Un Tocco di Gelosia

Tradotta da PrincesMonica

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  1. TerenceSpike
     
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    Capitolo 43
    “Mamma, starai via soltanto per un giorno” gridò Buffy, guardando la madre che risaliva le scale per la quarta volta.
    “Voglio solo essere sicura di aver preso tutto” le gridò di rimando la sig.ra Summers dal piano superiore.
    “C’è il taxi” le annunciò Buffy, dopo aver dato un’occhiata fuori dalla finestra ed essersi appoggiata al muro con le braccia conserte.
    Vedendo la madre che scendeva le scale di corsa con una borsa per braccio, sospirò forte.
    “Perché ti stai portando tanti bagagli?” chiese.
    “Non si sa mai di che cosa si può aver bisogno” spiegò Joyce, riesaminando mentalmente la propria lista.
    “Stai andando a Los Angeles. Sono sicura che c’è tutto quello che c’è qui, ed anche di più. Se ti dimentichi qualcosa puoi sempre comprarla là” puntualizzò Buffy.
    “Bè, non mi piace scordare qualcosa” spiegò la sig.ra Summers, sistemandosi la gonna sulle cosce. “Allora, conosci le regole”.
    Buffy sospirò di nuovo: “Sì, mamma”.
    “Bene. Niente feste selvagge, non stare alzata fino a tardi, non aprire la porta agli sconosciuti, non ...”.
    “Mamma! Lo so” insisté Buffy, interrompendo il blaterare della madre.
    “Va bene, mi fido di te” ammise la sig.ra Summers, inspirando a fondo e passando una mano sul viso della figlia prima di darle un bacio veloce sulla fronte. “Comportati bene”.
    “Sempre” disse Buffy alando gli occhi al cielo, poi raccolse una delle borse della madre e aprì la porta.
    “Ricordati, se ci sono problemi chiamami. Il numero dell’albergo è vicino al telefono” disse la sig.ra Summers prima di salire in taxi.
    “Lo so” risopse Buffy. “Adesso vai. Non preoccuparti”.
    “Sarò di ritorno domani sera” disse Joyce, chiudendosi la portiera alle spalle. “Cerca di stare fuori dai guai fino ad allora”.
    “Fai buon viaggio”.
    “Ciao tesoro”.
    Buffy salutò con la mano il taxi che si allontanava: “Ciao”.

    Buffy si strofinò contro la manica di cuoio di Spike, mormorando qualcosa di incomprensibile.
    “Puoi ripetere?” chiese l’inglese, sogghignando.
    “Non voglio andare a lezione” ripeté lei, raddrizzandosi e massaggiandosi le tempie con i gomiti appoggiati sul tavolo.
    “Non sei la sola” disse a mo’ di sostegno Xander, che aveva appena finito il suo pranzo.
    “Ho chimica” protestò Buffy.
    “Matematica” ribatté semplicemente il bruno.
    Buffy sospirò forte, appoggiandosi allo schienale della sedia: “Vinci tu”.
    “Che cos’hai oggi?” chiese Willow.
    “Sono solo stufa della scuola” gemette la bionda, incrociando le braccia sul petto.
    “Poverina” disse a bassa voce Spike, strofinandole il naso contro il collo.
    Suonò la campanella e Buffy sprofondò ancora di più nella sedia, gemendo e facendo una smorfia.
    “Faremo meglio ad andare, o la sig.na Thacker ci ucciderà” disse Willow a Xander, alzandosi.
    Il ragazzo brontolò qualcosa, poi la seguì.
    Willow salutò con la mano la coppia che era rimasta seduta: “Ci vediamo dopo, ragazzi”.
    “Ciao rossa”.
    Spike si voltò nuovamente verso Buffy, massaggiandole una spalla: “Farai meglio ad andare anche tu”.
    “Io? E tu non hai lezione adesso?” chiese Buffy alzandosi ed uscendo dalla mensa con Spike che la seguiva dappresso.
    “No”.
    Lei capì che le stava nascondendo qualcosa dallo strano tono della sua voce e, piegando la testa di lato, sollevò un sopracciglio perfetto con aria interrogativa.
    “Io e Dru lavoreremo all’esperimento di biologia durante l’ora libera che abbiamo” mormorò lui.
    A questo punto Buffy sorrise appena.
    “Non devi evitare di parlarne, sai?” disse, alzando gli occhi al cielo.
    “Io ...”.
    “A me sta bene” lo interruppe Buffy, fermandosi davanti alla propria aula e posandogli le dita sulle labbra. “Ora, per quanto riguarda … argomenti più interessanti …” fece le fusa, sfiorandogli la nuca con le dita.
    “Sì ...?” rispose Spike con lo stesso tono, avvicinandosi e prendendola tra le braccia.
    “Mia madre è fuori città stanotte” disse lei, con gli occhi sgranati che le brillavano.
    “Ah, davvero ...?”.
    Buffy si accigliò. Non era esattamente la reazione che si era aspettata. La sua sorpresa era forzata ed innaturale. Dopo qualche secondo sotto lo scrutinio accusatore di Buffy Spike si arrese:
    “Lo sapevo già”:
    “Come?”.
    “Tua madre ha chiamato ieri mio padre per dirglielo. Gli ha parlato di un problema con le consegne che sono rimaste bloccate alla dogana di Los Angeles” spiegò Spike.
    “Non è divertente, volevo farti una sorpresa!” si imbronciò appena lei, tamburellando sul pavimento con un piede.
    “Continui a dimenticarti che i nostri genitori escono insieme” ridacchiò lui.
    “Non è divertente!” ripeté Buffy e fece per andarsene; lui la afferrò per un braccio.
    “Prima stavi per dire qualcosa ... sul fatto che tua madre è fuori città e che questo è un … argomento interessante …” disse Spike guardandola maliziosamente e inarcando il sopracciglio sfregiato.
    Buffy si limitò a scuotere la testa.
    “E dai Buffy” insisté lui, prendendola di nuovo fra le braccia.
    “Stavo per chiederti se ... volevi ... non so” disse lei, passandogli un dito sul bavero dello spolverino e sollevando gli occhi su di lui. “Forse … venire a cena e … rimanere?”.
    Spike socchiuse gli occhi e si morse un labbro. La sua proposta era estremamente tentatrice e gli appariva anche più interessante per la maniera timida e nervosa con cui lei l’aveva fatta.
    “Stai dicendo che cucinerai per me, Summers?” chiese, allusivo.
    “V-veramente no” rispose Buffy, un po’ imbarazzata. “Non so cucinare. Ma sono espertissima nell’ordinare al ristorante cinese. Che ne dici?” chiese, guardandogli il torace.
    Lui la costrinse a guardarlo, sollevandole il mento con l’indice.
    “Mi piacerebbe” acconsentì, baciandola.
    Furono costretti a separarsi da qualcuno che si raschiava rumorosamente la gola.
    “Sig.na Summers ci piacerebbe molto se lei ci raggiungesse, non appena riuscirà a salutare il suo ragazzo”.
    “Mi dispiace!” mormorò Buffy, allontanandosi goffamente da Spike.
    “Ci vedia...”. Spike si interruppe quando qualcuno lo prese per un braccio. Voltandosi vide Dru che gli si aggrappava, posandogli la testa sulla spalla.
    “Eccoti qui, mio dolce principe. Ti ho cercato dappertutto. Avevo paura che ti stessi nascondendo, cattivo che non sei altro” disse la ragazza nero vestita in tono infantile, dandogli uno schiaffetto sul petto.
    Buffy rimase a fissare i due, mentre lo stomaco le si contorceva violentemente.
    La sua espressione fece fremere Spike.
    “Ci vediamo dopo, va bene?” chiese.
    Lei si limitò ad annuire.
    “Hai le prove della recita, oggi?”.
    Lei annuì nuovamente.
    “verrò a casa tua alle sette, va bene?”.
    “Sig.na Summers, sta venendo?”.
    Buffy fece un salto per il tono severo dell’insegnante, poi si voltò ed entrò in classe.

    Stava sistemando le lenzuola appena stirate sul letto, canticchiando stonata; le tirò da un lato e dall’altro, stendendole sul materasso in maniera tale che non vi fosse nessuna piega a rovinarne la superficie. Poi, lasciando cadere le braccia ai lati del corpo, esaminò la propria camera da letto. Sorrise vedendo le candele piazzate strategicamente intorno al letto, sul comodino e sul davanzale della finestra. Ne prese una e, portandosela al naso, inspirò a fondo.
    “Cannella e vaniglia! Una combinazione perfetta!” pensò, ridacchiando appena; poi guardò la sveglia. “Le sette e dieci. Mi chiedo come mai sia in ritardo. Forse si sta solo rinfrescando, in maniera tale da essere più appetibile” si chiese.
    In quel momento suonò il campanello, e lei fece le scale saltellando. Il suo ampio sorriso si sbriciolò quando vide Chen, il ragazzo del ristorante cinese. Lo pagò velocemente e prese le varie scatole che lui le porgeva, sforzandosi di sorridere.
    Con tutta calma tolse il cibo dalle scatole e lo mise in vari piatti e ciotole, poi mise tutto sul tavolo. Quando ebbe finito erano le sette e mezza. Squillò il telefono e lei andò a rispondere di corsa.
    “Pronto?”.
    Dall’altro capo del filo sentì la voce di Spike: “Hey Buffy, sono io”.
    “Sei in ritardo” lo rimproverò lei.
    “Lo so. Mi dispiace”.
    Il tono di lei da aspro divenne morbido: “Bè, ti ci vorrà *un bel po’* per farti perdonare”.
    Spike esitò appena: “Ah ... per quello ...”.
    Lei si accigliò subito: “C’è qualcosa che non va?”.
    “È solo che ...”.
    “Il cagnolino della mamma ci metterà ancora molto? Mamma non è contenta …”.
    Buffy praticamente si soffocò, disgustata, nel sentire la voce non del tutto normale in sottofondo. “È … è Dru?”.
    “Sì, abbiamo dovuto ...”.
    “Che cosa ci fa a casa tua alle sette e mezza di sera?” chiese lei, cercando di calmarsi.
    “È quello che stavo cercando di spiegarti” brontolò lui. “Dru non ce l’ha fatta questo pomeriggio e quindi non abbiamo potuto lavorare sul progetto e adesso ci stiamo rimettendo in pari” spiegò velocemente.
    “Cosa vuol dire che non ce l’ha fatta? Era con te quando mi hai lasciato a lezione di chimica?” continuò ad interrogarlo Buffy, alzando via via la voce al ricordo dell’immagine di Dru aggrappata al braccio di Spike.
    “Già. Bè, conosci Dru”.
    “No, non la conosco. Spiegamelo” disse lei, con voce grondante sarcasmo, mentre Dru ridacchiava come una pazza in sottofondo.
    “Bè, si è ricordata all’improvviso che aveva qualcosa da fare e ...”.
    Eccola di nuovo! Una risatina! Che cosa aveva da ridacchiare quella sciacquetta incolore? Che cosa stava facendo? Dio, odiava tutto questo; veramente. Per quanto cercasse di ficcarsi in testa che le andava bene, non le andava affatto bene, soprattutto ora.
    La prima cosa che sentì quando finalmente si risintonizzò sulla voce di Spike fu: “Va bene?”.
    “Scusa, non ho sentito cosa hai detto” si scusò, premendosi le dita all’apice del naso.
    “Ti ho chiesto se ti va bene che venga più tardi … Dru, la vuoi smettere?”.
    Quella era l’ultima goccia! Buffy si sentì esplodere la testa.
    “Non disturbarti” disse aspra. “La cena si è già sfreddata per cui è meglio che tu non venga affatto”.
    “Ma amore, possiamo ancora ...”.
    “Lascia perdere Spike. Ci vediamo domani, va bene?”.
    “Ma ...”.
    “Spike, ho detto lascia perdere, va bene?”.
    Ci fu un momento di silenzio seguito da un sospiro di frustrazione, poi Spike chiese con voce abbattuta:
    “Sei sicura che non vuoi che venga?”.
    “Sono sicura” rispose lei, in tono deciso.
    “Va bene, allora ci vediamo domani”.
    “Come ti pare” brontolò Buffy, prima di sbattere giù la cornetta.
    Sentendo il segnale di occupato Spike sospirò ancora, poi rimise a posto la cornetta. Si passò le mani fra i folti riccioli, poi gettò un’occhiata al soggiorno. Lo scrutò da cima a fondo un paio di volte, ma non trovò Dru. Si alzò dalla sedia su cui stava seduto, brontolando qualcosa di incomprensibile.
    Gridò: “Dru?” ma non vi fu risposta. “Dru?” ripeté, e sentì una risatina dal piano di sopra.
    Aggrottò la fronte, seccato, e salì su per le scale rendendosi conto che il suono proveniva dalla sua camera da letto. Inspirò a fondo, poi aprì la porta ed entrò. Lei era seduta sul davanzale, che fissava senza espressione il buio della notte.
    La chiamò di nuovo: “Dru?”.
    “Il mio dolce principe oscuro è venuto ...” fece le fusa lei, saltando giù dal davanzale e avvicinandosi con passo ondeggiante. Gli passò le unghie sul petto, come un felino a caccia.
    “Dru ... Che cosa stai facendo?” chiese lui, chiudendo gli occhi per un attimo.
    Senza rispondere lei gli posò la testa nell’incavo del collo, strofinandovi il naso.
    Il profumo di lei lo avvolse, mentre la sua pelle morbida lo sfiorava. Era difficile ammetterlo ma, in quel momento, in qualche modo, aveva nostalgia di lei. Strinse le mani a pugno e chiese:
    “Che cosa vuoi, Dru?”.
    “Non ti mancano i nostri giochi ... Mammina vuole giocare …” mormorò lei, facendo scorrere lentamente un dito lungo il suo stomaco, fino alla cintura dei jeans.
    Era troppo! In un lampo le afferrò i polsi e la spinse lontano.
    “Vai a casa, Dru” disse a bassa voce, in tono aspro. “Non voglio giocare”.
    “Ma ... le voci che mi sussurrano all’orecchio mi dicono ...”.
    “Me ne frego maledettamente di ciò che quelle dannate voci ti sussurrano all’orecchio” ringhiò lui, spingendola fuori dalla stanza e trascinandola giù per le scale. Quando arrivarono alla porta principale disse: “Fuori!”.
    “È quella strega!” sibilò lei, socchiudendo gli occhi. “Ha lanciato dei piccoli incantesimi maligni sulla tua bella testolina. Cercando di spingerti lontano da me, cercando di farti smettere di amarmi”. Si avvinghiò a lui, agitando una mano intorno alla sua testa e disse in tono infantile: “Ma io so che mi ami ancora … Mammina lo sa”. Si staccò da lui con un sorriso da pazza ed andò alla porta dicendo: “Lo capirai … So che lo capirai”.
    Lui riuscì appena a dire: “È finita Dru”. C’era qualcosa in lei che ancora aveva effetto su di lui. Era difficile scordare il primo amore, soprattutto dato che era durato così a lungo.
    L’ultima cosa che disse lei, prima di chiudere la porta, fu: “Ci vediamo dall’altro lato della tempesta, principe”.
    Spike si limitò a sospirare e si appoggiò alla porta per qualche minuto, finché questa non venne aperta. Si spostò velocemente e vide il padre che entrava.
    “Hey papà” salutò, senza molto entusiasmo.
    “Ciao William” rispose automaticamente Giles. Vedendo la strana espressione del figlio si fermò per un attimo e chiese: “Va tutto bene?”.
    “Sto bene” mormorò lui, trascinandosi su per le scale.
    “Dato che sono rientrato un po’ tardi pensavo di ordinare da mangiare!” gli gridò dietro Giles.
    “Come ti pare. Non ho fame” brontolò Spike, andando in camera sua.
    L’uomo più anziano si accigliò. In suo figlio c’era decisamente qualcosa che non andava, dato che non era sollevato all’idea di non dover mangiare il cibo cucinato dal padre. E che cosa ci faceva in casa? Joyce non era fuori città? Si era immaginato che i due ragazzi avrebbero fatto salti di gioia per la possibilità di avere la casa tutta per loro. “Decisamente c’è qualcosa che non va” pensò Giles, iniziando a consultare l’elenco del telefono.

    Spike mise giù il telefono per la quinta volta. Perché non rispondeva? Rotolò su un fianco, trovandosi di fronte un vecchio poster dei Sex Pistols. Per un attimo chiuse gli occhi ma il suo tentativo di dormire fu interrotto da un lieve bussare alla porta.
    “Sì?” brontolò.
    “La cena è in tavola” annunciò Giles, aprendo la porta.
    “Non ho fame” replicò succinto Spike.
    “Certo che ne hai” insisté Rupert entrando nella stanza ed avvicinandosi al letto.
    “Va via papà” mormorò Spike, girandosi bocconi e affondando la testa nel cuscino.
    “Smettila subito con queste sciocchezze e vieni giù” disse Giles, in tono più autoritario.
    “Non ...”.
    “William, hai litigato con Buffy e non vuoi parlarne. Va bene! Ma non ho intenzione di far andare mio figlio a letto affamato per un qualche stupido litigio con la sua ragazza. Adesso vai a lavarti e scendi entro due minuti” insisté Giles, prima di uscire dalla stanza per andare in soggiorno.
    Nel giro di cinque minuti il ragazzo entrò nella stanza e si accasciò su una sedia. Neanche la vista della pizza sul tavolo ne migliorò l’umore ma ne prese un pezzo e la morse svogliatamente. Durante la cena due rimasero in silenzio, finchè Giles non lo ruppe, chiedendo:
    “Ti va di parlarne?”.
    “No” si limitò a replicare Spike senza preoccuparsi di guardare il padre.
    Giles annuì e continuò a mangiare. Non appena terminato il ragazzo si alzò e fece per andare di sopra ma fu bloccato dalla voce del padre:
    “William, tocca a te fare i piatti”.
    Senza aggiungere altro Rupert si alzò e andò nel suo studio.
    Brontolando e imprecando sottovoce Spike iniziò a prendere i piatti e a portarli in cucina.

    Salì le scale lentamente, strofinandosi le mani sugli occhi. Era stanco e non voleva far altro che dormire. Sapeva che non ci sarebbe riuscito. Odiava litigare con lei. Ancora peggio, non sapeva neanche se la loro conversazione telefonica poteva essere classificato come litigio. Il fatto che lei non stesse rispondendo al telefono gli diceva di sì.
    Aprì la porta della propria camera da letto sospirando forte. Non si preoccupò nemmeno di accendere le luci; la fievole lice lunare che entrava dalla finestra aperta gli bastava per muoversi nella stanza. Si tolse la maglia e la gettò sulla cassettiera, poi si slacciò la cintura e si sbottonò i jeans. Si spogliò completamente poi, si trascinò a letto e vi si lasciò cadere sopra. Rimase seduto per qualche secondo, pensando a quello che era successo nel corso della giornata e chiedendosi che cosa aveva fatto di sbagliato. All’idea che in quel momento avrebbe potuto essere nel letto di lei, fra le sue braccia, il rimpianto lo colpì allo stomaco. Era tutta colpa di Dru, decisa alla fine sdraiandosi sul letto e raggomitolandosi sotto le coperte.

    Si rese conto che il materasso si stava spostando lentamente sotto di lui. Il cuore cominciò a battergli furiosamente nel petto e nella sua testa, in parte ottenebrata dal sonno, cominciarono a formarsi una serie di scenari, tutti grotteschi e terrificanti. C’era qualcuno in casa, nella sua stanza, che ora si stava facendo strada lentamente nel suo letto. Sentendo un corpo femminile che gli si premeva contro la schiena, i palmi delle mani gli si inumidirono di sudore. Era un corpo decisamente nudo e decisamente familiare, con un profumo altrettanto familiare. Era il profumo di *lei*. Dita leggere si muovevano sul suo stomaco, tracciando segni irriconoscibili sulla pelle morbida, ed il suo cuore accelerò, ma stavolta per un motivo completamente diverso.
    Labbra calde si avventarono sul suo collo, e una lingua umida gli si insinuò nell’orecchio; non poté fare a meno di ringhiare. Quando la mano che fino a quel momento gli aveva danzato sull’addome scivolò ulteriormente sul suo corpo, per poi chiudersi intorno all’uccello che gli si stava indurendo, si lasciò sfuggire un gemito dalle labbra semiaperte e chiuse gli occhi. Strinse i denti in risposta alla duplice sensazione: la lingua calda che giocava con il suo orecchio e la mano che si muoveva su e giù, con un ritmo lento e tormentoso. Cercò di resistere al bisogno intenso di voltarsi e di rispondere a quelle attenzioni, serrando le mani a pugno sulle lenzuola bianche che lo avvolgevano e quasi le strappò nel tentativo di evitare di spingere i fianchi contro la mano che si muoveva su e giù lungo il suo sesso.
    Sentì un gemito lieve nell’orecchio ed i seni di lei premuti contro la schiena e non ce la fece più: si voltò di colpo sulla schiena e incollò le labbra a quelle semiaperte di lei. Non attese alcun segnale e colse l’opportunità di insinuarle la lingua in bocca spingendo famelico, posandole una mano sulla nuca per attirarla a sé.
    Ben presto respirare divenne problematico e la donna, che ora gli stava sopra, si tirò indietro ansante, mentre lui le tracciava una scia di baci sul collo.
    Spike le sfiorò la gola con i denti, inspirando a fondo il profumo che lo circondava. Il profumo che amava … il profumo di lei …
    Poi mormorò contro la sua pelle: “Dru ...”.


    CAPITOLO 44
    Nel momento stesso in cui le parole gli uscirono di bocca Spike sentì il corpo sopra il suo irrigidirsi e scostarsi bruscamente.
    Il silenzio fu interrotto da una voce offesa: “Come?!”, mentre una figura minuta si staccava da lui, portandosi via le lenzuola.
    Senza dire niente Spike allungò un braccio verso il comodino e accese l’abatjour. La stanza, prima immersa in una luce azzurra, si riempì di sfumature gialle e arancio. Si spostò e vide Buffy che, inginocchiata sul materasso, si stringeva le lenzuola bianche contro il petto e lo fissava con occhi sgranati.

    Buffy sentì il cuore che le si fermava improvvisamente, per la parola che gli era sfuggita dalle labbra. Per un attimo non seppe come comportarsi o cosa fare. La sua mente si svuotò completamente, mentre cercava di rendersi conto delle conseguenze di quello che lui aveva appena detto. Non si rese nemmeno conto di aver risposto, con un’unica parola rabbiosa.
    Dopo un po’ riuscì a muoversi, e si affrettò a scostarsi da lui. Lo guardò mentre, alla luce della luna, si voltava con calma verso il comodino e accendeva la luce. Non si preoccupò nemmeno di socchiudere gli occhi, quando l’improvviso lampo di luce proveniente dalla lampada la investì. Rimase perfettamente immobile, poi lui si voltò verso di lei. Sul suo viso vide l’ultima cosa che si era aspettata … un sorriso. Meglio ancora, un sogghigno; un sogghigno arrogante e infuriante. Che cosa aveva da sogghignare?
    Si fissarono l'un l’altra, finché Spike non poté fare a meno di ridacchiare. Buffy continuò a fissarlo, decisamente confusa.
    “Che cos’hai da sorridere?” ringhiò.
    “La tua reazione” rispose semplicemente lui, avvicinandosi a lei che, per tutta risposta, saltò giù dal letto e rimase in piedi là accanto, con le lenzuola strette al petto. “E dai, passerotto …” fece le fusa lui, avvicinandosi all’orlo del letto.
    Con gli occhi che sembravano volergli trapassare il petto, Buffy affermò l’ovvio: “Hai detto il suo nome!”.
    Lui ridacchiò di nuovo e lei sgranò ancora di più gli occhi.
    “Pensi che sia divertente? Hai pensato che fossi lei” disse, offesa.
    “Credi davvero che io abbia pensato che tu fossi lei?” chiese lui, sdraiandosi nuovamente.
    “Sì!” rispose subito lei.
    “E dai Buffy, sapevo che eri tu dal momento in cui mi hai toccato” sospirò lui, sorridendo ancora.
    “Ceerto” rispose lei, con voce grondante sarcasmo. “È per questo che hai detto il *suo* nome”.
    “L’ho fatto apposta” spiegò lui, allungandosi ancora una volta a toccarla, mentre lei si allontanava dal letto e da lui.
    “Invece no! Era buio, non puoi avermi riconosciuto ...”.
    Si interruppe di colpo, perché lui all’improvviso era saltato giù dal letto e le si era parato di fronte, prendendola fra le braccia.
    “Primo: fa piano o sveglierai mio padre. Secondo: ti riconoscerei anche se fossi sordo, scemo *e* cieco” mormorò lui, chinandosi a strofinarle il naso nell’incavo ella spalla. “Dio, quanto mi piace il tuo odore, Summers”.
    La rabbia di lei sfumò, mentre il corpo nudo di lui premeva contro il suo e le sue labbra calde le tracciavano una scia di baci sul collo. Mentre la spingeva verso il letto le tornò il ricordo di lui che mormorava il nome di Dru, allora lo colpì al braccio, per poi staccarsi da lui,
    Si mosse rapida per la stanza finché non riuscì a mettere il letto tra loro, simile ad un pinguino drogato nella sua lotta con le lunghe lenzuola che la avvolgevano. Così andava meglio! Da quella distanza riusciva a pensare logicamente. Respirò forte per lo sforzo, poi parlò sarcastica:
    “Quindi dovrei credere che per tutto il tempo tu sapevi che ero io, e che hai detto il suo nome solo per farmi incazzare seriamente, praticamente annullando ogni possibilità di fare del sesso stanotte?”.
    “Se la metti così ... non molto furbo, vero?” chiese lui, grattandosi la testa. “A pensarci bene ho la tendenza a dire le cose più stupide nei momenti meno opportuni”.
    “Eccome” confermò lei, la bocca atteggiata ad una linea dura.
    Rimasero in silenzio per un po’, poi Spike piegò la testa di lato e mise il broncio come un bambino.
    “Mi dispiace! È stato un pessimo scherzo” si scusò, superando il letto per raggiungerla.
    “E no! Dire che ti dispiace non basta, signorino. Che …” annunciò lei, camminando all’indietro.
    Spike si portò immediatamente l’indice alle labbra, facendole segno di tenere bassa la voce.
    “Che cosa faresti se io mormorassi il nome di Angel mentre ... lo facciamo” sibilò lei a voce più bassa, indicando il letto.
    Spike esaminò la questione per qualche secondo. La sola idea di quello scenario era sufficiente a torcergli lo stomaco e a fargli scorrere il sangue più velocemente. Si accigliò e fece una smorfia.
    “Mi dispiace, io non ...”.
    Il ragazzo si interruppe al rumore di una porta che si apriva, seguito da quello di passi lungo il corridoio. I due si immobilizzarono in attesa mentre il rumore aumentava e poi si allontanava. Dopo qualche attimo di silenzio, si sentì il rumore familiare di uno sciacquone, seguito da passi e dallo scricchiolio di una porta che si chiudeva.
    Buffy rimase incollata al punto in cui si trovava, sforzandosi di sentire qualcosa. Spike colse l’attimo e, in un lampo, la intrappolò di nuovo fra le sue braccia, passandole la bocca sul collo e facendola ansimare.
    “È stata una stupidaggine ... Mi dispiace ... Non lo farò mai più ... promesso” mormorò fra un bacio e l’altro, prima di arrivare al lobo dell’orecchio.
    Senza preavviso insinuò una mano fra le lenzuola, a cercare la pelle morbida della coscia destra di lei, mentre con l’altra mano continuava a tenerla per la vita, sostenendola mentre le ginocchia le cedevano all’improvviso.
    “Non ho ...”. Lei tentò di parlare ma il fiato corto e la sensazione delle sua dita che le percorrevano lentamente l’interno coscia, salendo verso l’alto, le annebbiavano la mente e le rendevano difficile pensare, figuriamoci dire qualcosa di coerente. “Non ho smesso di essere arrabbiata …”. Sentì l’orlo del letto contro le ginocchia e ansimò prima di cadere sul materasso, subito seguita dal corpo nudo di Spike. “ … con te”.
    “Mi dispiace ...” ripeté lui, concentrandosi sul punto che si trovava esattamente dietro il lobo dell’orecchio di lei e tirando fuori la lingua per leccarlo. “Ero solo incavolato perché tu …” – bacio – “non rispondevi al maledetto …” – leccatina – “telefono”.
    La risposta di lei, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere intelligente ed arguta, risultò debole e senza fiato: “Ero impegnata a venire qui … a farti una sorpresa. Ma tu dovevi rovinarla e …”. La sua rabbia, appena ritrovata, si dissolse quando la bocca di lui assalì la sua in un bacio famelico, infilandole la lingua tra le labbra ad esplorargliela.
    Quando finalmente la mano di lui raggiunse il suo obiettivo e prese a tastarle il sesso, umido e gonfio, staccò la bocca dalla sua e inspirò a fondo.
    Lui la guardava, affascinato, mentre gli spingeva smaniosa i fianchi contro la mano, tenendo gli occhi chiusi e le sopracciglia aggrottate. Giocherellò con le dita, percorrendo i contorni del suo sesso, provocandola senza pietà, senza darle ciò di cui aveva bisogno, fino a farla gemere e supplicare.
    “Per favore ...” bisbigliò lei, fra un ansito e l’altro, inarcandosi contro la sua mano.
    “Per favore cosa?” chiese lui, provocatorio, anche se dentro di se aveva dovuto ricorrere a tutta la forza che era riuscito a racimolare per evitare di rispondere alla sua silenziosa richiesta.
    Lei non rispose, limitandosi a continuare ad ansimare ed a mugolare. Trattenne il respiro, mentre lui si chinava a bisbigliarle qualcosa all’orecchio.
    “Come hai potuto anche solo pensare che io volessi qualcun’altra?” chiese lui con voce rauca e tesa, continuando a giocherellare con lei con le dita. “Non sai che sei tutto ciò a cui penso, Summers?” continuò, avvicinandosi sempre di più all’apertura del suo sesso ed insinuando l’altra mano fra i loro corpi, per tirar via le lenzuola e scoprirla completamente. “Sei tutto ciò che vedo …”. Ora incombeva su di lei e le infilò una mano tra i capelli, costringendola a guardarlo. “Tutto ciò che gusto …”. La sua voce si incrinò appena mentre le faceva finalmente scivolare dentro un dito; lei chiuse gli occhi e gemette, inarcando la schiena e spingendo in alto i seni nudi, fino a sfiorargli il torace. “Tutto ciò che sento” riuscì a terminare lui, chinandosi a baciarla.
    Mentre le loro lingue lottavano per il predominio, Spike muoveva il dito dentro di lei, esplorandola fino a trovare il punto giusto, facendola gemere contro la sua bocca.
    Sentendo il dito di lui scivolare fuori dal suo corpo lei mugolò di protesta ma, mentre lui si sistemava fra le sue gambe, fu invasa da un misto di sollievo e aspettativa. Trattenne ancora una volta il respiro, quando lui la sfiorò con la punta dell’uccello. Lui la guardò per qualche secondo, poi mosse i fianchi in avanti e si spinse dentro di lei. Entrambi ansimarono per la combinazione perfetta. Non ci volle molto poi perché lui iniziasse a muoversi dentro e fuori dal suo corpo, con un ritmo lento che toglieva il fiato.
    Spingeva i fianchi contro i suoi tenendo i gomiti sul materasso, ai lati della testa di lei, mentre la testa gli ciondolava in avanti e gli occhi gli si rovesciavano all’indietro per l’intensità del contatto. Dopo un po’ riuscì a trovare il controllo di cui aveva bisogno, si abituò al calore di lei e riuscì a controllare il proprio respiro irregolare. Istintivamente cercò con la bocca quella di lei, per un bacio bruciante, aumentando il ritmo dei suoi movimenti.
    Dopo un po’ il bisogno d’aria si fece intollerabile, e lei fu costretta a staccarsi dalle sue labbra. Deglutì a fatica, con gli occhi sgranati, e continuò ad inspirare a fondo in un vano tentativo di controllare il proprio respiro. La vista di lui che, sopra di lei, teneva la testa china e gli occhi chiusi, contraendo e rilasciando la mascella, era quasi troppo, e la fece ansimare.
    Quando una delle sue spinte arrivò più a fondo, gemette e sentì il proprio sesso stringersi intorno a lui.
    Gli portò immediatamente le mani alla schiena, graffiandolo, mentre le sensazioni dentro di lei diventavano intollerabili. Sollevò la schiena e, per evitare di gridare, gli morse una spalla. Sgranò gli occhi, mentre lui le ansimava all’orecchio, con voce aspra e rauca per l’emozione:
    “Non sai che non potrei mai volere qualcun’altra? Come puoi anche solo pensare che …”. Si interruppe, perché gli era impossibile pensare con chiarezza mentre il sesso di lei lo stringeva. “Come hai potuto …? Dio, Buffy … sei tu tutto ciò che voglio … tutto il tempo … in ogni momento. Sempre tu!”. Spinse più forte e lei gli affondò nella carne le unghie e i denti.
    Alla fine lei venne con un grido soffocato, contraendosi violentemente intorno al sesso di lui, che la seguì ben presto. Si aggrapparono l’uno l’altra con tutta la forza che avevano, mentre l’orgasmo si abbatteva sui loro corpi tremanti. Buffy si staccò completamente dalla realtà, come se tutto fosse svanito e fossero rimasti soltanto lei e l’uomo che, ansante, giaceva sopra di lei. Una calma dolce li invase, mentre tutta la loro forza spariva, lasciandoli esausti e piacevolmente deboli.
    Per qualche attimo rimasero completamente immobili. Il primo a muoversi fu Spike che, di malavoglia, scivolò fuori dal suo corpo e rotolò di lato, sulla schiena. Sentendola stirarsi al suo fianco sorrise dolcemente, mentre lei gli metteva le braccia intorno alla vita e, nuda e sudata, gli si rannicchiava contro un fianco. Gli posò la testa sulla spalla, strofinandogli di tanto in tanto il naso contro l’incavo del collo, poi esalò:
    “Angel…”.
    Spike si irrigidì all’istante. Era sul punto di protestare, poi la sentì sorridere.
    “Chi di spada ferisce ...” disse lei, sollevando lo sguardo su di lui e posandogli il mento sul torace, incapace di reggere il peso della propria testa.
    “Non è divertente, passerotto” brontolò lui, accigliandosi e mettendosi un braccio sotto la testa per potersi sollevare a guardarla.
    “Hai cominciato tu” precisò lei.
    “Ho detto che mi dispiace” mormorò lui, mettendo il broncio per gioco.
    Lei sospirò e lasciò cadere la testa sul suo torace, con gli occhi al livello dell’addome perfetto e i capelli sudati che aderivano alla sua pelle umida. Con un dito gli percorse i contorni dell’ombelico pensando ad alta voce:
    “Avrei dovuto farti soffrire più a lungo, con quello che hai fatto”.
    “Non ha senso resistermi. Semplicemente sono troppo dannatamente sexy”.
    A questo punto lei ridacchiò sarcastica e sollevò il mento per poterlo di nuovo guardare in faccia.
    “Egocentrico!”.
    “Non posso farci niente se è vero” rispose lui, sogghignando arrogante.
    “Non sei irresistibile” ribatté lei.
    “*Sai* che lo sono”.
    “Uff ...” mormorò lei. “Non *così* irresistibile”.
    Lui ridacchiò, poi tornò il silenzio. Lei teneva lo sguardo fisso sul suo torace, giocherellando con un dito con le sue clavicole.
    Alla fine chiese: “Che cosa stava facendo?”.
    “Chi?” chiese lui, aggrottando le sopracciglia.
    “Dru”. Vedendo che lui appariva ancora confuso, lei chiarì: “Quando eravamo al telefono ... stava ridacchiando, e tu le hai detto di smettere”. A questo punto osò sollevare lo sguardo su di lui.
    “Niente” rispose lui, senza ricambiare lo sguardo.
    Senza preavviso Buffy si alzò e scese dal letto, poi cominciò a radunare i propri abiti senza sollevare lo sguardo da terra.
    “Che cosa stai facendo?” chiese lui, nuovamente perplesso.
    “Cerco i miei vestiti” rispose asciutta lei, che aveva appena trovato la biancheria e se la stava infilando.
    Quando Spike riuscì a scendere dal letto si era già infilata i jeans e si stava sistemando il reggiseno.
    “Buffy, dove stai andando?” chiese lui, seguendola su e giù per la stanza mentre lei cercava la propria maglia.
    Dove diavolo l’aveva messa? Era abbastanza sicura di aver lasciato i vestiti appallottolati in un unico posto prima di commettere l’*enorme* errore di infilarsi nel suo letto. A-ha! Ecco dov’era. letto!
    Si era appena chinata a raccoglierla che una stretta al polso la costrinse a voltarsi a guardarlo.
    “Cosa ho fatto adesso?” chiese lui.
    “Stai mentendo. Ecco cosa stai facendo” scattò lei.
    “Mentendo? Non sto mentendo. Perché credi che stia mentendo?”.
    “E allora perché non mi dici che cosa stava facendo?” chiese lei trionfante, sollevando il mento.
    Lui sospirò forte, poi la lasciò andare lasciando cadere le braccia ai lati del corpo in segno di sconfitta: “Vuoi sapere che cosa stava facendo? Va bene, si stava aggrappando al mio braccio”.
    Lei si limitò a guardarlo malissimo poi, infilatasi la felpa, marciò verso la porta della camera e la spalancò.
    “Buffy, dove stai andando?” chiese di nuovo lui esasperato, affrettandosi a trovare un paio di jeans, infilarseli e mettersi uno scarpone slacciato prima di andarle dietro.
    Evidentemente la loro piccola discussione era riuscita a svegliare Giles che, facendo capolino in corridoio, vide Buffy che, davvero incavolata, veniva verso di lui mentre suo figlio le saltellava dietro a petto nudo tentando, a quanto sembrava, di infilarsi uno scarpone.
    “Buffy ...?” disse con voce assonnata, strofinandosi gli occhi.
    “Salve Giles. Buonanotte Giles” salutò Buffy, continuando a scendere le scale.
    Vedendo l’espressione perplessa del padre Spike si limitò a sollevare una mano, bloccando sul nascere qualunque possibile domanda dell’uomo.
    “Ti spiegherò più tardi” gli assicurò, seguendo la ragazza giù per le scale e fuori dal portone, dopo essere finalmente riuscito a mettersi lo scarpone
    “Buffy ...” sospirò, vedendola correre lungo la strada.
    Inspirò a fondo, poi le corse dietro. Sfortunatamente si rese ben presto conto che correre dietro alla propria ragazza incazzata è più facile se lo si fa con le stringhe alacciate, dato che in caso contrario hanno la tendenza a farti inciampare. Brontolando imprecazioni si chinò e si allacciò le stringhe, poi si alzò per seguirla. Quando ebbe finito lei non si vedeva più. Non ci voleva un genio per capire dove stava andando per cui, dopo un po’, la raggiunse vicino a casa sua.
    “Buffy!” la chiamò, respirando affannosamente e rallentando per camminarle a fianco. “Nota bene: smetti di fumare o a trent’anni non riuscirai a fare il giro dell’isolato senza tossire fino a sputare un polmone”. “Buffy mi vuoi … *colpo di tosse* ... ascoltare?”.
    “Vai a casa Spike” disse lei, continuando a camminare.
    “No” disse lui, sollevando leggermente la voce ed afferrandola per un braccio per farla fermare.
    “Lasciami andare” lo avvertì lei a denti stretti.
    “Finché non avremo parlato no” rispose lui, stringendo più forte mentre lei si divincolava.
    Lei urlò: “Lasciami andare!”
    “No!”.
    Dall’altro lato della strada qualcuno gridò dalla finestra: “Volete abbassare la voce? C’è gente che cerca di dormire qui”.
    “Sta zitto” replicarono contemporaneamente i due.
    Buffy si liberò dalla sua stretta e riprese a camminare, mentre Spike la seguiva dappresso.
    Quando lei ebbe raggiunto i gradini del portico di casa la chiamò di nuovo: “Buffy ...”. Poi le gridò: “È stupefacente come tu possa passare dall'essere calda all’essere gelida, sai?”. Lei, ora in cima agli scalini, si voltò e lo vide fermo con le braccia allargate, in segno di sconfitta. “Dru ha provato a darmi una toccatina, e allora? Sai che problema! Non è che la checca non lo faccia *ogni* giorno” le ringhiò.
    “È per la recita” scattò lei di rimando.
    “Ah giusto. L’avevo dimenticato. Voi fate una recita e questo da ad Angel il diritto di darsi da fare con la *mia* ragazza” sibilò lui, socchiudendo gli occhi e piegando la testa di lato.
    Lei gli puntò pericolosamente contro un indice: “Te l’ho chiesto. Ti ho chiesto se ti andava bene e tu hai detto di sì!”.
    “Ti ho detto quello che volevi sentire. Volevi che mi andasse bene e io ti ho dato quello che volevi” gridò lui, facendo un passo verso di lei. “Ma tu … *Tu* ti incazzi tanto per il fatto che devo passare del tempo con Dru per uno stupido compito, ed è l’unica cosa che facciamo. Passiamo il tempo a lavorare su una stupida ricerca. Nient’altro! Niente a che vedere con la fiera degli sbacciuchiamenti che si svolge sul palcoscenico quasi tutti i pomeriggi”. Quando ebbe finito teneva le braccia larghe, puntate verso la notte.
    “Nient’altro? Hai appena detto che ha cercato di darti una toccatina” scattò lei.
    “Una toccatina! Appunto! Non ha cercato di controllarmi le tonsille con la lingua, maledizione” scattò di rimando Spike.
    “Quante volte te lo devo dire? È per quella stupida recita! Ci saremmo baciati … tre volte, davanti a *venti* persone. Non passiamo il pomeriggio insieme da soli, in una casa incustodita” ribatté Buffy.
    “Dunque devo passare del tempo da solo con lei. Non ti fidi di me?”.
    Lei lasciò ricadere le braccia ai lati del corpo in segno di sconfitta: “No. E sai perché? Perché io ed Angel abbiamo avuto una storia di tre mesi. Tre miseri mesi, non tre anni come te e Dru, e quando si hanno 17 anni tre anni sono tipo … un quinto della tua vita!”.
    “Due e mezzo" la corresse Spike. “Ed è più che altro un sesto”.
    “Ecco, probabilmente sai anche quanti giorni e quante ore siete stati insieme. Cosa c’è stato fra voi? Non potrò *mai* competere con quello. Eri pazzo di lei. Per amor del cielo, eri ai suoi piedi”.
    “Non voglio che tu competa con niente. E non ero ai piedi di nessuno”.
    “Invece sì. Ricordo di aver visto il modo in cui la guardavi e di aver odiato Angel perché non mi guardava allo stesso modo” insisté lei. “E adesso, tutto ad un tratto, dovrei credere che tu non la voglia più? Che tu non provi niente per lei?” chiese, mentre la voce le si spezzava appena per la tempesta di emozioni che la pervadeva.
    “Io voglio te” disse lui, in tono più calmo.
    “Dimmi che non provi niente per lei” chiese lei.
    Ci fu un lungo silenzio.
    “Non ... Non posso”.
    A questo punto Buffy contrasse le spalle, sconfitta.
    “Dru ... significherà sempre qualcosa per me ... È stata il mio primo amore” disse lui, paziente.
    “Continuo a pensare che se passerai abbastanza tempo con lei ti renderai conto ...”. Buffy deglutì a fatica, poi si sforzò di continuare: “Ti renderai conto che è ancora lei quella che vuoi. Lei … non io”.
    “Mai” esalò subito Spike.
    “Vai a casa Spike ...” mormorò lei, voltandosi per entrare in casa.
    Lui salì i gradini in un lampo e la strinse tra le braccia.
    “Lasciami andare, Spike” disse lei, con voce debole e stanca.
    “Non posso” la interruppe lui. “Sono innamorato di te, Summers”.

    CAPITOLO 45
    Buffy rimase immobile, a fissarlo con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta, mentre le sue parole le rimbombavano ancora nelle orecchie. Era ancora bloccata in una sorta di fumoso stupore quando lui parlò:
    “Buffy ...?”.
    Il cuore gli batteva freneticamente nel petto, come se volesse balzarne fuori, ed il sudore gli gocciolava lungo la schiena nuda. Quando una lieve folata di brezza lo fece rabbrividire, si rese conto che avrebbe dovuto afferrare una maglia prima di correrle dietro. Stava stringendo e rilasciando i pugni, nervoso ed irrequieto, in attesa di una sua reazione; ma lei rimaneva immobile di fronte a lui, rigida come un tronco, a fissarlo ad occhi sgranati. “Bene! Forse non era il momento giusto per dirglielo” pensò, nervoso. La sua mente andava a mille, pensando a tutte le possibili reazioni di lei. Quella che lei effettivamente aveva avuto, uno stato catatonico, non faceva che intensificare la sua disperazione.
    La chiamò di nuovo, con voce incerta: “Buffy …?”.
    Questa volta riuscì a sortire un qualche effetto: lei scosse la testa e sbatté le palpebre un paio di volte.
    “Sì?” chiese, cercando di non suonare troppo tesa, passandosi le mani tremanti sulla fronte e sforzandosi di sorridere nervosamente, mentre faceva saltellare lo sguardo su tutte superfici possibili, pur di evitare di incontrare quello di lui.
    “H-hai ...”. Lui deglutì a fatica, poi piegò la testa di lato e riprese: “Hai sentito quello che ho appena detto?”.
    Lei era completamente andata: “Ehm ... sì ... ehm ...”. In qualche modo aveva perso qualunque capacità di parlare, o forse era il nodo che le si stava formando alla base della gola che le stava rendendo impossibile respirare, figuriamoci parlare. “Ehm … è tardi!” se ne uscì all’improvviso, incontrando finalmente lo sguardo di lui. “Devo andare. Buonanotte”.
    Un attimo dopo se n’era andata sbattendogli in faccia la porta e lasciandolo là in piedi sul portico ... a petto nudo, nel bel mezzo della notte.
    Lui impiegò alcuni secondi a riprendersi, poi si mosse praticamente in automatico, allungando l’indice a premere il piccolo pulsante sullo stipite della porta.
    Buffy si appoggiò alla porta, respirando affannosamente mentre il cuore le batteva ad un ritmo innaturale. Decisamente non era una cosa che poteva affrontare in quel momento. Non in quel momento. Lui la amava? Come? Scosse la testa, respingendo la miriade di domande che le affollava la mente. Quando il campanello suonò di nuovo fece un salto, poi sentì che lui la chiamava.
    Stava gridando: “Buffy, hai davvero intenzione di lasciarmi qui fuori, mezzo nudo, per tutta la notte?”.
    Non ci fu risposta.
    “Buffy!”.
    Dalla porta fece capolino una testolina bionda.
    “Vuoi abbassare la voce?” sibilò lei, facendolo entrare. “Sveglierai tutto il vicinato. Non c’è bisogno che gridi”. Si sforzò di respirare a fondo, nel vano tentativo di apparire calma, poi alzò gli occhi al cielo, evitando ancora una volta di incontrare lo sguardo di lui.
    “Ti ho appena detto che sono innamorato di te e tu mi hai sbattuto in faccia questa maledetta porta. Come dovrei reagire?” chiese lui, chiaramente esasperato.
    “Bè, che cosa ti aspettavi? Non sono cose che si dicono ad una ragazza nel bel mezzo di un litigio” spiegò lei, cominciando a balbettare. “Tu-tu non puoi dire una cosa come *quella* come se niente fosse”. Muovendo freneticamente le braccia, agitandole in aria, continuò a blaterare: “Non è qualcosa che … si dice e basta, sai? V-voglio dire un momento stiamo litigando alla grande e il momento dopo stai dicendo …”. Lottò con le parole: “*Lo* … stai dicendo. Tu … io non me l’aspettavo. I-io ...”. Scosse la testa e, accigliandosi, ripeté convinta: “Non puoi dirlo e basta”.
    “Buffy io ti a...”.
    “Invece no!” lo bloccò a metà frase lei. Lui la stava fissando ad occhi sgranati.
    “Che cosa?” chiese, con voce debole.
    “Invece no”.
    “Eh?”. Adesso era confuso.
    “Tu non ...”. Le parole le si bloccarono in gola e non riuscì a finire la frase.
    Spike continuava a fissarla come se avesse avuto due teste.
    “Di che cosa stai parlando? Certo che …”.
    “Invece no!” insisté lei, sospirando ed andando in cucina.
    Spike era ancora un po’ scioccato. Con tutti gli scenari che si era immaginato, questo non gli era mai venuto in mente. Gli ci vollero un paio di secondi per rendersi conto che lei lo aveva lasciato da solo in corridoio. Scosse leggermente la testa e sbatté le palpebre un paio di volte, poi la seguì in cucina. La trovò che camminava in cerchio, con una bottiglia d’acqua stretta fra le mani sudate.
    “Buffy, mi devi credere. Io ti a...”.
    Lei si bloccò di colpo e, interrompendolo, disse:
    “Quattro mesi fa eri ancora in preda alla malinconia per il fatto che Dru ti avesse tradito. Stavi facendo progetti per riprendertela, dato che era la tua … principessa oscura o qualunque altro strano nomignolo tu le avessi dato. E ora, all’improvviso, dici che tu … tu … lo sai”. Ancora una volta non riuscì a dire la parola e agitò una mano in aria.
    Alla fine lui riuscì a dire una frase completa: “Perché sei così ossessionata da me e Dru?”.
    Lei si passò una mano sulla fronte e respirò a fondo: “Perché eravate decisamente fatti l’uno per l'altra! Voglio dire, siete entrambi inglesi, entrambi dei punk gotici … e siete entrambi *pazzi*, poco ma sicuro!”.
    “Solo perché io e Dru abbiamo alcune cose in comune ...”.
    “Alcune cosa?!” chiese lei, quasi offesa. “Siete praticamente la stessa persona, solo che siete di sesso diverso e che lei è un po’ più pazza di te” affermò, fissandolo ad occhi sgranati.
    “Solo perché abbiamo delle cose in comune non significa che fossimo perfetti insieme” ribatté lui. Quando si rese conto di non aver avuto l’effetto desiderato, aggiunse: “Pomiciava con Angel!”.
    “Sì, e anche così tu la volevi comunque!” precisò Buffy, alzando la voce.
    Rimasero in silenzio finché lei, sospirando, posò la bottiglia sul bancone della cucina.
    “Sei stato pazzo di lei così a lungo. Chiunque se ne sarebbe reso conto” disse, in tono sconfitto.
    Dopo un momento di silenzio lui disse: “Hai ragione. Ero completamente ossessionato da lei”.
    Mentre lui continuava a parlare Buffy sentì che lo stomaco le si rivoltava.
    “Era tutto ciò a cui pensavo, tutto ciò che sognavo ed è vero ...”. A questo punto si interruppe un attimo, poi: “L’amavo. Non lo negherò. Ma adesso è finita”.
    “Sarà meglio che tu vada a casa …” esalò Buffy, andando nuovamente in corridoio con la testa china. “Ti prenderai un raffreddore se continui …”.
    Lui si spostò a bloccarle il passaggio, facendole correre un brivido lungo la schiena. Rimasero a fissarsi l’un l’altra vicinissimi
    “Sono innamorato di te” bisbigliò lui, facendo il gesto di scostarle dal viso una ciocca ribelle; lei però si scostò prima che lui potesse toccarla.
    “Invece no” insisté.
    Le sue parole lo infiammarono di rabbia; inspirò a fondo e chiuse le mani a pugno, nel tentativo di controllarla.
    “È veramente arrogante da parte tua, Summers, te ne rendi conto? Presumere di conoscere i miei sentimenti meglio di me!”.
    “Bè, forse è così” lo sfidò lei, sollevando il mento.
    Lui socchiuse gli occhi: “Ah, davvero?”.
    Lei annuì.
    “Bene, sapevi che la prima volta che ti ho vista mi sono sentito come se nella stanza non ci fosse più aria ed io non riuscissi a respirare?”.
    Lei rimase leggermente sorpresa ma immediatamente trovò modo di ribattere:
    “Tutto ciò è molto romantico ma eravamo nel bel mezzo del cortile e tu mi tiravi la coda di cavallo, e dal modo in cui gridavi “Pericolo, pericolo, finta bionda in arrivo!” dubito che tu avessi alcun problema di respirazione” scattò, sarcastica.
    “Non te ne ricordi, vero?” chiese lui, piegando la testa di lato e socchiudendo nuovamente gli occhi.
    “Non ricordo cosa?”.
    “Di quando sei entrata per la prima volta nella libreria di mio padre” rispose lui; lei aggrottò le sopracciglia. “Tu non mi hai visto, mentre tu parlavi con papà io stavo sistemando dei libri sul retro”. Lui si interruppe, fissandola intensamente, poi continuò: “Ma io ti ho visto” esalò; “Avevi i capelli più lunghi e meno ondulati”. Continuò a parlare, agitandole le mani intorno alla testa: “Li tenevi raccolti in una crocchia disordinata. Indossavi un abito estivo, azzurro. Quello che l’idiota ti ha rovinato l’anno scorso, rovesciandoci sopra il suo pranzo”.
    Buffy si limitò a fissarlo, ascoltandolo con la bocca semiaperta.
    “Non riuscivo a staccarti gli occhi di dosso. Ricordo che avevi ridacchiato per qualcosa che aveva detto papà. Non ricordo per che cosa, ricordo solo di essermi sentito come se qualcuno mi avesse dato un pugno nello stomaco. Tu hai detto qualcosa e poi te ne sei andata”. Parlava con calma, allontanandosi da lei. “Mi chiesi se ti avrei mai rivisto e, poco ma sicuro, il giorno dopo eri là, con la rossa, nel bel mezzo del cortile …”. Ridacchiò appena, ricordandosene. “Mi ricordo che mi ci è voluto praticamente tutto l’intervallo per raccogliere abbastanza coraggio da venire a parlarti. Quando finalmente ci sono riuscito, all’improvviso è entrata in ballo la checca. Tu lo stavi fissando come se fosse un dono di Dio al genere femminile”. Sentiva lo stomaco che gli si contorceva al ricordo. “Potete essere stati insieme soltanto per tre mesi ma già allora tu gli avevi messo gli occhi addosso. Credo di aver odiato la checca anche prima della storia con Andrew” sogghignò, scuotendo la testa. “Allora ho fatto quello che qualunque quindicenne avrebbe fatto per richiamare l’attenzione di una ragazza. Ti ho messo in imbarazzo davanti a tutta la scuola. Creando un ricordo duraturo”.
    Respirò a fondo e cominciò a camminare in cerchio intorno all’isola della cucina, passandoci sopra le dita:
    “Poi ho incontrato Dru. Era diversa da chiunque altro. Era oscura e selvaggia ma allo stesso tempo fragile e debole. Era piacevole sentirsi desiderati … necessari”.
    Si fermò e sollevò lo sguardo su di lei, ridacchiando appena. Continuò a ricordare il passato, con gli occhi fissi nel nulla.
    “Ora che ci penso ... lei lo sapeva. Dru … sapeva che tu mi facevi effetto prima ancora che io lo sapessi. Tutte le volte che dicevo qualcosa su di te lei cadeva in uno dei suoi episodi di follia. Cominciava a balbettare ed a blaterare, e i suoi discorsi avevano ancora meno senso del solito. Diceva che mi avresti portato via da lei. Che eri un ladro e che mi avresti rubato a lei”. Sorrise e guardò Buffy. “Pensavo che fosse semplicemente pazza. Ero *così* sicuro di odiarti. Tutto in te faceva gridare il mio corpo. Pensavo che fosse per rabbia e odio. È saltato fuori che si trattava di lussuria e desiderio”. Si interruppe e la guardò negli occhi: “Ti hi desiderato fin dalla prima volta che ti ho vista … ma mi sono innamorato di te solo quando mi hai baciato. Quel bacio in biblioteca mi ha fatto girare la testa per giorni”.
    Buffy sembrava immobilizzata e lui cominciò a camminare verso di lei, diminuendo la distanza fra loro fino ad incomberle di nuovo addosso.
    “Potrai non crederci ... ma io ti amo” bisbigliò, sfiorandole la guancia pallida con il pollice, mentre lei lo fissava con gli occhi sgranati. Le sorrise e lasciò ricadere la mano lungo il fianco: “Bè, sarà meglio che io vada, passerotto”.
    Alla vista di lui che le girava intorno lei sembrò riscuotersi dal suo torpore. Scosse la testa e si voltò:
    “Dove stai andando?”.
    “A casa. Mio padre non saprà più che cosa fare” rispose lui, riprendendo a camminare.
    Accadde in un lampo; sentì una mano sul braccio che lo induceva a voltarsi e, prima di rendersene conto, si ritrovò sbattuto contro il frigo, con le labbra di Buffy incollate alle sue in un bacio esigente. Gli ci volle qualche secondo per reagire al contatto di quel corpo caldo contro il suo torace nudo, ma ben presto la prese tra le braccia e aprì la bocca, permettendole di approfondire il bacio. La sollevò da terra, e Buffy gemette ritrovandosi premuta contro il frigo. Lottarono per il predominio, con Buffy che gli posava le mani dappertutto finché non gliele portò al collo.
    All’improvviso gli avvolse le gambe intorno alla vita con un salto, facendolo ansimare, poi staccò la bocca dalla sua ed ansimò:
    “Rimani”. Lo disse tra un ansito e l’altro, poi rimase a fissarlo, continuando ad ansimare. Aveva le pupille completamente dilatate e, per un attimo, i suoi occhi apparvero completamente neri.
    “Ma mio padre ...”.
    Lei gli infilò una mano fra i riccioli ribelli, passandogli l’altra sulla schiena.
    “Per favore, rimani” esalò, stringendolo più forte con le gambe e strofinandoglisi addosso.
    Lui rovesciò gli occhi e deglutì a fatica, poi rispose:
    “Va bene”.
    Lei sospirò di sollievo e si chinò vogliosa a baciarlo, lui però si tirò indietro. Lei aggrottò le sopracciglia e lui spiegò:
    “Comunque sarà meglio che prima lo chiami” riuscì a dire.
    Lei mise istintivamente il broncio, sporgendo il labbro inferiore ed aggrottando le sopracciglia.
    “Ci vorrà solo un secondo, te lo prometto” le garantì lui.
    Di malavoglia lei rimise i piedi a terra e si staccò da lui, rimanendo in piedi nel bel mezzo della cucina mentre lui andava a telefonare. Lui sollevò il ricevitore distogliendo per un attimo lo sguardo da lei, per digitare il numero. Mentre aspettava riprese a guardarla e la vide che giocherellava nervosamente con il bordo della maglia. Era così carina quando faceva così.
    Qualcuno sollevò la cornetta dall’altro capo del filo, strappandolo ai suoi pensieri.
    “Papà? Già ... sono io. L-lo so, mi dispiace”. Per un attimo rimase in silenzio, ad ascoltare la tirata del padre. “Lo so. Ho detto che mi dispiace ... Ehm ... no, stavo ... ehm ...”. Ancora silenzio. “No, va tutto bene. Sono da Buffy. Sì, sta bene anche lei”. Si portò istintivamente una mano tra i riccioli ribelli, senza smettere di parlare. “No … ehm ... veramente stavo pensando di rimanere qui. Sì, a dormire. Va bene?”.
    Buffy si strinse più forte la maglia, in attesa della reazione di Spike. Per un po’ lui rimase in silenzio.
    “Ah ... ehm ... lo so, sono uscito di corsa e ho dimenticato di prendere una maglia ...”. Stava vagando con gli occhi per la stanza in cerca di una soluzione, quando lo sguardo gli cadde su Buffy.
    “Puoi prendere in prestito le vecchie cose di mio padre” gli bisbigliò lei dalla cucina.
    “Buffy dice che posso prendere in prestito una delle vecchie magliette del padre”. Ancora una volta ci fu una pausa. “Bè … papà, non lo so perché hanno ancora vestiti del padre di Buffy in giro per casa” disse, stringendosi nelle spalle e rivolgendo un’espressione accigliata a Buffy. Suo padre che faceva il geloso? Strano. “Va bene ... non preoccuparti. Non mi metterò nei guai. Va bene, papà. Ci vediamo domani”. Si interruppe e alzò gli occhi al cielo, mentre il padre gli dava i soliti avvertimenti. “Va bene, buonanotte papà. Ciao. Va bene! Ho capito! Notte!”. Alla fine riuscì a rimettere a posto la cornetta.
    “Allora puoi rimanere?” chiese nervosa Buffy, appoggiandosi all’isola.
    “Sì ... ma solo perché domani non abbiamo scuola” rispose Spike, affondando le mani nelle tasche posteriori dei jeans.
    Per qualche strano motivo si sentiva nervoso. Molto nervoso. Bè, forse non era strano, considerato che aveva appena detto un paio di volte a Buffy che l’amava e lei non aveva detto nulla. Deglutì a fatica e cercò di accantonare il pensiero.
    “Allora ...” cominciò.
    “Allora ...” ripeté lei, con le farfalle allo stomaco ed un nodo alla gola che le rendeva praticamente impossibile parlare.
    Rimasero in silenzio finché, alla fine, Spike disse:
    “Quando torna tua madre?”.
    “Domani pomeriggio” rispose subito Buffy, sorridendo ansiosa. “Ha chiamato per salutare prima che io andassi a … casa tua …e …”. Si interruppe, mentre il suo patetico tentativo di rompere il silenzio le si rivoltava contro.
    “Già ...” mormorò lui.
    Silenzio.
    “Tuo padre ... era tutto a posto? Voglio dire, m-mi dispiace che l’abbiamo svegliato e …”.
    “Sta bene. Era un po’ preoccupato per il fatto che sto andando in giro mezzo nudo” la soccorse Spike, allungando le braccia e mettendo in evidenza il fatto di essere svestito.
    “Già ...”.
    “Già ...”.
    Il silenzio divenne insopportabile, allora Buffy si staccò dall’isola e si incamminò verso il corridoio.
    “Faremmo meglio ad andare …” disse, indicando il piano di sopra.
    Spike annuì e la seguì di sopra. Raggiunsero la camera di lei avvolti in un imbarazzante silenzio; Buffy cominciò a muoversi per la stanza, mentre Spike rimaneva indietro, in attesa di istruzioni.
    Alla fine lei, stringendo un asciugamano ed indicando la porta, disse: “Credo che andrò ... a farmi una doccia”.
    “Ah, va bene” annuì Spike.
    Sul punto di andarsene lei si fermò.
    “Vuoi qualcosa con cui dormire ...? Sai, una maglia o dei pantaloncini? P-posso andare nel seminterrato a prenderli” disse, balbettando appena.
    “No, sono a posto”.
    Buffy annuì.
    “Torno subito” esalò, prima di uscire dalla stanza.
    Spike inspirò a fondo e si lasciò cadere stancamente sul letto. Che cosa stava facendo? Perché l’aveva detto? Stupido, stupido, stupido! Era ovvio che lei non era pronta a fare questo passo. Le stava facendo pressioni. Stupido!
    “Io e la mia boccaccia ...” mormorò fissando il soffitto e rimpiangendo di aver sollevato l’argomento.

    Buffy era in piedi davanti al muro, con la fronte appoggiata alle fredde piastrelle e le mani posate sui rubinetti, e lasciava che l’acqua tiepida le scivolasse lungo la schiena.
    Il cuore le batteva all’impazzata e la sua mente continuava a vorticare intorno agli eventi della serata. Al ricordo di quello che lui le aveva detto in cucina le veniva la pelle d’oca. L’idea che lui l’avesse desiderata per tutto quel tempo la riempiva di orgoglio femminile, e la faceva arrossire come un pomodoro.
    Scuotendo la testa chiuse il rubinetto e raccolse i capelli fra le mani, per strizzarli. Si avvolse in un asciugamano e andò allo specchio. Passò una mano tremante sulla superficie fredda, cancellando le goccioline di condensa per poter guardare il proprio riflesso. Fissò la propria immagine, mentre i ricordi assalivano la sua mente. Dalla prima volta in cui l’aveva visto al giorno del loro famigerato accordo. Sorrise, ricordando la propria riluttanza a baciarlo. Ridacchiò, ricordando come si era nascosto fra le sue lenzuola quando sua madre era entrata nella stanza. Il suo cuore accelerò al ricordo di quel giorno a scuola, quando erano stati beccati a darsi da fare sulla cattedra. Rimase là per alcuni secondi, ricordando tutte le singole cose che erano accadute da allora. Sembrava una cosa talmente lontana, una cosa di un altro mondo. Non riusciva ad immaginare la propria vita di ogni giorno senza lui al suo fianco. Le sembrava quasi assurdo.
    Sospirò a fondo poi, sorridendo sicura di sé, si voltò e uscì dal bagno.
     
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