Un Tocco di Gelosia

Tradotta da PrincesMonica

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  1. TerenceSpike
     
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    Capitolo 34
    Entrò nella stanza di lui giusto in tempo per vedere Spike che usciva dall’altra porta. Buffy gli trottò dietro, imbronciata ed accigliata.
    Dopo essere corsa giù per le scale ed essersi appoggiata alla balaustra, lo guardò dirigersi verso il cucinino e, cercando di sembrare noncurante, chiese: “Dove stai andando?”.
    “A colazione. Ho fame” rispose lui, aprendo il frigorifero.
    Lei non disse niente e, sceso anche l’ultimo gradino, si mise a girellare per il soggiorno. Si lasciò cadere sul divano, facendo finta di non notare i rumori metallici che venivano dal cucinino, e si portò la mano alla bocca, mordicchiandosi le pellicine delle unghie. Dopo pochi secondi le arrivò un profumo delizioso di uova fritte, e non poté evitare di gettare uno sguardo nella direzione di Spike. Lui era in piedi davanti ai fornelli, e le dava le spalle.
    Alla fine lei si arrese e, alzatasi, si diresse al bancone e, dopo essersi seduta su uno degli sgabelli, chiese: “Che cosa stai facendo?”.
    “Colazione” rispose lui, facendo un passo di lato e mostrandole un piatto con una semplice omelette. “Ne vuoi?”.
    Vedendola e sentendone l’odore le venne l’acquolina in bocca, ma il suo orgoglio le impedì di darlo a vedere. La sua mente si soffermò sul modo in cui, appena un minuto prima, lui si era staccato da lei lasciandola nella sua stanza da sola. Al ricordo mise nuovamente il broncio.
    “No, grazie. Non ho fame” rispose, sollevando il mento ed arricciando il naso a mo’ di provocazione.
    “Accomodati” si strinse nelle spalle lui, e se ne andò in soggiorno a spaparanzarsi sul divano.
    Rimasero in silenzio per quella che sembrava un’eternità, con Spike che sbocconcellava la sua colazione in apparenza completamente dimentico della bionda che, seccata, tamburellava le unghie sul bancone. All’improvviso lei si alzò ed annunciò:
    “Vado a fare una doccia”.
    Spike sogghignò tra sé, e rimase a guardarla mentre marciava arrabbiata su per le scale.

    Buffy camminava in cerchio nella propria stanza, con i capelli bagnati che le ricadevano sulla schiena, giocherellando con le maniche della maglia rossa a collo alto.
    Combattè l’urgenza di entrare nella stanza di lui a controllare se c’era ancora. Era sicura di aver sentito una porta che si apriva quando, dopo aver terminato con la doccia, si stava pettinando davanti allo specchio coperto di vapore. Era andata nella sua stanza, con il cuore che le batteva velocemente nel petto, sicura che lo avrebbe trovato là, magari nudo sul letto, pronto a supplicarla di perdonarlo. Aveva girato la maniglia con un migliaio di fantasie che si rincorrevano nella sua mente. Si erano infrante tutte quando aveva trovato la stanza vuota.
    Uno strano miscuglio di rabbia e disappunto le opprimeva il petto e le stringeva la gola. Odiava questa terribile sensazione di sicurezza che provava con lui. Non sapeva mai cosa aspettarsi da lui. Era talmente volubile: dolcissimo e disperato un momento, arrogante e presuntuoso il momento dopo.
    Sospirò a fondo e uscì dalla stanza. Scese le scale strascicando i piedi. Vedendo l’incredibile colazione sistemata sul tavolo le si mozzò il fiato e si portò una mano alla bocca. C’era un ampio piatto, sul quale erano sistemate in cerchio cucchiaiate di cinque o sei varietà diverse di gelatina e marmellata. A fianco c’era una montagnetta di frittelle, con sopra quello che sembrava sciroppo d’acero. Con un dito sulle labbra esaminò il tavolo, e vide una ciotola piena di frutta fresca di vario tipo, nascosta dietro un bicchiere di succo d’arancia appena spremuto. Infine, sistemata al centro di un piatto bianco, c’era una rosa rossa.
    “Oh mio Dio” sospirò.
    “Mi stavo chiedendo quando saresti scesa”.
    Lei fece un salto, leggermente spaventata dalla voce proveniente dalle sue spalle. Si voltò e lo vide appoggiato alla ringhiera delle scale, con le braccia conserte e il suo solito sogghigno stampato sulle labbra. Si era messo la camicia rossa sulla maglietta e, a completare il tutto, un paio di scoloriti jeans neri e gli anfibi.
    “Affamata?” chiese, facendo un passo verso di lei.
    “Oh mio Dio” mimò con le labbra lei, saltando con lo sguardo da Spike al tavolo e viceversa.
    Il sorriso di lui si allargò: “L’hai già detto”.
    “Grazie”.
    Lui sollevò il sopracciglio sfregiato: “Per cosa?”.
    “Bè ...”. E fece un cenno in direzione del tavolo.
    “Ah quello non è per te” disse freddo lui.
    Buffy corrugò immediatamente le sopracciglia e spalancò la bocca ma, prima che potesse dire qualcosa, lui la prese tra le braccia e la baciò. Lei non si preoccupò neanche di divincolarsi e lasciò che la lingua di lui si avvolgesse alla propria, mentre le posava una mano sulla guancia. Quando lui si tirò indietro, Buffy gli diede uno schiaffetto sul petto, facendogli fare un salto.
    “Ahia! E quello per che cos’era?” chiese lui ridacchiando.
    “Cattivo” scattò lei, mettendo subito il broncio.
    “Molto” concordò lui con un sogghigno lascivo, poi le diede un bacetto sulle labbra e la fece voltare verso il tavolo. “Adesso mangia! Sei troppo ossuta” le ordinò, scostando una sedia dal tavolo per lei.
    “Hey!” protestò debolmente lei, lasciando cadere lo sguardo sul banchetto che giaceva davanti a lei. Stava morendo di fame ma riuscì comunque a prendere la rosa e ad annusarla velocemente, prima di metterla via per prendere in mano coltello e forchetta. “Dove hai preso quella rosa?”.
    “Non sei stata sul retro, vero?”. Spike arricciò le labbra, guardandola scuotere la testa e ficcarsi in bocca, famelica, un bel pezzo di frittella.
    “C’è un piccolo cespuglio di rose. Non è in gran forma, dato che non siamo qui per innaffiarlo e cose simili ma, sorprendentemente, è sopravvissuto”.
    Ci fu un attimo di silenzio, e Spike continuò a fissarla sogghignando.
    “Che c’è?” chiese lei, in maniera quasi incomprensibile a causa della gran quantità di cibo che le riempiva la bocca.
    “Niente” rispose lui, posando la testa sulla mano e fissandola.
    Lei masticò velocemente e deglutì un boccone enorme, poi chiese colpevolmente:
    “Sembro un maiale, vero?”.
    “No” rispose sincero lui, mentre lei continuava a mangiare.
    “È buonissimo” riuscì a dire lei tra un morso e l’altro. “Dove hai imparato a farle?” chiese, indicando con la forchetta le frittelle.
    “Me l’ha insegnato mio padre” rispose lui, fissandola ciecamente.
    “Sono deliziose”.
    Divorò rapidamente tre frittelle, usando tutte le marmellate. Alla fine terminò di bere il succo d’arancia e si appoggiò alla sedia, carezzandosi lo stomaco.
    “Soddisfatta?”. La domanda, per quanto semplice, grondava insinuazioni.
    Lei curvò le labbra in un sorriso maligno che gli fece venire l’acquolina in bocca: “Forse”.
    Lui sogghignò di rimando ma non disse niente e, cominciando a sistemare il tavolo, si diresse nel cucinino. Lei lo seguì subito e rimase a guardarlo sollevarsi le maniche e mettersi a lavare i piatti.
    “Allora ...” cominciò lui, senza distogliere lo sguardo dall’acqua insaponata che aveva davanti. “Siamo … a posto?”.
    “Siamo a posto” rispose lei, sedendosi su uno sgabello.
    “Bene” disse lui a bassa voce.
    Ci fu ancora un attimo di silenzio poi lui disse:
    “Mi dispiace. Ho la tendenza a non pensare prima di parlare”.
    “Ho notato” sorrise lei, prendendo un acino d’uva e mettendoselo in bocca.
    “Come fai a mangiare ancora?” chiese lui, stupefatto. “Ti sei appena mangiata tre frittelle enormi e adesso ti metti a mangiare frutta?”.
    Lei si imbronciò e lui sentì il proprio cuore balzargli in gola. Dio, quanto amava quando sporgeva il labbro inferiore in quel modo. Gli faceva venire voglia di … Scosse la testa e tornò al proprio compito, cosa che gli riuscì quasi impossibile quando lei gli mise le braccia intorno alla vita e, premendogli il petto contro la schiena, gli stampò un bacio leggero sulla scapola. Espirò a fondo mentre lei si scostava e gli si metteva a fianco, cominciando ad asciugare i piatti con uno strofinaccio preso là vicino.
    “Allora ...” cominciò lei, un po’ esitante, con il cuore che perse un colpo quando lui si voltò a guardarla. “Te l’hanno detto molte volte?”.
    Lui si accigliò e la guardò, trovandola con lo sguardo fisso sul piatto che stava asciugando.
    “Mi hanno detto molte volte cosa, amore?”.
    “Che ... sai ... sei bravo a ...”. Lei lo guardò con la coda dell’occhio e lo trovò con un mezzo sogghigno in volto. “E dai. Non me lo farai dire, vero?”.
    Lui sospirò forte. Sapeva che alla fine avrebbero avuto l’inevitabile “conversazione sugli ex”.
    “Qualche volta”. Lui cercò di evitare di dare numeri precisi ma non poté quando lei saltò su:
    “Quante?”.
    “Buffy…”.
    “Che c’è?” chiese innocentemente lei.
    “Vuoi davvero andare avanti con questa storia?”.
    “È solo una domanda, Spike” precisò lei.
    “Due” rispose lui.
    Lei si sentì invadere dal sollievo e sorrise lievemente.
    “Solo Dru?”.
    Lui si accigliò per un attimo, poi rendendosi conto del suo ragionamento, si corresse.
    “Tre con te”.
    “Ah...”. Il disappunto nella voce di lei era evidente.
    Ci fu un momento di silenzio, nel quale lui potè sentire la domanda non fatta aleggiare su di lui e gridare nel suo orecchio. Alla fine sospirò e mormorò:
    “C’era una ragazza a casa”. Fece una pausa e aggiunse: “Cecile”.
    Lei non disse niente e mantenne lo sguardo sullo straccio con cui stava trafficando, in attesa che lui le passasse qualcosa da asciugare.
    “E tu?” chiese lui, ansioso di spostare altrove l’attenzione.
    “Angel … e te” rispose lei, con la testa china.
    A questa risposta Spike strinse istintivamente i denti.
    Tra loro ci fu un silenzio tutt’altro che confortevole, finché Buffy non si gettò lo straccio su una spalla sospirando:
    “Tutto questo è ridicolo. Entrambi abbiamo avuto qualcuno in passato. Uno di noi più dell’altro, ma... è ridicolo” disse con noncuranza.
    “Sei sicura?”.
    “Sto bene” insisté lei, anche se dentro di sé le si torceva lo stomaco all’idea di lui con qualcun’altra.
    “Non importa quante ce ne sono state prima, purché tu sappia che tutto ciò che voglio adesso sei tu”. Lui si asciugò rapidamente le mani sulla maglietta e le si avvicinò. “Questo lo sai, vero?”.
    Lei annuì e sorrise, mentre lui si chinava e le prendeva in bocca il labbro inferiore. L’abbracciò e le posò le mani sul fondoschiena, attirandola a sé. Sentendo il suono metallico di una chiave che veniva infilata nella serratura si separarono immediatamente.
    Lei sentì la madre chiamarla: “Buffy!”.
    “Sono qui” gridò, dicendo con gli occhi “mi dispiace” ad uno Spike imbronciato, e gettando lo straccio sui piatti asciutti prima di aggirarlo e andare incontro alla madre. “Mamma, cosa hai fatto? Hai comprato tutto il cibo del supermercato?” chiese, vedendo la madre che stava sulla porta con quattro buste di plastica in ogni mano.
    “Voi due potreste per favore andare fuori ad aiutare Giles?” chiese lei, entrando nel cucinino.
    I due ragazzi uscirono e trovarono Giles in piedi vicino alla macchina, il cui cofano aperto era completamente riempito di buste della spesa.
    “Sta bene? Le avevo detto di non prenderne così tante” disse lui, un po’ preoccupato.
    “Sta bene” sorrise Buffy, esaminando le provviste.

    “Quando pensi che dovremmo dirglielo?” chiese Spike mentre, seduto al tavolo con Buffy, guardava la coppia più anziana muoversi goffamente nel cucinino durante la preparazione della cena per la vigilia di Natale.
    “Dirglielo?” chiese lei, raddrizzandosi.
    Spike la indicò con la testa: “Di noi”.
    “Oh ...” disse lei, spalancando la bocca in un cerchio perfetto ed appoggiandosi sul tavolo, tracciando strani disegni sul legno con le dita. “Potremmo, come dire, aspettare fino alla fine delle feste?”.
    “Perchè?” chiese Spike accigliato.
    “Non so. Per tuo padre potrebbe essere una specie di trauma scoprire che non sei gay” ridacchiò lei, vedendo la sua espressione offesa. Sforzandosi al massimo di non ridere deglutì e continuò, posando discretamente una mano sulla sua: “Mi dispiace”. Strinse le labbra in un tentativo fallito di non sorridere: “È solo che mi sembra un po’ strano che tu … te ne torni nello sgabuzzino alla vigilia di Natale”.
    “Strano? Sarebbe un sollievo. Mi sto veramente stancando di tutti questi discorsi da gay” insisté lui a denti stretti, stando attento da non farsi sentire dalla coppia ancora impegnata in cucina. “Credo di averlo dimostrato la notte scorsa” aggiunse, appoggiandosi a lei e passandosi allusivamente la lingua sulle labbra.
    “Presuntuoso, eh?” chiese lei alzando un sopracciglio.
    “Voi due, la volete smettere di abbaiare e venire ad aiutarci?” disse Joyce, che stava rimestando una grossa teglia sui fornelli.
    I due ragazzi sospirarono e si alzarono, avvicinandosi al bancone.
    “Non credo che riusciremmo a stare là in quattro” notò Spike con un pizzico di soddisfazione.
    “Puoi toglierti quel ghigno dalla faccia e cominciare ad affettare l’aglio” annunciò Giles con un sorriso forzato, sistemando con un tonfo coltello e tagliere sul bancone.
    “Papà. Io odio l’aglio” mise il broncio Spike.
    “Povero Spikey” lo prese in giro Buffy, sogghignando.
    “E tu signorina puoi tritare le cipolle” le ordino Joyce passandole un coltello e un’insalatiera piena di cipolle.
    “Mamma!” protestò Buffy.
    “Tritale finemente” la interruppe la madre, riportando la propria attenzione sui fornelli.
    “Non osare dire una parola” disse la bionda in tono minaccioso, agitando il coltello in direzione di Spike che cercava di reprimere una risatina.

    I quattro si mossero goffamente nel piccolo spazio, inciampando l’uno nell’altro nel tentativo di portare a termine i rispettivi compiti.
    “Voi tre, potreste star fermi per un secondo?” scattò alla fine Joyce, sospirando forte. “Sapevo che preparare insieme questa cena era un errore”.
    “Che c’è? Stiamo dando una mano. Non è colpa nostra se il cucinino è minuscolo” si imbronciò Buffy, cercando di infilarsi fra la madre e Spike per prendere il latte condensato all’altro capo della stanza.
    Sentendo che lei gli premeva il petto contro la schiena, l’ossigenato rovesciò gli occhi all’indietro. Dio, lo stava certamente facendo di proposito! Durante l’ora che avevano passato in quello spazio ristretto gli si era strofinata addosso almeno cinque volte, e tenere le mani lontane da lei stava diventando quasi impossibile. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era di afferrarla e baciarla fino a toglierle il fiato, di fronte ai loro genitori. Al diavolo le apparenze! Sospirò e, gettando un’occhiata a Joyce e a suo padre, si sistemò velocemente nei jeans prima di rimettersi a sbattere le chiare d’uovo.
    “Quando ho comprato questa capanna non è che stessi pensando di tenervi dei cenoni” si scusò Giles, riuscendo finalmente ad uscire dal cucinino. “Vado a prendere dell’altra legna per il fuoco nel seminterrato” annunciò prima di andarsene.
    “Vanno bene, Joyce?” chiese Spike, deglutendo a fatica mentre Buffy lo sfiorava ancora una volta tornando indietro. “Piccola provocatrice! Stanotte vedrai”.
    La donna diede un’occhiata alla ciotola che Spike teneva in mano e annuì:
    “Grandioso Spike. Mettile là” disse, indicando la superficie libera più vicina.
    Il ragazzo si asciugò le mani con la camicia e chiese:
    “Posso fare qualcosa d’altro?”.
    “Potresti apparecchiare?”.
    “Certo” acconsentì lui, prendendo una tovaglia e andando nel soggiorno.
    Un’ora più tardi nel caminetto ardeva un bel fuoco caldo e i quattro si erano finalmente seduti a tavola, a divorare la montagna di cibo che stava loro davanti.
    “È delizioso, tesoro”. Quando l’ultima parola gli sfuggì di bocca Giles si bloccò. Si guardo attorno, aspettandosi espressioni disgustate dai due ragazzi e rimase sorpreso dalla loro assoluta mancanza di reazioni. Si accigliò un poco per la stranezza della cosa. Forse si stavano abituando all’idea che i loro genitori fossero una coppia. Continuò ad osservarli, mentre entrambi si ficcavano in bocca assurde quantità di cibo. “O forse sono semplicemente troppo affamati per sentire qualcosa”.
    “Grazie” rispose con un sorriso Joyce, seguendo lo sguardo di Rupert e guardando i ragazzi che, tra un morso e l’altro, a malapena respiravano.
    Giles cercò di avviare una conversazione: “Allora ... quando apriamo i regali?”.
    “Io e Buffy di solito li apriamo la mattina di Natale. È una tradizione” rispose Joyce, accorgendosi che la figlia era troppo occupata a mangiare per rispondere.
    “La mattina di Natale, va bene”.
    “Hey, posso dire la mia?” protestò Spike sollevando gli occhi dal suo piatto per la prima volta da quando si era seduto. “Noi li apriamo sempre a mezzanotte”.
    Giles si accigliò e rivolse al figlio uno sguardo di disapprovazione.
    “Che c’è?” chiese Spike, completamente inconsapevole delle occhiate assassine del padre.
    Giles si limitò a scuotere la testa e a sospirare.
    “Va bene. Li apriremo la mattina di Natale” si rassegnò Spike, riportando la propria attenzione sul piatto.

    I quattro si spostarono dal tavolo al divano, per sedersi vicino al tepore del caminetto, ed il resto della serata passò senza che succedesse niente di particolare. All’inizio ci fu un po’ di disagio e una certa mancanza di argomenti ma pian piano la conversazione si avviò, e ben presto i quattro si ritrovarono a discutere su quale cucina fosse migliore fra quella inglese e quella americana, gridando a pieni polmoni.
    “Non so perché stiate facendo un tale trambusto. Il punto è che gli americani semplicemente non *hanno* tradizioni gastronomiche” argomentò Giles, appoggiandosi al divano con le gambe accavallate e sorseggiando il suo brandy.
    “Certo che abbiamo delle tradizioni gastronomiche” disse fiduciosa Buffy, per poi guardare la madre e chiedere subito: “Vero?”.
    “Sì” rispose sorridendo la madre, passando una mano fra i capelli della figlia che era seduta per terra ai suoi piedi. “E la torta di mele?”.
    “Non è neanche americana. O pensi davvero che il resto del mondo non avesse la torta di mele finché non ci avete pensato voi americani?” ribatté Giles.
    “Già” disse Spike, che se ne stava sdraiato sul tappeto, sostenendosi con i gomiti. “Tutto quello che avete sono le polpette che comunque sono un maledetto derivato tedesco”.
    “E allora quel vostro “angis”?” chiese Buffy, arricciando il naso e facendo una smorfia di disgusto. “Voi mangiate interiora infilate nello stomaco di una pecora! Bleah!”.
    “Si dice haggis! E quello è scozzese, amore!” la corresse ridacchiando Spike, cosa che gli procurò uno schiaffetto sul braccio da parte della biondina. “Hey!”.
    “Non mi interessa cosa dici; un hotdog è dieci volte meglio di pesce e patatine fritte avvolte in un vecchio giornale” ribatté Buffy, incrociando le braccia sul petto.
    “Chi disprezza compra, passerotto” disse Spike in tono canzonatorio.
    “Bè, qualunque siano le vostre preferenze credo che sia ora di andare a letto” disse la sig.ra Summers sbadigliando.
    “Una dritta, mamma. Davvero una dritta” ridacchiò Buffy voltandosi verso Joyce.
    “Sono le quattro del mattino” rispose la madre. “Su, di sopra”.
    Spike e Buffy si alzarono controvoglia e, dopo aver salutato, salirono le scale. Nel momento stesso in cui raggiunsero la cima e si trovarono fuori vista Buffy si ritrovò bloccata contro la parete, con il corpo di Spike premuto contro il proprio. Si lasciò sfuggire un gridolino, subito soffocato dalla bocca di lui che si incollò alla sua in un bacio feroce ed esigente. Lei sgranò gli occhi, mentre lui muoveva freneticamente le mani su di lei, infilandogliene una sotto la maglia a massaggiarle il seno e afferrandole bruscamente il sedere con l’altra per premerle il bacino contro il proprio.
    Buffy ansimò e, quando lui si staccò da lei, lo guardò senza fiato.
    “Quello per che cos’era?” chiese, quando finalmente ne fu in grado.
    “Che cosa credevi? Che avrei lasciato che tu mi provocassi come hai fatto per tutto il pomeriggio senza che ci fosse alcuna conseguenza?” disse lui, fissandola pericolosamente, con le mani sul muro ai lati della sua testa.
    “Non so di cosa tu stia parlando” sogghignò lei, senza neanche provare ad apparire convincente.
    “Piccola viziosa che non sei altra! Ti stavi volutamente strusciando addosso a me ogni volta che ne avevi la possibilità”.
    “Cosa vuoi che ti dica? Amo quella tua espressione” lo prese in giro lei.
    “Quale espressione?”.“Lo sai. Quella ...”. Rovesciò gli occhi all’indietro, poi li chiuse con forza, stringendo e rilassando i denti e trattenendo il respiro nel tentativo riuscito di imitare la sua reazione, poi si rilassò e aggiunse: “ … espressione”.
    “Non la faccio” negò violentemente lui.
    Lei gli gettò uno sguardo provocante, poi si scostò dal muro e cominciò a camminare verso la sua stanza: “Certo che la fai. Quando siamo venuti qui in macchina, l’hai fatta per tutto il tragitto”.
    “Lo stavi facendo apposta?!” chiese offeso lui, andandole dietro e bloccandole il passo.
    “Lo so ...”. Lei fece un passo verso di lui e gli passò un dito lungo il petto. “ … sono stata una ragazza davvero cattiva” disse, con un tono quasi infantile.
    “Una ragazza davvero, davvero cattiva” ripeté lui, sogghignando.
    “E adesso devo essere punita” continuò lei, guardandolo da sotto le palpebre pesanti e sorridendo maligna.
    “Eccome” acconsentì lui, eliminando la distanza tra loro e chinandosi su di lei.
    “Allora, quale sarà la punizione?” esalò lei, mentre la sua vicinanza cominciava a compromettere la sua abilità di parola.
    Lui cominciò a bassa voce: “Dovrai dormire ...” poi, all’improvviso, si allontanò da lei e aggiunse: “ … da sola. Buonanotte Buffy”.
    Prima che lei potesse dire qualcosa lui la superò si diresse alla porta della sua camera da letto e sparì.


    Capitolo 35
    Lui scostò le coperte e posò i piedi sul pavimento freddo, spostando lo sguardo sulla porta di comunicazione fra le due stanze. "Perché ci starà mettendo tanto?" si chiese, passandosi le dita fra i riccioli scompigliati. Erano passate due ore dalla sua disinvolta uscita dal corridoio. L'aveva preso davvero sul serio?
    Lei era seduta sul letto a fissare la porta, tenendosi le gambe abbracciate contro il petto ed il mento sulle ginocchia. "Non mi muovo, non mi muovo, non mi muovo" ripeteva mentalmente, dondolandosi appena avanti e indietro. Non era sul punto di arrendersi. No. Non mi arrendo.
    Lui sospirò forte, poi si alzò e si trascinò nel corridoio.
    Il rumore metallico di una serratura che si apriva catturò l'attenzione di Buffy che, guardando la porta di comunicazione e trovandola ancora chiusa, corrugò le sopracciglia. Si alzò in un lampo, sibilando quando i suoi piedi nudi entrarono in contatto con il pavimento gelido. Saltellò fino alla porta che dava sul corridoio e vi posò l'orecchio, sforzandosi di sentire qualcosa. "Dove sta andando nel bel mezzo della notte?" si chiese silenziosamente. Un rumore soffocato d'acqua che scorreva le diede la risposta.
    Lui uscì dal bagno con le dita premute all'apice del naso, e si fermò nel bel mezzo del corridoio a guardare la porta che portava ... da lei. Si dibatté fra le possibili scelte, facendo scivolare lo sguardo da una porta all'altra. Alla fine scelse la propria stanza. Strascicando i piedi se ne tornò a letto e, brontolando fra sé qualcosa di incomprensibile, si infilò fra le coperte e si voltò su un fianco nel debole tentativo di farsi venire sonno.
    Chiuse gli occhi, cercando di cancellare le immagini che vagavano nella sua mente. Dio, lei trovava il modo di infilarsi nei suoi pensieri a tutte le ore del giorno e della notte! Si mise un braccio sulla testa, come a proteggersi dalla miriade di immagini che gli apparivano dietro le palpebre chiuse.
    Sentendo le coperte muoversi dietro di lui, mentre una figura morbida e minuta si accomodava contro la sua schiena, si bloccò e aprì gli occhi di scatto. All'improvviso colse il profumo di lei, mentre un braccio sottile gli si avvolgeva intorno alla vita per posarsi sul suo stomaco.
    Avrebbe voluto dire qualcosa di spiritoso e arrogante ma la sensazione del corpo di lei premuto strettamente contro il suo ed il modo in cui lei gli strofinava il viso fra le spalle, aspirando il suo odore, mandò il suo cervello in corto circuito. Lei gli infilò la mano sotto la maglietta, accarezzandogli lo stomaco nudo e passandogliela sul petto, tracciandogli contemporaneamente una scia di baci sulla schiena, fino a raggiungere la base del collo.
    Lui trattenne il respiro e, quando lei gli percorse pigramente con la lingua i contorni dell'orecchio, sentì le proprie palpebre diventare all'improvviso estremamente pesanti.
    "Che cosa ...". La mano di lei si mosse verso il basso, e lui chiuse gli occhi e deglutì a fatica. " ... stai facendo?".
    "A te cosa sembra?".
    Le dita di lei scivolarono sotto il bordo dei suoi pantaloncini e lui ansimò.
    "Buffy io ...". Si bloccò a metà della frase, mentre lei glielo prendeva in mano.
    "Non mi andava proprio di dormire da sola stanotte" bisbigliò lei, mordicchiandogli il lobo dell'orecchio. "Ti dispiace?".
    Lui ci mise un po' ad assimilare la sua domanda, dato che lei aveva cominciato a passargli le dita su e giù per l'uccello, ma alla fine riuscì a scuotere debolmente la testa.
    "Lo immaginavo" mormorò lei, premendosi contro di lui.
    Si lasciò sfuggire un gridolino, trovandosi all'improvviso sdraiata sulla schiena, con il corpo di lui steso sul proprio che la intrappolava, e le mani di lui che le bloccavano i polsi sopra la testa.
    "Perché ci hai messo tanto?" chiese aspro lui.
    Cercando di ignorare il fatto che lei era nuda sotto di lui, si concentrò sul suo collo, e lei dovette reprimere un gemito mentre le assaliva la pelle sensibile del collo con la lingua.
    "Credevo che non ti andasse di avere compagnia stanotte" riuscì a mormorare, mentre lui si spostava fra le sue gambe e premeva il bacino contro il suo.
    "Ho cambiato idea" bisbigliò lui, raggiungendole il lobo dell'orecchio, mentre con una mano, dopo averle lasciato andare il polso, le massaggiava la coscia.
    "Allora ... vuol dire che sono perdonata?" chiese lei, passando le dita fra i suoi capelli ed inarcando il collo contro la sua bocca.
    All'improvviso lui si tirò indietro e la fissò.
    "Non sono sicuro. Sei stata una ragazza molto molto cattiva" la prese in giro lui, scostandosi.
    "E dai!" si imbronciò lei, avvolgendosi le lenzuola intorno al corpo e sdraiandosi su un fianco per guardarlo.
    "Avresti dovuto pensare alle conseguenze, passerotto" continuò a provocarla lui. Il sogghigno arrogante di lui le fece ribollire il sangue: si affrettò a sedersi e mise le gambe fuori dal letto.
    "Va bene, allora buonanotte" brontolò. Stava per saltare giù dal materasso quando lui le mise un braccio intorno alla vita e la tirò a letto.
    Ricadendo fra le morbide coperte ridacchiò; poi si ritrovò ancora una volta con il corpo di lui sul proprio.
    "Chiudi gli occhi" chiese lui.
    Lei si accigliò ma fece come le aveva detto. Sentì che lui si muoveva, perché il peso sul materasso cambiò, per essere di ritorno dopo pochi secondi.
    "Aprili".
    Lo fece e lo trovò seduto, che le porgeva una scatoletta.
    "Che cos'é?" chiese, sollevandosi su un gomito e afferrandola.
    "Buon Natale!".
    Si coprì la bocca con la mano e strillò:
    "Oh mio Dio! Io non ti ho preso niente. Voglio dire, con il fatto che ti odiavo non credevo che ci sarebbe stato uno scambio di regali. Mi dispiace. Non pensavo che ...".
    Lui la interruppe: "Buffy? Rilassati. Aprilo e basta".
    Lei si imbronciò di nuovo: "Ma io non ti ho preso niente".
    "Apri quella maledetta cosa e basta" disse lui sorridendo, ansioso di vedere la sua reazione.
    Lei sospirò e cominciò a scartare il regalo. Sgranò gli occhi quando, dopo aver aperto la scatoletta, vi trovò dentro una catenina. Il metallo era intervallato qua e là da un motivo a petali di fiore, con una piccola pietra d'ambra al centro di ciascuno. Il risultato finale era quello di una sottile striscia d'argento con sei o sette fiori.
    "È bellissimo" bisbigliò, fissando la catenina.
    "Voltati e lascia che te lo metta" la sollecitò lui.
    Con un sorriso enorme lei gli porse la catenina e, dopo essersi seduta, gli voltò la schiena. Mentre lui lottava con la chiusura lei sfiorò la striscia delicata.
    "Ecco".
    Si voltò lentamente verso di lui.
    "Cosa ne pensi?" chiese.
    "È splendida" esalò lui, fissando le dita di lei che indugiavano sulla catenina.
    "Grazie mille" ripeté lei, chinandosi a baciarlo dolcemente sulle labbra.
    "Prego" sorrise lui di rimando, mentre entrambi si sdraiavano sulla schiena.
    "Perché l'hai comprato visto che avevamo rotto?" chiese lei, dopo un attimo di silenzio, voltandosi a guardarlo in faccia.
    "Sapevo che ti avrei riconquistata" rispose lui arrogante, guadagnandosi uno schiaffetto sul petto. "Scherzavo" ridacchiò, vedendola sporgere il labbro inferiore. "La verità è che l'ho comprato prima che rompessimo".
    "Ah ..." disse lei, accomodandosi contro il suo petto. Poi si rese conto di quello che aveva detto e si accigliò: "Aspetta un attimo. Abbiamo litigato per homecoming".
    "Già, e allora?".
    "È stato un mese e mezzo fa" affermò.
    Spike la fissò senza capire e ripeté: "E allora?".
    "Allora, mi hai comprato il regalo di Natale con un mese e mezzo di anticipo?" chiese lei.
    "Sì" rispose lui, stringendosi nelle spalle.
    Lei si sollevò su un gomito e lo fissò con gli occhi sgranati.
    "Ho fatto qualcosa di sbagliato? Perché davvero non riesco a capire che cosa" chiese lui nervoso.
    Si rilassò quando lei sorrise.
    "Sei il ragazzo più dolce che io abbia mai avuto" disse lei.
    All'uso della parola "ragazzo" il suo cuore perse un colpo ma, nascondendo la propria sorpresa, lui sogghignò arrogante e borbottò:
    "Allora è ufficiale, eh?". Lei si accigliò, e lui aggiunse: "Tu ed io. Ragazzo e ragazza?".
    Rendendosi conto del proprio lapsus freudiano lei deglutì a fatica.
    "N-non lo so. Forse" balbettò, aspettando ansiosamente la sua reazione.
    Il sogghigno di lui si sbriciolò e sollevando una mano a tracciarle i contorni del viso lui ripeté aspro:
    "Forse?".
    Il nervosismo nella voce di lui sembrò avere un effetto calmante su di lei.
    "Decisamente forse" disse, e, senza preavviso, incollò la bocca a quella di lui.
    Lui inizialmente fu preso alla sprovvista, ma ben presto le rispose con altrettanto fervore. Le rotolò addosso mentre, man mano che il loro desiderio cresceva, il bacio si faceva più profondo e più frenetico. Entrambi si muovevano freneticamente, lottando per il predominio, tirandosi e mordendosi le labbra a vicenda. Durante questa battaglia lei gli infilò le dita nei pantaloncini, tirandoglieli giù fino alle ginocchia. Poi spostò le mani verso l'alto, tirandogli la maglietta, e contemporaneamente continuò a spingere i pantaloncini verso il basso con i piedi, fino a gettarli nel groviglio formato dalle lenzuola. Quando finalmente riuscì a togliergli la maglietta ed il suo corpo toccò quello nudo di lui, sorrise soddisfatta. Si fissarono a vicenda per qualche secondo poi, all'improvviso, Spike si trovò senza fiato perchè lei, con un movimento fluido dei fianchi, era riuscita a capovolgere i loro corpi. Lui si ritrovò sdraiato sulla schiena, con il corpo dorato di lei sopra il proprio, le gambe divaricate per sistemarsi sui suoi fianchi e la bocca incollata al suo petto.
    La disperazione e il desiderio che contrassegnavano ogni movimento di lei lo fecero ansimare. Chiuse gli occhi e si inarcò verso di lei, che gli stava passando la lingua da un capezzolo all'altro. Era talmente preso dalle sensazioni che la bocca di lei gli provocava che non notò la mano che scivolava lungo il suo corpo per afferrargli l'uccello.
    Quando lei glielo prese in mano e cominciò a muoverla lentamente su e giù, aprì gli occhi di scatto e la fissò. Le infilò una mano fra le ciocche bionde, costringendola a lasciargli il petto ed a guardarlo. Nel momento stesso in cui lei lo fece si incollò alle sue labbra, quasi a volerla divorare. Lei continuò a muovere la mano e lui si lasciò sfuggire un gemito soffocato, afferrandole con più forza i capelli e spingendo istintivamente i fianchi contro la sua mano.
    Fra le nebbie che gli avvolgevano la mente, sentì qualcosa di morbido e scivoloso sfiorargli la punta dell'uccello.
    Rendendosi conto di che cos'era esalò: "Cazzo!".
    Si staccò dalla sua bocca e aprì gli occhi; la vide sistemare i fianchi contro i suoi, il sesso umido e caldo che gli sfiorava il pene rigonfio, ad invitarlo dentro di sé. Ansimò quando lei abbassò il bacino ed il suo uccello penetrò fra le pieghe del suo sesso. In un instante di momentanea lucidità le afferrò i fianchi, tenendola ferma e tentando di parlare:
    "Aspetta ... il preservativo ...". Non riusciva a credere che la stava fermando davvero...
    "Non ce n'è bisogno" esalò lei, premendo verso il basso mentre lui la tratteneva.
    "C-cosa vuoi ...". Lei continuò a muoversi, sfiorandolo, e lui deglutì a fatica e chiuse gli occhi. Alla fine chiese: "Cosa vuoi dire?".
    Lei si chinò a baciarlo, intrecciando le dita con le sue: "Voglio dire che non ce n'è bisogno".
    "Buffy ... non possiamo ... il preser-" blaterò lui.
    "Shh. Abbi fiducia in me" lo calmò lei, che era finalmente riuscita a liberarsi.
    "Ma ... Oh cazzo!" ansimò, mentre lei si raddrizzava e, all'improvviso, lasciava ricadere il proprio peso verso il basso. Aprì gli occhi di scatto, trovandosi affondato in lei. "Cristo, Buffy sei così ...".
    Non riusciva a spiegarlo a parole. La morbidezza delle pareti del suo sesso che lo stringevano, il calore, la strettezza ... sentiva che se lei avesse osato muoversi sarebbe venuto da un momento all'altro.
    Sentendolo davvero dentro di sé per la prima volta Buffy trattenne il respiro. Niente preservativo, niente barriere, niente che li separasse ... era meraviglioso. Rimase immobile per un attimo per abituarsi alle sue dimensioni, guardando il viso di lui contorto dal piacere; poi iniziò a muoversi. Gli posò le mani sul torace per avere un punto d'appoggio e, lentamente, si sollevò; lui gemette e le afferrò immediatamente i fianchi, costringendola a fermarsi.
    "Aspetta, aspetta" supplicò, chiudendo gli occhi per un attimo nel tentativo di controllarsi.
    "Stai bene?" chiese lei, tra un ansito e l'altro.
    Lui si limitò ad annuire e la lasciò andare. Un attimo dopo lei si mosse di nuovo, e lui strinse i denti cercando di ignorare la sensazione che le dava scivolare dentro e fuori dal suo corpo; quando però aprì gli occhi e la vide tutto sembro crollargli intorno. Lei si sollevava su di lui, con il seno nudo illuminato dalla luna, la testa rovesciata all'indietro con la catenina posata sul collo, i capelli che le ricadevano ai lati del corpo, incorniciandola.
    "Dio Buffy, sei bellissima" sibilò lui, sentendola stringersi sempre di più intorno a lui.
    Lei gli afferrò le mani che le aveva posato sui fianchi e le spostò verso l'alto, sui suoi seni.
    "No, aspetta ..." mugolò lui, dato che il tutto era troppo per lui. Ma la sua reazione fu completamente opposta a quella richiesta. Aumentò il ritmo, contraendo i muscoli interni e stringendolo di più. "Buffy, per favore aspetta ... Non ... Oh Dio!". Si fermò a metà della frase, mentre lei rotava i fianchi e gemeva appena. "Non ... per favore fermati!" la supplicò. "Dio Buffy ... V-verrò se non ...".
    Lei gli strinse più forte le mani, costringendolo ad afferrarle i seni con più forza, e questo gli fece perdere l'ultima briciola di controllo rimasta: si agitò sotto di lei e venne. Le ondate di piacere lo investirono, facendogli inarcare appena la schiena e impedendogli di mettere a fuoco la vista per qualche secondo. Dopo qualche secondo giacque intorpidito sul letto, ogni centimetro del suo corpo invaso da un piacevole torpore, mentre tutto, comprese le sue stesse palpebre, gli appariva troppo pesante da sopportare.
    Quando alla fine aprì gli occhi la guardò: era sdraiata su di lui, con la testa poggiata sulla sua spalla ed un'unica goccia di sudore sulla guancia.
    "Dio, è stato ..." iniziò, ma era ancora troppo presto per parlare.
    "Buon Natale" disse lei, sollevandosi a sedere stordita.
    "È stato un diavolo di regalo, amore" mormorò, fermandosi un attimo a contemplarla.
    "Prego" sorrise lei di rimando.
    Lentamente, lui si sentì invadere da una sensazione fastidiosa.
    "Sei ..." cercò di suggerire. "È stato ... ehm ... bello per te?". Dio, non poteva credere di averglielo appena chiesto! Suonava così ... maledettamente stupido.
    "Sì". Lei continuava a sorridere, ma lui si rese conto che non era stata completamente onesta.
    "Non mi è sembrato" brontolò.
    "È stato carino" insisté lei.
    "Grandioso! In due secondi siamo passati da bello a carino. Questo sì che è un miglioramento!" mormorò lui sarcastico.
    "È stato molto carino" sogghignò lei chinandosi a baciarlo, ma prima che potesse riuscirci lui la prevenne e la costrinse a sedersi.
    "Immagino che dovremmo rimediare adesso, non è vero?" disse arrogante.
    "Davvero?" rispose lei, inarcando un sopracciglio.
    Lui si limitò ad annuire e si chinò a prenderle in bocca in labbro inferiore, abbracciandola.
    Sentendolo diventare duro dentro di sé, lei mugolò nella sua bocca. Dopo qualche secondo lui la afferrò per i fianchi, guidandola su e giù, in maniera tale da scivolare dentro e fuori da lei. Rimasero seduti sul letto a scambiarsi baci teneri e prolungati, con le gambe di lei strette intorno alla vita di lui, muovendosi contemporaneamente con un ritmo lento e tortuoso, costruendo il piacere con ogni spinta. Spike spostò le dita dai suoi fianchi per sfiorarle la schiena e poi la testa, ed infilarle fra le lunghe ciocche bionde dei suoi capelli. Glieli tirò appena, costringendola ad inarcare il collo e a scoprire la gola. Quando la sensazione della lingua di lui che le sfiorava la pelle e di lui che scivolava dentro e fuori dal suo corpo la sopraffece, lei ansimò.
    Lui spostò la bocca oziosamente, tracciando un sentiero sconosciuto dal collo al capezzolo sinistro di lei. Mosse pigramente la lingua in cerchio, fermandosi ogni tanto per succhiarlo o mordicchiarlo.
    "Ah Spike ..." gemette Buffy, affondandogli le unghie nella nuca, mentre lui le sfiorava la carne sensibile con i denti.
    La sensazione che cresceva dentro di lei la sopraffaceva completamente. Non aveva mai provato niente di simile. Tutte le altre volte era stato frenetico, veloce; il loro desiderio era stato troppo forte per poterlo controllare o trattenere, o per prendersi il tempo per farlo durare. Sgranò gli occhi quando lui infilò una mano fra i loro corpi, a cercarle il clitoride.
    "Oh Dio!" mugolò, mentre lui glielo sfiorava con la pelle ruvida del pollice.
    All'improvviso ogni singola sensazione sembrò acutizzarsi, mentre i suoi sensi si concentravano sul punto in cui in cui i loro corpi si univano. Si morse inconsciamente il labbro inferiore, mentre la sensazione dentro di lei arrivava a vette che non aveva mai creduto possibili.
    "Oh Dio Spike, sto ..." riuscì a esalare, ansimando forte.
    Lui sorrise. Amava il modo in cui lei annunciava sempre i suoi orgasmi. All'improvviso spinse con forza verso l'alto, penetrandola a fondo con un'unica brusca spinta, e tutto sembrò crollare intorno a lei. Spalancò la bocca mentre l'energia che si era accumulata in lei le scorreva per tutto il corpo ed ogni centimetro vibrava per la forza dell'orgasmo. Spike si rese conto che stava per gridare e la attirò a sé per un bacio famelico, infilandole la lingua in bocca e soffocandone le grida.
    Lei gli avvolse le braccia intorno, tremante, continuando ad assaporare il proprio piacere. I muscoli del suo sesso si contrassero selvaggiamente, facendo sì che lui la seguisse ben presto nell'abisso.
    Dopo qualche secondo rimasero seduti in un intrico di arti, ansanti, appoggiati l'uno all'altra in cerca di supporto, con i corpo completamente svuotati. Ci volle un bel po' perché fossero in grado di parlare ma, alla fine, Buffy mormorò qualcosa.
    "Cos'hai detto amore?" chiese lui.
    "Freddo" mormorò lei.
    Lui sorrise e si sdraiò nuovamente sul letto, trascinandola con sé ed avvolgendo le lenzuola intorno ai loro corpi.

    Il rumore di una porta che veniva chiusa di colpo lo strappò al suo torpore. Spike brontolò fra sé, mentre il suo sguardo cadeva su una figura addormentata raggomitolata al suo fianco. Lei teneva la testa posata sul suo braccio e la gamba di sbieco sul suo stomaco. Rendendosi conto di quanto fossero perfetti insieme lui sorrise. Il suo sguardo scivolò sulla sveglia sul comodino. Le lucine rosse dicevano: "7:30".
    "Oh per l'inferno maledetto" imprecò, rendendosi conto che si erano appisolati. "Amore?".
    La figura sdraiata accanto a lui si mosse, ma non si svegliò.
    "Amore, devi svegliarti. Mio padre si è alzato".
    "Mm .." mormorò lei.
    "Buffy, ti devi svegliare" insisté lui, passandole le dita fra i capelli.
    "Cosa?" chiese alla fine lei, con gli occhi ancora chiusi.
    "Sono le sette e mezza, mio padre entrerà qui da un momento all'altro".
    "È troppo presto" protestò lei, sistemandosi più vicina.
    "Buffy ..." continuò a chiamarla lui, baciandola dolcemente sulla fronte. "Svegliati".
    "Solo cinque minuti" cercò di contrattare lei, ma lui non cedette.
    "Svegliati" disse, scuotendola un poco; lei aprì finalmente gli occhi.
    "Sei cattivo" brontolò imbronciata.
    "Lo so, ma devi alzarti".
    Lei si sdraiò controvoglia sulla schiena, stirando le braccia e sbadigliando forte. Lentamente riuscì a mettersi seduta. Voltandosi lo vide sdraiato sul letto e si chinò a posargli un casto bacio sulle labbra. Sfiorò con le dita la catenina che aveva intorno al collo e bisbigliò:
    "Grazie per il regalo".
    "No, grazie a te" rispose lui, guardandola mentre si preparava ad uscire dal letto. Rendendosi improvvisamente conto di una cosa la fermò: "Aspetta Buffy ... La scorsa notte ..."
    Lei si accigliò appena: "Sì?".
    "Sai ... il preservativo. Sei sicura che è tutto ... ehm ... sicuro?" chiese, leggermente imbarazzato.
    "Assolutamente. È quasi un anno che prendo la pillola" lo rassicurò lei.
    "Eh?".
    "Da quando stavo con Angel" spiegò lei.
    Lui si limitò a d annuire, mentre il pensiero di *lui* che la toccava gli faceva torcere lo stomaco. Lei era sul punto di andarsene quando lui la fermò di nuovo, con un'altra domanda.
    "Perché non me lo hai detto prima?".
    "Bè, la prima volta che ... È stato un po' imprevisto e io non sapevo se tu avessi ... sai ...". Si interruppe, sperando di non dover spiegare oltre, ma lui si accigliò costringendola continuare: "I preservativi non ti proteggono solo dalle gravidanze indesiderate".
    Lentamente lui comprese.
    "Hai pensato che avessi una qualche malattia sessuale?" chiese, un po' offeso.
    "No!" risopse immediatamente lei. "Voglio dire, non lo sapevo. Come facevo? Tu eri stato con Dru e, apparentemente, Dru non è troppo entusiasta dell'aspetto monogamico delle relazioni ...".
    "Neanche Angel a quanto mi ricordo" ribatté lui.
    "Dobbiamo litigare per questo?" sospirò lei. "È stato solo una volta e non ti conoscevo poi così bene".
    "E ieri?".
    "Ho cercato di dirtelo, ricordi? Non è che tu mi abbia prestato molta attenzione" replicò lei.
    Ci fu un momento di silenzio, mentre lui rifletteva su cosa fare.
    "Quando avrai deciso fammelo sapere" borbottò lei, uscendo dal letto.
    All'improvviso una mano forte la afferrò per la vita, tirandola e facendola ricadere sul letto. Alzando gli occhi si trovò Spike addosso e ansimò.
    Lui le sorrise: "Sei perdonata".
    "Lo sono?"."Ma solo per l'incredibile regalo di Natale" aggiunse lui prima di chinarsi a baciarla.


    Capitolo 36
    Lui le aveva appena posato la testa sull’incavo del collo, mordicchiandola lungo la linea della scollatura, quando un rumore di passi subito fuori dalla porta riportò di colpo alla realtà i due adolescenti. Sentirono il rumore della maniglia che veniva abbassata, e il panico li invase.
    “Oh mio ...”. Buffy non riuscì a finire la frase, perché Spike l’afferrò per un braccio e la spinse a terra e, alzatosi, rimase a guardare la porta che si apriva.
    “Spike, hai visto ...”. La sig.ra Summers si interruppe alla vista di Spike che, completamente nudo, era in piedi dietro il letto. Sfortunatamente quest’ultimo non era molto alto, gli arrivava appena alle ginocchia e, pertanto, non serviva a nascondere nessuna delle parti del suo corpo che lui avrebbe preferito tenere nascoste alla ragazza di suo padre.
    I due gridarono contemporaneamente:
    “Oh Dio!”.
    “Per l’inferno maledetto!”.
    Joyce si coprì immediatamente il viso con una mano, tastando goffamente la porta con l’altra alla ricerca della maniglia, mentre il ragazzo, altrettanto sorpreso, trafficava con le lenzuola, tirandosele sull’addome nel frenetico tentativo di coprirsi. Dopo alcuni secondi decisamente fastidiosi e imbarazzanti, la donna riuscì a chiudere la porta.
    “Per l’inferno maledetto, tua madre mi ha appena visto nudo” sibilò Spike, alla ragazza sdraiata ai suoi piedi.
    Lei stava per rispondere quando, attraverso la porta, si sentì una voce esitante.
    “Ehm ... Spike ... ehm ... m-mi dispiace. N-non ho …”.
    “Va tutto bene, sig.ra Summers” disse lui, accigliandosi quando si rese conto di aver ricominciato a chiamarla sig.ra Summers.
    “Bè ... H-hai visto Buffy?”.
    Lui e Buffy si scambiarono uno sguardo e lui si accigliò ancora di più.
    “Ehm ... In effetti no. Non è nella sua stanza?”. Questo gli procurò uno schiaffetto alla caviglia. “Che c’è?” bisbigliò alla ragazza seduta ai suoi piedi.
    “Adesso andrà a controllare” spiegò lei.
    “O forse ha ...”.
    “Sono già andata nella sua stanza. Non c’è”.
    “ ... già controllato” terminò lui, gridando con lo sguardo “ah!”. Poi si voltò verso la porta chiusa e continuò: “Forse è andata a fare una passeggiata”. Altro schiaffetto. “Per l’inferno maledetto, vuoi smetterla!” sibilò a Buffy.
    “Cosa dovrei fare adesso?” chiese lei, con gli occhi sgranati e ricolmi di disperazione.
    “Vai nella tua stanza e vestiti”.
    “Ma sono tutta appiccicosa! Ho bisogno di fare una doccia!” protestò lei in tono infantile.
    In risposta al suo atteggiamento lui le ordinò: “Adesso!”.
    Lei aprì la porta di comunicazione fra le due stanze e cominciò a cercare i propri vestiti il più silenziosamente possibile.
    “ ... uscire?”.
    La vista di Buffy che, nuda, si dirigeva contorcendosi nella sua stanza mandò in corto circuito il cervello di Spike che, dopo essersi ripreso, riuscì a sentire solo la parte finale della frase.
    “Mi dispiace sig.ra Summers, non ho sentito cosa ha detto” disse, cercando di controllare il tono roco della voce, mentre guardava Buffy aggirarsi freneticamente nella sua stanza, alla disperata ricerca di qualcosa da mettersi. Dio, era bellissima!
    “Ho chiesto se ti aveva parlato di uscire” ripeté Joyce, ancora evidentemente imbarazzata per quello che era accaduto pochi momenti prima.
    “Ehm ... io ... ehm ...”. “Buffy nuda! Buffy nuda! Buffy nuda!” insisté il suo cervello, mentre lui la guardava infilarsi i jeans. “Credo che abbia detto qualcosa … ehm …”. Alla fine lei si infilò una spessa felpa e lui riuscì a terminare la frase: “ … qualcosa sul fare una passeggiata. Ehm … sul godersi l’aria pura e la natura”.
    Buffy entrò nella stanza accigliata e mimò con la labbra: “Aria pura e natura?”.
    Spike si limitò a stringersi nelle spalle, sollevando entrambe le sopracciglia in segno di scusa.
    “Buffy si è svegliata presto? Per fare una passeggiata?” si meravigliò ad alta voce Joyce.
    “Già, chi l’avrebbe detto, eh?”.
    “Bè, ti ha detto quando sarebbe tornata?” continuò a chiedere Joyce, dall’altro lato della porta.
    “Più o meno intorno alle otto” se ne uscì Spike.
    “Ah, bene. Io e Rupert siamo di sotto. La colazione è quasi pronta e, non appena torna Buffy, cominceremo ad aprire i regali, va bene?”.
    “Certo, sig.ra Summers” gridò Spike, di rimando. Stava per dire qualcosa a Buffy quando sentirono di nuovo la voce di Joyce:
    “Ah Spike?”.
    “Sì?”.
    “B-buon Natale!”.
    “Buon Natale, sig.ra Summers!”.
    I due ragazzi aspettarono un paio di secondi in silenzio. All’improvviso Buffy alzò una mano, colpendo Spike sul braccio.
    “Per l’inferno maledetto, Summers. La vuoi finire di colpirmi?” sibilò Spike, strofinandosi il braccio.
    “Mi dispiace, è una cosa che faccio quando sono nervosa” disse lei a mo’ di scusa.
    “Colpisci le persone?” chiese lui, inarcando il sopracciglio sfregiato.
    Lei si strinse nelle spalle e chiese:
    “E adesso, Einstein? I nostri genitori sono di sotto, come faccio ad uscire di casa senza che mi vedano?”.
    “Passando dalla finestra” rispose lui in tono piatto.
    “Dalla finestra? Sei pazzo? Siamo al secondo piano!" puntualizzò lei.
    “Veramente siamo al primo piano” la corresse Spike.
    “Al primo piano? Di che cosa stai parlando? Siamo al secondo piano. O pensi che la cucina e il soggiorno siano sottoterra?” gettò là Buffy, alzando gli occhi al cielo.
    “Dipende dai punti di vista; io sono inglese, quindi *io* sono al primo piano” rispose altezzoso Spike, mentre lei lo fissava ad occhi sgranati. Lui sospirò a fondo e spiegò: “Il piano di sotto è il piano terra; il piano in cui siamo noi è il primo piano, quello ancora sopra il secondo e ancora e ancora …”.
    “Eh?”.
    “Lascia perdere” si arrese lui. “Americani, fate come volete. È il secondo piano”.
    “Eh ...?” ripeté lei; poi scosse la testa e aggiunse: “Comunque sia ... non hai ancora chiarito come intendi farmi uscire di casa senza che i nostri genitori se ne accorgano”.
    “Ti calerò di sotto” spiegò lui.
    “Va bene, ora te lo ripeto. Sono le sette e mezza del mattino, probabilmente il tuo cervello a quest’ora del mattino non riesce a cogliere certe sottigliezze ma … siamo al *secondo* piano” disse lei, come se stesse parlando ad un bambino di otto anni.
    Per tutta risposta lui sfoderò un sorriso forzato che si sbriciolò quasi subito: “Hai altre idee? A parte il sarcasmo?”.
    Lei socchiuse gli occhi e si avvicinò alla finestra, mentre Spike la seguiva.
    “Vedi, ci sono dei cespugli che attutiranno la tua caduta” le indicò Spike.
    Lei lo fissò: “Già, cespugli di rose”.
    “Che c’è? Ti farò oscillare”.
    “Ah, non solo devo saltare giù dal secondo piano ma mentre lo faccio devo anche essere lanciata oltre un cespuglio di rose?” chiese incredula lei.
    “E dai Buffy!”.
    Lei socchiuse di nuovo gli occhi e passò una gamba oltre il davanzale della finestra.
    “È tutta colpa tua” brontolò.
    “Colpa mia? Sei tu che sei venuta nel mio letto nel bel mezzo della notte” rispose Spike. Vedendo il modo assassino in cui lei lo stava guardando, decise di cambiare strategia: “Pronta?” chiese, afferrandole i polsi.
    “Sì!”.
    Stava per spingerla fuori quando lei gli afferrò le braccia.
    “Aspetta!”.
    “Che c’è?”.
    “E i nostri genitori? Sono di sotto, se guardano fuori dalla finestra mi vedranno cadere” precisò lei.
    Lui ci pensò un attimo e disse:
    “Ti farò oscillare in diagonale, così riuscirai a saltare il cespuglio e a cadere dove non ci sono finestre”.
    “Sei sicuro?” chiese lei dubbiosa.
    “Sembra abbastanza facile”.
    “Sì, perché non sei tu quello che deve saltare” brontolò lei.
    “Rilassati. Respira profondamente”.
    Lei chiuse gli occhi e inspirò.
    “Così. Inspira, espira, inspira, espira, inspi-“.
    “Bene, mi sto intorpidendo. Non credo che funzioni” mormorò lei.
    “Mi dispiace”.
    Lei strinse le labbra e inspirò un'ultima volta: “Sarà meglio”.
    “Pronta?”.
    Lei annuì e si sporse altre il davanzale, mentre lui la teneva per le braccia.
    “Bene, adesso ti faccio oscillare” annunciò lui, cominciando a muovere le braccia. Dopo un paio di movimenti la lasciò andare e lei, dopo essere volata oltre il cespuglio, cadde sull’erba con un tonfo.
    “Ahia!” brontolò, girandosi e rimettendosi goffamente in piedi.
    “Tutto bene?”.
    Buffy non riuscì a rispondere, perché Giles svoltò l’angolo di corsa.
    “Buffy?”.
    “Hey Giles!” lo salutò debolmente lei. “Buon Natale!”.
    “Ehm ... Buon Natale! S-stai bene? Cos’è successo?” chiese lui, aiutandola mentre lei saltellava verso la porta.
    “Diciamo che ho inciampato” mentì lei, gettando un’occhiataccia a Spike. Il ragazzo rimase alla finestra, a guardare Buffy e suo padre che voltavano l’angolo, sforzandosi il più possibile di non ridere.

    Il resto della giornata passò senza che succedesse niente di particolare e fu dedicato più che altro allo scambio dei regali. Si sedettero intorno al caminetto, ognuno intento a scartare i rispettivi regali.
    “Oh! Sono bellissimi!” esclamò Joyce, guardando gli orecchini di zaffiro. “Grazie mille!” esalò, sopraffatta, chinandosi a baciare rapidamente Giles quando pensò che i “ragazzi” non li stessero guardando.
    Buffy e Spike decisero di ignorarli concentrandosi sui propri regali.
    “Il Diario di Bridget Jones?” chiese Buffy, esaminando la copertina del libro che aveva in mano.
    “Secondo un mio amico di Londra è di gran moda” spiegò Giles.
    La biondina sorrise e lo baciò velocemente su una guancia.
    “Grazie Giles!”.
    “Veramente è stata un’idea di William” la corresse l’uomo, sistemandosi gli occhiali.
    Sentendo menzionare il vero nome di Spike Buffy cercò di soffocare una risatina e, senza dire nulla, annuì e rispose: “Grazie William”. Questo le procurò un’occhiataccia dell’ossigenato, che svanì quando lui sbirciò il regalo che aveva finalmente scartato.
    “Figo!” se ne uscì, voltando il CD per vedere la copertina. “I Sex Pistols greatest hits!”.
    “Tuo padre mi ha detto che ti piacciono. Non è che io sappia molto sul movimento punk. È buono?” chiese Joyce un po’ preoccupata. “Se vuoi puoi cambiarlo con qualcos’altro” aggiunse subito.
    “No, no! È perfetto! Grazie, sig.ra Summers!”.
    “Spike, ne abbiamo già parlato. Chiamami Joyce”.
    “Giusto ... Joyce. Scusa” si scusò. Dopo l’incidente della mattina, in qualche modo chiamarla per nome gli sembrava ... sbagliato.
    “Oh mio Dio! Una daga del Qatar. Dove l'hai trovata?” chiese Giles, fissando la lama d’acciaio ricurvo che teneva in mano.
    “Ho smosso un po’ le acque” rispose Joyce sorridendo.
    “E-è incredibile. L-la cercavo da ... sempre” balbettò lui, toccandosi di tanto in tanto gli occhiali nel tentativo nervoso di aggiustarli, senza distogliere lo sguardo dalla daga.
    “Lo so”.
    “Grazie, grazie mille” disse lui, mettendole un braccio intorno alla vita ed attirandola più vicina per un lungo bacio.
    “Bleah! Ragazzi perché non vi cercate una stanza o qualcosa di simile? Ci sono dei minorenni, vi ricordate?” protestò Buffy guardandoli disgustata, subito seguita da Spike:
    “Già! Per favore non rovinateci per sempre”.
    A queste parole la coppia si staccò, alzando gli occhi al cielo.
    “Bene, immagino che dovremmo metterci a lavorare sul pranzo di Natale, eh?” suggerì Joyce, battendo le mani.
    “Cucineremo? Tutti insieme? Di nuovo? Non credo che questa sia una grande idea, mamma” disse Buffy, corrugando dubbiosa le sopracciglia.
    “No, noi cucineremo” la corresse la madre indicando se stessa e Buffy.
    “Cosa? E loro cosa faranno? Se ne staranno sdraiati a pancia all’aria a stuzzicarsi i denti?” chiese offesa Buffy, mentre Giles e Spike si spaparanzavano sul divano.
    “No. Loro andranno a spaccare la legna” spiegò Joyce.
    “Che cosa? Abbiamo già la legna” disse Giles, raddrizzandosi.
    “I ceppi che sono nel seminterrato sono troppo grandi. Abbiamo finito quelli piccoli e quelli rimasti non entrano nel caminetto. Li dovrete tagliare in due”.
    “In ogni caso oggi ce ne andiamo. Perché spaccare tutta la legna?” chiese Spike.
    “Fa talmente freddo” si imbronciò Buffy, sbattendo le ciglia in direzione di Spike.
    “Già, non vorrete che noi piccole donne indifese ci prendiamo un raffreddore, non è vero?” aggiunse Joyce, guardando Giles e imitando la figlia.
    “Ma ...” cercò di protestare Spike, guardando le due donne alzarsi e andare nel cucinino.
    “Niente ma. Andate. Siate uomini!” li zittì Joyce.

    Buffy mugolò e si lasciò cadere sul letto con un tonfo.
    “Non mi sento molto bene” brontolò, tenendosi lo stomaco e fissando il soffitto.
    “Sai che strano. Con tutto il cibo che ti sei ingurgitata” disse la sig.ra Summers, scuotendo la testa in segno di disapprovazione. “Ti avevo detto di non mangiare una terza fetta di torta”.
    “Bleah! Non parlare di cibo! Per favooore!" la supplicò la ragazza, voltandosi su un fianco, con le mani ancora protettivamente posate sullo stomaco rigonfio.
    “Questo è quello che succede agli ingordi” continuò Joyce.
    “È Natale. Non esiste l’ingordigia” ribatté Buffy, che era appena in grado di parlare.
    “Vieni, alzati dal letto e aiutami a fare le valige” replicò la sig.ra Summers, ignorando le “sofferenze” della figlia.
    “Non riesco ancora a capire perché dobbiamo tornare a casa così presto. Voglio dire, è il giorno di Natale!” notò Buffy, chiudendo gli occhi presa da uno spasmo.
    “Te l’ho detto; devo tornare alla galleria d’arte e Rupert domani deve aprire il negozio”.
    “Chi è che compra opere d’arte o libri il giorno dopo Natale?” indagò Buffy, sollevando le mani accigliata.
    “Considerato che non volevi neanche venire non sei troppo entusiasta di andartene, non è vero?”.
    “Oh mio Dio! Hai detto “entusiasta”. Forse abbiamo passato troppo tempo con la famiglia Giles” brontolò Buffy, costringendosi a sedersi.
    Joyce sospirò a fondo e aprì l’armadio della figlia: “Vediamo un po’”.
    “Non possiamo aspettare un paio d’ore?” chiese Buffy, strascinando i piedi fino al punto in cui si trovava la madre.
    “Sono le quattro. Da qui a che tu abbia preparato le valigie saranno le sei. Non voglio scendere giù dalla montagna di notte. La strada è davvero pericolosa, soprattutto se piove” spiegò Joyce cominciando ad estrarre vestiti dall’armadio e ad infilarli nelle valigie.

    Nel giro di un'ora tutti avevano preparato le valigie, il cofano dell’auto era stato riempito e i quattro erano pronti per partire.
    “Sei sicura di non esserti dimenticata niente?” chiese per la quarta volta Joyce.
    “Sono sicura, mamma” mormorò Buffy entrando nell’auto.
    “Stavo solo controllando” disse la sig.ra Summers, allacciandosi la cintura di sicurezza.
    “Anche se avete dimenticato qualcosa è solo una mezz’ora di macchina. Possiamo sempre tornare a prenderla” spiegò Giles, girando la chiave dell’accensione e facendo ruggire il motore.
    La piccola auto si sistemò lentamente sulla strada, prendendo i tornanti uno alla volta. Nel sedile posteriore Buffy sistemò le gambe sopra quelle di Spike, tenendogli di nascosto una mano.
    Joyce fece scorrere lo sguardo sul paesaggio, per poi posarlo per qualche secondo sull’uomo al volante. Quando, lanciato uno sguardo alle proprie spalle vide Buffy che, pian piano, si stava addormentando con la testa poggiata sulla spalla di Spike che guardava fuori dal finestrino, sorrise inconsciamente. Riportò lo sguardo sulla strada e sospirò tranquilla, lasciando che la propria mente tornasse agli eventi di quei pochi giorni passati nella capanna.

    “Bene, mi sa che noi siamo arrivate” annunciò Joyce, mentre l’auto infilava il vialetto. Si voltò verso Giles e sorrise: “Grazie ancora per la meravigliosa vacanza. È stato uno dei Natali migliori da molto tempo a questa parte”.
    “Sono felice che ti sia piaciuto. Dovremmo andarci durante l’estate. È abbastanza caldo da nuotare nel lago” disse Giles, aprendo la portiera dell’auto per Joyce.
    “Ci penseremo”.
    Nel frattempo i due ragazzi rimasero in piedi dall’altro lato dell’auto, fissandosi l’un l’altra in un saluto silenzioso.
    “Buffy, stai venendo?”.
    La voce della madre la strappò dal suo torpore.
    “Arrivo” gridò di rimando; poi si voltò verso Spike e disse: “Ci vediamo dopo”. Era sul punto di andarsene quando lui le afferrò la mano.
    “Ti chiamerò stanotte” le sussurrò
    “Sarò in attesa”. Gli sorrise velocemente, poi corse verso la casa e, guardando l’auto che si allontanava, agitò una mano e gridò: “Grazie ancora, Giles”.

    “Bè Willow, sarà meglio che chiuda. Ha detto che stanotte mi avrebbe chiamato” annunciò, avvolgendosi il cavo intorno alle dita. “Va bene, allora ciao” disse, prima di abbassare la cornetta.
    Sospirò a fondo, fissando il soffitto e, per un attimo, chiuse gli occhi. Aveva appena terminato una conversazione telefonica di un’ora con Willow, raccontando nei dettagli tutto quello che era successo alla capanna. Veramente era stato più che altro un monologo, con interruzioni occasionali tipo “oh” e “ah” provenienti dall’altro lato del filo.
    Gli arti le si intorpidirono, le palpebre le si appesantirono e il suo respiro rallentò; si stava addormentando. All’improvviso lo squillo acuto di un telefono la strappò ai suoi pensieri. Stava per brontolare qualcosa finchè non capì chi era. Si voltò rapidamente di lato e afferrò la cornetta.
    “Hey! Credevo che non avresti chi- Giles? È lei? Oh scusi, credevo fosse ... qualcun altro” disse, senza riuscire a nascondere il proprio disappunto. “Sì, chiamo mamma. Mamma!” gridò, senza aver alcuna risposta. Si alzò di malavoglia e, dopo aver attraversato il corridoio, scese le scale: “Mamma?”.
    “Sì, tesoro?”.
    “Telefono. È per te. È Giles” brontolò Buffy, marciando di sopra e rimettendo a posto la cornetta prima di scendere nuovamente le scale. Dato che si era alzata, tanto valeva che si prendesse qualcosa da bere. Da bere, non da mangiare. Mangiare era decisamente fuori discussione per i prossimi due giorni.
    Era in cucina a prendersi un bicchiere e a versarsi del succo d’arancia, quando entrò la madre.
    “Era Rupert”.
    “Lo so mamma, ho risposto io, te lo ricordi?” mormorò Buffy bevendo un sorso della sua bibita.
    “Sei di buon umore” notò Joyce.
    “Sono solo stanca” si giustificò lei, sedendosi su uno sgabello là vicino.
    “Bè, voleva sapere se quest’anno andremo dai Chase per Capodanno”.
    “Non è quello che facciamo sempre?”
    “Sì; stavo cercando di convincerlo a venire” disse Joyce, appoggiandosi al bancone e bevendo a sua volta. “Non va mai. Pensa che sia troppo formale”.
    “Puoi dargli torto?”.
    “Immagino di no”.
    “È talmente piatto e noioso. C’è tutta Sunnydale. E in più bisogna andare in abito da sera”.
    “Appunto!”. Quando la figlia si accigliò la sig.ra Summers spiegò: “Abito da sera significa Rupert in smoking”.
    “Il che significa Spike in smoking” si rese conto Buffy. All’improvviso l’idea di andare alla festa di Capodanno dei Chase era veramente *molto* allettante.
     
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