LOOKING FOR THE VICTIM SHIVERING IN BED

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  1. kasumi
     
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    Okay :)

    Sì, l'apertura ai sentimenti è la principale differenza tra loro. C'è anche il fatto che William è cresciuto nella bambagia (nel telefilm), timido ma amato dalla madre, ed è diventato violento in seguito con il suo mentore Angelus. Faith invece non ha conosciuto molto l'amore dei suoi genitori, si è fatta da sè e ha vissuto un'adolescenza turbolenta.

    Per studiare il passato di Faith lessi la sua 'biografia' su internet. All'epoca in cui scrissi 'lo scopo di un'anima' ho fantasticato sul rapporto con il padre.. però so che nei fumetti di A&F se ne parla.
     
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    @kasumi come dici te, sto cercando di evidenziare le similitudini di carettere ma anche le differenze profonde che le loro esperieze di vita le hanno dato...
    Tra l'altro ho iniziato a leggere lo scopo di un'anima, ora ho letto solo due capitoli, appena vado avanti commenterò...

    ***

    CAPITOLO 8.

    “Te adesso mi ascolti, dolcezza. Quello che è successo stasera non cambia che tu mi vuoi.
    Coraggio lo sento che vuoi ballare ancora con me.”
    Sentivo che mentre mi sussurrava quelle parole all’orecchio, la sua lingua si muoveva sinuosa, batteva un tantino sul suo palato.
    C’era qualcosa di diverso in lui, come una furia gli affiorava dall’interno. Il mio braccio, stretto nella sua morsa, era dolorante.
    I pensieri si fecero confusi. Avrei dovuto avere paura, stranamente non ne avevo, sentivo la sua rabbia e lo avvertivo vicino. Desiderai che mi abbracciasse, che mi stringesse, che sfogasse la sua ira su di me.
    Maledizione, aveva ragione, lo volevo. Volevo davvero ballare ancora con lui.
    Ora più che mai volevo lui.
    I miei pensieri mi spaventarono, più della violenza con cui lui mi teneva.
    Come potevo volere vicino un animale, come gli altri, come tutti gli uomini che avevo incontrato: lui era un animale, peggiore forse degli altri.
    Gli assestai una gomitata veloce per liberarmi. Volevo scappare ma la mia mente continuava ad elaborare. Era davvero peggiore, lui mi aveva fatto credere di essere diverso, si era preso gioco di me.
    Era più diabolico degli altri. Loro avevano cercato il mio corpo per sfruttarlo, per godere, lui aveva trovato la mia essenza e l’aveva infangata.
    Con tutta la rabbia che avevo in corpo, lo colpii in viso.
    “Sei un animale. Come tutti gli altri.”

    Lo guardai un istante piegato dal dolore. Vidi il sangue scorrergli dal naso fino in terra.
    Prima ancora che sollevasse il suo sguardo per guardarmi corsi via, mi chiusi velocemente la porta alle spalle.
    Seduta in terra, con le spalle appoggiate alla porta, osservavo attonita la mia stanza buia.

    I fatti di quella sera erano confusi, nella mia mente cercavo di rivivere tutto. Rividi il momento in cui lo colpivo in pieno viso. Presi la testa tra le mani, non riuscivo a capire il perché del mio comportamento.
    Avevo avuto paura, di me, del mio passato, del suo. Un film che avevo già visto.

    Mi accorsi di avere le mani sporche di sangue, il suo sangue.
    Mi ero sporcata i capelli ed il viso, piccole macchie fresche a testimoniare la realtà delle mie azioni, del mio presente sempre simile a ciò che era stato.
    Il mio respiro si fece affannato, avrei voluto gridare, rompere tutto, ma ero immobile, il viso era impassibile.

    “Faith. Ti chiedo scusa. Davvero, non volevo mi vedessi così. Per favore ho bisogno di parlarti. Domani tornerò, per chiarire, voglio dirti tutto. Non ti chiederò nulla del tuo passato, in ogni caso non cambierebbe quello che penso e quello che provo.”

    Sentì la sua voce dall’altra parte della porta, risultava rotta dalle lacrime.
    Chiusi gli occhi. Come da bambina trattenni il fiato e cercai di nascondermi. Volevo non esistere, in quel momento volevo sparire.

    Aspettai di sentire la sua moto accendersi ed andar via.
    Tremavo e respiravo a fatica, qualcosa dentro mi logorava, sentivo un peso, un macigno che mi portava giù, sempre più in basso. In caduta libera tra i miei ricordi, il mio passato che in un momento mi sembrò più presente che mai.
    Gettai i miei vestiti in terra e corsi sotto la doccia.

    Guardavo il suo sangue scendere insieme all’acqua giù dal mio corpo.
    Ricordavo la prima volta che avevo avuto il sangue di un uomo addosso.
    Era di mio padre, una sera, avevo tredici anni.

    In quel periodo mio padre era tornato a vivere con noi.
    Si era presentato circa un anno prima alla porta di mia madre dopo averci abbandonato tempo prima, era disperato, ubriaco e senza un soldo.
    Cercava ancora una volta di vivere alle spalle di mia madre, troppo stupida o troppo debole per reagire. Lui era violento, lo era sempre stato, così si stabilì di nuovo con noi.
    Fu un inferno dal primo giorno.
    Mia madre iniziò pian piano a bere sempre di più. Lui la picchiava, la notte quando rientrava ubriaco, sentivo le urla di mia madre, il suo pianto. In quelle notti, passate in silenzio, al buio, sperando che nessuno percepisse la mia presenza, né il mio respiro né i miei occhi socchiusi che spiavano le ombre, ogni pensiero su mia madre si faceva confuso.
    Lei era sempre stata la mia eroina, come ogni bambina, la amavo e la consideravo infallibile. Nonostante il suo lavoro ed il suo bere, solo ora mi rendo conto, di quanto avesse cercato di crescermi al meglio. Capivo solo ora le sue debolezze, le stesse che al tempo me la fecero odiare.

    Quelle notti lentamente uccisero le mie certezze, se lui poteva fare questo a lei, allora io ero condannata, destinata ad aspettare il mio turno, una volta che il mio respiro fosse stato più rumoroso o che la sua violenza non fosse stata soddisfatta tutta su mia madre. Non avrei potuto fare niente, ero indifesa così come lo era colei che doveva proteggermi.

    Il giorno che scongiuravo arrivò presto. Mia madre era a lavoro e lui rientrò ubriaco di notte. Stavo dormendo nel mio letto, ma il frastuono di quel corpo sbronzo che arrancava tra i mobili, rompendo e sbattendo, mi svegliò.
    Cercai di non respirare e di non far accorgere a quel figlio di un cane che mi fossi destata.
    Il letto d’improvviso mi si gelò intorno al corpo e la testa divenne vuota, talmente vuota che il battito accelerato del mio cuore vi rimbombava dentro, fracassando ogni mio pensiero.
    Stava cercando mia madre nel suo letto vuoto. La sua furia nel non trovarla divenne incontrollata, percepivo il suo aggirarsi per la casa in cerca di una vittima.

    Di colpo un gran silenzio regnò tra le mura, pensai che il grassone si fosse addormentato. Pian piano cercavo di riprendere sonno quando il suo passo incerto si annunciò accanto al mio letto.

    Mentre l’acqua della doccia mi scivolava sul viso, la mia mente mi riportava la visione dei suoi occhi piccoli e famelici, l’odore di sudore e di alcol.
    Le sue mani sudate che senza alcun affetto si agitavano tra le mie lenzuola.
    Le uniche carezze che ricordo di mio padre. Le spietate manate, il modo in cui mi stringeva le cosce e tirava la mia pelle.
    Non ricordo né baci né parole.
    Solo la freddezza con cui esaudiva i suoi desideri, le sue voglie sul mio corpo di bambina.
    Il sudore gli scorreva addosso fino ad insudiciare la mia pelle, mentre tenendomi forte per i capelli mi possedeva con empietà.

    Da allora ebbi paura dello sguardo di mia madre, volevo non capisse mai cosa mi faceva lui ogni notte mentre lei era a lavoro. Imparai nel silenzio della mia buia stanza la spietatezza della bramosia umana.
    Durante le mie giornate rivedevo quegli occhi ingordi sui visi di altri uomini, li vedevo in ogni luogo posarsi sui miei seni, sulle mie labbra e sulle natiche che il passare del tempo rendeva più curve, più femminili. Ogni uomo sembrava celare qualcosa di mio padre, della sua libidine.

    Col passare del tempo smisi di piangere.

    Una notte tra le sue violenze, una lucida consapevolezza attraversò il mio intero corpo. Lui era debole, ed era il mio corpo a renderlo così, immaginai che la sua furia fosse una difesa alla forza del mio corpo.
    In un istante la mia mente sovvertì i ruoli.
    Il mio carnefice non era altro che un povero vecchio patetico, talmente schiavo del corpo femminile da ridursi a violentare e picchiare, sperando che i suoi orrori avessero nascosto il suo terrore.
    Provai disgusto per lui e per tutti gli uomini, mentre una forza nuova s’impadroniva della mia pelle.
    Afferrai di colpo le sue mani e con un calcio lo scaraventai fuori dal letto.
    Rapidamente lo raggiunsi e lo colpì sul suo ripugnante viso, rosso e sudato. Un’espressione sorpresa cancellò d’un colpo la sua eccitazione. Il sangue le sgorgava copioso dal naso.

    Quella volta fu la prima in cui sentii il coraggio di reagire.
    Non fui mai più una bambina, quel giorno finì di colpo la mia infanzia, divenni adulta.
    Con un gesto violento avevo sconfitto sia mio padre sia la mia innocenza.

    Continuai a colpirlo una volta a terra, ma era me stessa che vedevo, colpivo me stessa e ne provavo soddisfazione. Colpivo la bambina che fino a quel giorno aveva accettato tutto quel dolore senza reagire, che aveva creduto che qualcosa sarebbe cambiato, che qualcuno prima o poi si sarebbe accorto e l’avrebbe salvata.

    La mia mente tornò repentina al presente. Sul mio braccio il livido diveniva sempre più marcato. Sentivo le sue labbra sussurrarmi all’orecchio.
    Un urlo uscì dalla mia bocca e finalmente piansi. Singhiozzai e gemetti, le lacrime scendevano calde e salate. Mi sentivo come quando da bambina piangevo sola mentre aspettavo mia madre.
    L’unica persona che mi aveva fatto sentire protetta, mia madre.

    Le mani iniziarono da sole, senza controllo, a colpire sempre più furiosamente il muro della doccia. Percepivo la pelle delle nocche lacerarsi al contatto con le fredde e dure mattonelle.
    La mia mente era ovattata, non sentivo nulla, solo la voce di mia madre che mi carezzava e mi coccolava come tutte le sere quand’ero piccola.
    D’improvviso la nebbia si diradò dai pensieri. Mille rumori giunsero alle mie orecchie, tutto insieme:
    l’acqua della doccia che scrosciava, le mattonelle che venivano colpite dalle mie nocche e la mia voce che scandiva parole confuse:
    “Fanculo fottuto bastardo, pagherai. La pagherò. Siete tutti dei bastardi. Vaffanculo. Vaffanculo. Vaffanculo.”
    Mi fermai, lasciai che l’acqua continuasse a scorrermi addosso.
    Guardai le mani sanguinare e mi resi conto del dolore che provavo.
    Sentivo la mia voce da bambina gridarmi, ma le sue parole erano distorte, incomprensibili.
    Mi gettai sul letto tutta bagnata. Ero sfinita. Chiusi gli occhi e mi addormentai.
     
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  3. kasumi
     
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    Ciao bella!

    CITAZIONE
    Tra l'altro ho iniziato a leggere lo scopo di un'anima, ora ho letto solo due capitoli, appena vado avanti commenterò...

    *____*
    Sono curiosa di sapere cosa ne pensi! (spero non prenderai paura per l'inizio un po' crudo!^^)
    CITAZIONE
    Mi gettai sul letto tutta bagnata. Ero sfinita. Chiusi gli occhi e mi addormentai.

    Il capitolo mi è piaciuto molto!! Spiega da dove viene fuori tutta la rabbia di Faith e il disprezzo verso gli uomini.
    E ora cosa succederà?! Faith aspetterà Spike per parlare o lo eviterà? O sarà addirittura lei a cercarlo?
    Il loro legame si fa sempre più stretto, nonostante queste difficoltà! <3
     
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    Sono molto contenta che ti piaccia!! :D

    Ho iniziato a postare questa ff anche su EFP...
    Ora leggo un altro pò di lo scopo di un anima, così poi potrò dirti..
    *corre a leggere*
     
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    ****

    CAPITOLO 9.

    Arrivato verso casa mi diressi veloce verso il bourbon. Il viso mi faceva male e le lacrime non si erano ancora fermate. Riempì distrattamente un bicchiere e lo bevvi tutto d’un fiato, ripetei la medesima operazione un’altra volta, cercando di calmarmi.
    Mi diressi verso uno specchio, la mia immagine riflessa non fece altro che aumentare la mia vergogna. Il mio naso sanguinante e gonfio iniziava a divenire scuro, il mio labbro inferiore sporgeva più del solito e s’intravedeva un taglio all’interno, il quale aveva già smesso di sanguinare.

    Presi dal frigo una bottiglia di birra e la appoggiai piano sul mio naso, sentendone i benefici.
    Rimasi un po’ così sul divano, finché la bottiglia non fosse più così fredda.
    Allora la stappai e la bevvi avidamente, mi ci vollero pochissimi lunghi sorsi per finirla. Tirai la bottiglia vuota verso il muro, il contatto con esso chiaramente la fece infrangere schizzando vetri in tutta la stanza.

    Sul divano seduto con la testa tra le mani, pensai a tutto quello che era accaduto quella sera.
    Il mio passato si era vendicato e prepotentemente aveva creato di nuovo uno squarcio nella mia vita, nel mio presente. Mi sorpresi pensando come il passato di una persona sembra non volerlo mai perdonare. Come un’ombra nera, il mio, scrutava il presente, pronto a stravolgerlo compromettendo il mio futuro.
    Al tempo mi chiedevo spesso se ogni persona ha un trascorso minaccioso alle sue spalle, o se fosse un fardello per pochi. Mi era sempre interessato capire cosa spinge una persona a cambiare, a cercare di buttarsi il vecchio alle spalle.
    Per me era stata una vaga consapevolezza, probabilmente un’arrogante presunzione, avevo immaginato di pretendere di più.
    Al tempo la mia vita era al tracollo, passavo ubriaco il mio tempo tra una bisca e un furtarello.
    Non so cosa avevo immaginato per il mio futuro quando iniziai a credere che la mia stupida vita di Londra fosse banale e sprecata.
    Avevo poco meno di venticinque anni ed ero un brillante assistente di letteratura inglese, a pensarlo in quel momento, ubriaco sul divano, con il viso marcato dai pugni e la casa piena di pezzi rubati di moto, mi venne da ridere sonoramente.

    Mi ero pentito di molte cose e non facevo altro che constatare le mie pessime decisioni, ma non sarei riuscito ad immaginare che cosa sarei stato se non avessi lasciato quella vita banale da uomo mediocre che facevo a Londra.

    Il viso di Faith sconvolto, le sue parole:“Sei un animale. Come tutti gli altri.”, mi riportarono prepotentemente al presente.

    Pensai alla scenata davanti alla sua pensione, la mia violenza, ma anche la sua. Mi aveva colpito rabbiosamente, credevo di aver sentito dell’odio, non capivo se era me che odiava o se stessa.

    Ero come tutti gli altri per lei. Maledizione lo ero davvero, anche peggio.
    Doveva essere me che odiava, ne ero certo.
    Infondo mi odiavo anch’io. Ero un debole. Ero schiavo della rabbia, dell’amore e della lussuria.
    Con questi pensieri mi diressi verso la bottiglia di bourbon, saltai il bicchiere e mi attaccai direttamente ad essa, bevvi, sdraiato sul divano, ancora ed ancora.

    Mi sentivo la testa girare, era evidente che l’alcol faceva effetto. Continuavo a chiedermi come potevo essere ridotto così, per una ragazzina. Dannazione di nuovo mi comportavo da imbecille per una puttanella da quattro soldi.

    Una puttanella, cercavo di ripetermelo, come tutte le altre, volevo convincermene. Iniziai ad urlarlo.
    “LEI E’ UNA PUTTANELLA COME TUTTE LE ALTRE, COME TUTTE LE ALTREEE!!”
    Quel metodo chiaramente non aveva alcun effetto se non quello di farmi aumentare il dolore al naso. Così mi venne stravagantemente da ridere.
    “Colpisce alla grande per essere solo una puttanella.” Mormorai mentre mi tastavo delicatamente il naso.

    Appoggiai sfinito la testa sul bracciolo del divano, distesi le gambe e bevvi un’altra lunga sorsata di whisky. In un attimo mi venne alla mente la nostra bella chiacchierata, prima che il mio passato bussasse alla porta. Erano stati dei momenti bellissimi, lei era interessante e simpatica, riusciva a farmi sentire importante, un uomo.

    Al diavolo. Era tutta colpa di quel dannato irlandese. Forse avremmo potuto essere felici, ma lui era tornato prepotentemente nella mia vita e come al suo solito aveva rovinato tutto.

    Ero confuso, ma si andava facendo spazio nella mia mente l’idea di ucciderlo una volta per tutte.

    Immaginai di farlo con una mazza da baseball, così avrei visto tutto il suo cervello da stupido puttaniere spalmarsi e sparpagliarsi tutt’intorno a me.
    Oppure avrei potuto accoltellarlo, magari alla schiena, come faceva sempre lui. In fondo non era degno di nessun accorgimento ed una morte sleale era ciò che più meritava. Avrei potuto sentire il suo sangue scorrere, dalla sua schiena, sulla mia mano che con soddisfazione avrebbe conficcato la lama tagliente nella sua pelle di merda.
    Ma anche un fucile non sarebbe stato una pessima idea. Bang. I miei problemi sarebbero finiti in un attimo.
    O forse no? Pensai che probabilmente tutti quei progetti non mi avrebbero riavvicinato lei.
    Anzi. Come le avrei spiegato di non essere un animale, se avessi ucciso freddamente il porco.

    “Donne” Sbiascicai nervosamente “Maledette donne.”
    Nel dirlo gettai la bottiglia ormai vuota in terra e continuai:
    “Se lo uccido sono un animale. Se piango davanti la sua finestra sono una femminuccia, un fallito, uno con cui essere amica, per raccontargli le prodezze sessuali del primo manzo a tiro che sicuro finirà per picchiarla ed io giù a consolarla. Se la picchio, mi becco un naso rotto per cominciare e poi non mi parlerà mai più.”
    Mi bloccai per un momento a pensare, sferrai un calcio scoordinato al bracciolo del divano, che appena si mosse.
    “Dannata stronza. Dovrei picchiarti lo stesso.”
    I miei pensieri continuarono sconclusionati per altre ore, finché senza nemmeno accorgermene mi addormentai.

    ***


    CAPITOLO 10.

    Mi svegliai lentamente, ero sul divano non perfettamente disteso, le mie gambe poggiavano in terra e le mie braccia ciondolavano, sentivo la mia testa dolermi, la mia vista era offuscata dal sonno.
    Mi guardai intorno perplesso, in un attimo feci mente locale, ero ancora con i vestiti addosso, i segni intorno ai miei occhi testimoniavano che avevo pianto, il maledetto mal di schiena e la bocca tremendamente impastata, collosa, era l’indizio definitivo che avevo certamente bevuto una gran quantità di alcolici.
    Accarezzai la fronte con le mani cercando di mitigare il dolore lancinante che proveniva dalle mie tempie fin al centro del cervello.
    Il suo viso mi apparve come una rivelazione, la sua bellezza cercava di consolarmi. Faith cosa avevo combinato? Maledizione.
    Risentivo le sue parole.
    “Sei un animale. Come tutti gli altri.”
    Provai vergogna, uno strano senso di schifo per me stesso mi fece rabbrividire, si aggiunse prepotentemente ad esso un lancinante senso di nausea, fortissimi conati mi scossero l’intero corpo.
    Barcollando, cercavo di alzarmi, di mettere un piede dinanzi all’altro per arrivare fino in bagno, anche una così banale operazione sembrava richiedere particolare concentrazione.

    Una volta in bagno infilai la mia faccia sotto il getto freddo dell’acqua del lavandino, mi bagnai l’intera pelle ed aprii la bocca cercando di berne il più possibile. Avevo la bocca arida ed il mio copro sembrava aver perso un enorme quantità d’acqua a causa dell’alcol.
    Optai per una doccia, la mia mente confusa mi suggeriva che forse l’acqua che non riuscivo ad ingerire sarebbe potuta entrare dai pori della pelle ristabilendo un certo equilibrio. Con ogni probabilità la sbronza non era ancora del tutto svanita, altrimenti non saprei spiegare né questi pensieri né i miei successivi comportamenti.

    Dovetti ricorrere a tutta la mia forza di volontà, probabilmente anche qualcosa di più, per infilarmi sotto il getto della doccia, che trovai in seguito consolatore, tanto da rimanervi più del solito.
    Erano le due del pomeriggio ed era necessario recarmi al mio stramaledetto lavoro, avrei dato l’anima al diavolo per non farlo, ma dubito che lui fosse interessato.
    Non avevo mai capito cosa ci faceva il diavolo con le anime, non che credessi al diavolo, ma una tale stranezza mi aveva sempre intrigato. Ci sono anime che probabilmente valgono la pena di collezionare, che so l’anima di un noto benefattore, di uno che ha sempre scelto il bene, un Gandhi o un Martin Luther King, quelle si che erano anime da sbandierare, ma la mia, che ne avrebbe fatto, era un’anima trasandata, sporca, in parte già corrotta e probabilmente debole come l’uomo che la indossa.
    Non avrei mai lottato per la sua salvezza, l’avrei anche scambiata per una birra gelata in qualche sera di magra.

    Con questi strani pensieri mi recai mal volentieri al lavoro.
    Nel tragitto non potevo far a meno di ricordare l’emozione della sera precedente, quando lei mi aveva stretto forte, quelle stesse strade mi erano sembrate diverse, bellissime.
    Mi pareva di sentire ancora il profumo dei suoi fluenti capelli nelle miei narici, il calore delle sue braccia, la sensazione indescrivibile dei suoi seni lievemente pigiati contro la mia schiena, immaginai il suo sorriso spiazzante. Quella donna era per me come una bufera, cupa, maestosa e impenetrabile, un bagliore magnetico le illuminava il viso, poi di nuovo senza riguardo per gli altrui sentimenti, l’intensità delle sue tenebre mi sfidavano a sopravviverle.

    La vista delle moto e della baracca di lamiera, mi riportarono al presente, Briciola mi venne incontro scodinzolando, affettuosa come sempre, le sfiorai il muso con una mano, lasciandomela leccare.
    Pensai che quella fosse l’unica donna, nella mia vita, a fidarsi cecamente di me, ad avere per me stima e affetto.
    “Maledettissimo culo inglese. Quanto tempo ci vuoi passare con quella cagna bastarda, vuoi venire che ti devo parlare.”
    Quelle urla mi squarciarono il cervello, erano le prime parole che udivo dal mio risveglio. Mi avvicinai incerto verso il grassone, la luce del sole mi bruciava negli occhi ed il suolo mi appariva mobile ed insicuro. Immagino mi sembrasse di camminare su delle sabbie mobili.
    “Andiamo bene. Quanto whisky hai trangugiato ieri sera? Sei ridotto male.”
    Alzai lentamente il viso per osservare la fonte di quel frastuono, quella parlata volgare mi aveva sempre infastidito.
    Le sue imprecazioni mi giunsero, scandite all’invero simile, alle orecchie. Lo sentì poi aggiungere.
    “Ancora con le risse. Che ci troverai di tanto divertente a farti conciare per le feste. Stavolta te l’hanno suonate di santa ragione.” Imprecò ancora. “Servissero a farti entrare qualcosa in quella testaccia ossigenata.”
    “Non ho fatto nessuna rissa.” Il suono della mia voce era rauco ed impastato. “E’ stata quella ragazza che… mi ha… colpito, già, in tutti i sensi… e poi, sì, beh… questo me l’ha fatto l’irlandese.” Indicai goffamente il labbro inferiore. “Ma credo che lui se la stia passando peggio, forse gli ho rotto qualche ossicino.” Risi fragorosamente, in effetti non provavo nessun senso di colpa. Quel figlio di puttana si meritava anche di più.
    “Una ragazza ti ha ridotto così il naso?! Caspita, dovevi aver bevuto davvero per un esercito. Dannato inglese, dovresti lasciarle perdere le tipe toste, non sono alla tua portata, almeno dopo il terzo bicchiere.”
    “Non ero ubriaco, lo ero dopo. Comunque lascia stare.”
    “Come vuoi, ti devo dare una brutta notizia. Il tipo della moto non è più interessato ad aggiustarla. Dice che è solo uno spreco e vuole venderla. Io non so cosa farmene. Te sai chi la può volere?”

    Guardai attentamente quella dolcezza di metallo e ruggine, mi parve di sentirla piangere, pensai come si potesse trascurare così uno splendore del genere, trattarla male e addirittura disfarsene quando la carrozzeria aveva perso il suo fulgore. Oh, misero è l’uomo che non ne trae abbaglio da tal bellezza.

    “La voglio io.” Tuonai.
    Una grassa risata interruppe i miei poetici deliri.
    “E con quali soldi pensi di pagarla?”
    “Quanto vuole?”
    “Immagino almeno cinquecento dollari.”
    Ero certo che ci stesse facendo la cresta, sicuramente di almeno cento dollari, ma ero come stregato dal mistero di quell’intelaiatura languida e maliziosa da non importarmene affatto.
    “Posso darti altri pezzi. Un paio di carburatori originali, una sella di una Softail, un motore Twin Cam 88 in buono stato, qualche accessorio qua e la: cavalletti, specchietti, cinghie, pedaline, fanalini edizione speciale e un paio di conta chilometri. Tutti di vari modelli, ma assolutamente originali. Eh che dici ci guadagni abbastanza?”

    Ci pensò su un attimo, vidi i suoi occhi assorti come se stesse rivedendo tutto il mio elenco e facendo i conti di quanti soldi ci avrebbe fatto rivendendoli qua e là.

    “Che diavolo vorrai mai farci con quel rottame. Fidati ti stai prendendo solo una gatta da pelare. Quando deciderai una buona volta di cavalcare una giovanotta senza ruggine e brutti ricordi.”

    “Mi piacciono le selle di una volta. Poi guarda che maturità, che alone di mistero. Non la scambierei con nessuna 1200 custom o forty-eight, nessuna di queste diavolerie moderne può competere. Ne sentirei solo il vuoto sotto il culo. Fidati se domi una moto così, ne senti la forza. Ma che cazzo ne puoi capire te… giri con uno scooter pulcioso. Allora accetti?”

    “Accetto. Ma vedi che il motore funzioni o assaggerai la mia accetta la prossima volta.”
    “Vai tranquillo. Non potevi che accettare è un affarone. Però devi lasciarmela tenere qui da te, intanto che cerco di farla ripartire.”
    “Fai come ti pare. Di spazio ne ho da vendere ma non ci mettere un’eternità.”

    Mi recai veloce verso la mia nuova conquista, non era affatto chiaro cosa ne avrei fatto, non mi serviva, avevo già una moto, mentre i soldi mi servivano sempre. Dovevo essere davvero sbronzo per prendere una decisione così avventata.
    M’inginocchiai davanti al suo motore maestoso e cercai di lavorarci un po’, ma la testa mi scoppiava e l’unica cosa che riuscivo a fare era carezzarla.
    Sentivo la sua selvaggia, mi tornò alla mente Faith, i suoi fianchi rotondi, le sue lunghe e sinuose gambe, sarei voluto sprofondare nel suo bacino e restarci finché il mio cuore non se ne fosse riscaldato.
    Guardavo quella vecchia moto con ammirazione, la stessa che avevo per lei, mi aveva ferito, colpito, rivedevo tutti i suoi impeti e i suoi gesti avventati eppure non la biasimavo, provavo adorazione per quella ragazza.

    Lei era la forza che si cela in ogni debolezza, lo sentivo, chiaro come il suo nome, il suo animo fragile, innocente era stato violentato, impaurito e assassinato dalla ferocia del mondo, glielo si leggeva in faccia, ma non l’aveva uccisa.

    Cosa c’è di più forte di una persona fragile che con tenacia continua a resistere?

    E’ facile per i duri, i forti vivere con fierezza e vigore ogni istante, quant’è più arduo per i più vulnerabili, i più colpiti, rialzarsi. Sollevarsi con le proprie stesse mani e reagire, colpire alla ceca, cercando di non sprofondare di nuovo. Sapevo bene cosa volesse dire stringere i pugni infilati nelle proprie tasche, mentre si sorride falsamente al mondo che ci circonda.
    Difendersi da tutti ed in primis da noi stessi. Avere la forza di prendere in mano ogni propria miseria e meschinità e tenerle accanto, come compagni spiacevoli in questo viaggio impressionante di nome vita.

    In quel momento una rivelazione mi lasciò stordito: volevo prendere per mano Faith ed affrontare i demoni della nostra vita, insieme. Lei la forza, il coraggio, io la caparbietà, l’incoscienza.
    Il mondo non ci avrebbe mai voluto, e mai ci avrebbe accolto, ma insieme l’avremmo piegato e avremmo scopato sulle sue regole antiche e riso dei suoi costumi.

    La parte più difficile era certamente convincere lei, dovevo parlargli. Pensai che certamente sarebbe stato meglio darle del tempo, una così è meglio farla sbollire da sola, e poi non avevo un altro naso da farmi fracassare. Decisi che l’avrei osservata al locale la sera stessa, ma non avrei cercato altro.
     
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    Hai aggiornato! *.*
    E, wow, due capitoli dedicati completamente a quel testardone di Spike!
    Ora sono davvero curiosa di leggere cosa succederà al loro incontro.
    *me vuole angst*
     
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    eh sì, due capitoli interamente dedicati a lui... :P
    Spero di riuscire ad accontettarti, di solito l'angst mi viene naturale da scrivere... ^_^
     
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    Ecco un nuovo capitolo!!
    ***

    CAPITOLO 11.

    Erano trascorsi due giorni da quella notte, in cui avevo colpito l’inglese in pieno viso, la mia routine era continuata. Mi svegliavo ad ora di pranzo, mangiavo al volo qualcosa di precotto, mi bevevo una birra, fumavo un paio di sigarette, andavo al lavoro, tutto fingendo che nulla fosse successo. Eppure non riuscivo a far a meno di pensare a lui, lo rivedevo in ciò che facevo ed ogni cosa mi portava la sua voce, le sue battute.
    Cercavo di negare la sua presenza costante nella mia mente, ma il mio corpo mi tradiva. Mentre dormivo, sentivo la sua pelle, fiutavo il suo odore, gustavo i suoi baci e avvertivo le sue mani, frementi di desiderio, scivolare sul mio corpo arresosi al suo tatto, per poi svegliarmi da sola tra le lenzuola, madida di sudore.

    Quei due giorni furono più lunghi e più vuoti di tutti quelli che avevo già vissuto, impaurita, attendevo qualcosa che mi scuotesse, inconsciamente, aspettavo l’esaudirsi della sua promessa.
    “Domani tornerò, per chiarire, voglio dirti tutto”.
    “Ma domani era già ieri”. Mormoravo, mentre continuavo a cercarlo nella sala, tra un vassoio ed un cliente, in quel maledetto pub in cui tutto era iniziato.

    Non sapevo bene come avrei reagito se lui avesse mantenuto la sua promessa. Non avevo intenzione di saltargli con le braccia al collo, lui era un animale come gli altri questo lo avevo stabilito, ma era un animale che non potevo far a meno di desiderare, anche solo per poterlo mandare al diavolo, o che so, scoparlo crudelmente cercando stavolta di ricordargli chi era a comandare.

    I miei pensieri furono sopraffatti dal ricordo di lui che mi possedeva, nel vero senso della parola, senza difese tra le sue mani irruenti e premurose, come potevo prendere in giro me stessa in tal modo, se avessi scopato di nuovo con lui non avrei potuto resistere, mi avrebbe dominato di nuovo e ne sarei stata felice.
    Maledizione, pensai, quando delle voci provenienti da un tavolo dietro di me attirarono fastidiosamente la mia attenzione.
    “Ehi bellezza, che ne dici se ti fermi un po’ qui al tavolo.”
    Mi girai indifferente e li guardai con occhi distanti. Erano due tipi sulla quarantina, notevolmente ubriache e sicuramente squallidi, fissavano il mio decolté ipnotizzati.
    “Volete ordinare qualcosa?”. Chiesi cercando di non far intravedere troppo il mio disgusto.
    “ Oh ma certo, piccola Bettie, che ne dici se ordiniamo te e magari qualche corda, ti piace il bondage non è vero?”.
    Il mio disgusto era divenuto palese, in ogni caso i due tipi non mi avevano neanche guardato il viso, e continuavano a scrutare il mio corpo come predatori. Avevo ben intuito che il nomignolo e le loro allusioni si riferivano al mio tatuaggio, così mi guardai velocemente il braccio su cui uno dei due aveva cercato di poggiarci una mano sudata, lo scansai repentinamente e dovetti fare appello a tutto il mio scarso autocontrollo per non colpire l’immondo porco con il mio vassoio. Ringhiai semplicemente tra i denti:
    “Prova a toccarmi e te ne pentirai, quant’è vero che sei un lurido porco.”
    Attirai la loro attenzione per la prima volta sui miei occhi e continuai.
    “Andate al diavolo, vi conviene.”
    “Oh-oh-oh, bella focosa, eh?” disse uno, rivolgendosi all’altro, che rispose prontamente.
    “Sì, proprio come piace a me…va bene piccola continua a lavorare, non abbiamo fretta noi, magari a fine turno riusciamo ad addolcirti…”
    “Oppure diventiamo feroci tutti e tre insieme, che ne dici?” completò la frase del compare.
    Li degnai appena di uno sguardo di disgusto mentre senza controbattere, me ne andavo, percepii nei loro occhi un’espressione familiare: desiderio, frustrazione, sfida.

    Continuai il mio turno di lavoro, noncurante di quei bastardi che insistevano strizzando i loro putridi occhietti al mio passaggio, finché quasi verso chiusura non li vidi più.
    Ipotizzai i loro culi sudati nei loro letti o in qualche toilette pubblica a cercare di smaltire l’alcol e le voglie, magari con qualche principessa della strada, che con gli occhi chiusi ed il cuore rigonfio di brutti ricordi, dava miseramente forma alle loro perversioni.

    Immagini, nitide come fotografie, mi rimbalzarono davanti, mentre con una pezza umida pulivo il bancone per la chiusura oramai imminente.
    Lentamente quelle immagini presero forma e sostanza, suggestionando i miei sensi: andavo lentamente percependo le mani pesanti, l’odore acre, il sudore, la sensazione di dolore e d’impotenza.

    La mia testa riportò a galla le parole che allora mi ripetevo tra me e me, quasi come un mantra.
    “Adesso si ferma, lo so che mi guarderà negli occhi e si fermerà, mi abbraccerà, papà mi carezzerà.”

    Il mio viso fu contratto dalla rabbia, come da uno schiaffo, come potevo essere stata così ingenua e debole?
    Ero consapevole, e ciò mi rincuorava, di non essere più la bambina tremolante di paura e ricolma di speranza nascosta tra le lenzuola. Sapevo perfettamente che da molto tempo ormai non cercavo più né abbracci né carezze, ero diventata forte, col tempo avevo imparato a vivere senza l’affetto di nessuno, senza l’aiuto di nessuno, in effetti, senza nessuno. Non avevo più bisogno di nessuno.

    Il suo viso dolce si manifestò come uno spettro nella mia immaginazione, i capelli ossigenati e l’espressione divertita di chi prende il mondo per il culo ogni dannato giorno. Ripensai all’ultima volta che mi aveva stretto il braccio, lasciandomi un livido a testimoniarlo, mi tornò vivida la mia voglia pazza di essere abbracciata, carezzata da lui, come la bambina dei miei ricordi.
    Strinsi forte il panno umido tra le mani e mormorai “Maledetta stupida, devi dimenticare.”

    Mi ricomposi in un istante e finii tutte le faccende per la chiusura, recandomi velocemente nel retro, senza chiudere la porta, mi sfilai la maglietta del locale e la buttai nel cesto dei panni sporchi, presi dall’attaccapanni la mia canotta nera e la indossai, così come la giacca di pelle.

    Ero ancora intenta a contare i soldi, che il titolare mi aveva dato, mentre avanzavo nel vicolo buio nel retro del locale, quando una voce attirò la mia attenzione.
    “Eccoci qui bambolina, spero che ora sarai più gentile.”
    Guardai con disgusto i visi dei due stronzi di prima, che a quanto pare mi avevano atteso davvero.
    “Già, quello che il mio amico cerca di spiegarti è che prima sei stata molto scortese, ma non ci sono problemi, siamo qui per farti perdonare.”
    Li guardai schifata ed annoiata.
    “Forse non sono stata sufficientemente chiara prima, andate al diav….”.
    Mentre cercavo di finire la frase uno dei due, si parò dinanzi a me e afferrò il mio braccio, mi divincolai e con uno scatto riuscii a liberarmi dalla sua presa, sferrandogli rapidamente un colpo, con l’altro braccio, più o meno all’altezza del suo ventre.
    Guardavo l’uomo accasciarsi leggermente, non accorgendomi che intanto l’altro si era lanciato dietro di me immobilizzandomi, stavolta, entrambe le braccia.
    Così mi ritrovai con il busto bloccato in uno stretto e sudicio abbraccio, sentivo la pancia, rigonfia di birra, del mio aggressore, spingersi violentemente sulla mia schiena, le sue braccia erano serrate intorno alla mia vita, mentre l’altro uomo si dirigeva con un ghigno soddisfatto verso il mio agognato corpo.
    “Oh ne ero sicuro, nessuna donna, neanche la più selvaggia, non può essere domata a dovere… Tienila bene mentre mi ci diverto un po’, poi ti do il cambio…. Vediamo bambolina da dove iniziamo?!”

    Il mio sputo lo colpì in pieno viso, sformandolo ulteriormente, sia per la scia di saliva che gli scivolava sulla guancia, sia per l’ira furiosa che aveva trasfigurato i suoi occhi. Si pulì tremante dalla rabbia con la manica della camicia e lentamente si avvicinò al mio viso.
    “Sai cosa gli faccio alle cagne come te?”
    Di tutta risposta tirò fuori dalla tasca un coltellino a serramanico e iniziò a sventolarmelo davanti al viso, prendendo tempo, evidentemente per decidere da dove iniziare a sfregiarmi.
    Una volta deciso, con uno scatto mi fece un taglio profondo lungo la guancia sinistra cercando di incidere fino alla mascella, probabilmente con tutta l’intenzione di arrivare fin sotto il collo, ma fu interrotto dal colpo che gli sferrai con un piede alle palle, che lo piegò in due dal dolore.

    Inizia a tirare calci agli stinchi dell’altro verme, cercando di fargli mollare la presa, quando sentii un rumore sordo provenire da dietro la sua nuca, la presa si allentò ed il tipo cadde in terra privo di sensi, in quel momento una voce familiare arrivò alle mie orecchie.
    “Oh guarda, che piacere incontrarti, ciao Faith, come te la cavi?”
    “Che ci fai qui ossigenato?”
    “Facevo due passi e… ho visto questo bel quadretto, così ho pensato di esserti utile…. Non preoccuparti non serve che ti sdebiti, la tua gratitudine mi basta.”
    “Non era necessario che mi aiutassi, avevo tutto sotto controllo… Come avrai notato, mi stavo riorganizzando!!!”
    “Oh certo, facendoti tagliuzzare una guancia e difendendoti con dei calcetti agli stinchi, sono sicuro che gli avresti consumato la tibia, tra un paio di mesi…”
    “Vai al diavolo!! Non ho bisogno del tuo aiuto… Non sei anche tu qui per avere un altro assaggio???…”
    Mi feci scivolare lentamente le mani lungo tutta la sagoma, ondeggiando lievemente il bacino.
    “Va bene, dolcezza, continua pure a trattarmi con disprezzo… Sai che ti dico: Spike non s’impiccerà più della tua vita, cominciando da adesso…”
    Alzò le braccia ed indietreggiò fino ad appoggiarsi al muro, alzò il sopracciglio ed aggiunse:
    “Attenta alle spalle!!”
    Mi girai di scatto e mi accorsi che il tipo, che avevo colpito nelle palle, si era rialzato e camminava incerto verso di me, brandendo il coltello. Gli andai incontro, la rabbia era ormai padrona di ogni mio movimento, continuavo a pensare all’atteggiamento arrogante di quel maledetto ossigenato, e a quei vermi che avevano cercato di toccarmi.
    Sferrai un calcio sulla mano del bastardo facendogli volare via il coltello, gli assestai un pugno da campione di pesi massimi, che lo scaraventò in terra.
    Mi avventai su di lui come su una preda. Cavalcioni sul suo stomaco iniziai a colpirlo ripetutamente e sempre più forte in viso, sentivo la mia voce urlargli contro.
    “Beccati questo, bastardo, tu non puoi toccarmi, non puoi toccarmi, nessuno può toccarmi, non più…”.

    Non riuscivo a smettere di colpirlo. Il pugno destro e poi il sinistro, ed ancora il destro, ed il sinistro.
    In quell’istante sentì una mano calda stringermi la stalla, lentamente rallentai i colpi e smisi di urlare, mi girai e vidi di nuovo il suo maledetto e bellissimo viso.
    “Faith, così lo mandi al creatore, non che non se lo meriti… anzi ora che ci penso continua pure…”.

    Mi alzai velocemente da sopra il corpo ormai svenuto del tizio, guardai il suo sguardo premuroso scrutarmi. Mi accorsi solo in quel momento che le lacrime mi stavano solcando le guance, mescolandosi con il sangue del taglio.
    Avevo per la testa tantissime parole da dirgli, ma nessuna sembrava voler uscire dalla mia bocca.
    Volevo ringraziarlo ed insultarlo, immaginai di gettarmi tra le sue braccia ed allo stesso tempo avrei voluto stenderlo con un pugno per poi scappare via.
    Non feci nulla di tutto questo, rimasi immobile, come stordita, le lacrime continuavano ad uscirmi, piccoli rivoli silenziosi scendevano fino al mio collo, alcune gocce indugiavano alla fine del mento per poi tuffarsi una ad una sul mio decolté.

    Gli occhi di Spike mi guardavano sorpresi, per la prima volta mi accorsi di quanto fossero belli, blu come l’oceano e profondi come esso, credevo di annegarvi dentro.
    In un istante tutti i pensieri si dileguarono, sentii dapprima, solo la voce di bambina che gridava “Abbracciami, abbracciami, ti prego abbracciami!!”. E poi quelle stesse parole gridate con la mia voce da adulta.

    Non so ancora se quelle grida fossero nella mia testa o se davvero trovarono la forza di uscire dalle mie corde vocali, in ogni caso lui mi abbracciò, prima incerto, poi deciso, mi strinse forte, fino a farmi abbandonare con la testa poggiata nell’incavo del suo collo. Chiusi gli occhi ed inspirai profondamente il suo profumo di uomo, avvertivo le sue mani stringermi il bacino, una mano risalì la mia schiena ed iniziò a carezzarmi le spalle cautamente.
    I suoi movimenti erano delicatissimi, quasi impercettibili, sembrava quasi aver paura di rompermi o farmi del male, ogni sua carezza era calibrata ed attenta, senza nemmeno rendermene conto le mie braccia ricambiarono il suo abbraccio.
    Differentemente da lui, lo strinsi fortissimo, arpionai le mie mani sulla sua schiena, come se cercassi di stringere qualcosa che mi stava per essere strappato via, la sua reazione fu di carezzarmi dolcemente i capelli ed infine di baciarmi piano in cima alla testa.

    Dopo qualche istante, o di più, non saprei, mi scostò leggermente dal suo corpo, con un dito prese ad accarezzarmi piano la guancia, sfiorando impercettibilmente il taglio, seguendo tutta la sua lunghezza, arrivato al mento, mi sollevò piano il viso costringendomi a guardarlo.
    I suoi occhi penetrarono i miei, incantandomi, avvicinò piano le labbra sullo sfregio insanguinato ed iniziò garbatamente a baciarlo, d’istinto chiusi gli occhi, come in un atto di estrema fiducia che lui deve aver colto. Sentivo il suo respiro diventare sempre più lento, più rado, quasi lo volesse interrompere pur di non disturbare quel momento.
    Percepii appena la punta della sua lingua che lievemente leccava la mia ferita e ne levava via il sangue, il mio respiro si fermò di colpo, strinsi le palpebre serrando gli occhi ancora di più e le mie labbra si aprirono leggermente, il cuore mi batteva fortissimo e una sensazione di vuoto, come se il pavimento svanisse da sotto i miei piedi, mi costrinse a reggermi forte a lui.
    Quel momento sembrò durare in eterno.

    La sua lingua, d’un tratto, si fermò, le sue labbra si avvicinarono al mio orecchio e mi sussurrarono.
    “Vieni che ti riaccompagno a casa”.
    Aprì gli occhi come in trance e fui di nuovo stregata dal suo viso, il suo sorriso, lasciai che mi prendesse la mano e che mi guidasse fino alla sua moto. Le nostre mani unite erano caldissime, lui stringeva appena, sentivo il suo pollice carezzare piano il dorso della mia mano, in un gesto di estrema delicatezza, che celava l’estrema forza di quell’atto.
     
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    ma era un animale che non potevo far a meno di desiderare, anche solo per poterlo mandare al diavolo, o che so, scoparlo crudelmente cercando stavolta di ricordargli chi era a comandare.

    :D :D
    E' proprio Faith ^_^

    CITAZIONE
    “Vai al diavolo!! Non ho bisogno del tuo aiuto… Non sei anche tu qui per avere un altro assaggio???…”
    Mi feci scivolare lentamente le mani lungo tutta la sagoma, ondeggiando lievemente il bacino.

    Questo gesto mi sembra stonare un po' con la scena..

    Okay, ho letto tutto! Awww!
    *spike che le lecca il sangue dalla guancia*
    :sbav: :sbav:
    Quell'uomo è troppo sexy.
    Mi piace! Mi piace!
     
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    Grazie, grazie...a breve aggiungerò un altro pezzo..
    Quel gesto di Faith era x enfatizzare il suo comportamento provocatorio fino all'estremo,soprattutto quando è a disagio, come difesa.
    La scena di Spike che gli lecca la guancia è chiaramente un omaggio alla scena favolosa con Dru...
    Mi fa davvero piacere il fatto che questa storia ti stia appassionando...
    *sorride come un ebete*
     
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  11. kasumi
     
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    CITAZIONE
    La scena di Spike che gli lecca la guancia è chiaramente un omaggio alla scena favolosa con Dru...

    Oh, non l'avevo collegato! Però una cosa è Dru che lecca la guancia di Spike e un'altra è Spike che lecca!
    :risata: :risata:
    Okay, la smetto.
    Devi capirmi, le parole lingua e Spike messe assieme mi provocano reazioni incontrollabili.... -_____- LOL
     
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    CAPITOLO 12.


    Nel tragitto sulla sua moto non feci altro che stringere il suo bel corpo al mio.
    Appena aveva acceso la moto, si era scatenato un temporale, uno di quelli forti, così avevo sistemato il mio viso al riparo dal vento e dall’acqua, poggiando la fronte sulla sua schiena.
    La mia mente lentamente ricominciava a formulare pensieri, uscendo un po’ alla volta dallo stato di trance in cui ero caduta durante il nostro abbraccio.
    Purtroppo le mie riflessioni erano, al solito, confuse e non del tutto positive, la fiducia che tra le sue braccia si era impossessata di me, stava svanendo come neve al primo sole e la situazione iniziava a farmi sentire impaurita ed indifesa.
    Mi domandavo cosa diavolo mi aveva portato a fidarmi di quel maledetto inglese, avevo già visto di cosa era capace, ma una sensazione di stanchezza profonda lasciava le mie recriminazioni sospese a metà.
    Così senza neanche troppo accorgermene sentii la sua moto che si fermava, alzai lo sguardo e vidi, tra la pioggia, il parcheggio della mia pensione. Incerta e disorientata su quelle che sarebbero state le mie future azioni per la serata, scesi dalla moto. La pioggia continuava inesorabile a picchiare sulla mia pelle, sentivo i capelli completamente schiacciati ed il trucco mi era ormai colato del tutto.
    Lui parcheggiò e scese, i suoi capelli erano spettinati, ed il suo viso sembrava, sotto le gocce, ancora più spigoloso. S’infilò le chiavi nella tasca e premurosamente si girò, scrutandomi preoccupato.
    “Oh luv, ti sta sanguinando moltissimo la ferita e sei tutta bagnata. Al diavolo sbrighiamoci ad entrare, stai tremando.”
    I suoi occhi m’ipnotizzarono nuovamente e quasi in uno stato d’incoscienza diressi due dita sulla ferita, toccai la guancia e la sentii bagnata e gelata. Osservai la mia mano sporca di sangue e rimasi alcuni istanti imbambolata a riflettere, o almeno a cercare di riflettere.
    Non sentivo alcun dolore, eppure la quantità di sangue mi suggerì che il taglio doveva essere abbastanza profondo, intanto lui doveva essere riuscito a decifrare i miei pensieri ed aveva afferrato la mia mano sporca tra le sue.
    “Stai tranquilla, non è niente di grave, quasi certamente non avrai nemmeno bisogno dei punti. Se vuoi, posso medicarti. Però adesso entriamo.”
    Il mio sguardo era fisso nei suoi occhi, seguivo le sue parole lettera per lettera, un tremito scosse il mio sopracciglio, in reazione ai pensieri. Immaginai cosa lo spingeva ad aiutarmi e ad entrare nella mia stanza: avrebbe fatto finta di medicarmi per poi scoparmi di nuovo, voleva approfittarsi di me.
    I suoi occhi sembravano ancora una volta aver compreso i miei pensieri e velocemente aggiunse.
    “Ti medicherò, se vorrai. E poi me ne andrò. Devi metterti al riparo, dobbiamo metterci al riparo. Sta diluviando e te tremi. Senti freddo?”
    La sua frase mi disarmò totalmente, non che gli credessi completamente, ma ero stanca per polemizzare ed il dolore iniziava decisamente a farsi sentire, la guancia mi bruciava e non avevo nessuna voglia di cercare di medicarmela da sola, così lo guardai dubbiosa e timidamente aggiunsi:
    “Non ho nulla in casa per medicarmi.”
    Di tutta risposta lui mi afferrò nuovamente la mano e delicatamente mi spinse a correre verso il mio appartamento. Quella breve corsa sotto la pioggia mi ricordò, di nuovo, la mia infanzia. In un attimo mi chiesi come quel ragazzo riuscisse a riportarmi alla mente i giochi della bambina che da tempo avevo dimenticato di essere stata.

    “Se me lo permetti, ci penso io, vado qui al minimarket notturno e prendo quello che serve.”
    Annuì incerta, avevo un sorriso languido stampato sul viso. Aprii la porta, lui mi seguiva calmo, fino a che non fummo all’interno della camera.
    “Hai del tè?”
    “No”
    “Bene, allora io vado qui al market, prendo il disinfettante, i cerotti ed il tè. Intanto levati i vestiti bagnati e magari mettiti a letto, così ti scaldi un pochino, quando ritorno, potrò medicarti e prepararti un tè.”

    Sgattaiolò veloce fuori della porta ed io mi ritrovai curiosamente ad eseguire i suoi ordini: lasciai cadere i vestiti bagnati in terra e stavo per infilarmi a letto così nuda, quando per la prima volta sentii il bisogno di coprirmi.
    Era strana la sensazione che si stava impossessando di me, una sorta di pudico riguardo; non ero totalmente indifferente al fatto che lui potesse guardare il mio corpo nudo.
    Compresi che quella serata stava portando alla luce dei miei comportamenti piuttosto insoliti, ma quello probabilmente era il più insolito.
    Mai avevo avuto problemi nel mostrare il mio corpo a chiunque, uomo o donna, era come un biglietto da visita, eppure qualcosa mi portò ad indossare dei calzoncini lunghi fino a metà coscia ed una canottiera. Così vestita, m’infilai perplessa nel letto mentre la mia mente continuava a domandarsi se ciò che provavo fosse vergogna o insicurezza. Quel ragazzo aveva già visto il mio corpo, anche più di una volta, come poteva importarmi cosa avrebbe pensato di me e del mio corpo?

    Il rumore della porta che si apriva dileguò tutti i miei pensieri, piombò nella stanza rumorosamente, aveva il suo soprabito di pelle fin sopra la testa, come a coprirsi da qualcosa di mortale.
    La sua voce mi riportò alla mente le stranezze di quella notte, anche lui mi appariva completamente diverso, i suoi comportamenti, le sue parole, erano differenti da come lo ricordavo. La sua spavalderia era quasi svanita, se non per alcune battute che aveva proferito a tratti, che in ogni caso la facevano assomigliare più ad una difensiva ironia che non all’arroganza che ero solita cogliere nelle sue parole.

    Sorrise nel trovarmi a letto e lentamente si tolse la giacca, la poggiò su una sedia, aveva in mano un sacchetto da cui tirò fuori garze, disinfettante ed una confezione di early the.
    Lo sentivo che trafficava con le poche pentole della mia cucina, probabilmente cercava qualcosa con cui scaldare l’acqua.
    Sentii il suo accendino scoccare ed il gas accendersi, facendomi capire che doveva essersi arrangiato in qualche modo. Il suo passo determinato si diresse d’improvviso verso il mio letto.
    “Vediamo, passerotto, l’acqua per il tè l’ho messa su, ed ora cerchiamo di pulire la ferita, così poi disinfetto.”
    Aveva un asciugamano in mano ed iniziò ad asciugarmi il viso.
    “Poi me lo spieghi come diavolo fai a farti un tè, non hai nemmeno un bollitore…”
    “Io il tè non lo bevo, non sono mica inglese come te.”
    Una risatina gli fece vibrare il viso.
    “Comunque non è molto profonda la ferita. Stavo pensando che se vuoi possiamo andare a denunciare l’accaduto… non so…”
    “No… No… sei pazzo…niente polizia…non posso…”
    “Okay… tranquilla, niente polizia, tanto nel vicolo c’eravamo solo te ed io…e dubito che quei due bastardi abbiano il coraggio di denunciarti. Quei codardi… Comunque devo farti i miei complimenti, te la sei cavata alla grande… non che la cosa mi abbia stupito, insomma il mio naso ne era già rimasto colpito un paio di giorni fa se non sbaglio… mi fa ancora male… al diavolo colpisci alla grande!!”
    Lo vidi scrutarmi e riflettere, sembrava in dubbio, probabilmente stava cercando le parole per dirmi qualcosa, quando ruppe il silenzio.
    “Mi sa che ti dovrò pulire tutta la faccia. Dolcezza, sembri Alice Cooper, il che non è male, ma dubito che tutto questo trucco faccia bene alla ferita.”
    Mi rimproverai mentalmente, avevo avuto tutto il tempo che lui era stato al minimarket per sistemarmi il viso, come avevo potuto non pensarci, dovevo essere davvero ridicola.
    Nel frattempo il disinfettante che con delicatezza mi tamponava sul taglio mi stava bruciando, questo mi distraeva da qualsiasi pensiero, non vedevo l’ora smettesse. Finalmente s’interruppe e mi adagiò un cerotto sulla guancia, fece una leggera pressione sui lati cercando di farlo aderire per bene, era un cerotto bianco, di quelli traspiranti fatti di garza per i tagli più profondi.
    Appena la medicazione ebbe fine tornò a guardarmi, i suoi occhi sembravano abbracciare i miei.
    “lo vuoi un bacino sulla ferita.”
    “Ma smettila, ora non esagerare, sono ferita ma non cretina.”
    Ridemmo insieme. Lui prese il pacchetto di sigarette dalla tasca della sua giacca e ne prese una e con gusto se la accese.
    “Me ne offri una?”
    Non so perché, mi guardò malizioso, e il suo sguardo mi fece arrossire, lui mi porgeva quella che aveva appena acceso e intanto i suoi occhi penetravano i miei.
    “Vado a vedere il tè.” Disse mentre le sue labbra ne stringevano già un’altra, che con il suo zippo, era pronta per essere accesa. Notai che era davvero sexy quando lo faceva, la fiamma gli illuminava il viso perfetto.
    “Perché invece del te non mi prendi una birra dal frigo… non sono malata, prendi anche per te, il frigo è pieno di birre.”
    Il suo sorriso mi fece intuire che era pienamente d’accordo con me, s’indirizzò verso la cucina, lo sentii spegnere il fornello ed aprire il frigorifero.
    Si avvicinò con due birre gelate e stappate e me ne porse una.
    “Hai ragione, fanculo il tè!! Passerotto, un bel brindisi, a te.”

    La pioggia sbatteva forte sul vetro della mia unica finestra e la birra gelata scorreva nella mia bocca, rincuorandomi, lentamente i miei pensieri si fecero tranquilli ed ogni inquietudine sembrava dileguarsi.
    Un senso di tepore e sicurezza, in un certo senso quasi di felicità, o se non altro di benessere, prendeva possesso di me.
    Quella stanza per la prima volta mi appariva come una casa, il letto su cui ero appoggiata, di colpo divenne il mio letto e così mi accorsi di quanto fossero confortanti, tutto sommato, quelle quattro mura.
    E la sua voce, il modo in cui parlava, sembrava tingere il tutto di nuovo colore, mi riscoprivo a sorridere delle sue battute ed a apprezzare la sua conversazione, in quel momento non sarei voluto essere in nessun altro posto.
    Sì, quel giorno, il purgatorio brillava di una luce paradisiaca.
     
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  13. kasumi
     
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    Ciao!! Che bello trovare un nuovo capitolo al mio ritorno! *.*

    CITAZIONE
    Era strana la sensazione che si stava impossessando di me, una sorta di pudico riguardo; non ero totalmente indifferente al fatto che lui potesse guardare il mio corpo nudo.

    Che bello questo pezzo! Rende perfettamente la vulnerabilità che sente Faith in quel momento!

    CITAZIONE
    aveva il suo soprabito di pelle fin sopra la testa, come a coprirsi da qualcosa di mortale.

    LOL
    Adoro questi accenni al telefilm!

    Il capitolo mi è piaciuto molto! :wub: :wub:
    A presto!
     
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    Grazieeee ^_^ l'ho postato proprio per il tuo rientro <3
    Sono felice di essere riuscita a trasmettere la vulnerabilità di Faith,ci tenevo molto,scriverlo è stato un pochino più complicato degli altri... Rischiavo di andare OOC!!!
    Il pezzo di Spke con lagiacca lo dovevo mettere!!! :D
    Già oggi pomeriggio potrei postare un altro capitolo!!!
     
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  15. kasumi
     
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    CITAZIONE (FaithLess @ 23/6/2013, 12:10) 
    Grazieeee ^_^ l'ho postato proprio per il tuo rientro <3



    CITAZIONE
    Sono felice di essere riuscita a trasmettere la vulnerabilità di Faith,ci tenevo molto,scriverlo è stato un pochino più complicato degli altri... Rischiavo di andare OOC!!!
    Il pezzo di Spke con lagiacca lo dovevo mettere!!! :D
    Già oggi pomeriggio potrei postare un altro capitolo!!!

    Non vedo l'ora! Ciao! ^_^
     
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42 replies since 13/5/2013, 20:55   534 views
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