ho fatto la conoscenza di due fratelli molto giovani e sospetto che la ragazza sia una strega.
    — Una seguace di Lilith? — indagò lo Spirito, accigliato.
    —Per quanto continui a studiarli, non sono ancora pervenuto ad una conclusione e non ho indizi sufficienti. E inoltre sono portato a credere che dubitino di me anche loro.
    — Giles?
    Un colpetto deciso alla porta; lo Spirito tracannò in fretta il resto della bevanda mentre Giles si precipitava a rispondere.
    — Signor Rosenberg.
    — La prego, mi chiami William.
    — C-certo, William. Mi dica.
    Il ragazzo allungò lo sguardo, come se volesse esplorare le profondità del buio in cui l’inglese sembrava intimamente immerso. Poi, con nonchalance, disse: — Avrei bisogno di una raccomandazione.
    — Raccomandazione?
    — Esatto. Ho trovato un simpatico pub nei sobborghi della città, il Willy’s Place, e ho fatto do-manda per un posto da garzone. Indovinate cosa mi hanno detto.
    — Non oso — rispose Giles, pulendosi gli occhiali.
    — “Che non assumono personale promiscuo”. Non posso dar loro tutti i torti, in fondo… — spiegò William, interrompendosi prima di potersi tradire. — Ok, la farò breve. Lei conosce Willy, il proprietario, che è un suo carissimo amico. Potrebbe spendere una buona parola per me?
    — Le dirò la verità, William. Stento a credere che Willy abbia qualcosa contro…
    — Il mio orientamento sessuale è fuori discussione, Giles. E i miei capelli non rilasciano nessuna sostanza tossica, posso rimediarle anche un certificato se non mi crede. Onestamente, penso che sia tutta colpa del dopobarba all’aroma di meringa che mia sorella mi ha costretto a mettere per il colloquio — brontolò William — promiscuo a dir poco.
    — Non lo escludo — commentò Giles, interdetto dalla piega che aveva preso il discorso.
    — Allora, posso contare sul suo aiuto?
    — Ovviamente.
    — Le devo un favore — sorrise William, e Giles chiuse la porta. — Hai sentito?
    — Ogni singola parola — gli assicurò lo Spirito — e quel ragazzo non la conta giusta.
    — E’ parso anche a me — confermò Giles — non è un demone, tuttavia.
    — Il che non lo rende meno pericoloso.
    — Infatti. Il sessanta per cento della mia clientela è ibrida. Che cosa accadrebbe se lui…?
    — Se lui cosa? Non fosse una leggenda?
    Giles si coprì la fronte, un’emozione confusa intrappolata nella gola. — Significherebbe la fine dei miei affari. Significherebbe la rovina.
    — Tutto quel che puoi fare è parlare con il tuo amico Willy. — Lo Spirito gli rivolse un’occhiata di paterna affettuosità. — E raddoppiare le difese. Se davvero la ragazza è esperta di arti magiche, avrà già notato il Velo che offusca la vista dei mortali: impediscile di fare il resto. Cerca la pergamena di Andrakar.
    — Ritenevo che fosse andata perduta.
    — Sai, il bello di essere un’entità astratta è che puoi viaggiare in lungo e in largo, nel tempo e nello spazio, e nessuno può permettersi di aprire il becco. Sei una divinità, dopotutto — rispose lo Spirito bevendo un altro sorso di brandy, raggiante — l’ho recuperata prima che diventasse un inservibile mucchietto di cenere. Ora devi soltanto scovarla.
    — Senz’altro. Grazie infinite, Spirito.
    — Di nulla, Guaritore. Il mio compito è unicamente di indicarti la via, sta a te percorrerla.
    — Hai fatto di me un affarista senza scrupoli. Direi che hai svolto il compito egregiamente.
    — Ti prego, non sprecarti in ulteriori lodi, mio discepolo — tossichiò lo Spirito, tenendo il boccale con presa malferma come se il liquido gli fosse andato di traverso. — In fondo, come diceva quel tale… “Conosci te stesso” e sarai padrone del mondo. E pensare che all’inizio non sapeva neppure sillabare il proprio nome. Ah, il progresso!
    — Sta parlando di Socrate?
    — Sì, sì! L’unica cosa spiacevole del più brillante dei miei allievi è che non sapeva mantenere i segreti. Non so quante volte l’avrò rimproverato per aver spifferato la mia esistenza a tutta Atene e dintorni. Mi chiamava il suo daimon —. Pronunciò quella parola con disdegno. Poi, di colpo, disse: — Vabbè, non rinvaghiamo il passato. A presto, Guaritore.
    — Vale — concluse Giles, inchinandosi.

    Il piccolo Alec stava cercando di seguire lo spartito della Cavalcata delle Valchirie, quando il telefono cominciò a squillare. Con uno scatto Wesley si alzò in piedi e afferrò la cornetta appesa alla parete: — Wyndham Price. Con chi parlo?
    Seguì qualche attimo di silenzio intervallato da una manciata di note acute e lo scrosciare dell’acqua. — Un momento — si scusò Wesley. Poi, rivolto al corridoio: — Faith! Ti cercano!
    Poiché non si dava una mossa, la richiamò: — Faith!
    Il bimbo sembrò perdere la concentrazione non appena la ragazza entrò nel salotto spazzolandosi i denti. Le sue labbra mimarono un “Chi è?”
    — Willow — rispose Wesley, allontanando la cornetta.
    “Che cosa vuole?”
    — Vuole vederti — bisbigliò il vampiro. Rivolgendosi all’interlocutore: — Ha detto che puoi rag-giungerla alla Fabbrica dei Puncake, su Main Street. D’accordo, grazie. Alec, non distrarti!

    — Però. Non male.
    Willow le regalò uno dei suoi sorrisi scintillanti; Faith le stava dirimpetto, penna alla mano, pronta a prendere la sua ordinazione. Era in tenuta da lavoro e aveva i capelli raccolti in una mezzacoda svogliata. La strega lasciò spaziare lo sguardo sulle sue gambe scoperte dalla gonna bianca e avvolte in pesanti calze rosse quadrettate, e si stupì nel vederla così colorata. Così normale.
    — Hai già consultato il menu? — le domandò, con voce atona.
    — Sì. Prenderò un frullato alla banana — le rispose Willow, restituendoglielo. Non si aspettava di fare troppa conversazione, in fin dei conti Faith era di turno, ma la noia la stava massacrando e non poteva sopportare la solitudine; e l’idea di un tetê a tetê con la ragazza la stimolava tremendamente. Molto più degli sfoghi patetici di Cordelia che, imperterrita, continuava a chiamarla da due giorni, ad ogni ora, per chiederle di suo fratello. Come se gliene fregasse qualcosa.
    Con la coda dell’occhio avvistò un gruppo di ragazzi che sghignazzavano tra un puncake e l’altro. Aldilà dei gusti orribili in fatto di abbigliamento, le loro risate erano sgradevoli e ricordavano il verso delle iene in calore. Willow preferì distogliere lo sguardo e ripuntarlo su Faith che aveva appena afferrato il vassoio, colmo di bicchieri, e stava dirigendosi proprio verso il branco.
    Uno di loro la fissò con occhi famelici mentre lei consegnava l’ordine a ciascuno, e prima che po-tesse dargli il suo, il ragazzo le ghermì il braccio in un gesto di sfida e di ingordigia. E Faith gli rovesciò la bibita addosso.
    — Ma sei scema!? — ruggì il tizio seduto accanto, indignato.
    — Non avrebbe dovuto — fece Faith, tetra.
    Il diretto interessato le lanciò un’occhiataccia: — Sai quanto costa questa felpa?
    — Non ne ho la più pallida idea.
    Balzando in piedi, ululò: — Mi devi dei soldi, imbecille. Hai afferrato il concetto?
    Una cameriera asiatica intervenne nella disputa sbattendo sul tavolo una mazzetta di dollari che ammutolì gli astanti. Con fare autoritario, dichiarò: — Fatteli bastare, amico. E sloggia.
    Le iene non se lo fecero ripetere due volte. Faith mosse a malapena la bocca per ringraziare la collega, ma lei la bloccò. — E’ tutto a posto. Va’.
    Faith prese il frappè di Willow. La strega aveva seguito l’intera vicenda sforzandosi di restarne fuori.
    — Ehi — le disse di colpo, con innaturale dolcezza.
    — Ehi — le sussurrò di rimando la ragazza.
    — Dimmi solo il primo insetto schifoso che ti viene in mente e giuro che gliela faccio pagare.
    — Non ce n’è bisogno.
    — Davvero. Non fare complimenti — insistette Willow, bevendo rumorosamente dalla cannuccia.
    — Faith!
    — Devo andare.
    Nonostante la freddezza, Willow riusciva a leggerle dentro e ad aveva intuito il suo disagio, perciò non si offese per i suoi modi sbrigativi. Avrebbero parlato più tardi.
    — Grazie e torni a trovarci! — esclamò Olivia Festung, padrona del Magic Box, contando le banconote lasciate dall’acquirente soddisfatta e allegra. Non tutti i giorni le capitava di vendere un così ingente quantitativo di ali di fenice. O forse era meglio dire mai: le ali di fenice erano alquanto care e venivano impiegate di rado, di solito nelle pozioni antiacne per demoni con la pressione bassa.
    E i geloni dell’inverno erano finalmente arrivati. Sorrise tra sé, stivando i soldi nella vecchia cassa.
    Contemporaneamente qualcuno fece il suo ingresso nel negozio. Tin tin.
    La signora Festung non riuscì subito ad inquadrare il potenziale cliente, in parte nascosto dagli scaffali. Tuttavia, si mostrò immediatamente disponibile: — Buonasera. Come posso aiutarla?
    Era un uomo. Piuttosto alto, leggermente chino sullo specchio di Sou, di fattura arabica e del valore di duecento bigliettoni, intento ad ammirare… se stesso. Si passò una mano fra i capelli color pece, lucenti e profumati, poi si toccò le guance. La signora Festung provò ad unirsi alla contemplazione, con una curiosità al limite dello sconveniente, e all’improvviso gli occhi di lui la trafissero. — Salve — annunciò, con aria gioviale.
    “E’ poco più di un ragazzo” pensò la signora Festung, impressionata. Indossava una camicia a righe lisa e non aveva un solo accenno di barba.
    — Cerca qualcosa in particolare?
    — No — rispose lui, mettendosi le mani in tasca — ma qualcosa cerca me, ci può scommettere.
    “Decisamente strambo.”
    Fecero un giro nella sezione “Antichità del Mondo Classico”, il reparto più economico e ricco di novità. La signora Festung gli illustrò le ultime offerte ma il cliente pareva non ascoltarla ed esa-minava gli oggetti esposti con un’espressione che stonava con la sua precedente affermazione: sembrava alla ricerca di un prodotto specifico. La signora Festung fece finta di nulla, e proseguì nella sua spiegazione delle sfere di Vaius, il più antico stregone dell’epoca romana.
    — Non sono in molti ad apprezzarne la manifattura ed esistono solo quattro esemplari in tutto il globo. Sono perfette per l’evocazione dei defunti e le distorsioni temporali —. Gliene mostrò una, una palla fosforescente di simil vetro dalle dimensioni di un Oreo; il ragazzo non vi prestò molta attenzione. Appariva indubbiamente avvinto da una serie di collane con gli smeraldi collocate sull’altro ripiano.
    — E che mi dice di queste?
    La signora Festung inarcò le sopracciglia, visibilmente contrariata dalla sua superficialità. — Sono dei semplici ornamenti, nessuna storia da raccontare. Sarà per questo che hanno un prezzo stracciato.
    Il ragazzo abbozzò un sorriso, come se stesse pregustando qualcosa di appetitoso. La donna non potè fare a meno di guardare l’orecchino che campeggiava sull’orecchio destro.
    “Una gazza intrappolata nel corpo di un umano? Per quanto assurdo, non saprei come spiegarmi diversamente la sua libido per tutto ciò che luccica” riflettè.
    — La prendo — le comunicò lui, tutto contento.
    — Lo immaginavo — mugugnò la signora Festung.
    — Solo se mi fa un pacco regalo coi fiocchi — precisò il bizzarro cliente. “Perfetto. Anche il suo senso dell’umorismo lascia parecchio a desiderare”. Delusa, si voltò a cercare della carta appropriata quando, in una frazione di secondo, il suo cuore smise di battere.
     
    Top
    .
  12. piccola06
     
    .

    User deleted


    Non ci credo, mi sono saltat un aggiornamente. Devo stare un pò di più con gli occhi aperti :D Capitolo stupendo anche questo e scommettiamo che so anche chi sono l'uomo e la donna della nave? :D
    Aspetto il resto mi raccomando
     
    Top
    .
  13. _Blythe
     
    .

    User deleted


    @piccola: grazie mille. Mi sa che ci hai preso, ma d'altronde, l'avevo già spoilerato nell'intro XD

    4.
    Qualcuno muore, qualcuno vive

    Il demone Polgara era sul punto di scoppiare. — Esigo parlare col direttore! Subito!
    — In tal caso ti consiglio di metterti in fila, non sei certo il primo a lamentarsi.
    William stava lucidando un paio di bicchieri robusti piuttosto malandati. Il locale era praticamente deserto, escludendo tre simpatici poltergeist e un Avok in divisa da gladiatore; il judebox si era incantato sulla traccia numero quattro di un vecchio CD blues e in tv non facevano che sciorinare una lista infinita di cifre che il trio seguiva con estrema attenzione. Willy era andato a sbrigare delle commissioni dichiarando che sarebbe tornato nel giro di mezz’ora, lasciandolo in balia del Polgara che era uno dei clienti più esigenti in assoluto. Se questa non era malvagità.
    — Non ho intenzione di pagare per qualcosa che non ho chiesto — insistette il Polgara, schiumante di rabbia.
    — Hai chiesto un “bacio di Namlesika?” — domandò William, strofinando imperterrito.
    — Sì — grugnì il demone.
    — Bè, è esattamente quello che ti ho servito.
    — Ci hai messo del lampone al posto della saliva di lombrichi! Non credere che non ti abbia visto mentre lo facevi!
    — Ah, sì? — lo sfidò William, interrompendosi per un attimo.
    Il Polgara sostenne lo sguardo minaccioso. — Sì.
    Dopo una pausa che sembrò durare ore, William confessò con nonchalance: — Hai ragione. Offre la casa, allora. Consideralo un risarcimento.
    Il Polgara fece per ribattere, ma venne zittito dal gruppo di poltergeist alle prese con la lotteria americana. — Su, bello, smettila! — esclamò uno, annotando nervosamente qualcosa su un tovagliolo denso di salsa — non ci stiamo capendo nulla!
    — Se il compare non lo vuole me lo prendo io — bofonchiò quello a destra, fissando lo schermo.
    — Tu sei allergico ai lombrichi — osservò il compagno.
    Il poltergeist sospirò, esasperato. — E’ lampone, idiota!
    — Ssssh! Mi state disconcentrando! — li ammonì il terzo.
    — Dammi indietro i miei soldi, umano, o ti farò cadere tutti i denti da latte che hai — insistette il Polgara.
    — Ehi, Penny, devo ricordarti le regole del locale o preferisci che ti sbatta fuori subito, lasciandoti con le chiappe al gelo? — intervenne un uomo bassino, con radi capelli e il sorriso facile. Il Polgara ingoiò la collera, indispettito, e abbandonò il pub a passi rumorosi. — Un dubbio mi divora — disse ad un tratto William.
    — Dimmi pure.
    — Nel bacio di Namlesika ci vuole davvero saliva di lombrico o è tutta scena?
    Willy gli rivolse un’occhiata di bonaria tolleranza — Ragazzo, hai mai visto un lombrico con la bocca?
    — No.
    — Ti sei dato la risposta.
    — E quindi spacci del banale lampone…aspetta, perché il lampone?
    — Perché è economico. E meno male che non sono tutti così pignoli come Penny, altrimenti avrei già chiuso bottega da un decennio — brontolò l’omino, aprendo la cassa. — Solo quarantatrè dollari?
    — I poltergeist sono troppo occupati a seguire i sorteggi per pensare di bere — spiegò William, disponendo in fila i bicchieri appena lucidati sulla mensola vicino la macchina della soda.
    — Meraviglioso.
    — Cosa è meraviglioso?
    I due si voltarono all’unisono. E William reagì un po’ troppo tardi. — E tu che ci fai qui?
    A dispetto della sua proverbiale imperturbabilità, Wesley pareva offeso. Con un gesto frettoloso, si pulì gli occhiali: — Tua sorella non ha la patente e si dà il caso che io sia un gentiluomo. Allora, cosa avete per dissetare uno che sta a stecchetto da quasi due giorni?
    Willy lo squadrò con curiosità. — Sei un vampiro?
    — In carne ed ossa — gli assicurò Wesley, sorridendo accomodante. Irradiava cortesia ed educa-zione da tutti i pori.
    — Aspetta, hai detto che mia sorella è qui? — domandò William, sinceramente sorpreso.
    — Qui fuori — lo corresse Wesley.
    Ero qui fuori — intervenne Willow, sbucando nel bel mezzo della discussione con l’aria più innocente del mondo. Gli regalò un sorriso: — Cosa prendi, Wes? Offro io stasera.
    — Ora conosci anche mia sorella. Direi che il quadro è completo —concluse William.
    L’omino mezzo calvo le allungò un bicchiere pieno di liquido rosso. — Un po’ di bacio di Namlesiika, cara?
    — Quella cosa con i finti lombrichi?
    — Will, non sei costretta…
    Willow ne ingollò tre quarti senza battere ciglio, e Willy esclamò ammirato: — Dio Santo! Che stomaco!
    — Pronunciare invano il nome del Signore è peccato. Secondo comandamento, istituito più di duemila anni fa.
    — Certamente, ma il barista offre un servizio ai demoni. Non credo che l’integrità morale rientri tra le sue preoccupazioni — commentò Wesley in tono neutrale.
    Immediatamente William avvertì la mancanza di gravità: era come fluttuare trasportati dalla corrente. Ed era accaduto quando lei era entrata senza avvisare, piombando nel locale proprio al suo primo giorno di lavoro. Per un attimo restò a guardarla come un ebete. — Ciao — riuscì a dire alla fine. Willy la squadrò da capo a piedi, decisamente incuriosito. — Anche lei fa parte della combriccola?
    — Siamo solo di passaggio — rispose Faith.
    Sua sorella sembrava su di giri; le mise un braccio intorno al collo. — Non farci caso, amico. È solo molto religiosa. Non morde!
    William chiese: — Come mai da queste parti?
    — Willow ci ha detto del tuo nuovo impiego e ci premeva vederti all’opera — replicò francamente il vampiro, mentre Willy apriva il minifrigorifero alla ricerca di scorte fresche di zero negativo — sono andato a recuperare le ragazze circa un’oretta fa.
    — Interrompiamo i programmi per un annuncio importante. Circa dieci minuti fa, al Magic Box di Sunnydale, è stato rinvenuto il cadavere di un’anziana donna, presumibilmente la proprietaria. È il terzo omicidio in soli tre giorni. Le autorità ritengono possa trattarsi di una banda particolarmente pericolosa — riportò un giornalista televisivo dall’aspetto ingessato, sospendendo l’estrazione della lotteria sotto le urla di protesta dei tre poltergeist — la signora è stata identificata come Olivia Festung ma non presenta segni di aggressione. Bisogna attendere i risultati dei test farmacologici per appurare la causa del decesso, avvenuto forse per avvelenamento.
    La telecamera inquadrava il corpo senza vita di Olivia, indugiando sulle sue palpebre spalancate in segno di evidente stupore. Come se qualcuno avesse spostato l’interruttore su “off” cogliendola alla sprovvista.
    Willow fu la prima a riprendere parola. — Vedete? Non siamo messi poi così male. C’è in giro gente più annoiata di noi il venerdì sera.
    I poltergeist strombazzavano indignati. — Rivogliamo i nostri numeri! Barista!
    — Fa’ qualcosa! — trillò quello al centro, battendo pugni sul tavolo inferocito. Il gladiatore demoniaco lo fulminò con uno sguardo eloquente. — Sta’ buono.
    William e Faith si scambiarono un’occhiata d’intesa. William afferrò la giacca nera di pelle dall’appendipanni e Wesley fece per prendere un sorso della sua bevanda, quando Willow lo trascinò per la spalla destra, esaltata: — Si va a caccia!
    — Ehi, un momento…! — cercò di ribattere il vampiro, inutilmente.
    — Mi spiace capo, ma il dovere chiama — dichiarò William. L’omino, straccio alla mano, gli rivolse un sorriso accondiscente. — Tranquillo, Rosenberg. Lo detrarrò dalla tua paga.

    — Forse non ne valeva la pena.
    — C’è puzza di magia occulta dappertutto. — Faith si avvicinò al cadavere della signora Festung; Wesley toccò le sue labbra ormai fetide di morte. — Mi sembra ovvio. È stato compiuto un assassino.
    — Ehi, voi, state lontani dal cadavere! — ringhiò un agente dal manganello facile, fulminandoli con uno sguardo. I giornalisti stavano lentamente abbandonando il Magic Box ma le autorità parevano decise ad accamparsi lì per il resto della notte. William sospirò, pensando all’allegro schiamazzo dei poltergeist. Willow si strinse nelle spalle, fingendo indifferenza. Poi, all’orecchio di Wesley, gli sussurrò: — Mi sembra ovvio! È un incantesimo tanto semplice che saprebbe farlo anche mio figlio di due anni!
    — Hai un figlio di due anni?
    — Dài, hai capito!
    — Da cosa lo deduci, Will?
    — Dall’odore. Proprio come ha detto Faith — rispose la strega — è un sortilegio elementare. Controlli il flusso cardiaco di un’altra persona con le dita e lo arresti quando ti gira. Niente complicazioni con la polizia o i mortali, perché può sembrare un normale infarto ma non per chi frequenta brava gente come noi. — E gli fece un’occhiolino.
    Dei tipi in uniforme fosforescente tirarono su la barella con il corpo della donna e la trascinarono via sotto il vociare confuso dei presenti; William uscì fuori a prendere una boccata d’aria. E, una manciata di secondi più tardi si accorse, per puro caso, che la luna era completamente piena.
    “L’incantesimo scrutafuturo!”
    Il ricordo lo colpì come un flash. Rientrò immediatamente dentro a richiamare la sorella. — Will — le bisbigliò. Willow stava conversando con un agente in compagnia di Wesley e non poteva sentirlo. Alzò la voce. — Will!
    — Certo che conoscevo la signora Festung, le avevo richiesto un paio di articoli qualche giorno fa— stava spiegando lei — e mi stavo giustappunto chiedendo come e quando potrò ritirarli. Cioè, qualcuno si assumerà la responsabilità del locale, vero? Magari un parente…
    — Will!
    — Che c’è? — esclamò Willow, esasperata. Il poliziotto e Wesley si voltarono verso di lui, assieme ad altri due agenti. William tentò di sopprimere l’imbarazzo con un sorrisetto nervoso. — Andiamo a berci un caffè? — le domandò, inarcando le sopracciglia in maniera allusiva.
    Willow fece una smorfia, — Ma ti sembra… — Poi comprese. Guardò Wesley, e cercò di ricambiare il sorriso di William. — Oh sì, che sbadata! A quest’ora ci ricarichiamo sempre con un bel po’ di caffeina, altrimenti chi ci arriva intero a domani! Buonasera, agenti!
    L’agente le disse goffamente: — Buonasera a lei, miss…
    — Willow va benissimo. Ciao Lester — lo salutò la ragazza, con enfasi; dopodichè raggiunse suo fratello. — Fammi indovinare. La luna è piena e abbiamo bisogno di un po’ di sana magia, vero bibì?
    William annuì. — Proprio così.
    — E se fossero collegati? — intervenne Wesley. Si schiarì la gola, — Intendo dire…l’omicidio della signora Festung e l’imminente Apocalisse. Se fosse opera della stessa gente che vuole la fine di questo mondo?
    — Nessuna ipotesi è esclusa. — William si passò una mano fra i capelli ossigenati. — E l’unica maniera è affidarci all’incantesimo. Will, prendi le tue cose.
    — Ehi, frena, bibì! — esclamò sua sorella — dimentichi un particolare.
    — Sarebbe?
    — Davvero il sangue di vergine non ti dice nulla?
    — Chiederemo a Giles. Lui potrebbe…
    — Ma lo hai visto bene? È troppo pulito e imbecille per interessarsi di occultismo! — ribattè Wil-low, convinta.
    — Stiamo perdendo tempo — commentò Faith.
    — Hai forse qualche idea migliore? — la sfidò Willow.
    La Cacciatrice lo guardò, seria. — Wes, riscalda il motore. Facciamo un salto a casa dei Rosenberg.

    — Bè, accomodati pure! — disse Willow, girando le chiavi nel chiavistello sotto lo sguardo annoiato di William; al click della serratura i tre entrarono con scioltezza, mentre Wesley andò a sbattere contro un muro invisibile. Willow si coprì la bocca con le mani: — Scusami!
    William lo invitò dentro e Wesley raccolse gli occhiali caduti. — Fa niente — borbottò.
    Willow aprì il cassetto della scrivania dove aveva sistemato la maggior parte degli ingredienti e li tirò fuori uno ad uno. — Lingua di lucertola? — domandò William, controllando dalla lista.
    — C’è — rispose sicura Willow.
    — Coda di rospo?
    — C’è.
    — Artigli di leone? Sul serio le fattucchiere adoperano zanne di felini di tale risma? — osservò Wesley, ficcanasando — e a cosa servono, di grazia?
    I due fratelli trattennero un sospiro. — Vi è racchiuso lo spirito del leone, simbolo di forza incon-trastabile — spiegò Willow, seccata.
    — Strano, ho sempre ritenuto il ruggito, o al massimo la chioma, emblema della potenza leonina — obiettò Wesley.
    — Per questa pozione servono gli artigli — insistette Willow.
    — Non lo metto in dubbio, mi sto solo chiedendo il perché. Deve esserci dietro una ragione inap-puntabile, suppongo, e tu la dovresti conoscere.
    — Ossignore, mi hai preso per Wikipedia!?
    — E anche l’essenza di rosmarino c’è. Tutti presenti — notificò William, sbarrando qualche riga.
    — Adesso, con il vostro permesso signori, mi concentrerei su…
    — Guarda che ho capito — brontolò Willow, appallottolando la lista e gettandola nel cestino. Si sedette sul letto, circondata da William e Wesley, l’uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra; Faith rimase in piedi con la schiena appoggiata al muro, braccia conserte e sguardo impenetrabile.
    Ad un tratto Willow comunicò con assoluta serietà: — Ci serve una tazza.
    — Niente calderoni? — chiese curioso Wesley.
    — Sai, Wes, più ti conosco e più mi convinco che le uniche streghe con le quali hai avuto a che fare siano state le Witch “ragazze ok”. — Di fronte l’impassibilità totale del vampiro, Willow sospirò, — Qualcuno vada da Giles, per favore!
    — Mi offro volontario — disse William, sorpassandoli. Una dozzina di secondi dopo, Wesley ruppe il silenzio:
    — Per caso il riferimento a queste oscure Witch costuisce un insulto?
    — Faith,aiutami a sminuzzare gli artigli — disse Willow rivolta alla Cacciatrice — prima che lo faccia fuori definitivamente.

    — Senz’altro. Non c’è motivo per cui debbano arrivare in ritardo.
    William sorprese Giles nel corso di una telefonata dall’aria piuttosto importante. Il proprietario del motel si accorse subito della sua presenza. — Resterò in attesa, fatemi sapere voi. Buona sera.
    Messa giù la cornetta, gli domandò: — William. Perdoni la mia indiscrezione, ma come mai non si trova al lavoro?
    Il ragazzo stirò le labbra in un sorriso forzato. — Mia sorella si è sentita poco bene. A proposito, potrebbe prestarmi una tazza? Vorrei prepararle della cioccolata calda.
    Giles lo fissò per un po’. Nascondeva chiaramente qualcosa. Ma non era il momento adatto per indagare, perciò si limitò a fare quel che gli era stato chiesto. William prese tra le mani la tazza bianca e leggermente sporca e si congedò velocemente.
    Non appena aprì la porta, vide William e Wesley che discutevano animatamente; Faith invece controllava gli ingredienti con meticolosità. — Oddio, quanti anni ha quella tazza? — fece ad un tratto Willow, osservandola. William si strinse nelle spalle e la piantò sulla trapunta. — Che importa, in fondo. Cosa deve contenere la tazza?
    — L’intruglio, ovviamente. Anche se ancora incompleto — rispose prontamente Wesley.
    Willow afferrò la tazza, infastidita, e cominciò ad infilarvi tutti gli ingredienti come una forsennata. — Guarda che non ha certo un aspetto migliore adesso — continuò il vampiro.
    — L’avrà, quando Faith si deciderà a mantenere la sua promessa — ribattè la ragazza, rivolta alla Cacciatrice — allora? Dov’è la scorta?
    “Forse dovrei preoccuparmi” pensò William di sfuggita, sorprendendosi della sua stessa osserva-zione. Poi Faith gli domandò: — Ce l’hai un coltello?
    William si sentì stordito. — Un coltello?
    — Primo cassetto a destra — replicò Willow, battendo le punte delle dita sul pavimento. Faith cercò e trovò la lama; con la mano libera si scoprì il braccio sinistro e, incurante, ci ficcò il coltello. Improvvisamente, le immagini rallentarono. Grosse gocce di sangue colarono lentamente; William non riuscì a fare niente, anche se avrebbe voluto. Wesley era già lì, di fianco a lei, che raccoglieva il sacrificio nella tazza, imperturbabile. Willow era impressionata: — Ed ecco un altro colpo di scena! La nostra Faith è…
    — Credo che basti — tagliò corto Wesley, porgendole la tazza. Faith era in piedi, che si guardava a malapena la ferita che le attraversava il braccio, che William non poteva trattenersi dal fissare.
    — Ce lo faremo bastare in ogni caso. — Willow annusò l’intruglio, come se fosse dell’ottimo vino pregiato, e iniziò la sua usuale litania in latino. — Factum nosco, facturus cupio scire, o Pheobe. Precem meam audi, hoc integrum sanguinem recipe! — recitò, sotto gli sguardi attenti dei presenti.
    Due lingue di fuoco l’avvolsero mentre sedeva a braccia incrociate. Fu come se la stanza avesse preso a girare, senza freno, senza logica: un forte ventò si sollevò dal nulla e tutte le luci si spensero, eccetto quelle sovrannaturali che circondavano la giovane strega. Una sfera di energia apparve davanti ai loro occhi sgranati. Una serie di figure si succedettero l’una dopo l’altra, troppo veloci per essere distinte chiaramente; Willow scorse soltanto un appartamento apparentemente disabitato, dove torreggiava un’enorme statua in granito dalle fattezze azteche, e una spada scintillante inchiodata nel suo ampio torace. Vide un uomo dai lineamenti disumani afferrare quella spada e spingerla nel cuore della scultura, le dita grondanti di liquido scuro; e, in una successione spaventosa, intere città crollare sotto i colpi di una tempesta incontrastabile, finchè tutto ciò che ne restava era solo macerie. Il fiato le si bloccò in gola e inspirò diverse volte, per riprendere coraggio.
    La tazza si era rotta.
    Il vortice cessò, e Faith cercò di rimettersi in piedi. William le offrì la mano, istintivamente; nessuno parlò.
    Ancora una volta, spettò a Wesley l’onere di spezzare il silenzio.
    — Come è andata?
    — E’ stato, come dire… — provò a dire Willow, incerta. — Quasi…ecco, ho trovato. Una fregatura su tutta la linea. Abbiamo soltanto sprecato soldi e sangue. Non poteva andare peggio.
    — Ho visto un vampiro — disse William — che partecipava ad una festa in villetta. Ed era in smoking. Voi?
    — Un tizio che giocherellava con un oggetto prezioso — disse Faith — ma era umano.
    — Splendido. Io ho visto l’apocalisse in diretta — commentò Willow, fingendo entusiasmo.
    — Aspettate un momento. Ognuno di noi ha sognato parti diverse della stessa storia — disse Wesley — e tutto torna se i protagonisti sono gli stessi. Io, per esempio, ho avvistato una vampira.
    — E questo cosa c’entra? — domandò Willow.
    Wesley si rivolse a William. — Com’era il tuo vampiro?
    — Un tizio alto, robusto, chioma strabordante di gel… e lo sguardo da pervertito. Ora che mi ci fai pensare era in compagnia — rispose William.
    — Hai detto gel? — ripetè Willow, inarcandosi col busto in avanti — anche il mio aveva il gel. A chili, direi. E la spada? Ce l’aveva nel taschino?
    — Tu hai visto una spada? — domandò William.
    — Nella mia visione, lui infilava la spada nel petto di una statua davvero stramba, molto alla “made in China”. Era in una specie di appartamento fatiscente, nei pressi di Sunnydale, anche se non ho ben capito dove.
    — Io l’ho visto arrivare da un traghetto. Deve essere la sua nuova dimora — ipotizzò Wesley — potresti fornire una descrizione più particolareggiata?
    — Vediamo…era una specie di cripta. Non molto illuminata, piena di polvere.
    — Potrebbe trovarsi al cimitero — avanzò Wesley — i nonmorti vanno pazzi per tutto ciò che è umido e spettrale. — Notò le occhiate dei fratelli Rosenberg, e sospirando aggiunse: — Personal-mente odio quello stile di vita, è per questo che io e Faith alloggiamo in un comunissimo bilocale in centro. Comunque, dicevamo?
    — Ah, sì, la statua.
    — Descrizione? — la incalzò Wesley.
    — Medie dimensioni, due palle da bowling al posto degli occhi, bocca spalancata, mani microscopiche…di sicuro al tipo manca il senso della proporzione — rispose Willow, semiassorta — e due belle corna sulla testa quadrata. Sembrava uno di quegli sgorbi che fanno disegnare ai bambini nell’ora di arte.
    — Ma certo, perché no! — esclamò Wesley. — Acathla, il custode del caos! Come ho fatto a non pensarci subito?
    Poi aggiunse: — E’ una sorta di roccia vivente che, se trapassata dalla Spada, riversa il disordine nel mondo; soltanto un cuore malvagio e impuro può brandire quell’arma.
    — E chi meglio di un vampiro — mormorò di rimando William.
    — Totalmente inesatto. Almeno quattrocentoventitrè specie demoniache, tanto per cominciare —precisò Wesley, in tono accademico.
    — Questo restringe il campo — commentò Faith, a braccia conserte — adesso sappiamo chi dob-biamo scovare.
    — Vediamo. Se noi fossimo una coppietta di vampiri in luna di miele, dove pensate che potremmo andare? — domandò Willow, rivolta alla Cacciatrice e al suo compagno — voglio dire, Sunny D avrà almeno qualche locale in cui poter limonare in santa pace o sbaglio? Magari con un sottofondo sdolcinato alla Barry White?
    I due non batterono ciglio. — Oh andiamo! — insistette Willow.
    — C’è altro che dovremmo sapere? — chiese William.
    — Solo squarci confusi — replicò Wesley, guardando Faith.
    — Allora — stabilì William — non ci resta che perlustrare la zona e sperare di avere fortuna.

    La collana di smeraldo scivolò lenta sul suo collo bianco e profumato.
    — E’ bellissima — sussurrò la donna bionda accarezzando la grossa pietra verde, entusiasta. — Sei impagabile.
    Il ragazzo sorrise soddisfatto. — Lieto di servirti e riverirti.
    — Ma davvero?
    — Buonasera a lei, Maestro — disse il ragazzo, simulando un inchino con palese sarcasmo. Il vampiro sbattè la porta, decisamente di cattivo umore. La donna gli andò incontro, prendendogli delicatamente le mani. — Tesoro, che succede? Ti vedo abbattuto.
    — Ho scoperto alcune cosette interessanti mentre il valletto andava in giro a fare compere — ri-spose lui, nervoso.
    — Il valletto ha un nome — borbottò il ragazzo.
    — Sì, a proposito, orribile.
    — Sempre meglio di…
    — Alt, non litigate voi due!
    — Mi piacerebbe, ma divento irritabile quando si cerca di fregarmi— ribattè il vampiro bruno, affrontando l’umano a muso duro — hai detto che ci serve una spada, che sai come procurartela e hai dimenticato di informarci della valanga di soldi che dobbiamo sborsare!?
    — Sottovaluta i miei metodi e il mio potenziale — fu l’orgogliosa risposta del ragazzo.
    — Quale potenziale?
    Lo afferrò per la cottola con uno scatto supersonico, quasi atterrandolo: le dita, serrate intorno alla sua gola, spremettero un qualcosa di viscido. Prima che potesse rendersene conto, il ragazzo si era ricomposto alle sue spalle, perfettamente riposato. — Sul serio mi crede così stupido?
    — Ha ragione. In effetti, lo abbiamo assoldato perchè è il miglior stregone sulla piazza — osservò la donna.
    — Grazie mille. Comunque, Maestro, non c’è bisogno di scaldarsi. Come le ho detto, ho i miei mezzi — continuò il ragazzo, girando attorno al piccolo tavolino in frassino — le ho promesso la Spada – con la “s” maiuscola, è pur sempre un oggetto sacro – e l’avrà, deve solo pazientare. E trovarsi un abito elegante; ce l’ha uno smoking?
     
    Top
    .
  14. keiko89
     
    .

    User deleted


    Bly-bly, io sarò anche lenta come un bradipo a leggere ma TU non stai postando :angry:


    Embè? Che aspetti?!? :rage:


    Al lavoro, su! Che io sono una donnina curiosa.
    Btw mi piace tutto e i tuoi dialoghi mi strappano sempre una risata. Posta presto :scoobies:
     
    Top
    .
13 replies since 9/12/2012, 00:23   900 views
  Share  
.
Top