Quello che provo per te

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  1. Redan
     
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    Capitolo 12

    “Manifestiamo l'amore che proviamo per un amante sul corpo di un altro.”
    Erica Jong




    Willow si aggirava nervosamente per il salotto.
    Aveva mandato di sopra Tara con una scusa e il fatto di doverle mentire la faceva sentire in colpa, ma aveva deciso che come prima cosa avrebbe parlato con Buffy. Ci aveva pensato ed era giunta alla conclusione che l’amica doveva essere vittima di qualche incantesimo d’amore, come quello che lei stessa aveva scagliato su di loro qualche anno prima. Non sarebbe stato giusto mettere tutti in allarme a quel punto; di sicuro, quando lo avesse saputo, Buffy avrebbe ucciso con le sue stesse mani Spike per l’oltraggio subito.
    Si riscosse dalle proprie riflessioni quando sentì il portone d’ingresso aprirsi e richiudersi piano e si affrettò in quella direzione per intercettare l’amica che tornava dalla ronda.
    “Buffy, sei tu?” chiese. “Vorrei parlarti di una cosa importante...”

    Buffy aveva sperato di riuscire a raggiungere la propria camera indisturbata, ma fu costretta a fermarsi con un piede sul primo scalino quando sentì la voce della sua migliore amica alle proprie spalle che la chiamava. Si voltò lentamente.
    La strega sgranò gli occhi allo spettacolo che le si parò d’avanti.
    La Cacciatrice aveva gli occhi arrossati e i capelli arruffati, indossava una camicia decisamente troppo grande per lei e continuava a stropicciarne nervosamente i bordi, a disagio.
    “Ehi Will....” disse, con un sorriso tirato sulle labbra.
    “Buffy! Cosa ti è successo?”
    “Niente,” rispose debolmente. Si passò una mano tremante tra i capelli e chiuse brevemente gli occhi. Era così stanca... Senza rendersene conto mise in mostra i lividi sui polsi che si era procurata quella sera e Willow li notò.
    “E’ stato lui, non è vero?” disse con voce gelida.
    Buffy non rispose e fissò intensamente lo sguardo sulla parete, dove una mosca si dibatteva impotente, intrappolata da una ragnatela.
    Vedendo che non rispondeva, la rossa si fece pressante: “Buffy! Che cosa ti ha fatto?! Rispondimi o giuro che vado ad impalettarlo seduta stante! Come ha osato...”
    “Non è così semplice Will....”
    “Cosa?! E’ semplice eccome, invece! Si è approfittato di te!” Il suo tono era salito sempre di più, man mano che parlava, tanto da trasformarsi in un urlo stridulo verso la fine.
    “No.”
    “No?!” Willow rimase a bocca spalancata, esterrefatta. “Hai i lividi Buffy! I lividi. E tu sei una Cacciatrice, santo cielo!” proseguì esasperata. “E questo cos’è?” aggiunse, strattonando l’indumento che l’amica indossava, rivelando la maglietta a brandelli e la pelle escoriata. “Mio dio...” sussurrò. “Buffy... ti ha...Ti ha violentata?” balbettò.
    La domanda le uscì fuori a fatica. Era spaventata dalla risposta e le tremavano le mani.
    Buffy scosse il capo fiaccamente, un’espressione abbattuta sul viso.
    “E’ stata colpa mia, Will. Gli ho detto delle cose...” la voce le venne meno e la ragazza distolse imbarazzata lo sguardo dall’amica, che sembrava sconvolta.
    “Ma che cosa dici...? Certo che non è stata colpa tua! Non pensarlo nemmeno,” le disse mentre le carezzava le braccia, cercando di consolarla. Stava per caso assumendo l’atteggiamento tipico delle vittime di stupro? Si chiese la rossa. Si addossava la colpa di aver in qualche modo provocato il suo aggressore? Questo pensiero la fece infuriare ancora di più, se possibile, e il proposito di vendetta nei confronti del vampiro ossigenato crebbe dentro di lei. Buffy dovette intuire qualcosa dalla sua espressione perché scosse il capo, sconsolata, e si allontanò, sottraendosi alle carezze dell’amica.
    “Sì invece,” rispose con voce strozzata.
    “D’accordo. Ammettiamo per un momento che tu abbia ragione, – e non sto assolutamente dicendo che sia così! – questo non cambia il fatto che Spike si sia approfittato di te. Buffy, io.... io credo che ti abbia fatto un incantesimo d’amore!” annunciò la strega con aria lievemente compiaciuta.
    Un sorriso tremulo si tese sulle labbra della Cacciatrice mentre rispondeva: “Sarebbe tutto più semplice se fosse così.”
    Si girò e tornò a guardare la rampa che portava al piano superiore con desiderio, ma Willow era troppo scioccata per cogliere l’antifona. L’atteggiamento di Buffy era troppo... posato... privo dell’esaltazione estatica che l’aveva caratterizzato quando si era effettivamente trovata sotto l’effetto di un incantesimo. Il dubbio era chiaramente visibile sul suo volto quando domandò:
    “Quindi voi...?”
    “E’ complicato,” rispose Buffy con un sospiro.
    “Perciò.... non ti ha fatto del male? Sei sicura?” insistette. Non poteva soprassedere su quel punto.
    Osservò gli occhi dell’amica velarsi lentamente di lacrime, mentre apriva la bocca diverse volte senza emettere suono. Alla fine, riuscì a dire: “Certo. Sono sicura.”

    ***********************************************************************************

    Spike calciò l’ennesimo bidone dell’immondizia incontrato per le vie del centro e lo scaraventò a qualche metro di distanza, provocando le urla indignate dei bigotti abitanti di Sunnydale.
    “Che città di merda,” biascicò con voce impastata.
    Aveva continuato a bere per tutta la sera ed era finalmente, irrimediabilmente, ubriaco; come non gli accadeva da anni.
    Si trascinò barcollando, con l’intenzione di raggiungere il primo bar disponibile – il quinto quella sera. I primi quattro l’avevano sbattuto fuori per “disturbo della quiete pubblica” e altre cazzate del genere (che includevano diverse risse con altri demoni, suppellettili distrutte e bottiglie di liquori vari frantumate in giro). Una massa di coglioni, pensò con astio. Un tempo, un povero vampiro aveva il diritto di sfogare i propri malumori con un po’ di sana violenza!
    Rivide d’avanti agli occhi l’espressione ferita di Buffy di qualche ora prima. Le aveva lanciato addosso la sua camicia per permetterle di rendersi presentabile ed era andato via, senza dirle una parola. Se l’è meritato, si ripeté per l’ennesima volta. Era andata da lui per farsi scopare e lui l’aveva scopata, cazzo! E le era anche piaciuto, Spike lo sapeva.
    E poi si permette anche di fingersi oltraggiata, la stronza. Sono stato fin troppo gentile con lei. La prossima volta vedrà...
    Si sentiva ancora ribollire ripensando a quello che lei gli aveva detto; l’odio nei suoi confronti era cocente. Si era illuso, maledetto stupido che non era altro, ed era tutta colpa di lei se adesso era ridotto all’ombra del vampiro che era stato un tempo. Si scolò l’ultimo sorso di tequila dalla bottiglia che aveva in mano e, una volta svuotata, la mandò a frantumarsi contro un muro. Aveva bisogno di altro alcool.
    Si guardò in giro con la vista appannata finché finalmente non notò un’insegna luminosa a qualche metro di distanza. Accelerò il passo per raggiungerla e si fermò d’avanti alla vetrina. Sembrava un ristorante, ma sarebbe andato bene ugualmente, decise. Il locale era pieno e, dalla sua posizione, Spike poteva vedere chiaramente la coppia seduta dall’altra parte del vetro.
    Un ragazzo e una ragazza si stavano godendo la cena mano nella mano. Spike li osservò con gli occhi stretti e la fronte corrugata per la concentrazione. Lei aveva un atteggiamento chiaramente seduttivo: sorriso ammiccante, palpebre sensualmente abbassate. Continuava a spostarsi i capelli dietro le spalle per mettere in evidenza il collo e a lambire le labbra con la lingua.
    Il povero coglione di fronte a lei sembrava estasiato.
    Un’espressione disgustata si disegnò sul viso del vampiro.
    Eccone un altro che si fa abbindolare e finirà con il cuore spezzato in men che non si dica, pensò.
    Cominciò a picchiare i pugni contro il vetro, gridando, per attirare la sua attenzione. I due giovani si voltarono entrambi verso di lui con aria sconvolta e lo guardarono come se fosse pazzo.
    “Non lasciiiiiarti fregare, - hic - amico!” gridò. “E’ soltanto una – hic - troia!”
    Il ragazzo però non sembrò cogliere, dato che rimase al fianco dell’oca in questione, con atteggiamento protettivo. Spike, spazientito, si allontanò un attimo dal vetro per imboccare l’ingresso e cercare di far ragionare il bamboccio. Lungo la sua strada rovesciò diversi tavoli, scatenando urla isteriche da parte degli altri avventori, ma non se ne curò. Quello che sembrava il maitre gli si avvicinò dicendo:
    “Mi scusi, signore. Non accettiamo clienti ubriachi in questo ristorante.....”
    “Un attimo! Devo parlare con il bamboccio, qui,” disse, indicando il ragazzo bruno che cominciava ad assumere un’aria seriamente preoccupata. Si rivolse direttamente a lui con tono infervorato:
    “Devi stare attento ami-hic-co. Quelle come lei sono soltanto delle puttane! Ti fanno gli occhi dolci, ti girano intorno finché non inizi a crederci davvero e poi... ti buttano via!” si avvicinò alla ragazza e mentre la guardava il risentimento per la donna che aveva buttato via lui, il dolore che aveva cercato di attenuare con l’alcool, tutto l’amore che non riusciva a impedirsi di provare e che lo intossicava, gli esplosero dentro e il suo volto mutò fino ad assumere le sembianze del mostro.
    Nel ristorante si scatenò il panico: la sala si riempì all’istante delle urla di terrore dei clienti, del rumore delle sedie che grattavano sul pavimento e della ressa concitata per guadagnare l’uscita. Anche il ragazzo bruno gridò e gli tirò un pugno per distrarlo, ma Spike nemmeno lo sentì.
    Non sentì nulla.
    Gli occhi ferini fissi sulla preda, scaraventò lontano il suo fidanzato con una spinta noncurante e si avventò su di lei con le zanne snudate.
    La ragazza urlò.

    Ma anche Spike urlò, per il dolore lacerante che gli esplose nella testa. Si portò le mani ai lati del capo e cadde in ginocchio.
    Il maledetto chip! Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che aveva cercato di aggredire un essere umano che si era quasi dimenticato della sua esistenza.
    Ripresisi dallo shock iniziale, i due ragazzi ne approfittarono per fuggire e quando finalmente le fitte al cervello cessarono Spike si ritrovò solo, accasciato sul pavimento.
    Si piegò in avanti, scosso da conati improvvisi, finché non si fu liberato completamente. Si strofinò il dorso della mano sulla bocca per ripulirsi delle ultime tracce di vomito e alzò lo sguardo. I camerieri del ristorante ormai deserto e semi distrutto lo guardavano con aria bellicosa: probabilmente avevano capito che era più innocuo di un gattino. Rise mentre lo trascinavano via di peso e lo scaraventavano sul marciapiede.
    Rimase lì, sconfitto ed esausto, finché non sentì una voce chiamarlo: “Blondy Bear?!”


    *******************************************************************************

    Chiuse gli occhi, ansimando.
    Le mani, stese ai lati del corpo accaldato, artigliavano le lenzuola fresche di bucato.
    Le cosce spalancate, si concentrò sulla sensazione delle spinte affannate dell’amante, sui suoi gemiti rochi.
    Poteva quasi vedere gli occhi blu accesi dal desiderio che divoravano ogni suo più piccolo movimento – il modo in cui premeva la testa all’indietro sul cuscino; il suo corpo che si inarcava per andare incontro alle spinte decise; i seni che si alzavano e abbassavano ritmicamente; i capelli sparsi scompostamente intorno al viso arrossato dal piacere.
    Le mani corsero verso di lui, accarezzando le braccia tese ai lati delle sue spalle, fino ai capelli irsuti. La sensazione non le piacque e si ritrasse immediatamente, come se si fosse scottata.
    Tornò a concentrarsi sulle proprie percezioni.
    Sentiva l’orgasmo montare dentro di lei. Fece scorrere languidamente il piede destro lungo la gamba di lui e andò a cingergli un fianco con la coscia. Immediatamente, le spinte aumentarono, facendosi più veloci e potenti, esattamente come voleva lei. Lui gemette, prossimo al completamento, e si sporse per baciarla. Lei se lo aspettava e scostò il viso, lasciando che il bacio le cadesse sul collo.
    Cercò di non badare al profumo di sandalo dell’amante, così fastidioso e persistente.
    La bocca di lui scese lungo la sua gola, tracciando una scia umida con la punta della lingua, fino al seno. Prese un capezzolo tra i denti e lo mordicchiò.
    Lei ansimò per il piacere e si mosse eccitata sotto di lui, aumentando la stretta spasmodica sulle lenzuola. Lo vide alzare il viso verso di lei, e lo scintillio fiero e orgoglioso negli occhi cerulei scuriti dalla passione. Si sentì mancare il fiato, sopraffatta dalle emozioni calde e brucianti che la squassavano dall’interno.
    “Sì! Sì! Ahhh. Più veloce!” gridò.
    Lui non si fece pregare, accelerando le spinte, in un ritmo frenetico, finché entrambi non si ritrovarono a tremare, scossi dal piacere.
    “Dì il mio nome. Dillo!” le ansimò all’orecchio.
    Spike....
    Sollevò le palpebre a fatica, ritrovandosi a fissare due occhi neri e un viso abbronzato.
    “Paolo” sussurrò, con il cuore pesante, mentre veniva.



    Buffy si svegliò di soprassalto, madida di sudore. Potenti brividi le scuotevano il corpo.




    Nota: Paolo è il nome attribuito all’Immortale nella fanfiction “Beg the Liquid Red” di Eurydice, l’unica che abbia letto in cui ne venga citato uno e, non essendo a conoscenza di un suo nome ufficiale, ho pensato di utilizzarlo anche qui.
     
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