Un Tocco di Gelosia

Tradotta da PrincesMonica

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  1. TerenceSpike
     
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    CAPITOLO 30
    “È l’ultima?” chiese speranzoso Giles, ficcando la grossa valigia sul sedile posteriore dell’auto.
    “Sì, credo di sì” rispose Joyce.
    Il veicolo era completamente riempito, con il cofano semiaperto, legato da una grossa fune che doveva servire a tenerlo chiuso, e la parte sinistra del sedile posteriore anch’essa affollata di grosse valigie.
    “Ehm ...”. Spike guardò l’auto, grattandosi la testa. “Come faremo a starci?”.
    I quattro si guardarono l’un l’altro per qualche momento, riflettendo sulla questione.
    “Bè ...” iniziò Giles, accigliandosi e socchiudendo gli occhi. “Voi due non potreste stringervi là? Siete entrambi molto magri, dovrebbe andare”.
    “Stringerci?” ripeté incredula Buffy. “Io non mi stringerò da nessuna parte con lui” disse, indicando il ragazzo ossigenato che le stava a fianco.
    “Immagino che potremmo prendere la jeep ...” cominciò Joyce, leggermente contrariata.
    “Schiocchezze. Loro possono stare là” obiettò Giles. Poi, voltandosi verso i due ragazzi, aggiunse: “Non è vero?”.
    Buffy alzò gli occhi al cielo e non disse niente, poi marciò verso la portiera posteriore dell’auto e vi entrò. Spike la seguì subito, cercando di stringersi, ma lo trovò impossibile.
    “Ahia!” protestò Buffy, mentre lui la spingeva involontariamente contro il bagaglio.
    “Scusa” saltò su lui, infilando l’altra gamba.
    Dopo un bel po’ di contorcimenti e giravolte riuscirono a sistemarsi, seduti fianco a fianco, con le gambe premute nell’esiguo spazio. Spike fremette quando Buffy si mosse, costringendolo a chiudere le cosce in maniera decisamente dolorosa.
    “Ti dispiace?” brontolò, spingendo la gamba di lei lontano dalla sua e concedendosi così lo spazio di cui aveva bisogno.
    “Che c’è? Hai le gambe spalancate!” protestò Buffy.
    “Perché ho bisogno di tenerle *spalancate* da un punto di vista anatomico!” scattò di rimando Spike, mentre Giles e Joyce entravano in macchina.
    “Ragazzi, tutto bene là dietro?”.
    I due ringhiarono contemporaneamente: “Stiamo bene!”.

    Nonostante di solito ci volesse solo una trentina di minuti il viaggio fino al lago sembrò durare un’eternità. Spike fremeva ogni volta che lei si muoveva al suo fianco, costringendolo a chiudere le gambe, ma si rifiutò di dire qualcosa. Si strinse le ginocchia fino a far sbiancare le nocche, ma non disse una parola.
    Buffy dal canto suo stava seduta con le braccia incrociate sul petto, facendo del suo meglio per apparire completamente inconsapevole delle sofferenze del ragazzo.
    Mentre salivano sulla montagna Giles fu costretto ad una stretta inversione ad U che fece scivolare sia Buffy che il bagaglio al suo fianco lungo il sedile, schiacciando Spike contro la portiera dell’auto. Fu l’ultima goccia! Il ragazzo passò dal rosso al porpora al blu e, alla fine, ad una terrificante sfumatura di bianco che fece fremere empaticamente persino Buffy.
    “Proviamo così” disse lei, sollevando le gambe e passandole sulla coscia di lui, in maniera tale da dargli lo spazio per spostarsi.
    Ci fu un miglioramento immediato delle sue sofferenze, dimostrato dal leggero colore che gli fece brillare le guance pallide.
    “Grazie” esalò lui sorridendole; lei però si voltò dall’altra parte, trovando improvvisamente molto interessante il motivo decorativo delle proprie valigie.
    Lui alzò gli occhi al cielo e guardò fuori dal finestrino. Stava pensando fra sé: “Cosa ho fatto per meritarmi questo?” quando sentì le gambe di lei scivolare inavvertitamente lungo la sua coscia, spostandosi verso il basso. Si bloccò e la guardò con la coda dell’occhio. Lo stava facendo di proposito? Sembrava proprio di no, dato che aveva ancora la stessa espressione tra l’annoiato ed il seccato appiccicata in viso.
    Strinse i denti quando Giles premette sull’acceleratore, spingendoli contro lo schienale, con la gamba di lei che, ora, gli premeva sull’inguine. Deglutì a fatica, cercando di concentrarsi su qualunque cosa che non fosse il fatto che lei lo stava sfiorando. Il profumo di lei sembrò prendere vita all’improvviso, circondandolo, con il solo risultato di accentuare le sue emozioni. Non sapeva cosa fosse peggio: avere le gambe pressate fra loro o avere lei che gli si premeva addosso in quel modo. Buffy si mosse appena, cercando di mettersi comoda, apparentemente inconsapevole del modo in cui il suo ginocchio si strofinava contro di lui, e lui non poté evitare di gemere. “Per l’inferno maledetto” imprecò fra sé, chiudendo gli occhi e rovesciandoli verso l’alto, mentre stringeva e rilassava i denti. Non sapeva quanto avrebbe potuto sopportare prima che … Gettò un’occhiata ai propri calzoni e, vedendo un evidente rigonfiamento, pensò: “Bene, giusto perché non sapevo quanto avrei potuto sopportare”.
    La voce vivace di Joyce si fece strada nella sua mente offuscata: “Ci siamo!”.
    “Grazie a Dio!” esalò lui, aprendo subito la portiera e scendendo prima che la macchina si fosse fermata del tutto.
    “William! Stai attento!” lo avvertì Giles, vedendo il proprio figlio scendere barcollando dall’auto. “Sei pazzo?” chiese, dopo aver tirato il freno a mano.
    “Scusa. Avevo le gambe praticamente insensibili. Avevo bisogno di uscire da lì” si scusò lui, stringendosi addosso lo spolverino di pelle per nascondere gli effetti che aveva su di lui una tale vicinanza con Buffy.
    “La prossima volta stai attento” lo avvertì Giles, scendendo dall’auto contemporaneamente a Joyce e Buffy.
    “Oh Rupert, questo posto è bellissimo!” esclamò Joyce, vagando con lo sguardo fra la piccola capanna ed il lago che si stendeva davanti a loro.
    “Sono contento che ti piaccia” disse l’uomo con una punta di orgoglio, cominciando a slegare la corda che teneva il cofano.

    Lui girò la chiave ed aprì la porta, permettendo a Joyce ed alla figlia di entrare nella capanna di legno.
    “Vi piace?” chiese Giles, posando le chiavi su una mensola vicino alla porta.
    “È meravigliosa, Rupert” esalò Joyce coprendosi la bocca con le mani, mentre entrava nel piccolo soggiorno alla sua destra. “Vero, Buffy?”.
    La ragazza si limitò a stringersi nelle spalle, anche se lo sguardo le cadde subito sul caminetto nell’angolo più lontano della stanza. Forse quello funzionava. Era stufa di non poter usare quello che avevano a casa perché il loro stupido fumaiolo insisteva nell’otturarsi.
    Si guardò intorno, e vide un piccolo cucinino sulla sinistra, a fianco di una rampa di scale che si trovava dritta di fronte alla porta e che conduceva al piano superiore. L’area della cucina era separata dal soggiorno solamente da un bancone di legno e da tre o quattro sgabelli.
    “Volete vedere il resto della casa?” chiese Giles, salendo le scale.
    “Oh sì! Certo!” rispose entusiasta Joyce.
    Buffy salì di malavoglia dietro ai due, seguita da Spike. L’ossigenato deglutì a fatica, guardandola salire le scale ondeggiando provocatoriamente il sedere fasciato dai jeans.
    Quando raggiunsero la cima si trovarono in uno stretto corridoio con quattro porte, due da ciascun lato, ed una piccola finestra in fondo. Giles aprì la prima porta a destra, entrando nella stanza.
    Gli altri lo seguirono subito, trovandosi in una piccola stanza da letto, con un letto matrimoniale addossato alla parete di destra e due comodini sui lati. Sulla parete di sinistra c’era un armadio, e sulla parete di fronte alla porta su cui erano fermi loro c’era una finestra.
    “Questa è una delle camere da letto”.
    “È molto carina” esclamò Joyce, entrandoci ed esaminandola.
    Buffy rimase a guardare, con aria disgustata, Giles che si avvicinava alla madre e le sussurrava qualcosa all’orecchio, facendo ridacchiare un poco la donna; poi lei uscì dalla stanza e si ritrovarono nuovamente in corridoio.
    Giles aprì la prima porta a destra, rivelando una stanza più piccola sistemata in maniera simile alla precedente, tranne per il fatto che in questa vi era un letto singolo posto contro la parete di destra, di fronte a questo vi era l’armadio, contro la parete di sinistra, ed a fianco di quest’ultimo c’era una porta.
    “Questa è una delle stanze gemelle”.
    “Stanze gemelle?” chiese Joyce, accigliandosi.
    “Le chiamiamo così perché ...”. Giles andò alla porta a fianco all’armadio e la aprì, rivelando una stanza esattamente uguale a quella in cui si trovavano. “ … è esattamente uguale a questa” terminò con un ghigno saputo, levandosi gli occhiali e cominciando a ripulirli con un fazzoletto.
    Buffy guardò a destra e a sinistra e si rese conto che le due stanze erano decisamente stanze *gemelle*. Tutto era identico, comprese le coperte sui letti.
    “P-penso che i ragazzi possano stare in queste stanze” suggerì Giles, rimettendosi gli occhiali e tornando in corridoio dove aprì l’ultima porta. “E questo è il bagno. Soltanto uno, mi dispiace”.
    Buffy si accigliò. “Tre stanze. Una per me. Una per *lui*” razionalizzò fra sé, socchiudendo gli occhi a Spike, disgustata. “Una per … DIVIDERANNO UNA SOLA CAMERA DA LETTO? UNA CAMERA DA LETTO CON UN SOLO LETTO?!” si rese conto, scioccata, spalancando gli occhi e la bocca. Avrebbe dovuto immaginarlo. I piccoli segreti sussurrati, i ridicoli sogghigni … “Dio! Credo di stare per sentirmi male ...” pensò deglutendo a fatica, mentre seguiva gli altri tre giù per le scale.

    Buffy sistemò rabbiosamente le sue cose nei vari cassetti dell’armadio. Era finita nella seconda delle stanze gemelle.
    “Questa dev’essere la vacanza di Natale che viene dall’*inferno*!” mormorò a denti stretti. “Sono bloccata in una stupida capanna, con lo stupido Mr. Ossigeno che dorme nella stanza a fianco, e mia madre che si accampa con lo stupido Mr. Ossigeno senior. E *non* c’è il televisore!” completò agitando le mani per aria.
    Sentì una porta che si apriva e, raddrizzandosi, vide Spike appoggiato sulla soglia della porta che conduceva alla sua camera.
    “Hai chiamato?” chiese lui.
    “No!” scattò lei, sistemandosi i capelli e avvicinandosi a lui con una mano protesa. “E voglio le chiavi di questa porta. Rimarrà sempre *chiusa a chiave*, almeno finché dormirò qui”.
    Rimase ad aspettare una risposta ma lui si limitò a infilarsi le mani nelle tasche anteriori dei jeans neri e a stringersi nelle spalle.
    “Mai avuta una. Quando mio padre ha comprato questo posto il proprietario non ce l’ha data” rispose alla fine.
    “Stai mentendo” lo accusò lei, socchiudendo gli occhi.
    Lui si strinse nuovamente nelle spalle: “Chiedi a papà, se vuoi”; poi rimase a guardarla marciare rabbiosamente verso le valigie e l’armadio e continuare a disfare i bagagli.
    “Allora ... Cosa ne pensi del posto?” disse lui, cominciando ad entrare nella stanza ma fermandosi immediatamente quando lei, sollevato lo sguardo, stese un braccio nella sua direzione.
    “Fermo lì, signorino. Non entrerai in questa stanza” lo avvertì, avvicinandoglisi come un predatore e costringendolo ad indietreggiare. “Stai lontano da me finché sono qui, punto e basta. Hai afferrato? Posso anche essere costretta a vivere con te in una casa minuscola per una settimana, ma questo non significa che io e te dobbiamo interagire in qualche modo o maniera”.
    “E dai Buff ...”.
    “Addio, *William*” ringhiò lei a denti stretti, chiudendogli la porta in faccia e riprendendo a disfare i bagagli.
    Sentendo la maniglia che girava e la porta che si spalancava sospirò di frustrazione.
    “Che c’è?!”.
    “Mi piace la porta aperta” rispose lui con un sogghigno forzato, ritornando nella sua stanza e sdraiandosi sul letto.
    Dopo qualche secondo la porta venne sbattuta, e lui la sentì gridare da dietro la porta:
    “Io la preferisco chiusa!”.
    “Aperta!” ringhiò lui di rimando, spalancandola; stavolta rimase sulla soglia ad aspettare che lei si precipitasse da lui ma lei non lo fece.
    “Bene! Gioca pure al tuo stupido giochetto infantile” mormorò lei, finendo di disfare i bagagli e calciando la valigia in un angolo della stanza, vicino alla finestra. “Devo sopportarti per una settimana, una sola settimana. Ti ignorerò e basta” decise, incrociando le braccia sul petto.
    “Sei una ragazzina testarda, lo sai?” disse lui, avvicinandosi senza curarsi della politica del “non entrare nella mia stanza”, mentre lei indietreggiava fino a trovarsi ai piedi del letto. “Perché ti stai comportando così? Io non ho *fatto* niente. Io ...”.
    Attraverso il corridoio si sentì la voce della sig.ra Summers: “Spike! Buffy! La cena è pronta”.
    Non era mai stata così sollevata nel sentire la voce della madre. Tenendo gli occhi fissi al pavimento, superò il ragazzo incavolato che torreggiava su di lei e uscì dalla stanza.

    Dopo cena i quattro si sedettero intorno al caminetto; Giles si sistemò sul divano mentre Spike si sdraiò sul tappeto bianco steso di fronte al camino. Buffy dal canto suo si sedette di malavoglia su una vicina poltrona, imbronciata, e si mise a fissare il fuoco.
    “Si sta bene” cominciò Giles, bevendo un sorso di brandy.
    Joyce annuì, e si sedette sul divano a fianco dell’uomo.
    “Quando sistemeremo l’albero?” chiese Joyce, guardando con la coda dell’occhio la bionda che se ne stava incavolata sulla poltrona.
    “Domani mattina, per prima cosa” rispose Giles.
    Ancora una volta sui quattro scese il silenzio. Era ancora imbarazzante, ma non tanto disperato quanto lo era stato durante la loro prima cena.
    Giles decise di rompere il silenzio: “La cena era deliziosa”; Buffy alzò gli occhi al cielo.
    Joyce annuì ancora una volta, arrossendo e sorridendo: “Grazie Rupert”.
    “Bleah!” ringhiò Buffy disgustata, guadagnandosi un’occhiata di rimprovero dalla madre.
    La ragazza si raddrizzò immediatamente, guardando il pavimento. Non le piacevano per niente le occhiate della madre.
    Passarono altri dieci minuti di tortura, con qualche commento occasionale da parte di Joyce e Giles, mentre entrambi i ragazzi rimasero completamente tranquilli per tutto il tempo. Buffy guardò l’orologio per la decima volta nella serata e, rendendosi conto che erano solo le nove, brontolò fra sé. Ad ogni modo decise di portare avanti il proprio piano. Si portò una mano alla bocca e sbadigliò forzatamente, stirando le braccia in un patetico tentativo di apparire assonnata.
    “Dio! Che ore sono?” iniziò, guardando di nuovo l’orologio. “Solo le nove? Sembra mezzanotte. Devo essere veramente sfinita per ... il viaggio e tutto il resto. Bè, io vado a letto. Buonanotte”.
    “Ma ...”.
    Prima che la sig.ra Summers potesse finire la propria frase Buffy stava già sfrecciando su per le scale. Joyce sospirò forte, guardando Rupert in cerca di sostegno, poi Spike si alzò.
    “Anch’io sono un po’ fuori combattimento. Vado”.
    E, in un lampo, lasciò il soggiorno.
    “Non preoccuparti. Si abitueranno” la rassicurò Rupert, abbracciandola mentre lei gli poggiava la testa sulla spalla. “Alla fine”.

    “Sfinita per il viaggio? Da cosa? Dagli interi trenta minuti di durata?”.
    Buffy alzò gli occhi al cielo e si voltò a guardare il ragazzo che stava in piedi sulla soglia.
    “Che cosa vuoi?” ringhiò.
    “Niente” disse con noncuranza lui, entrando nella stanza.
    “Che cosa non hai capito del fatto che io non ti voglia nella mia stanza?” brontolò lei, appoggiandosi all’armadio.
    “Cosa ne pensi?” chiese lui, ignorando la sua domanda.
    “Cosa ne penso di cosa?”.
    “Delle due colombelle al piano di sotto” spiegò Spike.
    “Mi sto sforzando al massimo di non pensarci, grazie” ribatté lei spostandosi sul letto, scostando le coperte e sedendosi contro la testiera di metallo. “Ora, se non ti dispiace, me ne vado a letto” disse, incrociando le braccia sul petto ed aspettando che lui se ne andasse.
    “Non mi dispiace” rispose lui, piegando la testa di lato e rimanendo a guardarla appoggiato al muro di fianco al letto.
    “A me sì! Vattene. Adesso!” gli ordinò lei, indicando la porta.
    “Sei così carina quando ti arrabbi, lo sai?”.
    Buffy si accigliò.
    “Vattene. Adesso” ripeté, a denti stretti.
    “Non lo vuoi davvero, passerotto” sorrise lui.
    “Invece sì” ribatté lei, sollevando i sopraccigli.
    “Sicura?” chiese lui, staccandosi dal muro e andando a sedersi sul letto.
    “Sicurissima” insisté lei.
    “Bene, se è quello che vuoi” acconsentì lui, ma non si mosse.
    “È quello che voglio” gli assicurò lei.
    I due rimasero a guardarsi, immobili. Spike la fissava ciecamente, come in trance.
    “Questo è il momento in cui te ne vai?” se ne uscì Buffy.
    “Buffy ... Non ho fatto niente” disse lui a bassa voce, facendole ribollire lo stomaco.
    “Non ho mai detto che tu abbia fatto qualcosa”.
    “E allora perché fai così?” chiese lui, con un pizzico di dolore nella voce.
    Lei lo guardò con un misto di rabbia e dolore, poi deglutì a fatica e disse:
    “Buonanotte, Spike”.
    Scivolò sotto le coperte, poi spense la lampada che si trovava sul comodino e, dopo essersi sistemata tra le lenzuola, gli voltò le spalle. Sentendo il materasso spostarsi ebbe un tuffo al cuore, poi lui se ne andò. Le sue orecchie si riempirono del suono di passi che si allontanavano lentamente, poi la porta venne chiusa con cautela.
    Si girò e si rigirò nel letto, poi decise di accendere la luce e controllare l’ora. Gemette rendendosi conto che erano solo le undici. Non era affatto stanca. Era troppo presto, e poi la consapevolezza che *lui* stava dormendo dall’altro lato *della* porta faceva fare le capriole al suo stomaco. Si sedette sul materasso, chiedendosi se lui era già addormentato o se, invece, era sveglio a pensare …
    Dopo averci riflettuto tirò fuori le gambe dalle coperte e si alzò. Camminando a piedi nudi sul freddo pavimento di legno si avvicinò alla porta che separava le due stanze, e ci posò l’orecchio sforzandosi di sentire qualcosa.
    C’era silenzio totale. “Figuriamoci, starà dormendo come un bambino” brontolò mentalmente.
    Sibilò a denti stretti: “Maiale” e fece per allontanarsi, poi cambiò idea.
    Si lasciò cadere in ginocchio, con il viso all’altezza del buco della serratura, cercando di vedere cosa succedeva dall’altro lato della porta. Quando si rese conto che le luci erano accese il suo cuore perse un colpo. “Non dorme …” pensò, tentando di distinguere qualcosa, ma tutto ciò che riusciva a vedere era un insieme surrealistico di luci ed ombre. Si lasciò scivolare sul pavimento e, nel tentativo di vedere qualcosa da sotto la porta, vi incollò l’orecchio.
    “Sì” bisbigliò, trionfante, vedendo un paio di piedi che passeggiavano in cerchio. Ridacchiò un poco mentre li guardava ma, vedendolo immobilizzarsi, si coprì rapidamente la bocca. Per un attimo rimase perfettamente immobile, aspettando di vedere cosa avrebbe fatto lui, poi lui si mosse. Sparì dal suo campo visivo e, all’improvviso, riapparve proprio di fronte a lei ma, quando se ne rese conto, era troppo tardi. L’ultima cosa che sentì fu lo scricchiolio della porta che veniva spalancata, poi il legno cozzò contro la sua faccia e lei cadde all’indietro sul pavimento.
    “Buffy, stai bene?” gridò Spike, rendendosi conto di cosa aveva fatto ed entrando nella stanza.
    “S-sto bene” balbettò coraggiosamente lei, sforzandosi di rialzarsi, barcollando.
    “Sei sicura?” chiese lui, vedendola vacillare all’indietro, verso il letto.
    “Sì. Solo che ho dei problemi a mettere a fuoco gli oggetti” spiegò lei, continuando ad aprire e chiudere gli occhi. Chiese: “Ehm … Spike? Perché le cose non smettono di muoversi?” e, all’improvviso, perse l’equilibrio e cadde. Per fortuna era arrivata fino al letto, e vi si sdraiò scompostamente.
    “Oh Dio! Mi dispiace!” si scusò Spike, sdraiandosi accanto a lei. “Sta giù”.
    “Credevo di essere sdraiata” si accigliò Buffy, mentre un dolore lancinante le esplodeva in testa, a partire dal bernoccolo sulla fronte fino alla nuca.
    “Lo sei, passerotto. Stai buona. Io torno subito”.
    Uscì dalla stanza ma, dopo un minuto, era di nuovo seduto accanto a lei sul letto, a premerle un impacco di ghiaccio sulla ferita.
    “Stai meglio?” chiese, chiaramente preoccupato per lei.
    Lei annuì, imbronciata, mentre la testa le pulsava furiosamente. Alla fine aprì gli occhi e si costrinse a tirarsi su.
    “Che cosa stavi facendo?” riuscì a chiedere lui.
    “Cercavo ... ehm ... i miei orecchini” mentì malamente lei, dato che la vista del petto nudo di lui sembrava interferire con la sua capacità di inventarsi delle scuse.
    “Sono sul comodino, passerotto” iniziò Spike, piegando la testa di lato e aggrottando le sopracciglia.
    “Ecco perché non riuscivo a trovarli”. Buffy gli sorrise debolmente, poi lasciò cadere lo sguardo sul pavimento.
    Lui rimase in silenzio per un attimo, poi sogghignò.
    “Mi stavi spiando?”.
    “NO!” rispose subito lei, sgranando gli occhi ed alzandosi per camminare poi nervosamente su e giù per la stanza.
    “Invece sì” insisté lui, quando la reazione di lei diede conferma ai suoi sospetti.
    “Sei così presuntuoso” ringhiò Buffy, vacillando goffamente, ancora un po’ instabile.
    “Stavi cercando di dare un’occhiata al vecchio ...”.
    “Per favore Spike. Ti ho già visto ...”. Lottò con le parole e, alla fine, balbettò: “*il coso*. Non è più una novità, ricordalo”.
    “Non c’è bisogno che sia una novità perché tu abbia voglia di darci un’occhiata” replicò lui, con un ghigno insolente che le fece ribollire il sangue.
    “Non stavo cercando di dare un’occhiata ad un bel niente, va bene?” scattò lei sollevando la voce e, fermatasi, si voltò a guardarlo.
    “Non c’è bisogno di prendersela, passerotto” iniziò lui, alzandosi dal letto ed avvicinandosi a lei. “Se vuoi …”. Ora le stava esattamente davanti, invadendo il suo spazio personale, ma lei rifiutò di spostarsi. “Tutto quello che devi fare è chiedere, passerotto”.
    “Sei un maiale” rispose lei, spingendolo via in maniera tale da mettere tra loro uno spazio indispensabile.
    “Non ti stanchi mai di dirlo, vero?” chiese lui, voltandosi e guardandola mentre si metteva a letto.
    “Spike, vai a letto” ringhiò lei, spegnendo le luci e lasciandosi ricadere addosso le coperte. “Ah!” urlò, sentendo il materasso spostarsi sotto di lei e le lenzuola che venivano scostate mentre qualcuno si sistemava nel letto con lei. Si divincolò, allontanando le braccia di lui e, dopo aver armeggiato per un po’ con l’interruttore della luce, riuscì ad accenderla. “Che cosa stai facendo?! Sei fuori …”. Lui le chiuse la bocca con la mano, impedendole di continuare a gridare e la fissò con i suoi occhi azzurri.
    “Vuoi svegliarli?” chiese.
    Il battito cardiaco di Buffy accelerò man mano che lei prendeva coscienza del torace nudo premuto contro di lei, della mano posata sulla sua bocca ormai inaridita e delle gambe fasciate dai jeans che premevano contro le sue.
    “In più mi hai detto di andare a letto, non ricordi?” cominciò lui sogghignando, per poi smettere di colpo non appena si rese conto del battito accelerato del cuore di lei.
    I due rimasero immobili per alcuni istanti. Pian piano ripresero a pensare compiutamente e Spike spostò la mano dalla bocca all’incavo del collo di lei, sfiorandole la mascella con il pollice in una dolce carezza. La sua testa si mosse come animata da volontà propria e avvicinò le labbra a quelle di lei, fino a sfiorarle. Nel momento in cui si toccarono Buffy sentì una scarica di elettricità percorrerle il corpo e aprì vogliosa la bocca, invitandolo ad entrare.
    Lui si spostò a coprirle il busto con il proprio e le infilò la lingua in bocca lottando con quella di lei, esplorandola. Buffy gemette, mentre lui infilava una gamba fra le sue e si strofinava lentamente fra le sue cosce.
    Lei perse ogni capacità di pensiero. Le sue mani vagavano frenetiche sulla schiena di lui, lasciando lievi tracce rosse al loro passaggio. Si inarcò sul letto, approfondendo il bacio e premendoglisi addosso; aveva bisogno di stargli il più vicino possibile.
    Le labbra di lui abbandonarono le sue e le scivolarono sul collo, mentre le tirava la camicia da notte nel vano tentativo di scoprirla. Rendendosi conto che era impossibile farlo senza lacerare il tessuto, le afferrò il seno e lo baciò attraverso la stoffa, inzuppandola di saliva. Mentre lui la provocava senza pietà con le labbra, lei gemette e gli affondò le unghie nella schiena.
    Sentendolo pronunciare il suo nome attraverso la stoffa ebbe un attimo di lucidità, all’improvviso e senza un motivo apparente.
    In un lampo lo spinse via dal letto e si coprì con le lenzuola.
    Spike rimase sul pavimento per qualche secondo, cercando di capire cosa fosse successo.
    “Vattene. Via” disse lei a denti stretti.
    “Buf...”.
    Lei lo guardò male: “Se entro tre secondi non sarai uscito comincerò a gridare”.
    “Buffy abbiamo bisogno di ...”.
    “Uno”.
    “... parlare. Non puoi semplicemente ...”.
    “Due”.
    “Buffy per favore ...”.
    Lei cominciò a gridare con tutto il fiato che aveva in gola: “Aaaaaah!!!”.
    Spike vacillò nervoso, indeciso fra lei e la porta. Rendendosi conto che le sue grida si facevano più forti ogni volta che lui le si avvicinava scelse la porta, chiudendola nel momento esatto in cui l’altra veniva aperta da una Joyce decisamente preoccupata.
    “Tesoro! Tutto bene?” chiese, andando a sedersi a fianco alla figlia, che si era zittita non appena Spike aveva chiuso la porta. “Cosa è successo? Stai bene?”.
    Buffy rimase a guardare mentre il sig. Giles entrava assonnato nella stanza, con un grosso libro tenuto a mo’ di arma in una mano, mentre con l’altra cercava goffamente di sistemarsi gli occhiali.
    “Che c’è? Cosa è successo?” chiese lui esaminando la stanza.
    “S-sto bene” disse Buffy a bassa voce. “È stato solo un brutto sogno”.
    “Sicura tesoro?” chiese Joyce, accarezzandole una guancia arrossata. In quel momento si aprì la porta fra le due stanze, e apparve uno Spike altrettanto arrossato.
    “Sì. Sono sicura. Solo un sogno” rispose Buffy, fissando il ragazzo ossigenato. “Non succederà più”.


    Capitolo 31
    Uscì dal letto barcollando e, quando i suoi piedi nudi entrarono in contatto con il pavimento gelido, inspirò a fondo. Con gli occhi ancora impastati di sonno si mise a cercare le sue amate babbucce e, una volta trovatele, sorrise.
    Percorse il corridoio strascinando i piedi e grattandosi la testa, fermandosi per un attimo davanti alla *sua* porta. Al ricordo di ciò che era successo la notte prima sentì una fitta al cuore … La sua espressione quando era tornato nella stanza, mentre la guardava mentire a sua madre … Scacciò quei pensieri e continuò a scendere le scale, trovando la madre nel cucinino, dietro il bancone.
    “C’è qualcosa che profuma di buono” disse Buffy con voce aspra.
    “Hey, ti sei alzata presto” notò Joyce sorridendo dolcemente alla figlia, prima di riportare la propria attenzione su quello che stava cucinando.
    La ragazza si appoggiò al bancone e allungò una mano verso un piatto pieno di delizie appena fritte: “Frittelle eh?”.
    La madre le colpì la mano con un cucchiaio di legno, facendole fare un salto indietro.
    “Dovrai aspettare per fare colazione. Giles e Spike dovrebbero tornare da un minuto all’altro”.
    “Tornare?”.
    “Sì. Sono andati a prendere l’albero di Natale” spiegò allegramente Joyce. “Adesso va a vestirti signorina, lo sai che non mi piace che tu vada in giro in pigiama”.
    Buffy saltò giù dallo sgabello; era sul punto di andarsene quando la porta sotto le scale si spalancò, ed apparve Giles. La bionda si accigliò, dato che non si era mai resa conto che lì ci fosse una porta.
    “Ecco l’albero” annunciò lui gioviale, mettendosi trionfante le mani sui fianchi.
    “Papà! Ti dispiace?” brontolò qualcuno alle spalle di Giles, sospingendo verso l’uomo una grossa scatola.
    “Ah! Scusa tanto!” si scusò goffamente Giles, riportando la sua attenzione sul proprio compito.
    “Un albero in scatola?” si meravigliò Buffy ad alta voce mentre i due uomini spingevano la scatola nel soggiorno.
    Alla fine apparve Spike che, con un’espressione seccata in viso, si raddrizzò e si passò una mano fra i riccioli disordinati che non volevano saperne di stare a posto.
    “È finto” spiegò Giles.
    “Avremo un albero finto in una capanna? Nel bel mezzo di un bosco?” si accigliò Buffy.
    “N-non sono mai riuscito a tagliare un albero” balbettò Giles, togliendosi gli occhiali e passandosi il fazzoletto sulla fronte sudata. “E poi se abbiamo nostalgia del profumo basta prendere un paio di rami e portarli in casa”.
    “Come fate per la legna da ardere?”.
    Giles abbassò lo sguardo e cominciò ad aprire la scatola: “La compriamo ...”.
    Buffy si limitò a scuotere la testa e a gettare un’occhiata all’ossigenato che, fino a quel momento, non le aveva rivolto la parola e anzi non l’aveva neanche guardata. Lo vide avvicinarsi al padre e, sospirando forte, offrirsi di aprire la scatola per lui.
    “Bene ... Vado a fare una doccia” annunciò con gli occhi fissi su Spike, poi cominciò a salire le scale.

    Lasciando i capelli appena asciugati liberi di ricaderle lungo la schiena posò la spazzola sul comodino e si avvicinò alla finestra. Vedendolo là fuori, in piedi sul piccolo molo, con le mani infilate nelle tasche anteriori dei jeans, a fissare il lago nebbioso, il suo cuore perse un colpo. Rimise a posto le tende e scese di sotto.
    “Hey!” salutò. “Uau!”.
    Alla vista del soggiorno appena decorato sgranò gli occhi. Quattro calze rosse erano appese sopra il caminetto acceso, che riempiva la capanna di calore e dell’aroma familiare del legno bruciato. L’albero era a sinistra, fra il camino e il cucinino, decorato a metà con varie sfumature di bianco e rosso. La stanza sembrava completamente trasformata e Buffy sentì il proprio corpo che si rilassava e, per la prima volta, pensò che forse, tutto sommato, il Natale non sarebbe stato così brutto.
    “Bello, vero?” chiese Joyce, finendo di sistemare le frittelle sul tavolo vicino alla finestra.
    Buffy annuì e, a braccia conserte, entrò nel soggiorno, sorridendo dolcemente alla vista di Giles che tentava goffamente di sistemare un angioletto su uno dei rami. Scosse la testa e, afferratolo, lo sistemò correttamente.
    Giles sorrise alla ragazza: “Grazie”.
    “Prego”.
    “La colazione è pronta” annunciò Joyce guardando fuori dalla finestra. “Buffy potresti andare a chiamare Spike?”.
    “Certo” annuì Buffy, dirigendosi verso la porta.

    Percorse lentamente il molo. Lui rimase immobile, immerso nei propri pensieri ed apparentemente inconsapevole della sua presenza. Quando arrivò ad un metro da lui Buffy si schiarì la gola. Lui girò su se stesso per guardarla, ma non disse niente e riportò lo sguardo sull’acqua cristallina che li circondava. A questa reazione gelida Buffy deglutì a vuoto e disse:
    “La colazione e pronta”.
    Lui annuì e si voltò, dirigendosi verso la capanna e lasciandola sola sul molo gelido.

    Nel momento stesso in cui terminarono di fare colazione lui saltò giù dalla sedia e, senza dire una parola, si diresse su per le scale. A Buffy si strinse il cuore, ma continuò a piluccare le proprie frittelle.
    “Tutto bene, tesoro?” chiese Joyce, iniziando a sistemare il tavolo.
    “Sto bene”. Lei si riscosse dal proprio torpore e si alzò, prendendo un paio di piatti e dirigendosi al cucinino.
    “Mi sembri un po’ giù” notò la madre.
    “Sono solo un po’ assonnata, credo” tentò di spiegare lei, cominciando a lavare i piatti.

    Buffy tamburellò con le unghie sul bancone, annoiata a morte. Dopo aver lavato ed asciugato i piatti si era seduta sullo sgabello e vi era rimasta per dieci minuti, senza avere assolutamente niente da fare. Joyce e Giles erano comodamente seduti sul divano a guardare il giornale ed un paio di riviste. “Un paio di riviste davvero noiose” si corresse, scivolando giù dallo sgabello e cominciando a camminare avanti e indietro.
    I due adulti seduti sul sofà non alzarono lo sguardo, troppo immersi nelle proprie letture per notare la sua noia. Lei sospirò e salì le scale.
    Entrò nella sua stanza e riprese a camminare avanti e indietro. La sua mente andò agli eventi della giornata. Spike non le aveva detto una parola in tutto il giorno, l’aveva a malapena guardata e, per qualche strana ragione, questo le faceva rivoltare lo stomaco e le provocava uno spiacevole groppo in gola. Si lasciò cadere sul letto, ma si rialzò subito sentendo sotto di sé qualcosa di freddo e bagnato. Sospirando raccolse l’asciugamano bagnato e tastò le coperte, rendendosi conto che erano fradice.
    “Grandioso” mormorò tra i denti, uscendo dalla stanza ed entrando in bagno.
    Si sentì gelare. Solo dopo essere entrata nella stanza aveva sentito il suono familiare dell’acqua che scorreva. Sapeva che la cosa giusta da fare sarebbe stata voltarsi ed andarsene, ma si sorprese a guardare la doccia. Per un attimo maledisse la spessa tenda che la circondava, poi i suoi occhi si abituarono alla visione sfocata e riuscì a distinguere i contorni di un’ampia schiena maschile. Lui aveva una mano posata contro il muro e l’altra … Vedendo i movimenti veloci e frenetici del suo braccio si accigliò. Dopo qualche secondo lievi gemiti le arrivarono alle orecchie, facendole sgranare gli occhi. Oh Dio, non si stava mica ... Sforzandosi di sentire colse il respiro affrettato e dei gemiti soffocati di tanto in tanto. Sì che si stava …! Buffy arrossì come un pomodoro. Una parte di lei le gridava di uscire dalla stanza una buona volta, ma un’altra la obbligava a rimanere a guardare. Quest’ultima era evidentemente più forte e lei rimase perfettamente immobile, guardando intimorita mentre lui continuava a muovere velocemente una mano tra le cosce finché, all’improvviso, si fermò, il corpo scosso da brevi spasmi che lo fecero appoggiare alla parete.
    “Oh ... Buffy”.
    Sentendo il proprio nome pronunciato con voce aspra, mentre lui si accasciava contro il muro lasciandosi scorrere addosso l’acqua tiepida, le diede le farfalle nello stomaco. Mentre il suo cervello elaborava lentamente quanto era appena successo indietreggiò appena, sfiorando qualcosa con il gomito. Voltandosi vide una bottiglia di plastica vacillare appena e, prima che potesse afferrarla, cadere sul pavimento con un tonfo. Si sentì gelare e tenne gli occhi fissi sulla bottiglia di shampoo sul pavimento, rifiutandosi di alzarli a guardarlo.
    Il rumore ridestò immediatamente l’attenzione di Spike, che si voltò e scostò le tende. Sgranò gli occhi vedendola china in avanti, che afferrava la bottiglia sul pavimento.
    Buffy deglutì a fatica, mentre il cuore le batteva spaventosamente veloce, e la sua pelle diveniva più rossa un secondo dopo l’altro. Alla fine raccolse abbastanza coraggio da guardarlo.
    Distolse subito lo sguardo dal ragazzo che, fradicio e completamente nudo, era nella doccia con l’acqua ancora aperta: “Stavo …”.
    Spike si guardò nervosamente attorno, alla ricerca di un asciugamano. Gli occhi gli caddero sull’asciugamano bianco posato sul water, alla destra di Buffy. Stava per uscire dalla doccia quando lei si mosse e gli passò il proprio asciugamano.
    “S-stavo giusto ... ehm ... giusto ... ehm …” balbettò lei, presa dal panico. “Stupide parole …” brontolò fra sé, vedendo che lui aveva chiuso l’acqua e si era coperto con l’asciugamano che lei gli aveva passato.
    “Buffy, io ...”.
    Guardandolo se ne uscì: “Stavo giusto andandomene”.
    E con questo, uscì dalla stanza ed andò nella sua camera a tempo di record.
    “Per l’inferno maledetto!” ringhiò lui, uscendo dalla doccia e quasi inciampando sulla bottiglia di shampoo che era sul pavimento.

    “Per favore non venirmi dietro, per favore non venirmi dietro, per favore non venirmi ...”. Buffy interruppe il proprio mantra mentale quando la porta della sua stanza fu spalancata ed entrò Spike, fradicio. Sospirò frustrata e si voltò per affrontare la questione.
    “N-non ho visto niente” annunciò subito, poi si corresse: “Voglio dire ho visto, ma solo quando hai scostato la tenda ed eri … bè, nudo. M-ma a parte quello … niente! Neanche una cosa. Ero lì da circa un secondo quando la bottiglia è caduta. E-e anche se fossi stata là da prima della storia della bottiglia … e non c’ero! … non ci sarebbe stato niente da vedere”. Lui si accigliò e lei riformulò la frase: “N-non che tu non abbia niente da vedere, voglio dire ce l’hai, ma la tenda è spessa e-e comunque non importa perché io non ero là e non ho visto niente né sentito …”. Rendendosi conto che stava parlando a vanvera si interruppe. “Scusa. Parlo a vanvera”.
    “Ho notato”. L’inglese si sforzò di sorridere e, chiudendosi la porta alle spalle, entrò nella stanza.
    “M-mi dispiace, la prossima volta busserò” lo rassicurò Buffy, mentre con lo sguardo saltava dai muri a qualunque cosa che non fosse il suo torace nudo.
    “Bussare è una buona cosa” fu d’accordo lui, e fece un passo verso di lei.
    Lei congiunse le mani: “Bene. Immagino che siamo d’accordo. Busserò. Si metta a verbale che la proposta di bussare è stata approvata” scherzò, con un sorriso forzato, torcendosi le dita.
    Lui piegò la testa di lato, e rimase a guardarla mentre si premeva nervosamente i palmi delle mani l’uno contro l’altro.
    “Buffy, per prima ...”.
    “Non so di cosa stai parlando” scattò subito lei, arrossendo ancora di più.
    “Di ieri. Della scorsa notte” spiegò Spike.
    “Ah, quello” si rese conto lei. Non un bell’argomento ma sempre meglio di *perché stava gemendo il tuo nome mentre mi masturbavo*.Spike si accigliò leggermente: “Già, quello. Di che cosa pensavi stessi parlando?”.
    “Di niente!” rispose lei un po’ troppo impaziente; cosa che sembrò confermare i sospetti di Spike.
    “Per l’inferno maledetto!” mormorò lui.
    “Che c’è?” chiese lei, temendo un poco la risposta.
    “Niente” rispose lui, voltandosi per andarsene ma fermandosi a metà del movimento e voltandosi nuovamente, con un’espressione risoluta incollata in viso. “Vuoi sapere una cosa? Lo faccio”.
    “Fai cosa?” chiese lei indietreggiando, mentre lui le si avvicinava invadendo il suo spazio personale.
    “Penso a te quando mi tocco” affermò lui, senza traccia di vergogna.
    Buffy si bloccò, con gli occhi sgranati e le guance rosse come un peperone.
    “I-io” balbettò, trovandosi infine contro il muro con Spike che torreggiava su di lei.
    “Sei l’unica maledetta cosa a cui penso. Non riesco a levarti dalla testa. Non importa quanto tu sia stata stronza ultimamente”.
    Lei cercò di sembrare offesa, ma se ne uscì con un debole tentativo di protesta: “S-scusa?”.
    “Mi hai sentito, Summers” ribatté lui, posando una mano sul muro, esattamente sopra la sua spalla destra.
    “N-non sono tenuta a stare qui a sentire ...” cominciò lei, e fece per spostarsi ma fu bloccata da una presa ferma sul braccio, che la spinse nuovamente contro il muro.
    “*Ascolterai*. Per una volta in vita tua” ringhiò lui. “Per la millesima volta: Non. Ho. Fatto. Niente. Di. Maledettamente. Sbagliato”. Stava tirando fuori le parole una ad una, fissandola. Si fermò in attesa di una sua reazione. Quando si rese conto che lei non avrebbe fatto resistenza, si allontanò dal muro e cominciò a camminare avanti e indietro davanti a lei. “Vuoi davvero sapere perché mi sono battuto con Angel?”. Senza darle la possibilità di rispondere blaterò: “Non sono affari tuoi ma te lo dirò lo stesso. Non aveva assolutamente *niente* a che fare con te o con Dru. È stato per lo stesso motivo per cui ho smesso di frequentare Angel. Te lo ricordi? Quando mi sono trasferito qui io ed Angel ci frequentavamo parecchio. Non che ne fossi entusiasta. Sapevo fin dall’inizio che non era nient’altro che un idiota ma decisi: “Che diavolo, diamogli una possibilità”. Alla fine il mio istinto iniziale si rivelò quello giusto. È un completo idiota, e anche un segaiolo!”. Buffy rimase immobile contro il muro, guardandolo camminare furiosamente in cerchio finché non si fermò a guardarla. “È stato per Andrew”.
    Buffy si accigliò: “Andrew? Che cosa c’entra Andrew?”.
    “Bè, un giorno sono entrato negli spogliatoi e ho trovato Angel che picchiava quel magrolino fino a ridurlo ad una poltiglia sanguinolenta. Il poveretto è stato in ospedale per due intere settimane. Non ha detto a nessuno chi l’aveva ridotto così, terrorizzato dal fatto che la checca potesse fare qualcosa”. Vedendo l’espressione confusa di lei piegò la testa di lato. “Non ti eri neanche accorta che non c’era, vero? Certo, tu non sai neanche che Andrew esiste, figuriamoci se sai che è mancato per due settimane”.
    Buffy deglutì a vuoto, rendendosi conto che era la verità.
    “Comunque, gli ho levato Angel di dosso e l’ho picchiato, dicendogli che se mai avesse rimesso un dito addosso ad Andrew ... Bè lo sai, gli ho detto qualcosa di estremamente cattivo e scontato per chiarirgli le idee” disse, guardando Buffy che assorbiva le informazioni. “Dopo è andato tutto bene. Nessun problema. Fino all’altro giorno, quando Andrew ci è venuto addosso in corridoio. La sua espressione. Sapevo che Angel stava macchinando qualcosa. Ho parlato con Andrew, che all’inizio ha negato ma alla fine l’ha ammesso. Allora ho fatto quello che avevo promesso e ho pestato Angel per bene. Ecco tutto. Non aveva niente a che fare con te o con Dru o con cose di questo tipo. Contenta?” chiese alla fine della sua tirata.
    Buffy si limitò a fissarlo con la bocca semiaperta. Tutte quelle informazioni. Erano un po’ troppe da elaborare, soprattutto con Spike che le stava davanti nudo.
    “Perché?” riuscì a chiedere alla fine. “Perché Angel avrebbe dovuto picchiare Andrew?”.
    Spike si interruppe. Questa era la domanda a cui non avrebbe voluto rispondere, poi sospirò e disse di malavoglia:
    “Amore, Andrew sta dall’altra parte”.
    Buffy si accigliò: “Eh?”.
    “È gay, passerotto”.
    “E allora?”.
    “Lo sapevi?” chiese incredulo Spike.
    Buffy alzò gli occhi al cielo: “Non lo sapevo veramente. Ma immagino di averlo capito da sempre …”.
    “Ah bene” disse lui, preso alla sprovvista dalla reazione di lei. “Ecco il grande segreto. Andrew è gay e Angel ha scoperto che aveva una cotta segreta per lui, ed essendo estremamente insicuro della propria virilità il segaiolo l’ha preso a pugni” disse Spike, a mo’ di riassunto.
    Buffy rimase a fissare Spike.
    “Perché non me l’hai detto prima?” chiese alla fine, leggermente offesa.
    “Perché non era una cosa che potevo dirti. Non era un mio segreto. Non ho intenzione di andare in giro a sputtanare quel poveretto solo perché la mia ragazza non ha alcuna fiducia in me. E poi mi stavi facendo veramente incavolare. Come hai potuto pensare che avessi picchiato Angel a causa di Dru?” chiese a sua volta Spike.
    “Bè ... io ... ehm ... mi sono imbattuta in Angel. E lui ha insinuato che …”.
    “E tu gli hai creduto?” chiese incredulo Spike.
    “All’inizio no!” si difese Buffy. “Ma poi te l’ho chiesto e tu hai evitato l’argomento e io ho pensato: alla malora!”.
    Per un po’ si fissarono l’un l’altra in silenzio, finché Buffy non fece un passo avanti, guardandolo da sotto le palpebre pesanti e allungando una mano verso di lui. Lui fece immediatamente un passo indietro, alzando le mani come se qualcuno gli stesse puntando addosso un’arma. Buffy si fermò di colpo, mentre il cuore le batteva furiosamente nel petto man mano che si rendeva conto di quello che stava succedendo.
    “Spike, io ...”.
    “Avresti dovuto avere fiducia in me. Avresti dovuto credermi” disse lui a bassa voce. “Non posso stare con te in questo modo”.
    Buffy abbassò lo sguardo mentre lui andava verso la porta che conduceva all’altra stanza. All’improvviso si voltò e tornò da lei a passi da gigante.
    “Dio, chi voglio prendere in giro?” ansimò, prima di schiacciarle la bocca con la propria mentre la prendeva tra le braccia per attirarla più vicina.
    Per tutta risposta Buffy gli portò immediatamente le mani alle spalle, frenetica. Scivolò rapida con le dita sulla pelle morbida della nuca poi le infilò tra i suoi riccioli bagnati, mentre rispondeva al suo bacio con lo stesso fervore e la stessa voracità.
    Lui le percorse selvaggiamente il corpo con le mani, scendendo lungo la schiena per afferrarle il sedere e stringerla contro di sé. Si mosse istintivamente verso il letto facendo cadere Buffy contro il materasso quando lo raggiunsero, e seguendola senza interrompere il bacio famelico.
    Lottò con l’orlo della maglia di lei, sollevandogliela dalla testa e scoprendo il semplice reggiseno bianco che le copriva i seni. Lo strizzò leggermente fra le dita, mentre le schiacciava ancora una volta la bocca con la propria.
    Quando la mano di lei si insinuò fra i loro corpi e all’interno dell’asciugamano bianco per afferrargli l’uccello, Spike ansimò.
    “Mi sei mancata” le sussurrò all’orecchio, tracciando una scia di baci famelici lungo il collo di lei, fino a raggiungerle il seno.
    Quando lui scostò la stoffa bianca che la copriva e le sfiorò con le labbra il capezzolo eretto, fu Buffy a sospirare forte. Si inarcò verso di lui, cominciando a muovere la mano su e giù con un ritmo lento e costante. Mentre lo guardava e lo ascoltava gemere impotente il suo nome, sentì un’ondata di orgoglio femminile.
    All’improvviso lui sembrò riprendersi parzialmente dal suo torpore e cominciò a lavorare sui bottoni dei jeans di lei. Buffy si rilassò, sprofondando in una sorta di trance, finché non le arrivò alle orecchie il suono di una risatina. Inizialmente si accigliò, poi all’improvviso capì: “Mia madre è di sotto. Oh Dio, oh Dio, oh Dio!”.
    “No” disse saltando su e, dopo averlo spinto via a malincuore, si allontanò da lui.
    “Cosa? Che c’è adesso?” chiese lui, cercando disperatamente di tornarle addosso; lei però scese dal letto e lo lasciò solo sul materasso.
    “Tuo padre e mia madre di sotto. Ecco cosa c’è” spiegò lei, allungando una mano in direzione della propria maglia; prima di poterla raggiungere però si trovò fra le sue braccia, con la sua bocca sul collo.
    “Sarò tranquillo. Te lo prometto” disse lui con voce soffocata, baciandole la clavicola.
    “Ci scommetto ...” ansimò lei. “Ma non posso promettere che io sarò ... tranquilla”. Riuscì nuovamente a spingerlo via: “Adesso vestiti”.
    “Sarò velocissimo. Non sentirai niente, così non dovrai preoccuparti di fare rumore” scherzò lui, avvicinandosi.
    Buffy socchiuse gli occhi e lui, sconfitto, abbassò le spalle.
    “Buffy non credo che potrò andar avanti un’intera settimana senza toccarti né ...” fece un gesto con la testa in direzione del letto.
    “Dovrai” insisté lei mentre lui le si avvicinava e le sfiorava i fianchi con la mano, per poi portarla tra le sue cosce e premerle lentamente sul clitoride. “Spike …”. Cercava di sembrare seria e decisa ma con il modo in cui la stava toccando … era impossibile!
    “Buffy per favore” la supplicò lui, strofinandole il naso fra i capelli e continuando a muovere la mano.
    “Va bene” acconsentì alla fine lei. Lui le cercò subito il collo. Lei lo scostò nuovamente e si mise la maglia: “No! Non adesso! Stanotte. Mentre loro dormono”.
    “Ma ...”.
    “Stanotte” ripeté lei, gettandogli l’asciugamano che lui afferrò a malincuore, sistemandoselo intorno alla vita.


    Capitolo 32
    Mentre ascoltava pazientemente la madre che blaterava incessantemente Buffy sbadigliò forte, per la decima volta nella serata.
    “Ah! E potremmo anche fare quel pasticcio di carne con le mele che ti piace tanto” saltò su allegramente Joyce, completamente ignara della noia della figlia.
    “Grandioso, mamma” rispose Buffy senza molto entusiasmo, tamburellando con le unghie sul bancone sul quale la madre stava scribacchiando frettolosamente su un blocchetto per appunti.
    “Bene, per quello dovrò comprare delle noci brasiliane e della farina d’avena. E poi?”. La donna sollevò lo sguardo dal foglio giallo che teneva in mano e fissò la figlia con gli occhi accesi da uno scintillio infantile, in attesa di suggerimenti.
    “Mamma credo che tu abbia segnato cibo sufficiente a nutrire l’intero corpo del Marines” brontolò Buffy, guardando nervosamente l’orologio. Due ore. Erano passate due intere ore da quando Spike era “andato a letto”. Cavolo, quando finalmente sarebbe riuscita a raggiungere la propria camera l’avrebbe trovato incavolato. Incavolato o addormentato.
    “E dai. Non è così tanto” commentò Joyce esaminando l’enorme lista della spesa, che riempiva ben dieci pagine. “Cosa ne dici di una teglia di broccoli al formaggio?”.
    Buffy si riscosse immediatamente dal proprio torpore e, di fronte all’incombente minaccia di dover mangiare verdure alla vigilia di Natale, sollevò una mano in segno di difesa: “No! Niente broccoli, mamma. È la vigilia di Natale!”.
    “Ehm ... Immagino che tu abbia ragione” fu d’accordo la sig.ra Summers che, dopo aver rimesso il tappo alla penna, si alzò per andare nel cucinino.
    A Buffy brillarono gli occhi all’idea di andarsene a letto, ma nascose la propria eccitazione sbadigliando nuovamente.
    “Sono stanca. Credo che andrò a letto” disse, saltando giù dallo sgabello e sollevandosi per baciare la madre su una guancia. “Buonanotte, mamma”.
    “Buonanotte, tesoro. Penso che salirò anch’io” rispose Joyce, guardando la figlia che praticamente volò su per le scale. “Sveglierà Spike e Giles” mormorò fra sé, sentendola marciare verso la propria stanza.

    Buffy si fermò davanti alla porta della sua stanza e, sentendo che il suo stomaco faceva quelle buffe capriole che faceva sempre quando sapeva che stava per vederlo, respirò profondamente. Si passò le mani fra i capelli, lisciando i boccoli selvaggi che le ricadevano sulla schiena. Dopo essersi assicurata di essere al meglio, assunse l’espressione più assonnata possibile, e girò la maniglia.
    Quando entrò la stanza era immersa nel buio completo.
    “Spike?” bisbigliò a bassa voce, socchiudendo gli occhi nel tentativo di vedere qualcosa, mentre con la mano sinistra tastava alla cieca il muro alla ricerca dell’interruttore della luce. “Sei qui?”.
    Le si strinse il cuore per la delusione poi, all’improvviso, si trovò bloccata contro la superficie fredda del muro e la porta sbatté alle sue spalle, mentre un corpo snello e sodo si premeva contro il suo. Prima che potesse emettere un suono labbra fameliche si incollarono alle sue in un bacio esigente, mentre due mani forti le scorrevano addosso, nel tentativo di coprire ogni centimetro di lei.
    “Spike ...” riuscì ad esalare, una volta che le labbra di lui ebbero abbandonato le sue per baciarle il lobo dell’orecchio, mentre lui seppelliva il viso tra i suoi morbidi riccioli.
    “Perché ci hai messo tanto?” chiese lui con voce roca, continuando a leccarle e succhiarle la carne morbida del collo, mentre premeva il torace contro il suo e, con i fianchi, la inchiodava alla superficie lignea.
    Sentendo qualcosa di lungo e duro premerle contro lo stomaco lei ansimò e, all’improvviso, si trovò incapace di parlare.
    “Io ... ehm ...”.
    “Stavo morendo, Summers” ansimò lui, afferrandole il seno con la mano sinistra attraverso il cotone della maglia.
    “Mia madre ...”. Lei cercò di formulare una frase coerente ma, mentre lo guardava allontanarsi da lei il tempo necessario a togliersi la camicia e la maglietta da sopra la testa, le sembrò impossibile. Lui lasciò cadere a terra gli indumenti e, mentre con la bocca le assaliva la clavicola, le infilò le mani sotto la maglia, passandogliele avidamente sulla pelle e sollevandogliela.
    Sentì che le diceva: “Toglila ...”, mentre le tracciava una scia di baci alla base del collo.
    “Io ... mia madre ...” tentò di parlare lei cercando debolmente di scostarselo di dosso con le mani, in maniera tale da riuscire a pensare coerentemente; il suo corpo però la tradì e le sue dita indugiarono sulla schiena di lui.
    Lui afferrò l’orlo della sua maglia e la sollevò maggiormente. In un attimo finì sul pavimento, insieme ai suoi vestiti, e Spike iniziò a lavorare sul suo reggiseno di pizzo bianco, baciandole contemporaneamente la curva del seno.
    “Spike ...” esalò lei, accigliandosi un poco nel duro tentativo di concentrarsi. “Mia madre è …”.
    Le labbra di Spike trovarono ancora una volta le sue, interrompendola. Lui colse l’occasione di infilarle la lingua nella bocca semiaperta, esplorandola, mentre alla cieca lavorava sul gancio del suo reggiseno.
    Quando finalmente riuscì ad aprirlo sospirò nella sua bocca. Le passò le dita sulle spalle, trascinando le bretelline lungo le braccia. Si tirò indietro ad osservare il piccolo pezzo di tessuto che cadeva a terra, esponendo due globi piccoli e rotondi.
    Li fissò per un secondo e, vedendo per la prima volta il suo seno nudo, per un attimo gli mancò il respiro.
    L’attimo di pausa diede a Buffy il tempo sufficiente a ricollegare il proprio cervello, quindi riuscì a dire quello che cercava di dire dal momento in cui lui aveva iniziato a baciarla. Si chinò velocemente e raccolse frettolosamente tutti i vestiti gettati a terra, porgendogli i suoi e sussurrando:
    “Mia madre non è ancora a letto”.
    Spike si riscosse dai suoi pensieri e, vedendo che lei si copriva e lo spingeva via, mise il broncio.
    “Cosa?” chiese, ancora un po’ frastornato.
    “Mia madre! È ancora alzata. Potrebbe entrare in ogni ...”.
    Il rumore di una porta che veniva chiusa lungo il corridoio la interruppe.
    “Immagino che tua madre sia andata a letto” riuscì a dire Spike, afferrando i vestiti e gettandoli sul pavimento, per stringerla fra le braccia e schiacciarle la bocca con la propria.
    Buffy gemette mentre lui la baciava e, barcollando all’indietro, andarono a letto. Ansimò quando i loro corpi toccarono il materasso morbido, mentre la bocca di lui abbandonava la sua per scenderle lungo il collo, e le sue mani si insinuavano espertamente fra i loro corpi per dedicarsi ai bottoni dei suoi jeans.
    Stava per protestare ma, sentendo le labbra di lui circondarle un capezzolo indurito mentre con la mano le afferrava il seno in maniera tale da avvicinarlo alla bocca, ne perse ogni intenzione.
    Si perse nella sensazione, per riemergerne solo quando lo sentì tirarle giù i jeans. Si tolse rapida le scarpe, permettendogli così di toglierle tutti gli altri indumenti.
    Lui si sollevò sulle mani, sistemandosi sopra di lei in maniera tale da scrutare il suo corpo nudo. Lei si sentì arrossire sotto quello sguardo intenso e ringraziò gli dei, qualunque essi fossero, di non essere riuscita ad accendere la luce, e del fatto che l’unica illuminazione nella stanza era data dai lievi raggi di luna che filtravano dalla finestra.
    Lui le posò una mano forte sulla guancia, costringendola a guardarlo.
    “Dio ... sei così bella” sospirò, chinandosi a baciarla.
    I suoi fianchi si mossero contro quelli di lei, facendola gemere, mentre la stoffa ruvida dei suoi jeans sfregava contro il punto in cui le sue gambe si congiungevano.
    Lei gli passò le mani sul petto, alla cieca, fino a raggiungere la cerniera dei pantaloni, che tirò giù rapidamente slacciando poi il bottone. Rendendosi conto che non indossava biancheria … di nuovo, sorrise contro le sue labbra. Infilò le dita nei passanti dei suoi jeans e glieli fece scendere lungo i fianchi, fino alle ginocchia, aiutandosi poi con i piedi e spingendo la stoffa più in basso, fino ad arrotolarglieli intorno alle caviglie.
    Spike lottò per un po’ con i suoi scarponi. “Stupidi anfibi. Perché li indossava?” brontolò fra sé, trovandosi costretto a staccarsi da lei per sedersi sul bordo del letto e sistemare i lacci degli scarponi. Se li tolse a tempo di record e tornò al sicuro, fra le sue braccia, facendole scorrere la bocca lungo il collo per reclamarne ancora una volta il seno.
    Lei gli affondò le dita fra i riccioli ossigenati, mentre lui si dava da fare con la bocca su uno dei suoi seni e, con le mani, le massaggiava l’altro. Con dita esperte le toccò il capezzolo indurito, fino a renderla frenetica poi, lentamente, spostò la mano lungo il suo stomaco per affondargliela poi tra le gambe.
    Sentendo che lui le sfiorava i contorni del sesso, senza osare andare più in là, Buffy lasciò cadere indietro la testa. Gemette quasi disperata, mentre lui continuava a giocare con le sue labbra, muovendosi su e giù, evitando attentamente sia il suo nucleo che il fascio di terminazioni nervose posto più in alto [C’è scritto proprio così, giuro! ^__^]
    “Vuoi qualcosa, passerotto?” chiese lui, sogghignando contro la carne morbida del suo seno.
    “Spike ...” esalò lei, guardandolo con occhi famelici.
    “Sì ...?” continuò lui, avvolgendole la lingua intorno al capezzolo.
    “Per favore ...” gemette lei, mentre lui le avvicinava un dito al clitoride, per poi spostarlo rapidamente.
    Lui sorrise ancora: “Sei sicura?”.
    “Spike!” protestò lei, dandoli uno schiaffetto sulla spalla. Perché doveva sempre provocarla in quel modo? “Io …”.
    Si interruppe a metà della frase, quando lui le sfiorò il clitoride.
    “Ah…”.
    “Così?” chiese lui, facendolo di nuovo.
    Buffy annuì furiosamente e gli affondò le unghie nella schiena.
    Lui premette più forte e lei gemette. Lui spostò le dita all’ingresso umido del suo sesso, tracciandone i contorni un paio di volte, facendole digrignare i denti per l’aspettativa. Spinse un dito dentro di lei, guardandola riverente mentre inarcava il collo e faceva ricadere la testa sul materasso.
    Si mosse lentamente, dentro e fuori, cercando il punto giusto all’interno del suo corpo con ogni carezza. Seppe di averlo trovato quando il fiato le si mozzò in gola e lei si lasciò sfuggire un grido soffocato dalla bocca semiaperta.
    Continuò a massaggiarla espertamente, entrando ed uscendo da lei, aumentando il ritmo ancora e ancora; fissandola intensamente nel frattempo.
    Alla vista del suo viso che si contorceva per il piacere deglutì a fatica, mentre mugolii famelici gli arrivavano alle orecchie. Chiuse gli occhi per un secondo, sforzandosi al massimo di trovare l’autocontrollo necessario per evitare di aprirle le gambe ed affondare in lei. Tentò di concentrarsi su qualcosa, qualunque cosa, ma i rumori affascinanti che lei stava emettendo impedivano qualunque concentrazione.
    “Spike ...”. Lei mugolò il suo nome e lui aprì gli occhi e la vide inarcarsi sul materasso, lasciandosi sfuggire un grido disperato, mentre le sue pareti si contraevano furiosamente intorno al suo dito e le sue unghie gli lasciavano segni lungo il braccio.
    Lei si lasciò ricadere sul letto con gli occhi chiusi, il petto che si alzava e si abbassava freneticamente mentre respirava a fatica. Sentendo le labbra di lui sfiorarle il collo aprì gli occhi.
    Infilò le mani tremanti fra i loro corpi e gli prese in mano l’uccello. Sentendolo ansimare con la testa posata sul materasso appena sopra la sua spalla, si morse il labbro inferiore.
    Cominciò lentamente a muovere la mano su e giù e, sentendolo mugolare: “Buffy ... mi sei mancata così tanto” un brivido le corse lungo la schiena.
    Mentre lei si dava da fare, avvicinandolo al punto di non ritorno con ogni carezza, lui le passò le dita fra i lunghi capelli biondi.
    Lei gli sfiorò con un dito la punta, dove si erano formate alcune gocce di liquido, e lui le strinse più forte i capelli.
    “Aspetta!” la avvertì, immobilizzandosi.
    “Ti ho fatto male?” chiese lei, un po’ insicura. Non aveva molta esperienza nel fare certe cose e si sentiva ancora molto insicura al riguardo.
    “No ...” scosse la testa lui, deglutendo a vuoto. “È solo che … se lo fai un’altra volta vengo”.
    Alle sue parole gli occhi di Buffy si illuminarono d’orgoglio.
    “Non è quello il punto?” chiese sorridendo sul punto di muovere nuovamente le dita, quando una presa salda sul polso glielo impedì.
    “Sarebbe incasinato” spiegò lui.
    “Ah ...” si rese conto lei.
    “E poi ... preferirei ...” E fece un cenno con la testa verso il basso.
    “Ah ...” ripeté lei, sogghignando lasciva e aprendo leggermente le gambe per invitarlo ad entrare.
    Lui chiuse gli occhi, per trovare la forza di scendere dal letto.
    Vedendolo frugare fra l’ammasso di vestiti sul pavimento Buffy si accigliò un poco; il suo comportamento ricordava da vicino quello della loro prima notte ma, stavolta, quando tolse la mano dalle tasche dei jeans teneva almeno 5 bustine di plastica. Lui si sedette sul letto, dandosi da fare rapidamente per sistemare il preservativo. Nel frattempo Buffy rimase sdraiata sul letto chiedendosi se dirgli o no …
    “Spike, non abbiamo bisogno ...”.
    Lui la bloccò con una mano, mentre con l’altra continuava a lottare con il profilattico: “Solo un secondo”. “Ecco!” disse trionfante e, muovendosi come un gatto, si sistemò fra le sue gambe.
    Mentre lui si sistemava all’ingresso del suo sesso Buffy lo fissò ad occhi spalancati; qualunque cosa avesse cercato di dirgli svanì dalla sua mente quando lui abbassò i fianchi e lei lo sentì premere fra le sue labbra umide.
    Sentendo le pareti del suo sesso stringersi intorno a lui Spike chiuse gli occhi e inspirò a fondo. Non era uno shock così grande come lo era stato la prima volta, ma il fatto che lei fosse così stretta bastava a levargli il fiato. Si fermò per un attimo, lasciando che lei si abituasse a lui. Aprì gli occhi ad incontrare quelli di lei, e la trovò con un sorriso sulle labbra. Nel momento stesso in lui iniziò a muoversi dentro e fuori dal suo corpo il sorriso svanì, per essere sostituito da un’espressione di riverenza ed assoluto piacere.
    Cominciò con un ritmo lento, che crebbe lentamente, diventando più veloce e più forte con ogni spinta, finché i suoi fianchi si ritrovarono praticamente a cozzare contro quelli di lei.
    Man mano che la tensione cresceva lei aprì la bocca, e ne lasciò sfuggire un grido silenzioso. Anche in quel momento di totale abbandono, una piccola parte della sua mente ancora ricordava che sua madre stava dormendo lungo lo stesso corridoio. Si morse il labbro inferiore e, quando il piacere divenne incontenibile, gli affondò le unghie negli avambracci, facendolo fremere di dolore.
    “Scusa ...” gemette, lasciando ricadere le mani lungo i fianchi ed afferrando le lenzuola. Seppellì le dita nel tessuto, quasi strappandolo, nel tentativo di trattenersi dal gridare di piacere.
    Sentendola sempre più stretta e sempre più bagnata ad ogni spinta, Spike rovesciò gli occhi all’indietro.
    “Cazzo ... Buffy” le mormorò contro il collo, afferrandole il seno sinistro con la mano.
    “Spike” cominciò lei, rendendosi conto di essere prossima al limite. “Non posso … Sto per … Oh Dio!” gemette, mentre lui si muoveva più velocemente dentro e fuori di lei. “S-sto per gridare” riuscì finalmente a dire, respirando affannosamente e inarcandosi sul materasso, continuando ad affondare le unghie nelle lenzuola, pronta a gridare.
    “Shh...” le sussurrò lui all’orecchio, staccando la mano dal seno per chiuderle la bocca, soffocando così il suo grido. Continuò a muoversi dentro e fuori di lei ed a tenerle le dita sulle labbra, mentre la guardava lottare con se stessa.
    Aveva le sopracciglia aggrottate e gli occhi chiusi e dalle labbra le sfuggivano dei gemiti leggeri.
    Quando la ritenne in grado di controllarsi allentò la presa e lasciò ricadere la mano sul letto.
    “Ah!” mugolò lei, mentre lui spingeva più forte. “Oh Dio … Spike. Sto per … Ah…”.
    Il suo grido fu interrotto da lui che le schiacciava la bocca con la propria, assorbendo le sue urla di piacere. Dietro le palpebre chiuse Spike rovesciò gli occhi al cielo mentre lei, scossa dall’orgasmo, si agitò appena sotto di lui, stringendolo fino a strizzarlo.
    Lui la seguì poco dopo, staccando la bocca da quella di lei e chiudendo gli occhi, mentre stringeva più forte le lenzuola vicino alla sua spalla, prima di ricaderle addosso.
    Rimase immobile finché non la sentì esalare:
    “Ho bisogno ... di ossigeno ... Mi stai ... schiacciando ... a morte”.
    “Oh Dio. Mi dispiace” disse lui, rotolando via immediatamente.
    Sospirò di sollievo vedendo che lei sorrideva.
    “Beccato” bisbigliò lei.
    “Ah, ah. Molto divertente” disse lui, cercando di sembrare seccato, mentre si sedeva sul letto e si levava rapidamente il preservativo, prima di sdraiarsi nuovamente accanto a lei.
    “Non potresti mai schiacciarmi. Sei troppo magro” lo prese in giro lei.
    “Senti chi parla” ribatté lui.
    “Hey!” si accigliò lei.
    Lui sorrise e, prendendola tra le braccia, la attirò contro il torace. Rimasero sdraiati per qualche secondo a fissare il soffitto, finché Buffy non interruppe il silenzio.
    “Ehm ... Spike ...” cominciò, un po’ incerta.
    “Si, passerotto?”.
    “C’è ... un po’ freddo. Possiamo andare sotto le coperte?”.
    “Oh Dio, sì!” sospirò di sollievo lui, ed entrambi si alzarono e si sistemarono sotto le lenzuola.
    “Oh Dio sì?” si accigliò lei, sdraiandosi sul letto con la testa sul suo torace e la gamba sinistra sopra la sua.
    “C’era freddo. Ma se *io* avessi detto qualcosa, sarei stato un insensibile che tentava di sottrarsi all’obbligatoria sessione di coccole dopo il sesso” spiegò Spike.
    “Non avrei pensato che sei un insensibile” si difese lei.
    “Certo, Buffy. Con la nostra storia sono meravigliato che tu non abbia già trovato una scusa per scacciarmi dal tuo letto”.
    “Hey!” protestò lei, puntando il mento sul suo torace per poterlo guardare.
    “È vero”.
    “Non lo è”.
    “Sì che lo è”.
    “Non lo è”.
    “Visto, stiamo già bisticciando” puntualizzò lui.
    “Invece no. Sei così ...”.
    Lui la interruppe con la bocca, afferrandole la nuca e costringendola a baciarlo. Ben presto lei lo ricambiò di buon grado, infilandogli la lingua in bocca per approfondire il bacio. Quando lui si tirò indietro lei mugolò in segno di protesta.
    “Immagino che l’unico modo per evitare di litigare sia baciarti” disse lui, sogghignando maligno.
    “Credo che questa tecnica mi piaccia”. Lei gli sorrise di rimando e gli diede un bacetto sulle labbra, prima di appoggiarsi nuovamente al suo petto.
    Rimasero a letto, abbracciati, finché Buffy non sospirò.
    “Che c’è?” chiese Spike.
    “Mi piace questo” sorrise lei, baciandogli il petto.
    “Anche a me. E avremmo potuto farlo anche ieri notte se tu avessi avuto fiducia in me” rispose Spike. Cercò di farla sembrare un risposta infantile ma lei gli scorse un lampo di dolore negli occhi.
    “Mi dispiace” si scusò, alzando gli occhi a guardarlo.
    “Va bene”.
    “No invece. Avrei dovuto avere fiducia in te. Solo che … sei stato così misterioso su tutta la questione, cosa avrei dovuto fare?”.
    “Eh non so? Avere fiducia in me” la schernì lui, guadagnandosi uno schiaffetto sul braccio destro.
    “Ho detto che mi dispiace”.
    Lui si chinò e le diede un bacio in fronte: “Lo so, passerotto”.
    “Voglio dire, come facevo a sapere che eri un “difensore degli oppressi”?”.
    Spike sorrise per il titolo.
    “Povero Andrew. Avere una cotta per quella checca. Che gusti maledettamente pessimi”.
    Alle sue parole Buffy non poté evitare di ridacchiare.
    “Che c’è?” chiese lui accigliato. Non avendo risposta insisté: “Che c’è?”.
    “Ah niente”.
    “Buffy…”.
    “Credo che Andrew abbia migliorato i suoi gusti in fatto di uomini. Un po’ come ho fatto io”.
    “Ripeti?”.
    Buffy sollevò lo sguardo su di lui, posando il mento sulla mano che gli aveva posato sul petto; i suoi occhi scintillavano maliziosamente.
    “Non credo che ad Andrew piaccia ancora Angel”.
    “Davvero?”.
    Buffy ridacchiò di nuovo, sfiorandogli i pettorali con le dita. “Davvero. Sopratutto adesso che ha il suo cavaliere dall’armatura scintillante”.
    “Eh?”.
    Buffy scosse la testa. Era affascinante quanto Spike potesse essere cieco a volte.
    “Andrew ha una cotta per te” annunciò.
    “Che cosa?!”.
    “Andrew. Ha. Una. Cotta. Per. Te.” ripeté, pronunciando le parole il più attentamente possibile.
    “Cosa? No. A lui piace il finocchio” rispose Spike.
    “Spike. A scuola lo sanno tutti. Proprio come tutti sapevano che era gay; a parte te, a quanto pare. Voglio dire, il modo in cui ti fissa in mensa è un indizio chiarissimo. E perché credi di essere diventato re di homecoming? Non è che tu sia Mr. Popolarità”. All’espressione confusa di Spike continuò: “Ha truccato i voti”. Spike continuava a fissarla inebetito e lei gli batté una mano sul petto e disse in tono materno: “Credimi. Ha una cotta per te”.
    “No che non ce l’ha” insisté Spike.
    “Va bene. Non ce l’ha. Come ti pare”. Buffy alzò gli occhi al cielo e si voltò su un fianco, dandogli le spalle.
    Ci fu un attimo di silenzio, poi Spike chiese imbarazzato:
    “Andrew ha una cotta per me?”.


    Capitolo 33
    Si rigirò sulla schiena espirando a fondo, assaporando la sensazione delle lenzuola che le carezzavano la pelle nuda mentre si muoveva. Quando delle dita ruvide le sfiorarono la clavicola, aprì pigramente gli occhi e li strizzò leggermente, tentando di mettere a fuoco la vista. Lentamente i suoi occhi si puntarono sul corpo di lui, illuminato dalla luna. Sorrise dolcemente mentre lo guardava; lui aveva la testa appena piegata di lato, poggiata sulla mano sinistra e le teneva la mano destra posata sul collo.
    “Hey ...” lo salutò, con voce rauca.
    “Hey ...” rispose lui.
    I loro sguardi rimasero allacciati per un paio di secondi.
    “Che ore sono?” chiese lei, girandosi bruscamente di lato e prendendo la sveglia dal comodino. Accese la luce e strizzò gli occhi. “Sono le sei passate. È meglio che tu vada” disse, voltandosi nuovamente verso di lui e rimettendo a posto la sveglia.
    “È ancora presto” protestò lui, spegnendo la luce ed assalendole il collo con la bocca.
    “Presto? Tuo padre si alzerà entro un’ora” precisò lei, allungando di malavoglia la mano verso l’interruttore e trovandosi improvvisamente troppo debole per accenderlo.
    “C’è ancora tempo” mormorò lui, posandole una scia di baci lungo il collo e la clavicola, mentre spostava il proprio peso su di lei.
    “Spike ...” riuscì a mormorare lei, mentre la bocca di lui le raggiungeva il seno.
    Lasciò ricadere la testa all’indietro sul cuscino, mentre lui le circondava il capezzolo con la lingua e, di tanto in tanto, le sfiorava la carne morbida con i denti, facendola tendere e poi rilassare dopo qualche secondo. Lui le afferrò il seno, stringendoglielo leggermente ed avvicinandoselo alla bocca.
    Quando lui le lasciò andare il seno per spostarsi sul suo stomaco tonico, infilandole la lingua nell’ombelico perfetto, lei mise inconsciamente il broncio. Era completamente assorbita dalle sensazioni e soltanto la sottile pressione di lui contro la sua gamba sinistra la scosse dal suo torpore. Il movimento la portò ad aprire le gambe e, quando vide la testa di lui scivolarle fra le gambe, si rese conto delle sue intenzioni.
    Gli afferrò immediatamente i riccioli scompigliati e lo costrinse a sollevarsi e ad allontanarsi da lei. Lui la guardò accigliato:
    “Qual è il problema?” chiese, leggermente seccato. Era ansioso di farlo da quando si erano riappacificati. Ci aveva pensato a lungo, mentre l’aspettava nella sua [di lei, non di Spike – mi dispiace ma in italiano non si capisce] stanza per più di due ore.
    “Non voglio che tu lo faccia” rispose timidamente lei.
    “Cosa? Perché no?” chiese lui, poggiandole il mento sullo stomaco.
    “N-non mi piace, tutto qui. Lo sai. Te l’ho detto” si imbronciò appena lei.
    Spike si limitò a piegare la testa di lato e ad aggrottare le sopracciglia, facendole capire che doveva spiegarsi meglio.
    Lei sospirò forte e alzò gli occhi al cielo, poi iniziò:
    “Quando io ed Angel ...”. Sentendo che lui le stringeva più forte le cosce, mentre i muscoli del suo viso pulsavano a sentir menzionare il quarterback, lei si fermò un attimo. “Quando stavamo insieme ...”. Lui contrasse la mascella ma rimase in attesa, in silenzio. “L’ha fatto” disse lei, agitando imbarazzata l’indice verso il basso e tentando di evitare lo sguardo fisso di lui. “E non è stato poi così speciale” terminò, guardandolo finalmente negli occhi.
    “Bè ...” fece le fusa lui, sfiorandole lo stomaco con il mento mentre si sistemava fra le sue gambe. “Forse la checca non sapeva che cosa stava facendo”. Sogghignando appena abbassò la bocca e le mordicchiò l’interno della coscia, tenendo gli occhi fissi sui suoi.
    “O forse a me non piace” insisté lei, scostando di colpo la gamba nel tentativo di spingerlo via; lui però le afferrò le cosce e gliele tenne contro il materasso.
    “C’e solo un modo per scoprirlo, passerotto ...” mormorò, tracciando una scia di baci sulle sue cosce, avvicinandosi al punto in cui le sue gambe si univano.
    “Spike per favore non ...” lo supplicò lei poco convinta, tentando si scostargli la mano con la propria. “Non voglio … Ah!”.
    Quando la lingua di lui le sfiorò le labbra, lei si lasciò sfuggire un grido soffocato.
    “Passerotto, ti prometto ...” le bisbigliò, aprendole maggiormente le gambe. “Che ti piacerà” esalò prima di chiudere la bocca sulle pieghe del suo sesso, mozzandole il respiro e facendole afferrare le lenzuola ai lati del suo corpo.
    Dopo aver succhiato per qualche secondo la sua carne morbida la lasciò andare, e sollevò lo sguardo su di lei. Vedendo il suo bel viso arrossato e contorto dal piacere sogghignò, orgoglioso ed arrogante. Continuando a tenere gli occhi fissi su di lei, sporse la lingua e le leccò le pieghe del sesso, tracciandone i contorni su e giù, evitando accuratamente il punto sensibile in cui si congiungevano.
    La torturò lentamente per quella che sembrava un’eternità, leccando i fluidi che ora la ricoprivano abbondantemente. Il corpo di lei si contorceva nell’attesa ansiosa di una sua mossa e, alla fine, lui la fece. Alla fine le circondò il clitoride con le labbra, mentre lei rafforzava la presa sulle lenzuola e si mordeva il labbro inferiore nel tentativo di evitare di gridare. Sentendo i gemiti ed i mugolii soffocati di lei, quasi impossibili da sopportare, lui le affondò le dita nelle cosce. Seppellì la bocca tra le pieghe del suo sesso, sforzandosi di chiudere gli occhi e di concentrarsi su di lei. Aprì le labbra e le prese avidamente in bocca il clitoride, portandola ad ansimare ed a passargli le dita fra i riccioli ossigenati. Mentre si dava da fare di buon grado con la lingua, spostò una mano dalla sua coscia per affondare nel calore umido del suo corpo. Ancora una volta sollevò lo sguardo: la vista di lei, con il capo reclinato all’indietro e la bocca semiaperta, che annaspava in cerca d’aria, era senza dubbio l’immagine più erotica che avesse mai visto.
    Lei deglutì a fatica, mentre lui le sfiorava i contorni del sesso, avvicinandosi ogni tanto alla sua apertura, provocandola. Lui continuò ad avvolgerle la lingua intorno al clitoride e a provocarla dolorosamente con le dita, mentre lei agitava la testa a destra e a sinistra.
    “Per favore, Spike, per favore ...” lo supplicò alla fine, senza pudore.
    Non ebbe bisogno di chiedere due volte: lui le spinse dentro un dito, facendola inarcare sul materasso.
    “Oh Dio!” mugolò lei, afferrando con più forza i suoi capelli.
    “Shh ... Buffy, ti sentiranno” la avvertì Spike, interrompendosi con il dito ancora dentro di lei.
    “Non fermati. Per favore, non fermarti” lo supplicò lei, disperata.
    “Sii silenziosa” bisbigliò lui.
    “Sarò silenziosa, te lo prometto. Non … Io non …” mormorò, interrompendosi quando lui mosse il dito dentro di lei, alla ricerca di un punto preciso.
    Lui le riportò le labbra al clitoride, premendo e tirando e, contemporaneamente, avendo trovato ciò che cercava con il dito, lo mosse dentro e fuori di lei, accarezzando quel punto ogni volta che affondava in lei. Da sotto le palpebre pesanti la guardò contorcersi, con il volto arrossato e girato di lato, e mordere il cuscino nel tentativo disperato di evitare di gridare. Cosa che si rivelò impossibile quando Spike, improvvisamente, spinse in lei un altro dito, aprendola e facendo esplodere, a riempirle il corpo,la sensazione squisita che era cresciuta dentro di lei.
    Spike sgranò gli occhi, mentre lei si inarcava sul materasso e le pareti del suo sesso si stringevano intorno alle sue dita con forza brutale. Istintivamente Spike si tirò su, lungo il suo corpo, ma prima che riuscisse a coprirle la bocca un urlo forte, quasi inumano, riempì l’intera capanna.
    Buffy non si era ancora ripresa dall’orgasmo che sentì un rumore di vetri rotti.
    “Si sono alzati” annunciò Spike.
    “Cosa?” chiese Buffy intorpidita, guardando l’ossigenato saltare giù dal letto e rovistare nel mucchio di vestiti sul pavimento.
    “Per l’inferno maledetto!” sibilò lui, arrendendosi e limitandosi a spingerli tutti sotto il letto per poi correre alla porta che portava alla sua stanza.
    Ancora un attimo e Giles, nello spalancare la porta ed accendere le luci, avrebbe potuto intravedere Spike che si gettava nel suo letto. Invece trovò il proprio figlio adolescente seduto e coperto dalle lenzuola, che si ripuliva la bocca con il dorso della mano.
    “Cosa è successo?” chiese l’uomo, sistemandosi gli occhiali e sedendosi sul bordo del letto. “Stai bene?”.
    “S-sto bene. Cosa è stato?” mentì a denti stretti Spike, deglutendo a fatica nel tentativo di nascondere la propria mancanza di fiato.
    “Buffy ...” si rese conto Giles, e si diresse alla porta di comunicazione fra le due stanze.
    Nel momento stesso in cui la porta si chiuse, l’altra venne aperta da una donna avvolta in un accappatoio. Joyce tastò il muro alla ricerca dell’interruttore della luce e chiese:
    “Buffy? Stai bene?”.
    Quando riuscì ad accendere le luci trovò Buffy sdraiata sul letto, arrossata e senza fiato, che si stringeva addosso le coperte.
    “Hai avuto un altro incubo?” chiese la donna andando a sedersi sul letto, a fianco della figlia, mentre la porta che portava alla camera di Spike veniva aperta da Giles.
    “Sta bene?”.
    “I-io ...” si sforzò di rispondere Buffy. Il suo balbettio peggiorò quando, dopo pochi istanti, nella stanza entrò Spike con addosso una maglietta e un paio di boxer. Deglutì a fatica, cercando di ignorare il sogghigno arrogante del ragazzo e di concentrarsi su quello che stava dicendo sua madre.
    “Cosa? Ehm ... Già, h-ho avuto un altro incubo. N-non era niente. Sto bene. Davvero” insisté, senza distogliere gli occhi da Spike, mentre una piacevole sensazione post-orgasmo le si diffondeva in corpo.
    “Sicura di stare bene? Voglio dire, di solito dormi così bene ... È successo qualcosa?” chiese Joyce, senza accorgersi delle occhiate che i due ragazzi si stavano scambiando.
    “Sto bene, mamma. Probabilmente è solo il fatto che sto dormendo in un letto diverso. Ecco tutto” cercò di giustificarsi lei.
    “Sei sicura? Io non ...”.
    “Mamma! Sto bene” le assicurò lei.
    “Forse è stato a causa di quegli orribili rumori di prima” suggerì Giles.
    “Orribili rumori?” chiese Buffy, corrugando le sopracciglia.
    “Si, non gli hai sentiti? Era tutto uno sbattere e squittire. Dio, quei rumoracci mi hanno tenuto sveglio fino alle due del mattino” spiegò Giles.
    Buffy sentì il proprio cuore balzarle in gola e le guance che le si imporporavano, e fissò Spike ad occhi sgranati: “Ah! Quei rumori!”.
    “Procioni probabilmente” suggerì calmo l’ossigenato, anche se il suo cuore aveva perduto un colpo. “Che frugavano nella spazzatura, ecco tutto”.
    “Forse” concordò Giles.
    “Ma ora stai bene, vero amore?” insisté Joyce.
    Buffy si limitò ad annuire e strinse le labbra. La donna sorrise e passò una mano sul viso della figlia, poi guardò il proprio orologio da polso.
    “Bene, sono già le sette. Non ha senso tornarsene a letto adesso, non è vero? E poi dobbiamo andare in città a comprare le cose che servono per la cena di stanotte” disse, leggermente eccitata, e si alzò. “Farai meglio ad alzarti”.
    Buffy mise il broncio e sollevò lo sguardo sulla madre:
    “Mamma, ti dispiace se salto le compere? Anch’io non ho dormito molto stanotte. Colpa di quei … fastidiosi procioni” aggiunse, gettando un’occhiataccia a Spike nel pronunciare l’ultima parte della frase.
    “Va bene. Se sei stanca. Ma non stare a letto troppo a lungo” acconsentì Joyce.
    “Ehm ... Papà, posso saltarle anch’io?” azzardò Spike.
    “Comunque non mi aspettavo che tu venissi” rispose Giles con un mezzo sogghigno, e uscì dalla stanza subito seguito da Joyce, lasciando soli i due ragazzi.
    Nel momento stesso in cui la porta si chiuse Buffy saltò fuori dal letto e mise le braccia al collo di Spike, schiacciandogli la bocca con la propria, facendogli quasi perdere l’equilibrio.
    “È stato fantastico!” mormorò contro il suo petto, dopo aver finalmente interrotto il bacio.
    “Eccome” rispose lui, ancora un po’ scosso dal fatto che Buffy, nuda, gli si stese premendo addosso.
    Lei stava per dire qualcosa, quando si sentì il rumore di una porta che veniva aperta lungo il corridoio. In un lampo si seppellì nuovamente fra le lenzuola.
    “Meglio aspettare finché non escono” bisbigliò.

    Tenne l’orecchio incollato al legno, torcendosi nervosamente i bordi delle maniche e sforzandosi di sentire quello che succedeva in corridoio. Attese pazientemente che il suono di passi si indebolisse sempre più, poi aprì la porta e sporse la testa in corridoio. Sentendo la porta principale che veniva chiusa sospirò forte e corse alla finestra, giusto in tempo per vedere Giles che saliva in macchina e chiudeva la portiera. Nel momento stesso in cui il motore si avviò, se ne staccò e corse alla porta di comunicazione, spalancandola e andando addosso a Spike.
    “Ahia!” gridarono entrambi, contemporaneamente.
    “Stai bene?” chiese Buffy. Spike non ebbe neanche il tempo di annuire che lei gli fu addosso. “Bene!” esalò lei fra un bacio e l’altro, spingendolo verso il letto.
    Quando la sua schiena toccò il materasso Spike sollevò un sopracciglio. Si ritrovò a fissare Buffy, ancora in piedi di fronte a lui, con un’espressione lussuriosa in volto.
    “Da quando in qua sei assetata di sesso?” chiese con un sogghigno arrogante, che si sbriciolò per essere sostituito da un’espressione a bocca aperta non appena lei si sollevò la camicia da notte sopra la testa, mostrandosi completamente nuda.
    Lei si sistemò su di lui in silenzio, con le ginocchia ai lati del suo corpo e il petto che premeva contro il suo torace. Gli posò la bocca sul lobo dell’orecchio, prendendolo in bocca e avvolgendovi attorno la lingua. Sentendolo ansimare sorrise. Dio, quanto amava sentirlo ansimare in quel modo!
    Quando lei lo morse lui gemette: “Buffy ...”.
    Lei si staccò dal suo orecchio, tracciandogli una scia di baci famelici sulla mascella, finché non trovò la sua bocca e la invase con la lingua.
    “Tu” – bacio –“sei stato” bacetto – “fantastico” terminò, indugiando con la lingua sulle sue labbra per qualche secondo.
    “Così mi hanno detto” sogghignò lui.
    Buffy si immobilizzò e Spike si prese mentalmente a calci per quello che aveva appena detto. “Stupido! Stupido! Stupido!” gridò mentalmente, vedendo che lei si raddrizzava e gli rivolgeva un’occhiata assassina.
    “Ah davvero? E posso chiedere chi?”.
    “Nessuno” rispose subito lui.
    All’improvviso lei si staccò da lui, raccolse la sua camicia da notte e se ne andò nella sua stanza sbattendo la porta.
    “Che c’è?” chiese lui, rimanendo spaparanzato sul letto.
    Non ebbe risposta.
    “Buffy che c’è che non va?” chiese, alzandosi e seguendola.
    Lei non gli rispose e, ancora in camicia da notte, marciò nella sua stanza, guardò sotto il letto, raccolse i suoi vestiti e glieli gettò addosso.
    “Fuori!” scattò.
    Lui fece finta di non aver capito: “Cosa è successo?”.
    “Niente” disse lei a denti stretti, tirando e strattonando le lenzuola furiosa, nel tentativo di rifare il letto. “Così mi hanno detto” mormorò fra sé, in maniera quasi incomprensibile.
    “E dai, Buffy. Stavo scherzando”.
    “Invece no” ribatté lei, guardandolo storto.
    “Va bene! Non stavo mentendo!” ammise. “Buffy, devi capire che *ho avuto* una vita prima che ci mettessimo insieme, e che coinvolgeva altre ragazze”.
    “*Io* pure!” ribatté lei, lasciando andare per un attimo le lenzuola prima di riprendere a fare il letto. “Ma io non vado in giro a sventolartelo sotto il naso”.
    “Non stavo ...” tentò di difendersi lui, ma fu subito interrotto.
    “Ah già, certo” sbuffò lei. “Non stavi” brontolò.
    “E dai, Buffy”. Quando lui fece un passo verso di lei, lei si raddrizzò e lo fissò.
    “Io non vado in giro a gloriarmi di tutte le cose che io ed Angel abbiamo fatto. E credimi, ne abbiamo fatte *parecchie*” mentì.
    Spike deglutì a fatica, nel tentativo di controllare la rabbia che stava iniziando a ribollire.
    “Veramente abbiamo fatto di tutto!” gli rivelò lei, con uno sguardo lascivo.
    “Buon per te” riuscì a dire lui a denti stretti.
    “Ci puoi scommettere” ribatté immediatamente lei. “È stato fantastico! È-è stato *davvero* fantastico!” insisté, tornando al proprio compito e rimettendosi a tirare le coperte, senza accorgersi del muscolo che gli pulsava in viso.
    Non riuscì a finire la frase e, all’improvviso, si ritrovò sdraiata sul letto, senza fiato e con Spike sistemato fra le sue gambe. Stava per protestare quando sentì la mano di lui farsi strada rapidamente sotto la sua camicia da notte, fino a trovare l’ammasso di riccioli all’apice delle sue cosce.
    Quando lui cominciò a provocarla, sfiorandone la carne ancora sensibile, lei espirò a fondo, cercando di tenere gli occhi aperti. “Era davvero così grandioso?” chiese lui contro la sua bocca.
    Lei dischiuse le labbra e cercò di baciarlo ma lui, con la mano libera, la teneva saldamente per i capelli, tenendola la sua bocca a pochi centimetri dalla propria.
    “Lo era?” ripeté.
    Lei non ripose e continuò a lottare contro la presa di lui sui suoi capelli.
    “Era ...”. Lui si interruppe un attimo, infilandole dentro un dito e massaggiandola lentamente.
    “Ah!” gridò lei.
    “ ... così grandioso?”.
    Lei cominciò a scuotere la testa furiosamente, facendo segno di no, e lui sogghignò.
    Entrò e uscì da lei un paio di volte prima di tirarsi indietro del tutto e di staccarsi da lei, che fu presa di sorpresa dall’improvvisa perdita del piacevole contatto.
    “Che c’è?” chiese, leggermente frastornata, sollevandosi sui gomiti.
    “Volevo solo esserne sicuro” sogghignò lui, tornandosene nella sua stanza.
    “Piccolo ...” cominciò lei, correndogli dietro.
     
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