Coraggio,dolore e silenzio

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    Eccomi qui, inizio a postare una delle molte ff ,della mia primissime autrice, le ho chiesto il permesso naturalmente prima,e lei gentilmente mi ha risposto

    " Per me non c'è problema, anzi è un onore! Passerò per il forum casomai mi ha fatto davvero piacere"

    Quindi iniziamo!





    AUTRICE: the Gift.
    COPPIE: Buffy e Spike, ma non saranno gli unici.
    RAITING: ho messo questa storia fra gli NC-17 non per le scene di sesso che non ci saranno, ma per il tema trattato
    DISCLAIMER: Ovviamente i personaggi non sono di mia proprietà, ma di Whedon & Co., è una storia scritta solo per puro piacere personale....ecc ecc





    CORAGGIO, DOLORE E SILENZIO

    Prologo

    Il letto disfatto pesava nel suo cuore come una tonnellata di mattoni e cemento.
    Sentiva ancora le sue mani, sporche, viscide, scivolare su di lei, senza rispetto, senza permesso.
    Il suo membro dilaniarla al basso ventre, ripugnante, doloroso mentre le fracassava il bacino toccandole l’utero.
    Le spinte frenetiche, rapide, violente, affamate… e la bava alla bocca, che lui spingeva bruscamente nella sua, tramite quella lingua troppo grossa e ripugnante.
    L’odore del sesso malato, impregnarle le narici. I liquidi seminali scivolarle lungo le cosce.
    Dio mio, era l’inferno… dentro di lei.
    Era un abominio che le risucchiava l’anima in un buco nero al centro del petto.
    Senza più sole, senza più luna. La sua notte, era buia e desolata.
    Abbandonata, alla mercè di quella bestia.

    Lentamente, come guidata da fili trasparenti, rimise a posto tutto.
    Gli occhi vacui, fissi in avanti, senza sensazioni.
    Deserti come una distesa di sabbia bianca…
    Cambiò le lenzuola, spazzò a terra, spolverò i comodini e la scrivania, rigirando le foto dei suoi amici del college.
    Li nascondeva sempre, quando lo sentiva arrivare. Non voleva che assistessero. Non voleva che vedessero.
    Se solo avessero saputo… nessuno l’avrebbe più amata.
    Nessuno.
    Sarebbe diventata pubblicamente la spazzatura immonda che si sentiva intimamente.
    Gettò una rapida occhiata alla sua camera. Un gradevole odore di detergente aleggiava nell’aria, nascondendo quello acre di prima.
    I vetri rispendevano, rivelando oltre essi un bel pomeriggio assolato.
    Ben presto sua madre sarebbe rientrata e voleva che trovasse tutto pulito.
    Almeno fuori, perché dentro si sentiva sporca… sudicia.

    Sospirò, senza provare niente, solo un indolenzimento alla vagina che restava quasi sempre, dopo… non era mai stato gentile con lei. Forse una volta, quando l’aveva presa la notte dell’ultimo dell’anno davanti alla porta della sala da pranzo colma di invitati.
    Si era dovuto trattenere, tutto in silenzio perché nessuno sentisse. Nessun grugnito, nessuna parolaccia o porcheria da dirle. Nessuno schiaffo o urla bestiali arrivato all’orgasmo. Perché la morte la potesse raggiungere in punta di piedi. Anche lì. Anche mentre il cielo si illuminava di colori e suoni, accogliendo un nuovo principio e abbandonando una vecchia fine.
    Ma per lei, da cinque anni, ogni giorno era simile a quello precedente.

    Camminando scalza sopra il parquet, raggiunse il bagno e aprì il box doccia.
    Sfilò la camicetta e la gonna.
    Si ripromise di non metterla più, troppo semplice da usare.
    Imperdonabile mancanza. I jeans, erano certamente migliori.
    Aprì la manopola, indirizzandola verso il segno rosso. Ben presto l’acqua prese a fumare e lei vi si gettò sotto, trattenendo un gemito di dolore.
    Doveva pulirsi, cancellare le carezze, la presa sui suoi fianchi, gli odori dal suo corpo che sapeva di peccato, di profanato.
    Passò una mano in mezzo alle gambe e vide una striscia di sangue mista allo sperma… normale amministrazione.
    Anche stavolta l’aveva lacerata.
    Cattiva Buffy, cattiva! Non sei stata attenta! È colpa tua, solo tua!
    Sei una puttana, ecco cosa sei! Una puttana che istiga suo padre a possederla…
    “E’ colpa mia, solo mia…”
    Come una nenia, quelle parole accompagnarono le sferzate di spugna sulla sua pelle cotta dal getto bollente, sfregando con violenza ogni centimetro di epidermide.
    Forte, sempre di più, fino ad entrarle nelle ossa, nelle viscere, nel cuore.
    E finalmente, il pianto arrivò. Non lo aveva voluto, non lo aveva cercato, ma arrivò e si unì alle goccioline dell’acqua in una pioggia silente e dolente.
    Accasciandosi sul piatto del box, nascose il viso fra le mani, chiudendo gli occhi e impuntando il respiro nell’umidità dell’abitacolo.
    Avrebbe solo voluto morire.
    Anche se forse, lo era già.
    Buffy, 16 anni, cheerleader della Los Angeles High school, era già morta.

    CAP 1

    Sei mesi dopo.....

    “Più veloci, dai, coraggio!!!”
    “Il treno, eccolo! Ci siamo quasi!”

    Tre ragazze correvano di fianco alla ferrovia durante una fredda e umida notte invernale. Le grida di una sirena lontana rimbalzavano nell’aria, incupendo la fuga fra il fango e le pozzanghere maleodoranti.
    I fari della locomotiva avanzarono nella direzione delle tre, e gli sbuffi del motore che aumentava la sua corsa, inglobarono i loro respiri ansimanti.
    Un uomo le inseguiva brandendo un fucile, ma la sua corsa era barcollante e le palpebre pesanti. L’odore dell’alcool impregnava i suoi abiti sporchi e una nebbia ottenebrava la sua mente, facendo uscire le parole in maniera strisciante.
    Imprecando, alle volte posizionava la canna pronta ma per fortuna non era abbastanza lucido per prendere una mira precisa.
    Il trio correva tenendosi per mano. La prima a salire al volo sul vagone merci fu la più grande, una ragazza dai capelli rossi e dagli occhi verdi e intelligenti; la seguirono le altre due che non si lasciarono neppure un attimo.
    Tremando, si accucciarono nella penombra, sperando che la sorte fosse benevola con loro almeno una volta nella vita.
    E avvenne: l’uomo cadde a terra scivolando sul selciato bagnato dalla pioggia del giorno, e batté la faccia violentemente. Il fucile schizzò lontano e un colpo partì a vuoto. Lo sparo risuonò come l’ululato di un lupo.
    “E’ finita. Siamo libere” disse la ragazza dai capelli rossi alle altre due.
    “Lo spero Willow” le rispose la secondogenita, Buffy, bionda e con lo sguardo colmo di dolore, mentre accarezzava la testa della sorella più piccola, pallida in volto e spaventata a morte.
    “Sarà così d’ora in poi, per tutte noi” ribadì l’altra con fermezza.
    “Anche per Dawn” aggiunse Buffy, guardando amorevolmente la fanciulla di quattordici anni avvolta fra le sue braccia, rinchiusa nel suo mutismo ormai da circa sei mesi.
    “E anche per te, Buffy… se solo avessi capito prima, se solo avessi fatto qualcosa…”
    “Ormai non possiamo cambiare niente Will… ma ci hai portate via, e questo è un regalo immenso”

    Il fischio del treno squarciò l’oscurità della notte di dicembre. Mancavano tre giorni a natale e le sorelle Summers avrebbero festeggiato lontane da casa, dalle loro origini e dai loro amici, scappando dall’inferno ma portandosi appresso le bruciature delle sue fiamme maledette.


    Tre anni dopo

    Sunnydale, 10 novembre

    Buffy incrociò le braccia e guardò sconsolata la sala: ancora gli scatoloni occupavano l’unica parete libera e le cose da riordinare non finivano mai di spuntare fuori.
    Era un mese che si erano trasferite in quella cittadina ridente e tranquilla, dopo l’ultima minaccia telefonica del padre avvenuta tempo prima. Ormai era parecchio che non lo sentivano e speravano di avergli fatto perdere le loro tracce.
    Willow, da sorella maggiore, aveva cercato subito un lavoro trovando un posto da segretaria in una biblioteca. Dawn era stata inserita nel college con qualche disagio: il suo mutismo era un problema non indifferente e le avevano dovuto affiancare un’insegnante di sostegno.
    Buffy al momento, si era preoccupata di tenere a posto casa, cucinare, stirare e seguire i compiti della sorella minore, svolgendo appieno il ruolo di casalinga tuttofare.
    Asciugandosi il sudore decise di lasciare gli scatoloni al loro posto ancora per qualche giorno e si diresse in bagno dove raggruppò i vestiti colorati dentro la cesta dei panni sporchi. Uscì di casa, percorse il pianerottolo, scese le scale e arrivò nella cantina dove c’era la lavatrice condominiale a gettoni.
    Fece appena in tempo a mettere detersivo e ammorbidente che sentì lo squillo del telefono provenire dal suo appartamento.
    Correndo, rientrò e alzò la cornetta col fiatone.
    “Pronto?”
    “Casa Summers?” una voce maschile abbastanza matura la fece rabbrividire. Alcuni ricordi erano impossibile da cancellare.
    “Sono Elisabeth Summers, chi parla?”
    “Rupert Giles, preside della High School”
    “E’ successo qualcosa a Dawn? Sta male? Le hanno dato fastidio?” Buffy si agitò e strinse forte il ricevitore fra la mano.
    “Diciamo che lei sta bene e che ci sono stati…* incontri* fra Dawn e un compagno. Se potesse venire il prima possibile…”
    “Sicurissimo, sarò lì fra un quarto d’ora”
    Buffy spense la comunicazione e rimase ferma alcuni secondi a riflettere, poi si diresse in camera e si cambiò. Avrebbe chiamato Willow solo se le cose fossero state davvero preoccupanti; per il resto, ce l’avrebbe fatta da sola.

    L’edificio era bianco e lindo, il parco che lo circondava appariva ben tenuto e le panchine di marmo riposavano all’ombra delle querce. Non si sentiva rumore ne fuori, ne lungo i corridoi; il college era famoso per l’ottima educazione degli alunni e la preparazione eccelsa che conseguivano grazie agli insegnanti facoltosi a livello culturale.
    Buffy raggiunse la segreteria e venne accompagnata nell’ufficio del preside.
    L’uomo la aspettava seduto dietro la scrivania con la finestra leggermente protetta dagli avvolgibili calati alle sue spalle. Doveva avere una cinquantina d’anni portati bene, i capelli erano leggermente brizzolati e pettinati , portava un paio di occhialini rotondi che nascondevano piccoli occhi grigi e vispi. Vestito elegantemente, trasmetteva tutta la sua compostezza inglese e un sano autocontrollo, anche se una punta di ribellione contraddistinta da un insolito fazzolettino rosso nel taschino, faceva intendere che da giovane doveva essere stato uno scavezzacollo.
    Buffy chiuse la porta e si sedette dopo essere stata invitata. Si stupì di come quella figura maschile non la mettesse a disagio come tutte le altre. Aveva un non so che di pacifico, di mansueto. Non riusciva a temerlo.
    “Dov’è Dawn?” fu questa la prima cosa che chiese stringendosi le mani in grembo e guardandosi attorno per vederla.
    “E’ nella sala d’aspetto con Miss Calendar, la sua insegnante di sostegno – la precedette - e sì, sta bene” l’uomo appoggiò i gomiti sul piano e si sporse in avanti fissandola negli occhi. Buffy istintivamente, indietreggiò sulla sedia ritrovandosi con le spalle appoggiate con forza allo schienale.
    “Che cosa è accaduto?” domandò con la voce tremante, ripentendosi che non doveva lasciarsi sopraffare dai ricordi… che la paura era un sentimento da vincere, da non ascoltare. Sua sorella era più importante di se stessa… di più.
    “Durante la lezione di biologia Dawn ha … come dire – il preside si sfilò gli occhiali e prese a pulirli con il fazzoletto colorato – ha conficcato la matita sulla mano di un compagno che le sedeva accanto”
    Buffy si tappò la bocca trattenendo un sussulto.
    “Oh mio Dio” mormorò con gli occhi sgranati.
    “Già… ora io vorrei consigliarle una cosa, miss Summers” prese a dirle inforcando gli occhiali, ma la ragazza lo interruppe.
    “Il ragazzo sta bene? Insomma, lo avete medicato, ha avuto bisogno di punti?”
    “Lo hanno portato al pronto soccorso ma per fortuna il danno non ha richiesto sutura, solo abbondante disinfettante e una fasciatura di una settimana. Ma il problema non è questo, signorina – si alzò e girò attorno alla scrivania, appoggiandocisi di schiena e ponendosi di fronte a lei – Dawn ha tanti problemi, povera cara e il mutismo è quello minore. Dovete farla curare. Da uno psichiatra, intendo” il preside fu il più chiaro possibile e Buffy accusò il colpo ormai preparata. Avevano cambiato dieci scuole in quegli anni d’esodo, e in tutte le era stato consigliato un controllo psicologico. Che ovviamente avevano seguito ma senza risultati evidenti.
    “Dawn è già stata in cura, ma come può vedere da solo non è servito a molto” sperava che demordesse, invece…
    “Mi dispiace davvero molto, ma non posso permettere che accadano cose del genere nel mio istituto, lei mi capirà. Quindi mi trovo costretto a ribadirle il consiglio e a ricordarle che qualora non voleste seguirlo, Dawn dovrà… come dire – si tolse di nuovo gli occhiali e li pulì in fretta, stavolta – lasciare il college.”
    Non immaginava tanto. Eppure aveva un’aria mite, uno sguardo benevolo.
    _ Tutti figli di puttana, gli uomini_ pensò Buffy alzandosi con cipiglio.
    Contò fino a dieci reprimendo la rabbia per quell’ultimatum: non potevano mandare Dawn in una scuola privata, l’affitto dell’appartamento già risucchiava oltre metà stipendio di Willow.
    “Mi sa consigliare qualcuno?” chiese sospirando.
    “Conosco bene Miss Unsure. Ho per caso il suo biglietto da visita qui” le disse porgendole un foglietto di cartone rigido.
    Buffy lo afferrò.
    “Non credo al caso, mister Giles” e girandosi, uscì dall’ufficio. Si recò nella sala d’attesa e abbracciò la sorella baciandole la cima della testa.
    L’insegnante Calendar la sorvegliava con dolcezza.
    “Ha avuto le convulsioni dopo l’incidente. Le ho dato le pillole che mi aveva consigliato” le spiegò accarezzando i capelli di Dawn mentre parlava.
    “Adesso mi sembra stia meglio, ha le guance rosee” constatò Buffy sorridendo alla sorella che le si era aggrappata al braccio.
    “Mi sa dire che tipo di lezione stava seguendo?” le balenò in mente un’idea che doveva assolutamente avere una conferma o una smentita.
    “Era biologia”
    “Più dettagliatamente?” insisté.
    “Anatomia del membro maschile. Faceva parte dell’argomento sulla riproduzione… sa, educazione sessuale e tutto il resto”
    Una fitta al cuore le seccò la bocca. Le immagini passarono veloci e crude nella sua mente. Urgeva assolutamente una telefonata a Willow, la situazione era molto precaria.
     
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    CAP 2

    11 novembre

    Seppe che era vivo grazie al mal di testa che gli pulsava dolorosamente, rendendo il suono del cellulare fastidioso e frastornante come quello di una cannonata. Provando a schiudere le palpebre, dovette metterci una mano davanti per non gridare dal fastidio che la debole luce del mattino gli causava.
    Si rivoltò nel letto e riuscì a mettersi seduto, mentre un fastidioso malessere si aggiungeva a quel pessimo risveglio. Trovò l’aggeggio infernale e rispose biascicando un “pronto” incomprensibile.
    Una voce di donna, forte e squillante, gli fece strizzare gli occhi.
    “La seconda in una settimana: stai esagerando William!”
    “Uh? Chi è seconda? Non la conosco…” farfugliò, ristendendosi e tirandosi addosso le lenzuola.
    “E’ la seconda sbornia Will!!! Eppure stavi meglio accidenti! Quanto hai bevuto? Dieci bicchieri? Venti?” la donna gli urlò dritto dritto nell’orecchio facendolo sobbalzare.
    “Non li conto, Cordelia… diciamo che avevo cose da dimenticare. Dopodomani è… lo sai cosa è, non te lo devo dire io – pigiò le palpebre con le dita, massaggiandole – Ben è sveglio?”
    “E’ già a scuola… sono le dieci passate – un sospiro di rassegnazione emerse in un copione ormai ripetutosi troppe volte – passa di qui, ti preparo un doppio caffé amaro. Avevi appuntamenti oggi al lavoro?”
    “Ne ho solo tre durante il pomeriggio. E’ un periodo morto… a dire il vero da troppo, ma d’altronde la mia vita non è mai stata tanto…* viva*. Dammi il tempo di una doccia e tre aspirine e sono da te”
    “Va bene, a dopo allora”
    “Sorellina?” la richiamò in extremis.
    “Sì?”
    “Grazie” sospirò, mentre la nausea avanzava inesorabile.
    “Non ti parerò il culo ancora per molto William. E te lo dico proprio perché ti voglio bene anche io”
    William gettò il cellulare sul tappeto e si trascinò fino in bagno dove vomitò anche l’anima. Dopo un’ora, inforcando occhiali neri e avanzando a passo lento, raggiunse la casa dove Cordelia viveva con suo marito Angel da due anni.

    Cordelia gli aveva fatto la ramanzina e questo confermava solo l’affetto che nutriva per lui. Dopo averlo invitato nuovamente per il pranzo, gli aveva ripetuto di riporre la fotografia, che teneva nel portafoglio, dentro una scatola e nasconderla in soffitta, dove il tempo se ne sarebbe preso cura. Inoltre, lo aveva incitato a lavorare di più, a trovarsi un hobby, qualcosa che lo potesse scuotere dall’apatia generata dai ricordi, soprattutto in quel periodo dell’anno.
    William aveva annuito a tutti i consigli, sapendo che un rifiuto non l’avrebbe fatta demordere, anzi.
    Dopo averla baciata su una guancia era uscito, dirigendosi verso un luogo preciso. La mattinata era persa, quindi tanto valeva distruggersi maggiormente con i rimorsi.
    Di fronte al cancello del cimitero, William prese la fotografia fra le mani e la rimirò.
    Era così bella la sua Darla: bionda, rosea e dolce, dai lineamenti di un angelo etereo. Rimembrava perfettamente il tono pacato della sua voce, il profumo di glicine della sua pelle, le risate cristalline, la semplicità del suo abbigliamento.
    L’aveva amata dall’età di dieci anni e l’aveva fatta sua quindici anni dopo.
    Durante una lezione universitaria si erano rincontrati, diversi eppure accomunati dalle umili origini e dal desiderio di un lavoro dedito ad aiutare il prossimo. La passione li travolse come un mare impetuoso, e passati solo sei mesi Darla portava al dito una fede dorata e vivevano assieme dentro una casa modesta, sazi del loro amore.
    Conseguirono la laurea in medicina lo stesso periodo e si specializzarono con gli stessi tempi: l’una in ortopedia, l’altro in psichiatria. Quando decisero di avere dei figli, la cicogna tardò ad arrivare e già da allora i primi segni di depressione colpirono la donna che si sentiva incapace di donare la vita e di conseguenza, sbagliata. Ben nacque dopo tre anni di ripetute prove e i disagi psichici aumentarono in maniera esponenziale soprattutto dopo il parto. William si era preso cura di lei, l’aveva curata sia come medico che come marito, ma quando Ben compì i due anni, Darla si suicidò.
    Lasciò un foglietto. Lo stesso che William teneva nel portafoglio assieme alla foto.
    < Perdonatemi. Vi amo tanto. >
    Il 15 Novembre era l’anniversario di quell’evento nefasto, ecco perché la tristezza lo travolgeva costringendolo a distruggersi nell’oblio del bere.

    Una lacrima sottile, lungo lo zigomo reso irto dalla barba incolta, lo fece destare dal viaggio indietro nel tempo. Uno spicchio di sole fece capolino oltre le nubi che si stavano addensando lentamente nel cielo.
    William ripose tutto al sicuro e si incamminò lungo un tragitto imparato a memoria negli ultimi tre anni.
    Dopo essersi soffermato davanti alla tomba di Darla quel tanto per soffrire ancora e ancora, controllò l’orologio e si accorse di essere in leggero ritardo per riprendere Ben da scuola.
    Quando raggiunse il portone di legno spalancato, lo trovò accanto alla maestra che attendeva con lo zainetto in spalla.
    “Papà!” esclamò il bambino piangendo e gettandosi fra le sue braccia “ credevo mi avessi scordato”
    “No piccolo mio, potrei scordarmi di respirare, di mangiare persino, ma non mi scorderei mai di te” gli sussurrò colmandolo di baci e facendogli il solletico sul collo con la barba ricresciuta.
    Scusandosi con la maestra per il ritardo e prendendolo per mano, insieme si diressero a casa O’Neil.

    Ben tentava inutilmente di tagliare la carne con un coltellino liscio per bambini. Sbuffava sotto lo sguardo divertito di suo zio Angel.
    “Dagli una mano invece di sogghignare così! Sei perfido!” sbottò Cordelia fulminando il consorte. Ma William la rassicurò imboccando un pezzo di pane.
    “Deve imparare a fare da solo, non avrà sempre qualcuno pronto ad aiutarlo”
    “Già, te lo ripeto anche io tutte le volte. Sarà un vizio di famiglia!” lo rimproverò lei non troppo velatamente, catturando con la forchetta una carota lessa.
    “Dai Cordy, non puoi fargli tutte le volte la paternale, ha trentadue anni ormai! – Angel guardò il cognato con aria complice – dico bene? È vero che la smetterai di fare il ragazzino in piena crisi adolescenziale?”
    “Voi sapete cosa - ” William stava per iniziare l’ennesimo sfogo, quando sua sorella alzò la voce sbattendo entrambe le posate sulla tavola.
    “Smettila di compatirti! Ne è passato di tempo e tu cerchi ancora rifugio nella bottiglia o nella fuga. Combatti da uomo e datti una scrollata! – lo fissò, fermamente decisa nella sua decisione – sappi che non terrò più Ben a dormire qui per lasciarti il tempo di diventare uno smidollato con la mente piena di alcool. D’ora in avanti dovrai fare il conto coi tuoi fantasmi! E ci credo che non hai più pazienti, nessun sano o malato di mente verrebbe a farsi curare da uno che sta peggio di lui!”
    Cordelia se ne andò da tavola lasciando i tre seduti e abbastanza frastornati. Ben per fortuna era ancora intento nel tagliare la carne, mentre William fissava il punto in cui la sorella era scomparsa con gli occhi smarriti.
    Angel gli posò una mano sulla spalla.
    “E’ solo la crisi pre-ciclo, non darle peso”
    “Invece ha ragione. Ha avuto sempre ragione lei. E pensare che ha quattro anni meno di me, in teoria dovrei io prendermi cura di lei”
    “Ha un innato spirito materno, la nostra Cordelia e nessun pelo sulla lingua. Comunque, per quanto valga, sappi che ti comprendo anche se non condivido tutte le tue scelte e sappi che avrai sempre un posto qui – William annuì grato – adesso scusami, vado a calmarla prima che sfasci la collezione di ceramiche cinesi. Le odia, e ogni pretesto sarebbe buono per distruggerle”
    Angel uscì dalla sala da pranzo e William sospirò, poi la sua attenzione tornò sul figlio ancora armato di coltellino e santa pazienza.
    “Ecco Ben – gli disse afferrando le proprie posate e piegandosi sul suo piatto – ti aiuto io” e la carne piano piano venne tagliata in tanti piccoli soldatini.
     
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    3° CAPITOLO

    30 Novembre

    L’appuntamento con la dottoressa Unsure si era rivelato un completo fiasco. Dopo tre ore di attesa dentro una saletta pulita e colma di piante verdi, le sorelle erano state fatte accomodare dentro lo studio rifinito completamente in legno di nocciolo e adornato con soprammobili Swarowski.
    Willow aveva esposto il problema di Dawn con semplici parole, spiegando anche le varie cure che erano state seguite nel corso degli anni, accennando alla figura paterna come ad una persona *violenta e alcolizzata*.
    Nessuna parola era stata detta riguardo alle violenze sessuali inflitte a Buffy per anni. Quello era un segreto che apparteneva solo a loro e che nessuno avrebbe dovuto sapere.
    Con voce dispiaciuta la dottoressa, sui sessanta anni, con una folta chioma rossa stretta a chignon, occhiali di metallo argentato calati sul naso diritto e occhi marroni e indagatori, gli aveva detto che stava seguendo un numero di pazienti già al di sopra della sua portata e che quindi avrebbe potuto incontrare Dawn come iniziale seduta, non prima del mese di marzo.
    Così l’incontro con la psichiatra si era concluso, lasciando le sorelle affrante e senza una soluzione al loro problema.

    Buffy e Dawn camminavano lentamente lungo le corsie del supermercato alla ricerca di una confezione di farro da preparare in insalata.
    Era pomeriggio e, mentre Willow lavorava, Buffy aveva deciso di portare la sorella minore fuori, visto l’irrequietezza con la quale si era svegliata quel giorno.
    Dawn la teneva stretta per il braccio e si guardava attorno circospetta, come se qualcuno stesse per farle del male.
    “Oh, eccolo là Dawnie!” esclamò Buffy sorridendo e agguantando la busta del cereale.
    “Adesso ci servono i pomodorini e la rucola” aggiunse leggendo il foglietto con la lista della spesa.
    Dawn si limitò a guardarla, ma il suo viso non lasciò trasparire nessuna emozione. Impassibile, come un lago immobile.
    Riprendendo il passo, le due si diressero verso il settore degli ortaggi. Quando Buffy raggiunse le confezioni di rucola, qualcosa, o meglio qualcuno, catturò la sua attenzione.
    Un bambino dai capelli castani vestito con una tutina rossa, piangeva in un angolo accucciato come un gattino impaurito.
    Lanciando un’occhiata alla sorella rimasta attaccata al carrello, Buffy gli si avvicinò e gli si accovacciò dinanzi.
    “Ehi piccolo, cosa è successo?”
    Il bambino non alzò gli occhi, troppo spaventato.
    Buffy ragionò sperando di non peggiorare la situazione.
    “Ti sei perso? Sai è facile in un posto grande come questo… pensa che è capitato anche a me da piccola”
    Aspettando un segnale, Buffy si ricordò di avere in tasca una caramella dietetica alla fragola.
    “Ti và una cosa deliziosa con pochissime calorie?” gli chiese porgendogliela. Finalmente il bambino alzò gli occhi colmi di pianto. Erano di un blu incredibile, simile ad un cielo primaverile, capaci di catturare qualsiasi persona con la loro purezza.
    “Il papà mi ha detto di non accettare cibo dagli sconosciuti” disse con la voce tremante, mentre tirava su col naso.
    “Il tuo papà ha ragione – Buffy gli sorrise – però sono certa che non vorrebbe vederti così triste.”
    “Mi ha detto anche di non parlare con gli sconosciuti” continuò asciugandosi le guance paffute con le piccole manine tozze.
    “Ok, facciamo così: se io ti dico il mio nome, non sono più un’estranea, giusto?”
    Lui ci pensò su, poi annuì col capo.
    Buffy gli allungò la mano in segno di saluto.
    “Mi chiamo Elisabeth Summers, e tu?”
    Lui non gliela prese, ma la squadrò attentamente. Dopo aver capito che si poteva fidare, si presentò.
    “Ben Shelby. Ho cinque anni e mi sono perso” disse tutto d’un fiato, facendo sorridere apertamente Buffy.
    “Ok, vediamo quello che si può fare” e così dicendo Ben si alzò e la seguì fino al punto di ascolto dove la voce della commessa avvertì che un bambino si era perso.
    Dopo neppure due minuti una donna bellissima arrivò trafelata e sconvolta.
    “Oddio Ben tesoro!! Ero così preoccupata! Stai bene? Hai rotto niente? Hai avuto tanta paura, vero?? Oddio piccolo, mi dispiace così tanto…” Cordelia lo abbracciò quasi a soffocarlo, baciandolo da tutte le parti. Ben sembrava abituato perchè non si lamentò, ma si limitò ad accusare l’assalto.
    “Piacere, sono Elisabeth Summers, ho trovato io Ben” Buffy si presentò al termine delle effusioni.
    “Cordelia O’Neil, piacerissimo!Io non so come ringraziarla, lei è un angelo! Venga, le offro un caffé” le disse stringendole la mano con enfasi finalmente più rilassata.
    “Non si deve disturbare, è stato il minimo che-“ ma venne interrotta da uno sventolare di mano che Cordelia gli mostrò proprio sotto il naso.
    “Lei mi ha salvato dall’avere un infarto, quindi non accetto un no per risposta”
    “Allora, va bene” Buffy scrollò le spalle e si voltò verso Dawn che impassibile, fissava un punto nel vuoto.
    Poi, prendendola per mano, seguì Cordelia che camminava a passo spedito sui suoi tacchi altissimi.

    Ben mangiava un bigné alla crema senza preoccuparsi di sporcare la tuta. Dawn beveva a piccoli sorsi un succo di frutta all’arancia, il suo preferito, e le due donne parlavano davanti alle tazzine ormai vuote di caffé.
    Buffy aveva raccontato del loro arrivo a Sunnydale dopo il peregrinare per tutta la costa occidentale dell’America, di come si fossero trovate bene in quel posto e della fatica per giungere alla fine del mese con un solo stipendio.
    Cordelia si era imbarcata in un monologo sul suo matrimonio, dalla descrizione del proprio vestito a quello delle damigelle, per finire ai difetti di suo marito fino al desiderio di maternità bloccato dal terrore di ingrassare.
    “Beh, direi che la gravidanza di Ben non ti ha segnata minimamente” constatò Buffy indicando il corpo flessuoso e armonioso dell’altra.
    “Oh no, lui non è mio figlio! Ben è il mio nipotino adorato, figlio di mio fratello” le spiegò Cordelia accarezzando la cima della testa del piccolo, poi si bloccò a riflettere e infine la guardò con un’espressione strana.
    “Ti sembrerò poco opportuna, ma tua sorella cos’ha?”
    Buffy pensò che in fondo era una cosa troppo palese da evitare di parlarne e Cordelia, nonostante fosse un po’ eccentrica e schietta in maniera quasi esagerata, le sembrava una brava persona, di cui potersi fidare.
    “Ha perso l’uso della parola da tre anni ormai e non riusciamo a farla comunicare in nessun altro modo. Si estranea spesso e sembra assente. A momenti piange, in altri sorride al vento. Ce ne siamo andati anche per questo motivo dal nostro paese natale”
    “Capisco. Avete provato a farla curare da qualcuno?” nella mente di Cordelia si era accesa una lucina fomentata dal desiderio costante di aiutare suo fratello. Poteva essere un’occasione d’oro quella. E così facendo, aiutava parecchie persone in una botta sola.
    “Sì, abbiamo girato parecchi dottori e usato svariati psicofarmaci, ma fin’ora ci sono state utili solo le pillole per le convulsioni. Fra l’altro abbiamo consultato anche la psichiatra Unsure, consigliataci dal preside del college, ma ci aveva dato l’appuntamento per l’anno nuovo e non abbiamo tutto questo tempo. Dawn rischia l’espulsione – il suo sguardo si fermò sulla sorella e divenne triste, profondamente doloroso – era una ragazza così piena di vita, sorridente… amava la musica, il mare, il sole. E adesso…” Buffy si riprese dalla confessione e unì le mani in grembo, poi sorrise per allentare la tensione e distogliere in un qualche modo, lo sguardo di Cordelia che, stranamente, non la stava compatendo. E questo la rallegrò profondamente. Non aveva bisogno di falsi sentimentalismi.
    L’altra donna invece, percepiva il tutto come un piano prestabilito dal destino: Buffy cercava uno psichiatra in gamba, William aveva bisogno di un caso che lo avesse potuto scuotere dal torpore del proprio dolore.
    “Ho quello che ti serve e sarebbe un ottimo modo per ripagarti dell’aiuto che hai dato a Ben e a me oggi” iniziò allungando una mano a prendere quelle di Buffy dolcemente.
    “Non mi devi niente” Buffy scrollò la testa, sincera.
    “Lo so, ma lascia che ti aiuti. Ascolta: mio fratello, William, si dà il caso che sia un bravo psichiatra, magari un po’ arrugginito ultimamente, ma ci sa fare con le persone e potrebbe davvero aiutare Dawn. inoltre, potresti pagare le sedute a tuo piacimento, senza obbligo di sborsare i soldi quando non li hai. Siamo amiche adesso, giusto?”
    Buffy raggelò. Portare sua sorella a farsi curare da un uomo era assolutamente fuori discussione. Per tre anni si era accertata che fosse seguita solo da presenza femminili, proteggendola dal sesso maschile e dalle sue brame… o meglio, proteggendo in primis se stessa e i suoi ricordi tanto micidiali.
    Ma non poteva rifiutare di punto in bianco, avrebbe potuto destare sospetti. Così si limitò a dirle che ci avrebbe pensato e accettò il suo biglietto da visita.
    Dopo aver dato un bacino a Ben e una stretta di mano a Cordelia, Buffy e Dawn tornarono a casa con le buste della spesa. Le cose stavano degenerando troppo velocemente.
    4° CAPITOLO

    3 Dicembre

    Era una bellissima mattinata d’inverno. Il sole raggiungeva la terra con raggi deboli eppure nitidi, facendo rilucere le pozzanghere sull’asfalto. L’aria era pungente e pulita, tutto appariva chiaro e definito come un quadro dipinto da mani sapienti. Il meteo aveva pronosticato abbondanti nevicate per la serata, ma il cielo era troppo terso per lasciare intendere una simile previsione.
    Willow, Dawn e Buffy raggiunsero lo studio medico del Dottor Shelby un quarto d’ora prima dell’appuntamento stabilito. Dopo aver tolto giacche a vento e sciarpe, si sedettero una accanto all’altra.
    “Ti odio” sbuffò Buffy aprendo una rivista con un gesto improvviso.
    “Conosci le regole: sempre unite. Quando qualcuna di noi ha bisogno, siamo insieme” proferì Willow con tono solenne.
    “Sai quanto mi costi”
    “Sì, ma Dawn ha bisogno che ci sia anche tu. Ti si è legata in maniera impressionante. Mi sono accorta che spesso dormite assieme, sai?”
    Buffy chinò lo sguardo e poi lo spostò verso la sorella minore: Dawn si fissava le dita e batteva un piede a terra. Era agitata, come sempre quando si trovava di fronte all’ennesimo interrogatorio.
    Con dieci minuti di ritardo finalmente la porta dello studio si aprì e ne uscì una donna esile dai lunghi capelli neri e con occhi di un viola mai visto.
    Un uomo castano di media statura, l’accompagnò all’uscita e la salutò stringendole la mano.
    “Ci rivediamo fra un mese Drusilla, sii puntuale!” le disse infine.
    Poi si girò verso le tre ragazze e i suoi occhi lacerarono tutti i pensieri di Buffy.
    Erano di una spaziosità tale da fare invidia al cielo più cristallino, apparivano di un blu tanto scuro quanto brillante e infondevano una certa sicurezza celata dietro ad una cortina di antico dolore.
    Gli zigomi pronunciati risaltavano nonostante la barba incolta e una lunga ruga orizzontale segnava la fronte spaziosa. Era vestito in maniera sobria, con un paio di pantaloni in stoffa nera e una maglia a girocollo dello stesso colore.
    “Le signorine Summers vero?” domandò prendendo come punto di riferimento la figura di Willow che, solerte, si alzò e gli strinse la mano.
    “Sì, io sono Willow e loro sono Elisabeth e Dawn”
    “Venite, seguitemi nel mio studio” e così dicendo si incamminò seguito da tutte e tre.

    La stanza era semplice e molto luminosa; niente a che vedere con lo sfarzo della dottoressa Unsure. La scrivania era grande e di legno buono, il piano era sgombro e ospitava solo un blocco, una stilografica, un orologio da tavolo e un porta foto che non rivelava il soggetto ritratto.
    Un finestrone adornato da lisce tendine bianche stava di lato e immetteva in un balcone abbastanza piccolo; dall’altra parte un mobile con ante a vetro ospitava vari tomi di psichiatria, qualche campione gratuito di farmaci e vari catalogatori segnati per anno.
    Le sedie per i pazienti erano comode ma non troppo e non c’era nessun lettino.
    L’aria era pulita e profumava di muschio e tabacco, una specie di dopobarba.
    Le tre ragazze si sedettero e Willow spiegò la situazione, dal vario peregrinare di medico in medico, all’ultimatum imposto dal preside del college al fine di non fare espellere Dawn.
    William prese nota di tutto, sottolineando a tratti parole apparentemente insignificanti, come mani e ombra, ascoltando con attenzione e rivolgendo loro pochissimi sguardi.
    Al termine della presentazione, il silenzio venne interrotto solo dallo scorrere rapido della penna sulla carta.
    “So che vi ha dato Cordelia il mio nome, vero?” irruppe all’improvviso alzando finalmente gli occhi dal blocco.
    “Sì, ha conosciuto mia sorella Buffy al supermercato” spiegò Willow intuendo quanta fatica facesse la sorella nello stare in quella stanza alla presenza di un uomo e tentando di evitare una sua entrata in scena.
    “Buffy?” domandò confuso William chiedendo spiegazioni per quel nomignolo tanto strano.
    “E’ un soprannome che le diamo da quando aveva cinque anni. Amava giocare coi coniglietti in giardino”
    “Allora è lei che ha recuperato Ben dalle grinfie dei pomodori carnivori – quegli occhi di mare si posarono in quelli verdi di Buffy – sapete, i bambini hanno una fervida immaginazione”
    La ragazza sentì il tremore salirle per le gambe fino a raggiungerle lo stomaco. Per fortuna quella mattina aveva bevuto solo una tazzina di caffé, altrimenti avrebbe vomitato tutto sul pavimento.
    Si limitò ad annuire, nascondendo al meglio il suo terrore. Alcuni flash, terribili e dolorosi, le passarono davanti in maniera quasi beffarda, ma fortunatamente lo psichiatra non la tormentò più con domande, aggiungendo solo un grazie colmo di sincerità. Poi continuò nel suo lavoro.
    “Vi dirò quello che penso il più chiaramente possibile: il caso di Dawn è complicato e molto, molto difficile. Non vi nascondo che mi mette un certo timore iniziare con lei questo cammino, anche perché lei sarà la prima a soffrirne, e noi con lei. Non vi posso garantire l’esito positivo della terapia, ne posso dirvi quanto ci vorrà, ma sappiate che farò tutto quello che è in mio potere. Sperando che Dawn collabori, vero che sarai dalla mia parte piccola? – la ragazzina non emise suono ne si mosse minimamente, ma questo non lo scoraggiò – voglio solo che rispettiate ligiamente gli orari e che vi prepariate ad alcuni disagi, in questo periodo. Dawn potrebbe uscire da qui in lacrime, oppure sconvolta, o addirittura urlando senza riuscire ad emettere altro suono per molto ancora. Ma abbiate fede in me”
    Willow annuì e Buffy rimase inebetita a guardarlo.
    Fidarsi di lui?!?
    E chi era per chiederle una cosa del genere quando non si era potuta fidare nemmeno del suo stesso padre? Quando il sangue del suo sangue l’aveva usata come la più schifosa delle puttane?
    Nessuna fiducia, nessun beneficio: era un uomo e come tale, doveva essere guardato con circospezione. Cautela, protezione… questo cantava la sua testa.
    Nonostante ciò, anche lei annuì. Tutto faceva parte di una recita per non mostrare la vera se stessa a nessuno.
    Per il pagamento William ribadì quello che Cordelia aveva detto a Buffy il pomeriggio del loro incontro: con comodo e senza scadenze, sapendo che la psicoterapia sarebbe stata lunga. Inoltre gli assicurò che si sarebbe interessato se fossero esistite convenzioni con il comune per le famiglie a basso reddito.
    Dopo un’ora le tre Summers erano in auto di ritorno verso casa.

    Quella stessa notte Buffy si svegliò in un bagno di sudore: il cuore a mille, le palpebre sbarrate, i capelli madidi, le guance paonazze. Portandosi una mano al petto e cercando di regolarizzare il respiro, si alzò dal letto e arrivò in cucina dove bevve un bicchiere d’acqua.
    Poi si accucciò sul divano e lo sguardo si posò sulla finestra. Il meteo aveva avuto ragione: stava nevicando, i fiocchi corposi cadevano lenti e silenziosi, avvolgendo tutto il paesaggio con il loro manto candido.
    I rumori giungevano ovattati e l’atmosfera era magica. Eppure, il malessere non tardava a diminuire.
    Un altro incubo: gli occhi sanguigni di suo padre sopra il volto, lo sbuffo del suo alito puzzolente nelle narici, la pressione del suo ventre gonfio sul suo seno… e quell’odore di violenza, di sporcizia, di morte interiore…
    Una volta l’aveva violentata proprio mentre nevicava e sua madre era andata a riprendere Dawn a scuola. Willow studiava in camera sua e lei pochi metri distante veniva perforata da quel membro violento e bramoso di piacere perverso.
    Buffy strinse la testa fra le mani e si distese, evitando di piangere. A niente sarebbe servito prosciugarsi e lamentarsi per un passato che appariva più presente che mai.
    Prese a cantare una canzone di quando era piccola, che parlava di un mostro nero ucciso da un principe… chissà se avrebbe mai trovato la magia adatta ad uccidere l’orco. Chissà.
    Lentamente il sonno la raggiunse e Willow la trovò al mattino sprofondata nei cuscini del divano.
    Intuendo la causa dei suoi viaggi notturni per casa, le accarezzò la testa dolcemente e le lasciò un foglietto con un breve saluto. Poi preparò la colazione per se e per Dawn e insieme le due si avviarono verso il college, dove il preside sarebbe stato informato dell’inizio della cura.
    5° CAPITOLO

    5 Dicembre

    William amava il caffé caldo al mattino, ma ancora di più amava berlo in compagnia. Quindi spesso svegliava Ben, gli preparava latte e biscotti e poi si precipitava a casa della sorella dove trovava sempre una tazzina fumante ad aspettarlo.
    Quel giorno era iniziato abbastanza bene: nessun mal di testa, voglia di aria aperta, bisogno di camminare e desiderio di mettersi un pochino in ordine.
    Si era rasato la barba, aveva ingellato i riccioli castani e si era messo un paio di jeans e una maglietta nera sotto la giacca a vento rossa.
    “Mi hai dato proprio una bella gatta da pelare, eh Cordy?” le aveva risposto alla domanda di come gli sembrasse il caso Summers.
    “E’ la giusta spinta che ti serve per reagire, Will. E poi quelle ragazze hanno davvero bisogno di una mano, non credo se la siano passata bene” la donna spalmò marmellata su una fetta biscottata e la addentò con un’espressione di pura estasi in volto.
    William si incupì e tornò con la mente al primo incontro con le Summers: lo avevano colpito parecchio, erano molto affiatate. Le univa di certo un legame di sangue ma non solo, v’era qualcosa di più profondo, come un segreto da difendere, una storia che apparteneva solo a loro.
    “Dawn è distante da tutto e da tutti, anche se non completamente. Deve aver subito un grave choc. Eppure c’è qualcosa che non mi quadra, non so. È più una sensazione – fece spallucce – il tempo farà chiarezza”
    Cordelia finì il suo momento di dolcezza salivare e si pulì le mani, poi con fare casuale riprese a parlare.
    “Io ho parlato con Buffy e mi sembra una ragazza sensibile. Poverine, tutti questi anni in giro per città sconosciute, da sole. Noi almeno non ci siamo mai mossi da qui, conosciamo i nostri vicini di casa da quando siamo nati, partecipiamo agli anniversari di matrimonio della maggior parte delle coppie anziane e assistiamo alla nascita di nuove persone. Abbiamo origini, non ci sentiamo stranieri. Siamo fortunati, William”
    “Sì, o almeno in parte” le rispose senza guardarla.
    “Ehi, su col morale esperto della mente umana!” lei cercò di scherzare. Era così cambiato suo fratello dopo la morte di Darla: prima era conosciuto per il suo sarcasmo pungente, la sua voglia di vivere un po’ follemente, il desiderio di passare del tempo con le persone, il suo sano ottimismo, la caparbietà del lottare sempre e comunque.
    Quella morte impossibile da evitare, lo aveva bloccato. Gli aveva fatto toccare un fallimento umano, un fallimento appartenente alla vita, del quale invece si era appropriato, colpevolizzandosi.
    Giocherellando con il tovagliolo di carta, sorrise amaramente.
    “Già… esperto. Spero di esserne all’altezza, in fondo ho pochi pazienti perché, diciamocelo: sono uno psichiatra di terza categoria. Ho perso quello che ero” William sospirò e si rilasciò sulla sedia, poi prese il pacchetto di sigarette dalla tasca e ne sfilò una. Ma Cordelia fu più rapida e gliela tolse appena in tempo dalle labbra.
    “Non hai perso un bel niente, mister maleducazione! Quindi in piedi e accompagna tuo figlio a scuola, e vedi di trovarti qualcosa da pranzo perché io ed Angel andiamo a mangiare fuori”
    William si alzò borbottando, poi raggiunse Ben che stava guardando in sala i cartoni animati.
    Dopo averlo preso per mano, gli mise la giacca a vento e lo zainetto in spalla. Prima di uscire si voltò un’ultima volta verso la sorella che stava portando le tazzine della colazione in cucina.
    “Non l’avrei accesa in casa, comunque, in fondo sono sempre un gentiluomo”
    Chissà, forse poteva tornare ad essere quello che era.

    L’appuntamento era fissato per le 17:00. William fece una corsa al bar dell’angolo e si fece preparare un caffé da portar via.
    Quando rientrò, chiamò Cordelia chiedendole di tenere Ben almeno fino all’ora di cena.
    Buffy e Dawn arrivarono puntuali, avvolte in cappotti e sciarpe. La seduta cominciò subito e durò circa quarantacinque minuti. Quando la ragazzina uscì, aveva la stessa espressione imbambolata iniziale.
    “Come è andata?” per Buffy il desiderio di sapere come stesse sua sorella fu più forte del resto.
    “Bene, ha reagito di fronte ai colori che le ho proposto. Deve essere molto intelligente, la nostra piccola Dawn” William le rispose con aria soddisfatta. La prima volta era trascorsa tranquillamente.
    “Oh, lo era. Amava soprattutto la poesia e i vecchi romanzi del settecento. Era sempre così solare…”ammise con rimpianto, commuovendosi.
    “Siete molto legate – constatò William, poi mettendosi le mani in tasca, le propose – domani mattina è libera? Potrebbe darmi maggiori informazioni su Dawn”
    Buffy tremò. La paura la investì come un camion in corsa libera.
    “No, io… io, no, non posso…” balbettò e in fretta raggiunse l’appendiabiti, poi con movimenti frenetici rivestì sua sorella e se stessa.
    “Mi dispiace, dobbiamo proprio andare” aggiunse col fiato corto e rapidissima, uscì dalla sala d’attesa dello studio medico lasciando William sorpreso e dubbioso.
    Cosa le era successo? Perché si era spaventata in quel modo? Che soffrisse di crisi di panico?
    Probabilmente, tutto era legato. Un dolore profondo segnava le due sorelle Summers e lui le avrebbe aiutate.

    Dopo aver rimesso a posto la cucina, Buffy aspettò che Willow tornasse dal lavoro. Era venerdì e aveva l’orario lungo perché sostituiva anche il turno di una donna che era in maternità.
    Verso le dieci la porta si aprì e Willow rientrò sorridente ed eccitata. Vedendo la sorella seduta sul divano, le andò incontro abbracciandola.
    “Com’è andata la seduta?” le chiese in fretta, evidentemente con la mente altrove.
    “Bene, anche se-“ ma Willow non riusciva a tenerselo dentro.
    “Ho conosciuto una persona, Buffy. Ed è così speciale, così perfetta… non avrei mai creduto, ma è come se mi stesse aspettando – le prese le mani fra le sue – usciamo insieme domani sera, non è bellissimo?”
    i suoi occhi erano così colmi di gioia, di speranza, di vita, che Buffy lasciò i suoi problemi lontani. Non voleva rovinarle la serata. Infondo il dolore era suo e nessuno avrebbe potuto farci niente.
    “Sì, è bellissimo. Me la farai conoscere prima o poi, vero?”
    “Beh sì, ovviamente se nascerà qualcosa fra di noi, sì… ma vedremo. Tutto a suo tempo. Ora vado a letto, sono distrutta.” E si alzò, stiracchiandosi e rilasciando la carica emotiva che si era portata appresso.
    “Notte Will, dormi bene”
    “Anche tu Buffy”
    Ma non sarebbe mai stata una buona notte. Perché i fantasmi escono sempre col buio, e divengono talmente minacciosi da farti credere che la luce non è mai esistita e mai esisterà per te. Che sarai sempre avvolta nella paura, nel terrore che prima o poi essi ti raggiungeranno e ti faranno ancora del male.
    Lasciando scivolare poche lacrime, Buffy si infilò il pigiama e le ritornò alla mente il viso dello psichiatra. Chissà cosa aveva pensato di lei. Magari sarebbe stata etichettata come l’ennesima matta che è all’oscuro di esserlo, o la fobica che invece lo sa ma non vuole curarsi.
    _ Dio Buffy, era un’innocente richiesta di collaborazione, non tutti sono serpi come tuo padre _ si disse, ma nessuna argomentazione l’avrebbe mai curata dalle cicatrici che ancora le segnavano l’anima.
    Così, senza opporre resistenza, lasciò uscire i fantasmi dal buio e si addormentò stringendosi il corpo con le braccia.

    Ben si svegliò a notte fonda, piangendo e cercando il suo papà. William, inciampando sul tappeto, frastornato dal sonno e con un brutto mal di testa, raggiunse la cameretta del figlio dove lo trovò raggomitolato sul letto.
    “Sono qui moscerino – lo accarezzò stringendolo forte a se – brutti sogni o male al pancino?”
    “C’era un cavallo enorme coi denti blu che mi inseguiva e voleva mordermi” pianse il piccolo stringendosi maggiormente al corpo forte del padre.
    “Un cavallo enorme dici, eh? – lui annuì – bene, ho proprio quello che ci serve. Vieni con me” e tenendolo in braccio, andò in cucina, aprì il frigo e tirò fuori una carota.
    “Vedi questa Ben? – gli chiese porgendogliela affinché capisse bene di cosa si trattava – questa terrà buono il cavallo, perché lui ama le carote e non appena ne sentirà l’odore, se la mangerà tutta e ti lascerà stare.”
    Il bambino annuì fiducioso.
    “A me non piacciono le carote” ammise poi.
    “Beh, nemmeno a me” gli rispose William riportandolo nella cameretta.
    “Zia Cordy vuole che le mangi sempre, dice che mi fanno bene agli occhi”
    William gli prese il viso a coppa e lo guardò in faccia attentamente.
    Poi gli sorrise.
    “Ed ha ragione, hai degli occhi bellissimi. Sono ancora più blu dei denti di quel cavallo rompiscatole!”
    Dopo aver posizionato il tubero magico, William attese che Ben riprendesse sonno e si diresse nel suo studio. Accese la lampada e tirò fuori dalla libreria alcuni vecchi libri di quando frequentava l’Università di medicina.
    Avvolgendosi in un pail colorato, cercò le pagine interessate e incominciò a leggerle.
    Parlavano tutte di < mutismo da choc > e < crisi di panico da choc >.
    Le luci dorate dell’alba lo trovarono ancora sveglio e assorto nella sua ricerca.
    Tbc...
     
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    6° CAPITOLO

    25 dicembre, Santo Natale

    C’era odore di biscotti e caramello nell’aria. Sunnydale era agghindata a festa, colma di luci colorate e musiche natalizie. I bambini correvano lungo le strade di quel giorno soleggiato. Dalla notte di inizio dicembre non aveva più nevicato e le temperature si erano stazionate sulla media stagionale.
    I negozi erano tutti chiusi e la gente si era riversata fuori casa, scambiandosi auguri coi vicini e parenti, donando pacchetti colorati e abbracci calorosi.
    Le sorelle Summers, vestite elegantemente con lunghi cappotti di lana pettinata color panna, camminavano tenendosi a braccetto, dirette verso la Chiesa principale.
    Buffy e Willow sorridevano raccontandosi simpatici aneddoti delle feste passate altrove e Dawn le guardava impassibile.
    Willow raccontò anche di un suo appuntamento con la misteriosa anima gemella avvenuto poche sere prima, e avvisò la sorella che per la fine dell’anno avrebbe conosciuto la persona in questione.
    Arrivate in tempo per la funzione, presero posizione nella penultima fila di panche e notarono poco dopo alcune persone conosciute.
    Molto più avanti di loro, nell’altra ala, sedevano il dottor Shelby, suo figlio, Cordelia e un altro uomo che le stava molto vicino. Certamente doveva trattarsi di suo marito.
    “Secondo te sta facendo un buon lavoro lo psichiatra? Insomma, è così giovane…” chiese Willow a Buffy, continuando a fissare l’argomento della sua discussione.
    “Non lo so. Se non altro non è peggiorata” le rispose l’altra distrattamente.
    “Non ti ha mai detto niente alla fine delle sedute?”
    “No, cioè sì – la sorella la stava guardando con la fronte corrugata – a dire il vero, aspetto sempre Dawn fuori della sala d’attesa” ammise infine, sentendosi in colpa per non averglielo detto prima.
    “Lo stai evitando?!? - Buffy annuì – e perché mai??” Willow alzò un po’ la voce, ma subito dopo si riprese.
    “Non sto bene quando lo vedo” sussurrò l’altra abbassando gli occhi e stringendosi le dita delle mani fra di loro.
    “Perché è un uomo?”
    “Anche… cercava di parlarmi, voleva saperne di più su Dawn. Io… io non sono ancora pronta” una lacrima le colò sopra la guancia colorata di cipria rosa e cadde in silenzio sopra il maglione bianco.
    Willow stava per ribattere, quando il prete fece il suo ingresso in Chiesa e la messa cominciò. Nello stesso istante Dawn, che aveva assistito alla loro discussione senza manifestare alcunché, prese la mano di Buffy con la sua, stringendogliela.
    Era il primo segnale verso il mondo esterno da tre anni.

    Le campane suonarono quando la navata si sgombrò e il rito religioso finì. Willow e Buffy uscirono sorridenti per il lieve miglioramento di Dawn, che stava in mezzo a loro , sostenuta dalle loro braccia amorevoli.
    Stavano scendendo la piccola scalinata, quando un tremore attraversò il corpo di Dawn, all’improvviso, cogliendole di sorpresa.
    La ragazza iniziò ad avere le convulsioni: gli occhi le si rovesciarono all’indietro, i muscoli si tesero, il corpo ballò come sotto scariche elettriche.
    “Oddio, Dawn!!” esclamò Buffy, seguita da Willow. Le tre caddero a terra unite, cercando di tenerle la testa in alto per non farla soffocare con la sua stessa lingua.
    “Le pillole Buffy!”
    “Non le ho portate! Non credevo! – pianse – Dio mio, perché le sta succedendo? Perché?” in quel momento, Buffy si accorse di un particolare importantissimo: poco lontano da loro, in mezzo alla gente che guardava sconvolta, v’era un uomo panciuto, con i baffi e gli occhietti piccoli, un po’ stempiato e con un copri abito color nocciola. Assomigliava tantissimo ad Hank, il loro padre. Forse era stata quella la causa… che Dawn avesse ricevuto le stesse sue violenze?
    Fu un pensiero che la sconvolse talmente tanto da non avvertire una quarta presenza fra di loro.
    Se ne accorse solo quando la sua voce la chiamò.
    “Dove tiene le sue pillole?” Buffy si voltò e si ritrovò accanto a William, inginocchiato anche lui.
    Cercando di capire la sua richiesta, si riscosse dalle ipotesi appena congetturate.
    “In camera, dentro il cassetto del comò”
    “Bene, andiamo a prenderle – poi si rivolse a Willow e le indicò Angel che stava lì vicino, in piedi – lei si faccia aiutare da mio cognato ad alzarla ed evitate che si faccia male sbattendosi sul terreno. Portatela in sagrestia, don Eusebio la farà distendere sopra il morbido” tutti annuirono tranne Buffy che rimase sconcertata.
    Ma quando lo vide accanto ad un auto nera e vecchia che l’aspettava, il presentimento divenne realtà: doveva andare con lui.
    Da soli. Per almeno quindici minuti.
    Era terribile, ma assolutamente indispensabile.
    Facendo un bel respiro, lo raggiunse e insieme partirono.

    Per tutto il tragitto, sia andata che ritorno, entrambi stettero in silenzio e Buffy ringraziò Dio per questo.
    Quando arrivarono in sagrestia, somministrarono le compresse a Dawn e attesero che migliorasse. Fortunatamente, dopo un po’, le sue guance ripresero colore e il respiro rallentò fino a normalizzarsi.
    Una telefonata fece allontanare Angel che ritornò con una proposta.
    “Era Cordelia – disse rivolgendosi a tutti i presenti – vi ha appena invitato a pranzo con noi. Ha detto che non si può passare il giorno di Natale da soli e che non rifiuterà un no per risposta”
    Willow guardò Buffy, che tutto voleva tranne restare ancora del tempo con quello psichiatra che tentava di leggerle l’anima e carpirle il segreto del suo dolore.
    “Sarebbe bellissimo, accettiamo!” esordì invece la rossa con un entusiasmo genuino.
    William annuì contento e la aiutò a sollevare Dawn e a tenerla eretta.
    Poi tutti si diressero a casa O’Neil, mentre Buffy imprecava sottovoce.

    Il pranzo passò in fretta e fu spartito in serenità. Anche Buffy riuscì a distrarsi, catturata da Ben che le si mise in grembo dagli antipasti fino al dolce, raccontandole una storia più stramba dell’altra. Quel bambino aveva una fantasia esuberante e si rimaneva incantati ad ascoltarlo. Persino Dawn sembrò dedicargli attenzione. Il dottore per fortuna, chiacchierò quasi sempre con il cognato, un uomo dalle spalle larghe, i capelli pettinati all’insù e occhi neri neri ma di una dolcezza infinita. Ogni tanto si rimbeccavano, prendendosi in giro, ma si leggeva chiaramente quanto affetto li legasse.
    “Sapete, ho conosciuto Angel proprio grazie a mio fratello, erano nemici mortali un tempo. Passata l’età dei brufoli e dell’alitosi, hanno trovato parecchie cose in comune, ad esempio me” aveva spiegato Cordelia mentre li guardava con affetto puro.
    Willow raccontò del suo lavoro in biblioteca, di quanto le piacesse leggersi i libri nell’attesa di clienti, e di come si destreggiasse nell’utilizzo del computer. Aveva un’aria particolare: era sempre stata forte, coraggiosa e decisa nelle sue azioni, ma adesso c’era una scintilla in più che le colorava gli occhi. Una dolcezza che poteva venire solo dall’amore che stava provando in quel periodo.
    Quando fu servito il caffé, Ben si addormentò fra le braccia di Buffy, pochi minuti prima di interrompere la storia delle cavallette rosa.
    William si alzò e lo prese dalle sue braccia, sfiorandole il corpo.
    E di nuovo quello sguardo indagatore, che poteva leggere anche dietro pareti d’acciaio.
    Il cuore le batté più forte dall’agitazione, ma non distolse gli occhi dai suoi. Se si fosse accorto della sua debolezza, avrebbe perso tutto quel poco che tentava di difendere con le unghie e coi denti: pudore, riservatezza e… infinito dolore.
    “Lo porto a letto” disse quando ormai Ben era sul suo petto e con un sorriso, scomparve al piano superiore.
    Quando prima di sera rincasarono, le tre sorelle erano serene e abbastanza stanche. Dopo un bicchiere di latte, una doccia lampo e il bacio della buonanotte, si addormentarono piacevolmente alleggerite, col ricordo di un Natale in compagnia dopo tanto tempo di fughe e pianti.
    7° CAPITOLO

    31 dicembre

    Quella sera il vento fischiava furibondo e scuoteva gli alberi adornati per le feste, facendoli tintinnare come campanellini . Il cielo scuro a tratti si liberava dalle nubi e rivelava pungenti stelle dorate e una falce di luna eterea, illuminando il paesaggio.
    William chiuse lo studio molto tardi e si avventurò verso casa avvolto nella giacca a vento e nella sciarpa d’angora regalatole da un amico l’anno prima. Aveva rifiutato vari inviti per quella sera: Xander, suo compagno di scuola al college e amico di scorribande, gli telefonava spesso e lo aspettava sempre per una serata in allegria, ma lui rifiutava con la scusa di Ben.
    Anche Drusilla Bergman, una ex - paziente molto ricca con la quale era rimasto in contatto, affettuosa, sensibile e perennemente esaurita, lo aveva chiamato dicendogli che organizzava un party in riva all’oceano.
    Ma niente, sempre la stessa scusa: < ho un figlio, non voglio lasciarlo solo > ed in parte era vero.
    In parte.
    Il fatto era che William non voleva divertirsi. Si sentiva completamente, totalmente vedovo. L’idea di innamorarsi di nuovo o rifarsi una famiglia era assurda. Neppure pensabile.
    Così si rifugiava a casa di sua sorella, abituata ad invitare poche persone conosciute, la notte di capodanno. E ballava, giocava, beveva e mangiava. Rideva pure. Ma alla fine, si addormentava prima della mezzanotte sulla camera degli ospiti abbracciato a Ben, sognando di poter cambiare il passato.
    Il calore che lo abbracciò quando la porta degli O’Neil si aprì, gli rinfrancò l’anima. Dopo aver salutato Cordelia, rubato del cibo che serviva per il cenone dal frigo ed essere andato in bagno, si era diretto da Ben e Angel intenti a controllare i fuochi d’artificio da far esplodere alla mezzanotte.
    “Farai diventare mio figlio un piromane” scherzò gettandosi sulla poltrona.
    “Macchè, Ben farà il banchiere da grande, vero?” controbatté Angel guardando il bambino che annuì velocemente.
    “Sì, come lo zio Angy!” esclamò soddisfatto mentre l’altro gongolava.
    “Cosa? – William si drizzò e sgranò gli occhi – fare il banchiere è sì redditizio, ma è per tipi lenti, noiosi e con il sedere quadrato!”
    “Ehi! Non ho il didietro quadrato – si sporse in avanti, verso la cucina – vero amore??” Cordelia dall’altro capo gli rispose che non aveva capito niente e che dovevano smetterla di litigare come bambini capricciosi.
    I due si guardarono e scoppiarono a ridere all’unisono.
    Dopo poco le prime persone arrivarono, assieme ad una sorpresa organizzata da Cordelia per William. Una sua cara amica d’infanzia, trasferitosi anni prima a Los Angeles per lavoro, era arrivata in città da pochi giorni e l’aveva invitata con un duplice scopo: non lasciarla da sola e magari tentare di farla conoscere al fratello.
    Così si presentò Fred, una ragazza longilinea dagli occhi di cerbiatto, labbra morbide e una dolcezza che le traspariva da ogni fibra di pelle.
    William ne rimase affascinato e le si avvicinò con lo stesso indugio che si ha verso le cose preziose e bellissime.

    Il campanello squillò e Willow saltò sulla sedia. Passandosi le mani sudate sui jeans, cercò di fare profondi respiri.
    “Oddio, peggio di un esame universitario!” sbottò, aggiustandosi i capelli in fretta.
    “Come sto?” chiese poi alla sorella che la guardava piuttosto divertita.
    “Che ne dici Dawnie, il principe azzurro scapperà in sella al suo cavallo o la porterà al castello dove vivranno felici e contenti?”Buffy si rivolse alla sorellina rilassata sul divano che rimase immobile alla sua domanda ironica.
    Ormai abituata ai suoi silenzi, tornò a guardare Willow e le si avvicinò.
    “Sei perfetta – le disse mettendole a posto il collo del maglione verde – e se non gli aprirai lui non lo saprà mai”
    Willow tornò giù dalla sua nuvoletta di eccitazione.
    “Hai ragione. Corro” e come una furia si diresse al portone.
    Per Buffy fu più di una sorpresa: fu una rivelazione in piena regola. Si aspettava un ragazzo non troppo alto, dai capelli color miele e gli occhi intelligenti, con del sano umorismo e tanta sicurezza da donare, invece si ritrovò davanti una ragazza dalle curve morbide, occhi di un chiaro dolcissimo e capelli biondo scuro lunghi oltre le spalle.
    Le parole morirono sulle labbra, e si ritrovò davvero incapace di emettere suono. Dapprima non comprese e quando la realtà di quello che era avvenuto, del cambiamento attuato da Willow, si fece strada, non poté che essere felice per sua sorella. Almeno lei aveva avuto il coraggio di tornare ad amare e a fidarsi dell’altro.
    “Lei è Tara, studia per diventare una maestra d’asilo” la presentò Willow con un pizzico di timore.
    “Io sono Buffy e devi essere una persona davvero speciale, perché Willow fa altro che parlare di te!”
    “Oh beh, lei tende ad esagerare” la ragazza divenne rossa e chinò gli occhi, abbozzando un timido sorriso. Immediatamente, Willow le prese la mano.
    “Andiamo?” le chiese con una tenerezza che Buffy non le aveva mai visto prima di allora.
    L’altra annuì e dopo aver salutato, se ne andarono verso la loro festa privata di capodanno.
    Buffy tornò in sala e si sedette accanto a Dawn, afferrò il telecomando e accese la tv.
    “Ti và di guardare un film strappalacrime? Ho davvero bisogno di sapere che c’è qualcuno che sta peggio di me…” come al solito la sua domanda rimase nell’aria, senza risposta.


    Si era addormentata. Neppure dieci minuti di un film d’amore e si era addormentata. Aveva pure sognato… ma quel tremore al suo fianco, i singulti e uno schiaffo in faccia le diedero il peggior risveglio del mondo.
    Col cuore in gola Buffy si accorse che Dawn aveva le convulsioni; gettò una rapida occhiata allo schermo ancora acceso della televisione e vide l’immagine di un uomo e una donna che facevano sesso. La spense immediatamente, poi corse a prendere le pillole e con attenzione le fece ingurgitare a Dawn.
    Era così pallida, cos’ distante e sofferente… doveva fare qualcosa, qualcosa in più che aspettare le crisi e curarle. Si doveva annullare per lei, sconfiggere le proprie paure, fidarsi forse di una persona… ed era così complicato e difficile.
    Accarezzandole i lunghi capelli castani, attese che i suoi muscoli si calmassero e le cantò una canzone di quando erano piccole. Ninnandola dolcemente, percepì il suo respiro più lento e con un sospiro di sollievo capì che si era appisolata.
    La fece distendere meglio sul divano e la coprì con una coperta. Guardò l’orologio e vide che mancavano ancora trenta minuti per la mezzanotte. Così, prese una decisione che di certo le avrebbe cambiato la vita. E che forse, avrebbe aiutato la piccola Dawn ad uscire dal suo continuo inferno fatto di mutismo.

    A casa O’Neil c’era la musica e suoni di risa. Ben ancora era sveglio e giocava a tombola con un gruppetto di persone, Cordelia ed Angel si dondolavano a ritmo di un lento e William sedeva accanto a Fred occupato in un’interessante conversazione.
    “Quindi ho scelto la fisica nucleare, mi sembrava più consona alle mie capacità” la ragazza stava raccontando a grandi linee la sua vita intensa fatta di viaggi, studio e sacrifici, sempre pronta a partire e cresciuta in un ambiente lavorativo occupato per lo più dalla presenza maschile nel quale aveva dovuto sgomitare per non rimanerne schiacciata.
    William la guardava incantato e non perdeva una singola parola: era talmente acuta e dolce allo stesso momento, da ricordarle la sua amata Darla.
    “Bene, eccomi qua: questa sono io. Di te cosa mi racconti?”
    “Che amo ascoltare la gente, soprattutto le ragazze belle come te” le aveva risposto creando un silenzio carico di tensione.
    Ma la voce di Cordelia spazzò via qualsiasi pensiero vietato ai minori.
    “Will, ti vogliono al telefono” quasi urlò tanto era il rumore della festa in sottofondo.
    William scusandosi, si avviò verso il cordless che stava in cucina.
    “Pronto?”
    “Dottor Shelby, sono Elisabeth Summers, mi scusi per l’ora” la sua voce era un po’ tentennante ma abbastanza nitida. Nessuna crisi all’orizzonte, grazie alla distanza che il telefono le graziava.
    “Oh Elisabeth – si preoccupò subito, da bravo medico – Dawn sta male? È accaduto qualcosa?”
    “No, cioè sì, ha avuto le convulsioni anche stasera ma adesso riposa sul divano. Io l’ho chiamata perché forse… - prese un profondo respiro - ci sono cose che lei deve sapere della nostra famiglia. Di me. Per aiutare Dawn” Buffy parlò in fretta temendo che se si fosse fermata, non sarebbe riuscita a continuare.
    “Tranquilla Elisabeth, parleremo di tutto quello che lei vorrà parlare. Non le metterò nessuna pressione, so quanto dolore alle volte si possa nascondere dietro occhi tristi come i suoi” cosa stava dicendo? Si ricordava gli occhi di Elisabeth Summers?? E quando mai?
    William si morse la lingua, cercando di comprendere un simile ricordo. Perché era dannatamente vero: rimembrava quelle gocce di prato umide e smarrite, sempre pronte a scappare da lui. L’orlatura delle ciglia lunghe e la doratura accanto all’iride, il disegno leggermente allungato e la luce che brillava, a tratti. Si ricordava gli occhi di una perfetta sconosciuta.
    “La ringrazio dottore, spero solo di non scappare” Buffy sorrise per smorzare l’agitazione che stava aumentando facendole sudare le mani.
    William rifletté un attimo, poi decise di fare una cosa che non aveva mai fatto.
    “Sarebbe più facile per lei se ci incontrassimo qui, a casa di Cordelia davanti ad un tè? – e aggiunse in fretta – come due vecchi amici che si confidano. Io le parlerò di me, lei mi parlerà di se”
    A Buffy lo scambio piacque e si rilassò immediatamente. Era davvero un bravo psichiatra il dottor Shelby, chissà perché aveva così pochi pazienti…
    “Sarebbe davvero più … sostenibile. Ora vada, le sto rovinando la festa di capodanno”
    “Non si preoccupi, non mi stavo divertendo così tanto. Se mi attende un attimo, vado a prendere la mia agenda e le do l’appuntamento”
    “Sì, aspetto qui”
    Dopo pochi minuti Buffy lo sentì ritornare.
    “Senta, le andrebbe di incontrarci prima della fine delle feste? Che ne so, fra tre giorni?”
    “Prima è, meglio è mi creda” ammise temendo di tornare sui propri passi.
    “Bene, allora ci vedremo il 4 gennaio alle 16.00. Qui da Cordelia, ok?”
    “Perfetto. La ringrazio dottore”
    “Sono qui per questo, signorina. A presto e buon anno”
    “Buon anno a lei” e la comunicazione si interruppe.
    William guardò il telefono e lo riappoggiò sopra il carica batterie. Tornò alla festa ma non cercò Fred; una strana malinconia si era impossessata del suo animo e quegli occhi verdi occupavano la sua mente come flash impressi a fuoco nella memoria.
    Si sedette accanto a Ben e lo guardò finire di giocare, poi insieme, abbracciati, attesero la mezzanotte e i fuochi d’artificio. Sarebbe stato un anno diverso, William se lo sentì nitidamente addosso.
    8° CAPITOLO

    4 gennaio

    Non aveva dormito la notte precedente e nemmeno quella prima. Si era preparata in largo anticipo e cercava disperatamente di calmarsi, puntando sia sulla regolarità del respiro che sul pensare ad altro confondendo la mente.
    A Willow e Dawn non aveva detto niente. Sapeva di infrangere le regole. Dopo essere scappate da casa, avevano giurato che il loro segreto sarebbe stato custodito. E forse era proprio per questo che la piccola Dawn ancora non era guarita.
    Mezz’ora prima Buffy uscì di casa: indossava jeans (mai la gonna, mai), un maglione nero accollato e la giacca a vento chiara lunga fino alle ginocchia.
    Niente trucco, ne profumi particolari. Il più semplice, il più insignificante possibile.
    Davanti alla porta della casa O’Neil indugiò per parecchi minuti, scalpitando. Il cuore le batteva come un pazzo, la sudorazione era aumentata impregnandole la canotta di cotone, la testa le pulsava e si sentiva le guance scoppiare dal caldo.
    L’ennesima crisi, la paura che avanzava.. non più in punta di piedi come un tempo, adesso giungeva impetuosa, senza scrupoli.
    Rivide Hank, sentì l’odore del sangue fra le sua gambe, l’olezzo di alcool, la forza di quelle mani viscide sui fianchi… e poi l’immagine cambiò: non era più lei sotto il corpo di sua padre, ma c’era Dawn che urlava disperata.
    Doveva salvarla, doveva permetterle di guarire, di superare quella morte che dentro di lei, non sarebbe mai finita.
    Così suonò. E pregò di non fare una figura da pazza.
    Il dottore le aprì la porta con uno sguardo colmo di pacatezza e un sorriso ne troppo sfrontato, ne troppo melenso.
    Incuteva fiducia. Era quello di cui Buffy aveva bisogno.
    Appariva diverso da quando lavorava: portava un maglione scuro, i capelli mori erano ribelli, indossava jeans sgualciti e ai piedi teneva delle pantofole morbide.
    “Ben arrivata Elisabeth” le stava dando del *tu*. Un segno di confidenza… o forse di considerarla al suo pari.
    “Buonasera” gli rispose entrando e sorpassandolo, poi si tolse la giacca e gliela porse.
    “Ci accomodiamo in sala?”
    Buffy annuì stringendosi le mani fra di loro. Si sedette sul divano e tenne gli occhi bassi.
    Ce la poteva fare. Per Dawn. Ce la poteva fare.
    William rimase in piedi. La vedeva in difficoltà e sperava davvero che tutto andasse per il verso giusto.
    “Del tè? – le offrì – sai da buon inglese, amo quel liquido ambrato molto di più del caffé americano. In genere lo bevo al mattino, non so, acquista un sapore diverso. Comunque mia sorella ne tiene in cucina, quindi puoi scegliere” la sua voce era così educata e contenuta. Non l’avrebbe potuta spaventare neppure volendo. Ma ancora il cuore di Buffy correva troppo forte per non udirlo nella gola.
    “Del tè va benissimo” riuscì a dire con voce strozzata.
    William annuì e scomparì in cucina. Quando tornò, appoggiò le tazze fumanti sopra il tavolino basso, assieme alle zollette di zucchero e spicchi di limone, oltre ad una ciotolina con del latte tiepido.
    La servì, proponendole di assaggiare tè e latte, e Buffy era talmente agitata da acconsentire.
    Ma quando lo assaggiò, non poté trattenere una smorfia di disgusto.
    William rise.
    “Mi… mi spiace, ma non riesco ad unire il sapore del latte col tè. Sono così diversi…” arrossì evidentemente, ma la risata del dottore era talmente contagiosa da provocarle un lieve sorriso.
    “Non ti devi preoccupare, è difficile abituarsi ai cambiamenti. Per tutti – le sue parole avevano sempre un doppio senso – che ne dici di parlare invece che testare la tua resistenza alle mie proposte culinarie?”
    Il sudore aumentò. Buffy prese un tovagliolino di carta e prese a sventolarsi.
    “Stai bene? – si preoccupò William – vuoi che apra la finestra?”
    “Io… sì, forse sì” balbettò alzandosi e lasciando che la mano di lui la conducesse verso l’aria fresca dell’inverno.
    “Abbiamo tempo, Elisabeth. E possiamo anche parlare del tempo, dei miei studi o di Ben. Non c’è fretta, non sono qui per giudicarti” le disse piano, guardandola di lato.
    Buffy fissava la strada che mano a mano si incupiva, mentre il sole scendeva verso il riposo serale.
    Stava facendo una figura grama, eppure lui non sembrava sconvolto ne schifato. Era calmo e rassicurante. Doveva fidarsi, d’altronde quello era il suo lavoro, no?? Ascoltare la gente con problemi.
    E Dio se lei ne aveva, di problemi. Una valanga, un abisso di problemi che la fagocitavano lentamente come le fauci di una bestia primitiva.
    “Ho paura degli uomini. Temo sempre che mi facciano del male” mormorò, con gli occhi persi nel ricordo, fissi verso l’orizzonte.
    “Chi ti ha fatto del male Elisabeth?”
    “Un uomo”
    “Io non sono quell’uomo”
    Buffy si voltò e lo guardò: no, lui non lo era.
    Doveva farlo per Dawn, e forse… forse sì, anche per se stessa.
    Ritornando verso il divano, si sedette di nuovo e attese che anche lui facesse la stessa cosa.
    Poi continuò.
    “Mio padre si chiama Hank, e ha iniziato a violentarmi all’età di 11 anni. La prima volta fu terribile. Pensai che mi avesse tagliato il corpo a metà. La seconda mi ribellai, e lui mi ruppe un dito. La terza capii che dovevo stare zitta e subire – non osò guardarlo in faccia e riprese – ogni volta era doloroso, feroce, umiliante, ma con l’andare del tempo non sentii più niente. Alla fine ripulivo tutto perché nessuno sapesse… la colpa era solo mia. Lui mi diceva che ero una puttana e che lo istigavo, lo tentavo. Mi picchiava e minacciava di dirlo alla mamma. Mi vergognavo così tanto… Willow non si è mai accorta di niente, io sono sempre stata più legata a Dawn. Non so se lui abbia fatto lo stesso con lei, spero di no. Una volta chiamò anche un suo amico a guardare che si masturbò davanti a noi. Mi sentivo lontana, come se mio padre stesse facendo quelle cose ad un’altra, non a me. Io ero in un altro posto, in un prato di fiori o con le amiche a fare shopping. Non ero lì. Me ne accorgevo solo quando sentivo il dolore delle lacerazioni o dei lividi. Solo allora. E non piangevo, perché nessuno mi avrebbe mai liberato. Era colpa mia – finalmente alzò lo sguardo e trovò quello di lui, dolce e triste – questo è il mio segreto, dottore.”
    William evitò di piangerle davanti e si stupì della freddezza con la quale Elisabeth gli aveva raccontato l’inferno che aveva subito.
    “Come avete fatto a scappare?” gli chiese da bravo medico, insabbiando i sentimenti di abbracciarla e andare ad uccidere suo padre.
    “L’ultima volta avevo compiuto da poco sedici anni. Voleva penetrarmi con una bottiglia rotta… io mi ribellai e Willow sentì le mie urla. Gli disse che se si fosse avvicinato a me un’altra volta, l’avrebbe ucciso. Dopo un mese mia madre è morta. Un’aneurisma, la trovammo riversa sul pavimento. Tre giorni dopo il suo funerale siamo scappate”
    “E Dawn? quando ha cominciato a non parlare più?”
    “Circa sei mesi prima della nostra fuga, ma io non saprei collegare niente. Lei era a scuola e quando tornò, la sua bocca non emise più suono.”
    “Ci sono altre cose che potrebbero aiutarmi?” le domandò notando come lei sfuggisse sempre il suo sguardo. Probabilmente lo faceva inconsciamente.
    “Gli ultimi attacchi epilettici li ha avuti dopo aver assistito a qualcosa legato al sesso: al college stavano parlando del genitale maschile, in chiesa c’era un uomo che assomigliava a nostro padre, la notte di capodanno c’era un film alla televisione dove due persone facevano l’amore – il tono si ammorbidì e per la prima volta, la voce le tremò – se le avesse fatto del male io non me lo perdonerei mai” Buffy strinse la stoffa dei jeans con le unghia, lacerandoli.
    William le prese le mani senza pensarci e lei con uno strattone lo scansò.
    “La prego, non mi tocchi” era impaurita, di nuovo.
    “Scusami Elisabeth, volevo solo tranquillizzarti e dirti che tu non hai colpa di niente, nè di quello che ti faceva tuo padre, nè di quello che è accaduto a Dawn. Ciascuno ha un suo percorso, più o meno doloroso, che nessuno di noi può tracciare per l’altro.”
    “Mi sono trovata in mezzo a questo percorso, e non ho mai avuto la forza di andarmene. Sono rimasta lì. Quindi è colpa mia” le lacrime scendevano silenziose, inzuppandole le guance rosse.
    Sembrava un pulcino indifeso, che desiderava solo riposare.
    “Ti hanno obbligata a restarci. La violenza ci ferma, ci blocca. Il dolore lo si può anche scordare, ma l’ira, la rabbia, la ferocia rimangono impresse nell’anima. Da lì non si dimentica niente. Sei stata forte, coraggiosa, hai difeso le tue sorelle e tua madre. Hai continuato a vivere, nonostante tutto” le disse calmo cercandole lo sguardo. Quando lo incontrò, lei diede voce a ciò che non aveva mai detto.
    “Non sa quante volte avrei voluto morire”
    “Ma non l’hai fatto, Elisabeth. Sei viva e sei qui oggi a raccontarmi la tua intimità per aiutare Dawn. E questo può dimostrare solo una cosa: che sai amare, che i soprusi non ti hanno tolto il cuore. Che sei una donna altruista e forte, e che niente ti ucciderà, perché sei già risorta.”
    “Perché allora non riesco a dormire, non riesco neppure a farmi toccare una mano da lei? Perché rivedo i suoi occhi sanguigni, il suo alito puzzolente, il suo pene dentro di me così cattivo e sporco… perché mi tormenta se sono viva, se ho superato tutto??Perchè??” ormai le sue erano grida disperate, che imploravano aiuto.
    William si chinò in avanti, fino a sfiorarla.
    “Se me lo permetterai, ti starò vicino e capiremo insieme. Troveremo un’uscita, vuoi?”
    “Non voglio medicine… non tollererei l’apatia che causano”
    “Non te ne darò se non vorrai, ma ci limiteremo ad incontrarci qui, una volta a settimana, magari il sabato pomeriggio quando Cordelia ed Angel escono a passeggio con Ben. Diciamo che saranno incontri informali, va bene?”
    “E per pagarla? Io non ho lavoro e non saprei…” si sentiva così inetta e in imbarazzo. Doveva avergli fatto davvero pena per offrirsi come psichiatra personale.
    “Avrei un’idea, Elisabeth – lei lo guardò circospetta – ho bisogno di una baby sitter per Ben, il pomeriggio. Potresti pagarmi così sia la tua parte che quella di Dawn”
    “Cioè lei dice che seguirà me e mia sorella senza chiederci un soldo?” Buffy sgranò gli occhi ancora umidi di pianto. Non ci credeva. Sarebbe stato un ottimo compromesso, così neppure Willow si sarebbe insospettita.
    “Esattamente – la fissò con intensità e un pizzico di sfida – te la senti?”
    “Sì. Quando comincio?”

    Mentre Buffy ritornava a casa, si sentì più leggera. Finalmente aveva consegnato una parte del suo segreto, e il peso sul cuore gravava in minor modo.
    Sorridendo al vento, si godette l’aria fredda dell’inverno, la penombra della sera, il crepitio delle scarpe sull’asfalto umido. Percepì il battito allegro che andava al pari del suo passo rapido.
    Si sentiva viva e sperava che andasse sempre meglio, sia per lei che per Dawn.
    9° CAPITOLO

    28 gennaio

    Buffy iniziò il suo nuovo lavoro il giorno dopo il colloquio con lo psichiatra. Con Ben i rapporti furono subito sereni: passava a riprenderlo dall’asilo dopo pranzo e lo portava a casa, dove insieme giocavano fino al ritorno di William poco prima di cena. Mano a mano che Buffy prendeva confidenza con l’ambiente, cominciò a fare altre cose di iniziativa sua, oltre la baby sitter. Riordinava i vestiti sparsi per casa, preparava qualcosa da mangiare, annotava le cose da comprare, stirava e riponeva i libri che trovava sempre aperti dentro lo studio del dottore.
    Quando lui tornava stanco, trovava così un piatto caldo, Ben già nutrito e col pigiama e la casa decente.
    Spesso Dawn si fermava con la sorella e sedeva silenziosa in un angolo a fissare il vuoto, o davanti il televisore a seguire i cartoni con Ben.
    Gli incontri del sabato facevano un po’ meno paura: Buffy e William ripercorrevano gli avvenimenti del passato, fino a quelli della prima infanzia, sviscerandoli e cercando di interpretarli.
    Lui si teneva sempre a debita distanza, e calibrava tutte le parole, lei lo guardava con meno circospezione ma tremava ancora quando lui le passava di fianco.

    Quella sera William rincasò davvero molto tardi. Fuori aveva iniziato a nevicare e c’era un vento gelido che creava una vera e propria tormenta.
    Ben si era addormentato sul divano e Buffy lo aveva portato a letto, inoltre si era premurata di tenere la cena al caldo.
    Quando lui era rincasato, distrutto e con un’emicrania da impazzire, non se l’era sentita di lasciarlo solo e si era trattenuta.
    William pareva esausto, ma probabilmente aveva anche bevuto più del dovuto.
    L’aroma dell’alcool era un odore che Buffy non avrebbe mai dimenticato. Per un attimo, passandogli vicino, rabbrividì.
    “Parecchio lavoro?” gli chiese guardandolo mentre sonnecchiava sulla poltrona.
    “Lavoro, ricordi, solitudine… diciamo un bel miscuglio di depressione. Sono uno psichiatra, ma resto pur sempre un uomo” la sua voce era acida, ferita. Stava soffrendo e Buffy cominciava a maledirsi per essere rimasta.
    Il binomio vino – uomo poteva risultare letale.
    “E’ accaduto qualcosa di spiacevole?” continuò ad indagare, troppo curiosa di vederlo in quelle condizioni davvero inusuali.
    “Eheh… la piccola Elisabeth mi chiede se mi è successo qualcosa… - si fece serio in viso - tre anni fa mia moglie si è suicidata. Ingurgitò due scatole di antidepressivi e si legò una busta attorno alla testa – aprì il portafoglio e sfilò la foto col biglietto – mi ha lasciato solo poche righe e un bambino di due anni. Lei è morta ed io non l’ho salvata… ti deluderò, ma bevo quando il dolore diventa così forte.. sono debole, Elisabeth, ecco perché ho pochi pazienti, ecco perché non riesco a rifarmi una vita. Sono io il vero fallito fra noi due, tu sei stata più forte di me” una lacrima scivolò lungo il suo zigomo perfetto, scomparendo lungo il collo.
    Buffy provò pena per lui. Era ubriaco per lenire il dolore, per alienarsi dal ricordo che lo segnava. Ma non era violento, era solamente triste. Disperato, come lei.
    Chissà perché suo padre beveva… non se l’era mai chiesto. Non si era mai posta il motivo delle sue violenze, del suo desiderio di annichilire le persone. O meglio, le donne.
    A quel tempo non gliene fregava niente se lui aveva sofferto o se pure lui si portava addosso qualche violenza.
    Ma in quel momento, dinanzi ad un uomo distrutto eppure a volte così rassicurante, Buffy si domandò mille cose. Su Hank, su se stessa, sul dottor Shelby.
    “Le faccio un caffé?” gli chiese dopo un po’ cercando di essere utile e non solo ficcanaso, ma si accorse che si era addormentato.
    Prese una coperta e gliela adagiò sopra. Poi, vestendosi per affrontare il freddo, se ne tornò a casa dove Willow e Dawn la stavano aspettando.


    10 marzo

    Le sedute, ufficiali e non, continuavano. Di quella sera Buffy e William non avevano mai parlato chiaramente; c’era stato solo un < grazie > detto da lui e un < di niente > risposto da lei.
    Con Dawn gli appuntamenti erano incentrati nell’arrivare a toccare il fulcro del problema molto, molto lentamente. Dapprima William le aveva proposto suoni della natura, poi foto di paesaggi, disegni di cartoni animati, luci colorate e libri di poesie; le aveva fatto assaggiare biscotti di cioccolata e pasticcini all’anice, le aveva mostrato alcuni siti sulla scrittura in internet e le faceva spesso ascoltare musica classica.
    La ragazza non si scomponeva, ma una volta di fronte ad una luce più debole delle altre, si era voltata verso di essa con aria interrogata.
    Era un ottimo segnale che ancora c’era un contatto con il mondo.
    “Vedrai che Dawn guarirà, grazie a me e soprattutto grazie a te” aveva detto a Buffy un sabato pomeriggio, quando lei continuava a colpevolizzarsi.
    Willow e Tara si erano ormai ufficialmente messe insieme e questo faceva soffrire, anche se inconsciamente, Buffy. Era invidiosa del fatto che sua sorella fosse riuscita a creare un qualcosa di nuovo, mentre lei faceva da baby sitter ad un bimbo di cinque anni per pagarsi le sedute segrete con lo psichiatra.
    Era sempre così complicata la sua vita…

    L’appuntamento era per la tarda mattinata. Buffy accompagnò Dawn allo studio e rimase ad aspettare sulla saletta, leggendosi un giornale di gossip. Non erano passati neppure dieci munti, quando un tonfo unito ad un rumore di vetri rotti, catturò la sua attenzione. Proveniva dallo studio. Si avvicinò e sobbalzò quando William spalancò la porta chiamandola agitato.
    “Elisabeth, Dawn si è fatta male!” Buffy entrò e trovò sua sorella con una mano sanguinante. Il suo viso era terrorizzato.
    William prese un fazzoletto dalla tasca e glielo avvolse per fermare la piccola emorragia.
    “Portiamola al pronto soccorso” le disse afferrando la giacca a vento e le chiavi dell’auto.
    “Cosa è successo? Cosa le hai fatto?” Buffy tremava e il sospetto che lui le avesse causato del male si impossessò della sua mente.
    William le si avvicinò e ritrovò la calma.
    “Le ho solamente fatto sentire il vociare di bambini ed è scattata. Credo sia un ricordo che lei associa al trauma che ha vissuto, ma non mi sarei mai aspettato una reazione simile” sembrava dispiaciuto e sincero, così tanto che lei gli credette. O meglio, desiderava credergli. Ormai si era fidato di lui, far crollare questa sicurezza equivaleva a tagliarle il cuore in due e a distruggerla per sempre.

    Arrivarono in ospedale dove a Dawn venne suturato il taglio che si era provocata sul palmo della mano destra con quattro punti. Mentre Buffy era stata chiamata dai medici, William entrò nello stanzino col paravento e le si mise seduto accanto.
    “Mi dispiace tanto, piccola. Credimi, non avrei mai voluto farti star male, ma voglio uccidere tutti i tuoi fantasmi, voglio farti tornare sorridente e speciale come tu sei… e quando accadrà, andremo tutti insieme al lago che è in mezzo ai monti, dove faremo il bagno, pescheremo e dormiremo con la tenda sotto le stelle – le accarezzò la cima della testa, delicatamente – collabora con me, Dawnie, aiutami a capire… te ne prego” il suo discorso venne interrotto dalla presenza di Buffy che era entrata ed aveva ascoltato tutto.
    “Cosa volevano i dottori?” le domandò sperando che non la allontanasse da Dawn.
    “Mi hanno chiesto se voglio che a seguirla sia sempre lei” gli disse chiaramente.
    William sospirò, abbassando lo sguardo.
    “Gli ho detto di sì – continuò lei e lui la fissò incredulo – gli ho detto che mi fido di lei, faccia in modo che non mi sia sbagliata”
    “Non ti deluderò, Elisabeth”
    “Lo spero dottore, lo spero”
    10° CAPITOLO

    11 marzo

    William sedeva attorno al tavolo di casa O’Neil, mangiando fette biscottate e marmellata e sorseggiando una tazza di caffé. Ben giocava con un biscotto facendo finta che fosse un trenino, Angel leggeva pacatamente il giornale e Cordelia chiacchierava a ruota libera della festa di beneficenza organizzata per la domenica successiva dal comune del paese.
    Era l’evento mondano dell’anno, molto più importante delle sagre estive e lei era fra le persone addette a controllare che tutto venisse preparato nel migliore dei modi.
    Il campanello suonò alle otto e trenta e quel trillo lungo e continuo non lasciò intendere visite piacevoli.
    “Saranno gli esattori delle tasse che sono venuti a farti il culo” William prese in giro Angel mentre quest’ultimo si alzava dirigendosi al portone.
    Willow entrò come una furia e guidata da una buona dose di rabbia, si catapultò in sala da pranzo diretta verso William.
    “Se accadrà ancora qualcosa a Dawn, giuro che le farò causa e si ritroverà con talmente tanti avvocati alle spalle da consumare tutte le sue parcelle dietro ad una denuncia da prima pagina!” la ragazza gli puntò il dito contro. Aveva gli occhi infuocati come la sua chioma sciolta, e la sua voce era determinata, nitida, senza nessun segno di cedimento.
    “Mi sono già spiegato con sua sorella Elisabeth e me ne dispiace. È stato un incidente e adesso che sono preparato non avverrà più” si spiegò William senza neppure alzarsi da tavola.
    Cordelia scattò in piedi come morsa da una tarantola.
    “Come ti permetti, ragazzina spocchiosa e lentigginosa, di venire in casa mia e aggredire così mio fratello?? È un bravo dottore e secondo me ha sbagliato sorella da curare!” Angel la tratteneva conoscendone il carattere esuberante e un tantino vulcanico.
    “Voglio solo difendere la mia famiglia! Non ho altro da aggiungere” e voltandosi, Willow se ne andò, lasciando uno strano silenzio in quella casa.
    “Cosa sta succedendo?” chiese infine Angel, sedendosi.
    “Quelle ragazze hanno sofferto in una maniera indescrivibile. E temo di non essere capace ad aiutarle” sospirò William, accarezzando la testolina di Ben che si guardava attorno circospetto dopo la sfuriata di una sconosciuta nel bel mezzo della colazione.


    15 aprile

    Le sorelle Summers erano state invitate da Cordelia che si era trattenuta dall’escludere Willow, la quale aveva deciso comunque di passare il pomeriggio con Tara piuttosto che vedere tutta quella gente mangiucchiare e ridere senza senso.
    Buffy si mise una camicetta bianca e un semplice paio di jeans, lisciò i capelli e si truccò appena, giusto per essere in armonia con la precoce primavera che illuminava Sunnydale. A Dawn fece una coda di cavallo e le coprì le spalle con un golfino di lana, poi afferrando il giacchetto di renna uscì prendendola per mano.
    L’aria era così frizzante e il cielo talmente limpido da far sorridere chiunque. Le musiche della banda del paese si spandevano per le vie addobbate con luci ancora spente, l’aroma dei dolci era penetrante e metteva l’acquolina in bocca.
    C’era un’atmosfera di gioia e comunione, i bambini sgattaiolavano fuori da ogni dove correndo e ridendo, le donne più anziane stavano dietro gli stand e gli uomini bevevano liquore e fumavano sigari seduti attorno a tavolini di plastica.
    C’era quasi tutta Sunnydale: non mancavano il sindaco e la sua elegantissima moglie, il signor Giles preside del college, l’assessore e le guardie in borghese, i primari dell’ospedale e i negozianti che per l’occasione offrivano gratuitamente alcuni loro prodotti per la festa.
    Il ricavato sarebbe servito per la costruzione di un’ala pediatrica specializzata nei tumori e sarebbe stato aggiunto alla somma accumulata nei tre anni precedenti.
    Buffy vide Cordelia in lontananza e la salutò con la mano. Si andarono incontro.
    La mora era bellissima: indossava un vestito rosso fuoco con un fiocco di seta attorno alla vita e una scollatura da capogiro, tacchi alti e capelli pettinati dal parrucchiere. Il suo sorriso era raggiante e splendeva come il sole.
    “Guarda che meraviglia, Buffy! Non esiste un 15 aprile in cui piova! È un segno evidente del destino: fai del bene e sta certa che ti tornerà indietro!”
    “Grazie per averci invitate Cordy, è tutto fantastico, non avevo mai visto tanta allegria nemmeno a natale”
    “Beh sai, modestamente ci sono anch’io fra le organizzatrici!” le disse sottovoce strizzandole l’occhio. Buffy rise e si separarono per rincontrarsi poi.
    Le due sorelle passarono dapprima di fronte ai banconi di zucchero soffiato e nocciole caramellate, bevvero spuma rosa e vino al mirtillo, assaggiarono torte di zucca e liquirizie al brandy. Dawn si limitava ad aprire la bocca e masticare, mentre Buffy si gustava ogni pietanza assaporandola fino all’anima.
    A metà pomeriggio la musica prese a suonare maggiormente e le coppie iniziarono a danzare sulla piazza principale.
    C’erano melodie lente, classiche, folk e tutti sgambettavano in pista, dai più giovani ai più vecchi, creando simpatici trenini e insegnando vari balli di gruppo.
    Ai lati dell’improvvisata pista, le due ragazze si sedettero assistendo a quel tripudio di allegria.
    Era tutto perfetto, ma una vocina acuta lo rese maggiormente speciale.
    “Buffy!” Ben arrivò correndo e si arrestò sulle gambe di Buffy stringendole con i suoi piccoli bracci. Era felice di vederla, in quei mesi erano diventati molto uniti.
    “Ciao ometto!” lo tirò sulle ginocchia e gli baciò una guancia. Da lontano vide William avanzare sorridente. Alla luce del sole primaverile appariva molto più rilassato del solito, e i suoi tratti affilati si ammorbidivano, creando un volto gentile e affascinante.
    “Dottor Shelby, Cordelia ha fatto un lavoro egregio!” gli disse un po’ imbarazzata. Dopo che gli aveva confidato il suo segreto, era come se si sentisse nuda, di fronte a lui.
    “Non glielo dica mai, intesi? – scherzò con aria fintamente intimorita – se lo venisse a sapere il suo ego scoppierebbe!”
    Entrambi risero, ma poi l’attenzione cadde su Dawn.
    “E la mia piccola paziente come sta? – si accovacciò dinanzi a lei che teneva lo sguardo fisso nel vuoto – ti ha legato i capelli tua sorella, eh? Stai benissimo Dawn, sei una ragazza molto carina” le accarezzò una ciocca di capelli lisci con uno sguardo rattristato, poi si alzò e si avvicinò a Buffy parlandole sottovoce.
    “Non ha nessun miglioramento?”
    “Niente di cui io mi sia accorta, purtroppo”
    “Continueremo a provare… non mi rassegnerò. Voglio che torni a ridere, a vivere – alzò il tono della voce, per far sentire anche Dawn - e poi le ho promesso di portarla al lago, quando si deciderà a dirmi quale poetessa le piace di più”
    Nel frattempo la musica continuava e Ben improvvisamente scattò in piedi.
    “Balliamo Buffy? Papà dice che non è capace e non mi ci porta” frignò il bambino inumidendo gli occhioni blu. Irresistibile, ecco cosa era il perfido approfittatore.
    Dinanzi alla sua titubanza, William la incoraggiò.
    “Vai, resto io con Dawn… così almeno il moscerino si stancherà fino ad implorarmi di portarlo a letto stasera” Ben gli fece la linguaccia, poi afferrò la mano di Buffy e insieme si gettarono fra la folla.
    William si stupì di cercarli tra la gente, non per controllare che suo figlio stesse bene, ma per godere di quella chioma bionda smossa dal vento e baciata dal sole.
    Ricordava tutti i colori di Elisabeth ed era una cosa davvero strana: il verde intenso dei suoi occhi tormentati, l’oro dei suoi capelli simili a grano maturo, il rosa delle sue guance come la tonalità dei tulipani più giovani, il panna del suo carnato chiaro, tanto morbido e liscio, la purezza del suo raro sorriso, che donava con estrema parsimonia. Era un angelo costretto a dover passare per l’inferno, le sue ali si erano bruciate, ma non erano state estirpate dal suo spirito. Poteva ancora volare, afferrare il proprio dolore e ucciderlo con l’amore. E lui si sentiva chiamato a donarle un’altra opportunità, a lenirle le ferite e farle capire… che forse, non tutto il dolore viene per ferirci e basta, che forse ci può donare anche lui qualcosa di arcano e stramante utile.

    Il sole calò presto e l’aria si raffreddò notevolmente ma la gente continuò a popolare le strade e a cantare, riscaldata dal vino e dai fuochi accesi nelle torce.
    William, Buffy, Ben e Dawn trascorsero tutto il tempo assieme, unendosi verso la fine a Cordelia e Angel. Parlarono come se si conoscessero da una vita, e Buffy fu piacevolmente sorpresa del lato umano dello psichiatra. Se ne era già accorta dalla sensibilità che impiegava nei loro incontri, ma era passato in secondo piano rispetto al lato professionale e curativo.
    Era un uomo ricco di umorismo, spontaneo, si trovava bene in mezzo alla gente e gli piaceva chiacchierare di tutto. Ripensò a quella sera in cui l’aveva visto ubriaco, alla sua tristezza e al suo passato di dolore. Eppure durante la festa, mentre fumava sigari cubani, trangugiava birra rossa e raccontava barzellette, e il suo viso era illuminato dal calore del fuoco, appariva un’altra persona, mostrava una parte di sé che forse gli eventi spiacevoli della vita avevano messo in ombra.
    Perché Buffy ormai sapeva che le ferite occultavano il vero se stessi, e creavano una sorta di barriera fittizia ma resistente, eretta per non subire altri colpi.
    “Ti ricordi papà quando la mamma si mise a fare la danza dei veli?? Era sconvolto, da inglese doc impallidì e si tracannò quattro bicchierini di cordiale prendendosi una sbornia da manuale!” ripensò William condividendo il tutto con i presenti.
    Cordelia rise e Angel le prese una mano.
    “Fu in quella sera che ti conobbi… eri anche tu un po’ ciucca e alzavi la gonna mostrando le tue grazie a tutti i passanti, io fui così misericordioso da prenderti e portarti via… e in un lampo di sanità mentale, mi baciasti” raccontò Angel accarezzando in lunghezza il braccio della moglie. Buffy sentì invidia per quelle effusioni così semplici eppure incapace di riceverne.
    “Quindi io sarei stata graziata dal mio angelo custode, eh? – lo schernì, dandogli un buffetto sul petto – ero la più bella ragazza di Sunnydale, ne avrei avuti a centinaia, ma diciamo che sei stato… tu l’eletto”
    Di fronte a questi piccoli battibecchi tutti risero, anche Ben si unì senza afferrane bene il significato.
    “E tu Buffy? Hai qualche amore segreto?” le chiese Cordelia.
    La ragazza tremò appena e si voltò a guardare William, invocando un muto aiuto.
    Intuendo dall’espressione smarrita dei suoi occhi, lui arrivò in suo soccorso all’istante.
    “Ma che domande fai, Cordy?? Credi che una bella fanciulla come lei non abbia almeno un migliaio di pretendenti pronti a farle la corte??”
    La sorella lo guardò stranita: quella risposta non era convincente, l’aveva voluta proteggere. Ma da cosa? Da chi?
    L’argomento del discorso cambiò e tutto fu dimenticato.
    Dopo pochi minuti si alzò un venticello gelido e Buffy decise di tornare a casa con Dawn, ma quando seppe che erano a piedi, William si offrì di riaccompagnarle con l’auto.
    Durante il tragitto, Ben si addormentò in braccio alla sua baby sitter e al momento di scendere, Buffy lo depose gentilmente lungo i sedili posteriori.
    Dawn la aspettò in piedi, sul marciapiedi guardando la luce oscillante di un lampione.
    “La ringrazio, dottor Shelby” gli disse Buffy tenendo le mani unite.
    “Non ti preoccupare Elisabeth, Ben si era stancato molto, soprattutto a ballare”
    “No io dicevo… per prima, riguardo alla domanda di Cordelia” lei arrossì e non riuscì a sostenere quello sguardo così comprensivo da farle quasi credere che come uomo poteva… poteva andare.
    “Ho solo fatto quello che mi hai chiesto, in più non ho neppure dovuto mentire – le sorrise calorosamente – credo davvero tu sia bella”
    Buffy rimase senza parole, con le labbra socchiuse e il cuore accelerato. Ma non dalla paura, da un sentimento diverso che le scaldava la pelle.
    “Buonanotte Elisabeth, ci vediamo lunedì con Dawn – si sporse oltre di lei – e notte a te piccola, fa bei sogni”
    Poi risalì sulla sua auto e sparì nella notte, diretto verso casa.
    11° CAPITOLO

    6 maggio

    Sabato pomeriggio: stessa ora, stesso posto. Buffy non aveva più avuto incubi da un mese a questa parte, e più il tempo passava, più i colloqui con lo psichiatra divenivano intimi.
    Quel giorno era la volta delle risposte istantanee.
    “Se ti dico nascita, a cosa pensi?”
    “Dolore”
    “Se dico morte?”
    “La fine di tutto… o forse l’inizio”
    “Non puoi darmi due risposte, devi sceglierne una.” La riprese William senza perderla mai di vista.
    “Allora la fine” sospirò.
    “Ok continuiamo – proseguì appuntando tutto sul blocco – se dico madre?
    “Willow”
    “Perché proprio lei?” accentuò l’indagine, soffermandosi su quella… irregolarità.
    “Perché in un certo senso è lei che bada a noi adesso. È lei che ci protegge”
    “Capisco… ma non credi di saper badare a te anche da sola?”
    “Certamente, ma siamo una famiglia e siamo legate. Willow ha un senso di estrema protezione verso me e Dawn, dopo che ha scoperto quello che… quello che Hank mi faceva”
    “Non ha tutti i torti, lo ammetto e credo di essermene accorto. Come credo anche di non piacerle…” confessò William, facendo sorridere Buffy.
    “Beh un pochino, ma non si può andare a genio a tutti, le pare?”
    “Hai ragione – si riprese – distrazione mia, non accadrà più… allora, se ti dico amore?”
    “Il buio”
    “Sesso?”
    “Schifo”
    “E se ti dico l’amore e il sesso assieme?”
    “Le rispondo che non esiste” stavolta Buffy alzò gli occhi e sostenne il suo interrogatorio. Era concentrata e seria in viso.
    “So per certo che non è così” le rispose lui, altrettanto deciso a far valere le sue idee che l’avrebbero aiutata.
    “Me ne parli, allora. Io ho conosciuto solo la penetrazione in ogni buco del mio corpo simile ad un ferro rovente, il sanguinamento della mia vagina e del mio ano e l’asportazione dell’utero. Invece dei baci ho ricevuto gli sputi, invece delle carezze gli schiaffi, invece dei vezzeggiativi un turpiloquio senza limiti – era in procinto di piangere - mi dica che esiste… io non le crederò”
    Buffy si coprì il volto con le mani, arrossendo dalla rabbia e dalla vergogna. Odiava ricordare, odiava farla scontare così a quell’uomo tanto disponibile e caro, ma non ci riusciva… aveva ricevuto troppa merda per credere che esistesse anche un minimo di pulizia nella sua vita.
    “Elisabeth, guardami – le sfiorò una mano con le dita e lei sussultò – guardami…” attese e finalmente lei si convinse e alzò il capo.
    Appariva tanto fragile quanto furibonda. William avrebbe voluto abbracciarla e non lasciarla più.
    “Ho amato Darla di un amore vero, puro. E il fare l’amore con lei era ogni volta… ci elevava ad una dimensione nuova, sconosciuta, nella quale niente ci poteva ferire. Averla fra le mie braccia non soddisfaceva solo la mia fisicità, era qualcosa di più profondo, di interno. Sentirla sotto di me – lei distolse lo sguardo, voltando il viso, lui la costrinse a girarsi di nuovo – entrare dentro di lei era come tornare a casa. E poi c’era il miracolo della vita: il piacere poteva regalarci un frutto meraviglioso, diventavamo creatori in un qualche modo… fare sesso amando, è amare noi stessi e l’altro in una maniera ineguagliabile. Non esiste unione più perfetta, più sacra”
    Buffy piangeva senza ritegno. Odiava sentire quelle parole, ma allo stesso tempo ne aveva un bisogno vitale.
    “Non potrò nemmeno avere un bambino tutto mio… - balbettò – mi ha tolto tutto quel bastardo… tutto” era fuori di sé e stranamente, si gettò fra le braccia di William, sprofondando i singhiozzi sul suo petto e aggrappandosi alla sua camicia come all’ultimo appiglio prima di morire.
    Lui rimase sorpreso e allo stesso tempo felice di poterla abbracciare e sentirla per la prima volta arresa, in sua balia. Significava che si stava fidando di lui… che non ne aveva più paura.
    Le carezzò i capelli soffici, respirandone l’aroma fruttato; sfiorò gentilmente la lunghezza della sua schiena percependone le curva sotto la maglietta di cotone; godé di quel dolce peso sullo sterno, di quelle lacrime che gli bagnavano il torace.
    Dio, si sentiva felice… ed era davvero strano. Quella ragazza aveva un qualcosa che lo rendeva giusto, in un qualche modo. Il mattino sentiva il bisogno di prepararsi in maniera decorosa, l’alcool non leniva più il suo tormento, anche perché vedeva un futuro e non solo più il passato. Sapere di incontrarla ogni sabato gli dava la carica per arrivare a fine settimana, e sapere di aiutarla curava anche il suo di dolore.
    Per alcuni minuti rimasero uniti. E sembrò che il tempo si fosse fermato.
    Lentamente il loro abbraccio si allentò e Buffy aspettò prima di alzare lo sguardo verso di lui. Si sentiva alleggerita, ma confusa. In quella stretta non aveva provato paura o ribrezzo, solo un gran senso di pace. Un’emozione che non toccava da tantissimo tempo.
    “Adesso devo andare…” riuscì a dire mentre si alzava, ma la mano di William la trattenne dolcemente.
    “Manca ancora mezz’ora. Resta” il tono della sua voce rasentava l’implorazione.
    A Buffy si strinse il cuore.
    “Non voglio essere fraintesa per quello-“ ma William la interruppe, raggiungendola.
    “Era un abbraccio Elisabeth. E per me è stato bello. Tu cosa hai provato?”
    Buffy incontrò finalmente i suoi occhi di mare calmo e le parve che una ventata d’aria fresca le giungesse da quella distesa pulita a rinfrancarle l’anima.
    Un vortice le ballava nello stomaco e si sentiva debole, quasi in procinto di svenire.
    “Pace – sussurrò, pallida in volto – mi sono sentita… in … pace...” le ultime parole le morirono in bocca mentre i suoi sensi l’abbandonarono.
    William la tenne saldamente e la distese sul divano. Preoccupato e solerte, fece di tutto per farla star meglio.

    Passarono pochi munti, ma le parvero un’eternità. Quando riaprì gli occhi c’era lui che la guardava, con la tensione di chi ha a cuore la tua vita.
    “Mi dispiace” mormorò sentendosi meglio.
    “Sshh Elisabeth, è tutto ok… sei svenuta ma adesso ti è tornato un buon colorito in volto” lui le carezzò la fronte e l’attaccatura dei capelli, sorridendole.
    “Ti ho preparato del tè zuccherato – prese la tazza e girò il cucchiaino – bevine un sorso” poi gliela porse.
    Buffy appoggiò la testa sul bracciolo del divano e l’afferrò. Era buono, caldo e le scorreva fluidamente nella gola. Le energie la rinvigorirono e la testa cominciò a tornare al suo peso, senza più avvertirne il senso di vuoto.
    William controllò attentamente ogni suo movimento.
    Come era fragile quella ragazza che gli stava rubando i pensieri coi suoi colori… e col suo tormento. Avrebbe dato tutto quello che aveva per sostenerla, per saperla libera dal male.
    “Come ti senti?” le chiese.
    “Meglio, grazie – allontanò la tazza dalle labbra – voglio raccontarle una cosa, dottore” lui annuì.
    “Avevo quindici anni. Hank entrò in camera mia in punta di piedi, si intrufolò nel mio letto e fece quello che voleva fare. Il mese successivo il ciclo mi saltò, e anche quello dopo. Lui si accorse di qualcosa, mi fece fare il test e dopo averne letto il risultato positivo chiamò una donna anziana, specializzata negli… negli aborti clandestini - un groppo alla gola le tolse la voce, ma continuò decisa a dirgli tutto – aveva dei ferri lunghi e tanto sporchi… me li infilò dentro senza nessun genere di anestesia, solo un po’ di vino per stordirmi, ma io sentì ogni minimo dolore, ogni taglio, ogni strappo… il bambino venne estratto a pezzi, probabilmente era un maschietto… il segno del peccato, del male…” le lacrime quasi la soffocarono e William le toccò una guancia.
    “Elisabeth, non continuare” la implorò, ma lei scosse il capo.
    “Voglio che lei sappia tutto di me… lei mi comprende così bene, lei non mi farà mai del male, vero?” ah quegli occhi! Ah quel dolore! Pungevano nel cuore di William come aghi di fuoco.
    Stava provando un qualcosa di incomprensibile dentro di se… ogni volta che sentiva la sua voce, che un poco del suo odore lo raggiungeva, che scorgeva da lontano quei capelli d’angelo… l’amore stava avanzando piano, senza far rumore, ma segnava il suo cammino. E lo riempiva.
    Dio, come lo completava…
    “Mai, piccola mia, mai…” era la prima volta che la chiamava così. E le piacque. L’aveva detto con affetto, nessun altro significato, nessun doppio senso.
    Accennando un lieve sorriso, continuò.
    “Ebbi un principio di setticemia e venni curata a casa, con dosi massicce di antibiotico. Tutti credevano ad un’infezione urinaria… ma dopo quindici giorni i crampi uterini mi uccidevano, l’emorragia era inarrestabile e mia madre mi fece ricoverare d’urgenza. Quando Hank se ne accorse, si precipitò all’ospedale e mi minacciò… mi avrebbe ammazzata se avessi detto qualcosa… così inventò che mi ero fatta mettere incinta da un ragazzetto del posto e che avevo organizzato un aborto da sola… mi tolsero l’utero, ormai era sfondato. Una dottoressa giovane mi disse che non avrei più potuto avere bambini. Mi chiese se qualcuno mi aveva mai usato violenza, ma io negai. Così Hank mi ha strappato non solo la vita, ma anche il potere di crearne”
    I suoi occhi verdi arrestarono le lacrime. Le labbra fremettero, e le mani si chiusero attorno a quella di William in una preghiera.
    “Non lo dica a nessuno, non lo scriva nel suo blocco… le ho donato tutta la mia vita, la prego, la tenga per se e non ne faccia parola con nessuno”
    William adagiò la mano libera sopra le loro unite, in un patto solenne.
    “Te lo giuro, Elisabeth, non tradirò la tua fiducia – la guardò con tanto, infinito affetto – hai dentro un amore enorme. Io lo sento, lo sento in me. E ne avevo nostalgia, era da tanto che non ne percepivo. Mi mancava”
    I due restarono a fissarsi per alcuni minuti, poi l’orologio a pendolo segnò le cinque del pomeriggio. L’ora era terminata.
    Aiutandola nei passi ancora incerti, William riaccompagnò Buffy a casa, lasciandole come saluto un caldo sorriso.
    12° CAPITOLO

    21 maggio

    Avevano deciso di fare un pic nic. Dawn necessitava di sole e aria pulita, Willow e Tara desideravano un pomeriggio romantico fuori dal traffico cittadino e Buffy sentiva il bisogno di distrarsi.
    Organizzarono tutto il giorno precedente e si diressero con il materiale apposito, in una zona pianeggiante all’inizio del bosco che si diramava verso le colline a nord.
    Era una distesa verde e brillante, picchiettata di fiori gialli e bianchi, l’odore di pece e resina allargava il torace e il canto degli uccelli teneva lontano quello delle auto e delle persone.
    Distesero il plaid sotto una grande quercia ai lati della piana, mangiarono e si gustarono la quiete. Parlarono di svariate cose, tutte felici, escludendo per un giorno la sofferenza del passato. Ma ad un tratto la discussione deviò verso un argomento più delicato. Purtroppo.
    “Dawn non mi sembra migliorata in modo significativo. Secondo me quello Shelby non è in gamba come lo sponsorizza la stanga della sorella, che ne pensi Buffy?” Willow addentò una mela, semidistesa fra le gambe di Tara, con la schiena appoggiata al suo petto.
    “Penso che la nostra Dawn riposi meglio da quando ha cominciato la terapia e che si fissi meno sulle cose.” Rispose evasivamente, non voleva entrare in quel discorso, ma probabilmente Willow aveva intuito qualcosa di strano, perché continuò, anzi, incalzò con le sue punzecchiature.
    “Ha solo una bella presenza e rigira le parole a suo piacimento: l’unico segno che vedo su Dawn è la cicatrice dei punti che ha messo nella mano per colpa sua”
    Buffy si agitò: scrutò l’altra e intese il suo gioco. Forse era giunto il momento di dirle tutto, dei suoi incontri settimanali con lo psichiatra, della fiducia che gli aveva donato confidandogli tutto, dei soldi che stava evidentemente rifiutando pur di aiutarle.
    William era una brava persona e lei sentiva… lo sentiva. Dopo tanto o meglio, per la prima volta, sfiorava un barlume di affetto anche per se stessa. E la paura per l’altro sesso, sembrava scemare mano a mano come gli incubi e gli attacchi di panico.
    “Non credevo facessi caso alla fisicità degli uomini, visto il *cambio* che hai fatto in maniera… direi improvvisa – calcò sull’ultima parola appositamente per farla alterare – ma sappi che Dawn mi ha stretto la mano tempo fa e la trovo intenta a guardarmi quando faccio le faccende o parlo con qualcuno”
    Gettò un’occhiata a Tara e cercò di scusarsi con un cenno per il fatto che mettesse pure lei, anche se indirettamente, in quella faccenda familiare.
    L’altra sembrò capire e le fece a sua volta un segno col capo.
    “Si può cambiare nella vita” ribatté Willow tesa, mettendosi con la schiena diritta.
    “Ne sei certa? Perché a me non lo permetti” ecco la resa dei conti. Non si erano mai parlate con tanta foga. La maggiore comandava, spartiva i compiti, decideva, le altre la seguivano certe della sua protezione. Willow le dava sicurezza, ma adesso Buffy aveva capito che non ne aveva bisogno. Poteva farcela da sola, poteva avere… William. Il suo pensiero arrivò a lui, ancora. E lo abbinò a se stessa, al proprio futuro, ad un continuo.
    Scuotendo la testa per scacciare simile idee folli, sfidò la sorella puntandole gli occhi verdi e fiammeggianti coi suoi colmi del desiderio di verità.
    “Cosa stai insinuando?”
    “Non accetti che si possa migliorare. O che non ne sia tu la causa ma qualcun’altro… ti sei accorta che esco più spesso, che piango meno, che non tremo più quando incontro un uomo? Scommetto di sì, ma non ti chiedi il perché… hai paura di scoprire la verità. Anche se credo che tu la sappia”
    “Si sta parlando di Dawn, non di te. Hai sempre rifiutato un aiuto estern… - Willow si bloccò, forse giunta ad una conclusione – lui ti sta curando! Lui sta seguendo anche te, è per questo che fai da baby sitter a Ben! Gli hai raccontato tutto, vero?? Gli hai detto di nostro padre, delle violenze??” Willow tremava dalla rabbia, e Tara non osava toccarla tanto la vedeva sconvolta.
    Buffy la fronteggiò senza timore mentre Dawn sembrava seguire la lite senza coinvolgimento.
    “Sì, l’ho fatto per Dawn. E per me”
    Willow scattò in piedi, rossa in volto, i cappelli sciolti simili a fiamme.
    “Era un segreto Buffy, dannazione! Conoscevi le regole, sapevi come dovevano essere affrontate le cose!”
    “Beh, a vedere la reazione di Tara, credo che anche lei sappia l’inconfessabile mistero delle Summers!” constatò con sarcasmo Buffy mettendosi in piedi anche lei.
    “E’ un’altra cosa, lei… io la amo. Ma quel medico non doveva… oh accidenti, adesso le voci si spargeranno e noi dovremo scappare di nuovo…” ora il tono era più mesto, i pugni stretti ma lo sguardo basso.
    “Non sarà così Will… mi fido di lui, e sai che è una cosa quasi impossibile per me. Dovevo dirglielo, altrimenti non saremmo mai uscite dalla spirale di morte che ci portiamo sulle spalle. E non voglio giudicare il tuo rapporto con Tara, sai che sono felice per voi” le poggiò una mano sulla spalla e si stupì quando si accorse che stava piangendo.
    “Anche tu non ti accorgi di me, Buffy… volevo solo difendervi, farvi sentire che c’ero, che ci sarei sempre stata… non riesci a capire perché mi piacciono le ragazze? Perché non vorrei mai e poi mai un uomo al mio fianco?? Non ci arrivi?”
    La verità balenò su quel plaid sotto la quercia, come una saetta in un temporale estivo: rapida e distruttiva.
    Nella mente di Buffy si susseguirono immagini, flash del passato, parole gettate a caso, doppi sensi celati, occhiate furtive. Le mani furono le prime a tremare; lentamente il soffio gelido della paura le raggiunse la schiena, facendola respirare velocemente.
    “Lui… ti ha …” non voleva dire di più. Non poteva accettare la realtà.
    Aveva sempre creduto di essere stata l’unica a subire le violenze di un padre folle, e questo alleggeriva un poco il suo tormento.
    Ma pensare che anche Willow, la sorella maggiore, la più coraggiosa, la più forte, potesse essere passata sotto le mani di quel porco… beh, le frantumava l’anima e lo spirito.
    “Solo una volta, Buffy. Solo una – le si avvicinò, asciugandosi malamente le lacrime cadute – mi è bastata per una vita e non ho mai capito come avessi resistito tu, tutti quegli anni… sono stata la prima. Ma l’ho minacciato che l’avrei detto alla polizia e che non me ne sarebbe fregato niente se mi avesse ucciso. Lui ha desistito… più tardi ho saputo che si era rifatto su di te – la prese per le braccia, fissandola e parlando con un tono più alto – ecco perché dovevo difendervi, ecco perché mi sento tanto responsabile… è colpa mia se hai dovuto passare l’inferno… è colpa mia…”
    Buffy scosse la testa, incredula. Quelle parole le stavano facendo male dentro, come se suo padre avesse vinto, come se Hank ancora possedesse il suo corpo, lo penetrasse, lo facesse sanguinare.
    Chiudendo gli occhi, si voltò e diede sfogo ad una corsa folle, diretta verso il bosco.
    A poco servirono le grida di Willow e Tara.
    Quando si fermò dopo alcuni minuti coi polmoni stretti dalla fatica, solo allora si accorse di un’altra presenza accanto a lei.
    Dawn l’aveva raggiunta e la guardava con sofferenza. Le si avvicinò con il suo stesso fiatone e le prese la mano e se la portò all’altezza del cuore.
    In tacito accordo, le due si abbracciarono mentre un temporale avanzava furioso dal nord.

    Ben fissava le goccioline rincorrersi lungo il vetro. Ne seguiva il percorso con il naso spiaccicato sulla finestra, e si dispiaceva quando una di esse raggiungeva il bordo e scivolava verso la terra. In sottofondo la musica di Frank Sinatra suonava pacata e un odore di frittelle allietava l’olfatto.
    William si era prodigato sui fornelli, indossando tutto il necessario per sembrare un vero cuoco. Nonostante tutti gli sforzi, parecchia farina ricopriva le mattonelle chiare del pavimento e i gusci delle uova giacevano sparsi e frantumati in quasi ogni luogo del piano da lavoro.
    Era pomeriggio inoltrato e siccome Elisabeth si era presa un giorno di libertà, lui aveva fissato pochi appuntamenti e si era dedicato al figlio.
    I momenti che passava con Ben erano i più spensierati, quelli maggiormente genuini. Gli piaceva sentire il suo buon odore di bambino, ascoltare le storie fantastiche che inventava, giocare con lui a nascondino.
    Si sentiva bene, leggermente riposato.
    Il temporale imperversava violento ed era un ottima giornata per stare tappati in casa a mangiare schifezze.
    Dopo essersi abbuffati entrambi senza ritegno, si sedettero sul divano ad ascoltare i tuoni con le luci spente e solo il bagliore dei fulmini ad illuminarli.
    “La mamma non mi avrebbe mai permesso di mangiare frittelle, cioccolata e patatine tutte assieme” disse ad un certo punto Ben con l’ingenuità tipica della sua età.
    “Può darsi… ma perché dici questo?” indagò William, incuriosito di sapere se il figlio ancora si ricordasse qualcosa di Darla.
    “Perché Buffy mi dice sempre di non mangiare troppi dolci che poi mi fa male il pancino… e lei è una mamma. Quindi anche la mia avrebbe detto così” spiegò Ben giocherellando con i bottoni della camicia del padre.
    “Elisabeth non è una mamma, ha due sorelle ma non ha bambini. È ancora molto giovane sai?” gli spiegò nel modo più sincero possibile.
    “Lei mi ha detto che ne ha uno. In cielo, proprio come la mia mamma – Ben si voltò con gli occhi brillanti e innocenti – se Buffy non è una mamma, perché mi vuole tanto bene?”
    William sorrise e gli accarezzò una guancia e poi i capelli, con amore.
    E ripensò a quella ragazza tanto piccola e femminile, e gli parve di sentire il suo aroma fruttato per la stanza.
    Si accorse che le era mancata, quel giovedì. Un solo giorno che non la vedeva e già gli era mancata… presto lo avrebbe legato mente, corpo e cuore a se. Lo sentiva. Lo attirava in maniera non passionale, ma psicologica, emotiva, sensoriale.
    Le piaceva il timbro della sua voce, l’enfasi nel raccontare le cose che le piacevano e l’apatia nell’elencare quelle che disdegnava, il passo veloce dei suoi piccoli piedi, le unghie laccate di smalto chiaro, il neo che aveva all’attaccatura del collo, le vertebre della nuca quando i capelli le si spostavano.
    Dopo Darla, non aveva mai fremuto così. Atteso, sperato, anelato… mai.
    “Ti vuole bene perché sei un bambino eccezionale” gli rispose.
    “Ma anche perché lei è buona” aggiunse Ben quasi a correggere il padre.
    “Vero, è buona e bella. Molto bella” eccome se lo era. In ogni lembo di pelle, con qualsiasi luce, in ogni situazione.
    “Mi ha detto che non ha mai avuto un fidanzato, allora le ho chiesto se voleva sposare me. Mi ha risposto che ci avrebbe pensato, sai? – si fece pensieroso – a me però piace anche Rachel… vabbè, farò la conta per scegliere”
    William sorrise e se lo strinse al petto. Avrebbe voluto anche lui avere la sua semplicità, la voglia di poter scegliere, di tentare.
    Fuori il temporale ancora urlava e squarciava il cielo serale.
    13° CAPITOLO

    3 giugno

    Buffy aveva telefonato al dottor Shelby per fargli presente i miglioramenti di Dawn quel pomeriggio nel bosco, ma aveva altresì disdetto i due appuntamenti del sabato inventando scuse banali. In verità, desiderava solo avere un po’ di tempo per digerire la cosa di Willow e decidere se confidarla al suo terapeuta oppure no.
    Teneva Ben tutti i pomeriggi, ma lo depositava a casa di Cordelia con la scusa che fosse più vicina al suo appartamento. Sentiva nel tono dello psichiatra l’incredulità, ma faceva finta di non accorgersene e continuava a riflettere.
    Dawn ormai la toccava con cognizione di causa, prendendole la mano o appoggiandosi alla sua spalla. Ma continuava a non parlare, a restare chiusa nel suo silenzio.
    Erano le dieci del mattino e Buffy stava riordinando casa. Con addosso il grembiule e i guanti nelle mani, puliva il bagno mentre la radio era accesa a tutto volume. Mentre faceva le faccende evitava di pensare. Voleva solo lavorare e dimenticare per un po’, immaginandosi di essere una moglie in attesa del marito.
    Il telefono squillò costringendola ad interrompere. Rispose sperando che non fosse un’altra indagine di mercato.
    “Signorina Summers?” lo riconobbe subito: era il signor Giles, preside della High School. Un brivido la percorse ricordando Dawn e la sua matita infilata nella mano del compagno.
    “Sono io preside, è accaduto qualcosa?”
    “Niente di grave, si tranquillizzi… volevo solo dirle che la piccola Summers sta meglio. Me ne ero accorto da solo, ma ne ho avuta conferma proprio in questo momento dalla signorina Calendar. Mi ha detto che oggi le ha fatto un cenno di assenso col capo”
    Il cuore di Buffy si rallegrò e un sospiro di sollievo le svuotò il torace compresso dal respiro trattenuto.
    “Ne sono felice, a quanto pare la terapia sta avendo i suoi risultati e per un verso, lo dobbiamo anche a lei, signor Giles. Senza la sua richiesta non avremmo più tentato”
    Dopo essersi salutati, Buffy chiuse la comunicazione e si rimise a pulire, ma un altro squillo la interruppe di nuovo. Non era il telefono, ma il campanello.
    _ chi può essere?_ si chiese alzando il citofono. Nessuno le rispose dall’altro capo.
    Un altro squillo le fece intendere che la persona in questione si trovasse dinanzi alla porta di casa e fosse già salita avendo trovato il portone principale aperto.
    Ebbe paura, immaginandosi un killer venuto ad ucciderla e derubarla. Ma si armò di coraggio e si avvicinò alla porta domandando chi ci fosse.
    “Dottor Shelby” stavolta il suo cuore accelerò, e lo stomaco le si contrasse rumorosamente.
    Le mani cominciarono a sudarle e la gola a seccarsi.
    Cosa voleva? Cosa le avrebbe chiesto? E lei, cosa gli avrebbe risposto?
    Respirando profondamente, girò la chiave e la manopola.
    Se lo trovò di fronte, vestito di freso e col volto rasato. Un buon odore di dopobarba le arrivò al naso e quegli occhi blu oceano le sorrisero accompagnati dalle labbra morbide che si stirarono amichevoli.
    Quell’uomo trasudava dolcezza, sicurezza, calore. Tutto quello che lei voleva, tutto quello che non avrebbe mai avuto.
    “Posso entrare Elisabeth?” le chiese dopo averla fissata per un po’.
    “Certamente” Buffy si riprese e si spostò per farlo passare. William si guardò attorno, sfilandosi la giacca fluidamente e appoggiandola sul braccio piegato.
    “E’ confortevole qui. Si vede che ci vivono tre donne, è ordinato e pulito” constatò con gentilezza.
    “A dire il vero bado io a tutto – fece mente locale sulle buone maniere – si sieda, prego. Vuole un tè?”
    “No grazie – William prese posto sul divano e si rilassò – sono passato solo per vedere come stai e per ricordarti di sabato prossimo”
    “Sabato? Cosa c’è saba… - si riprese diventando rossa come un pomodoro – ah, l’appuntamento!” Buffy ebbe pochi secondi per decidere se confessare, tacere o dire solo una mezza verità. Optò per l’ultima analisi.
    “A dire il vero ho riflettuto molto su questa cosa e credo sia giunto il momento di interrompere le sedute. Willow se ne è accorta e non le piace che io abbia fatto le cose di nascosto. Inoltre sto bene, sono guarita” la ragazza gesticolò in maniera confusa e agitata senza mai guardarlo in faccia. Di certo non era un discorso che aveva provato davanti allo specchio.
    “Dire che sei guarita spetta a me dirlo” la corresse sempre cono tono calmo.
    “Bene, allora lo dica” lo invitò con un gesto della mano.
    “Mi dispiace Elisabeth, ma non posso farlo. A mio giudizio, hai ancora dei disagi con il sesso opposto, limiti che ti renderebbero la vita difficile, comunque”
    Buffy si sentì ribollire il sangue. Come poteva dirle cose del genere con un’aria tanto tranquilla, quasi indifferente?
    Era un demonio, un demonio celatosi dietro le spoglie di un angelo.
    Gli importava di lei? Voleva davvero aiutarla o serviva solo a far tornare a livelli accettabili la sua autostima?
    “Cosa vuole da me?” cercò di trattenere l’ira, sforzandosi.
    “Cosa vuoi che ti risponda?”
    Buffy quasi urlò dalla frustrazione.
    “Accidenti, la smetta coi suoi giochini psicologici! Sono stata violentata, ma non sono stupida! Perché mi tormenta così?” le lacrime premevano, troppo, troppo forti da trattenere.
    Il cuore pulsò dolorosamente sulle tempie, obbligandola a stringere i denti.
    Si sentiva come se… come se lui l’avesse abbandonata. Era ostile, la voleva portare alla limite, se lo sentiva.
    William si alzò e le si mise davanti, scrutandola in maniera indecifrabile.
    “Perché non voglio che tu stia male… - le rispose, poi sospirò mettendosi le mani suoi fianchi – facciamo così. Un ultimo test, poi ti lascerò prendere la decisione che più reputerai saggia, ok?”
    Buffy annuì, sperando che tutto passasse in fretta.
    “Chiudi gli occhi e lasciati guidare dalla mia voce”
    La ragazza obbedì, mentre anche l’ultima goccia di sale cadeva lungo la sua guancia. William ebbe l’istinto di asciugarla, ma si trattenne.
    Era così squisitamente tenera, lì davanti a lui, con le braccia rilasciate lungo i fianci, le labbra socchiuse, il naso arrossato dal precedente pianto.
    Ironia della sorte, lei lo stava allontanando.
    Spazzò via dalla mente tutti i pensieri contrastanti che gli toglievano la professionalità indispensabile in quel momento.
    Poi, continuò.
    “Rilassati e quando ti sentirai vuota da tutto, fai un cenno col capo”
    Dopo un minuto circa, il segnale arrivò.
    “Immaginati la figura di un uomo, adesso – attese, vedendola tendersi impercettibilmente – descrivimelo”
    Buffy indugiò, strofinando le dita fra loro.
    “E’ grasso”
    “Ha la pancia?”
    “Sì”
    “Allunga le mani, Elisabeth” le ordinò deciso.
    “Perché?” gli chiese circospetta.
    “Ti fidi di me?”
    “Sì” ammise a bassa voce.
    “Fallo allora”
    Buffy eseguì, ma incontrò il vuoto, finché le mani di William non fecero presa sui suoi polsi, conducendola al proprio ventre.
    “Cosa senti?”
    “E’… è il suo addome”
    “Ho la pancia?”
    “No, ma…” William la zittì.
    “Continuiamo. Cos’altro vedi?”
    “E’ pelato ed ha pochi capelli unti ai lati”
    Lo psichiatra indirizzò le sue mani sulla sua testa e le fece accarezzare la chioma castana indurita dal gel.
    “I suoi capelli sono … di più, e non sono sporchi, ma puliti, pettinati”
    William provò un brivido nel sentire le sue piccole dita incastrarsi fra i suoi riccioli… e sperò che magari lei un giorno, potesse farlo di sua spontanea volontà.
    “Continua” la esortò spostandola a malincuore.
    “Ha le mani callose, tozze, veloci, inquietanti” stavolta Buffy vacillò. Stava vedendo suo padre, ormai questo era evidente a tutti e due, anche se mano a mano che toccava William, l’immagine cambiava prendendo le sue fattezze.
    Stavolta lui non la guidò; fu lei a trovargli le mani, ad accarezzarle, a giocare con le sue dita, a seguire le linee del palmo, i polpastrelli e la loro morbidezza, con una lentezza quasi sensuale.
    Entrambi sentirono passare il calore, la tensione, il bisogno di stare più vicini. Ma nessuno dei due si mosse di un centimetro.
    “C’è dell’altro?” domandò poi William schiarendosi la gola per non risultare troppo preso da quello che percepiva.
    “Ha molti peli… che si appiccicano alla mia faccia. Li odio”
    Lo psichiatra si sbottonò la camicia, quel tanto perché lei potesse esplorarlo e immediatamente le mani volarono verso di lui, toccarono il suo torace liscio, duro, vibrante e si mossero senza imbarazzo.
    Buffy gli sentì sotto la pelle il battito del cuore, che andava di certo più veloce del normale. Pensò che anche il suo stava andando allo stesso ritmo.
    Senza domanda, gli disse l’ultimo elemento che rimaneva dell’immagine di suo padre.
    “Ha l’alito che puzza di alcool e sputo. Mi dice sempre delle cose orrende”
    William fremette, ma avanzò comunque e la vide avvicinarsi con aria ingenua, pulita.
    Quando il viso di Buffy si trovò a pochi centimetri dal suo, le soffiò gentilmente il suo respiro.
    “Ha mangiato mentine?”
    Lui rise “Sì”
    “Allora posso dire: menta con retrogusto di tabacco” e per dare maggiore enfasi alla sua analisi, accompagnò le parole con un cenno del capo.
    E restò lì. I suoi colori erano più vividi. L’odore più forte. Il calore inebriante.
    I sensi di William si accesero tutti insieme, come benzina buttata sul fuoco.
    Il desiderio, misto ad un sentimento che diventava sempre più profondo, lo avvolse, allontanando la ragione, i pensieri, il buon senso.
    “Posso riaprire gli occhi?” domandò Buffy, ed anche se avrebbe voluto restare in quella posizione per molto tempo ancora, un’inquietudine non la lasciava.
    Ma non poteva cedere, aveva passato egregiamente il test, quindi era libera di non… non incontrarlo più.
    La tristezza di impossessò di lei. Si sentiva così bene al suo fianco… guidata anche solo dalla sua voce, avrebbe potuto valicare le montagne più impervie o viaggiare fra la lava, sicura di uscirne senza neppure una minima bruciatura.
    “Non ancora… - le sfiorò i capelli – sai perché ti ho detto che non sei guarita?”
    Buffy scosse la testa confusa: dove voleva arrivare?
    “Perché il vero malato sono io, Elisabeth… sono malato di te e non posso neppure pensare di non vederti più” quelle parole le centrarono il cuore, stordendola.
    “Cosa…?” continuando a tenere gli occhi chiusi, desiderò solo affogare fra le sue braccia.
    “Ogni sabato mi preparo, aspetto che tu entri dalla porta e mi porti un raggio di sole… vederti mi spinge a vivere per tutta la settimana seguente, fino al sabato successivo. Non hai la minima idea dell’effetto che hai sulle persone, di quello che mi fai” ora le carezze si erano fatte più decise, lungo le guance, sulla testa, fra i riccioli. E lei immobile, a trattenere il fiato, con lo stomaco legato.
    “Posso solo sperare che tu possa non temermi, che tu possa accettare le mie mancanze, le mie imperfezioni… tutto il male che ti hanno fatto ti ha resa splendente, ed io non posso che restare ammaliato dalla tua luce, dalla voglia che mi dai di vivere… ti prego, Elisabeth, non lasciarmi… continuiamo a vederci, a parlare, fidati di me, non lasciarmi…” William chiuse gli occhi anche lui e le si avvicinò.
    “Non riesco a fermarmi… non chiedermelo”
    Era come l’aria, come l’ossigeno, come la vita… doveva assaporarla, berla, averla in se. Il più dolcemente possibile, sotto voce, piano, piano...
    Buffy lo sentì vicinissimo. La stretta lieve delle sue mani lungo le braccia, il suo respiro rapido, ma non brutale. I suoi movimenti saggi, amabili.
    Eppure… eppure ne ebbe timore.
    Quando le sue labbra calde le sfiorarono la bocca, lei sussultò e si sentì tagliare in due. Hank, le urla, il dolore, la violenza, lo sperma, la nausea, il buio…
    “No, no, NO!!” lo spinse il più forte che poté, facendo passi all’indietro e proteggendosi il corpo con le mani.
    William soffrì enormemente, trattenendosi dal piangerle davanti. Non la guardò neppure, avrebbe solo letto nei suoi occhi verdi il disprezzo, il terrore, lo schifo e non li avrebbe potuti sostenere.
    “Mi… mi dispiace Elisabeth” sussurrò.
    “Se ne vada” Buffy avrebbe voluto morire.
    Perché lo faceva soffrire così dopo che le aveva aperto il cuore?
    Non aveva speranze, l’amore non sarebbe mai entrato nella sua vita. Era diventata troppo dura per accoglierlo in sé.
    William si voltò, ma prima di uscire, lei aggiunse.
    “Finirò la settimana con Ben, ma da lunedì deve cercarsi qualcun altro”
    Vide il suo capo annuire, e poi la sua figura ricurva sparire dietro la porta.
    Si accasciò a terra e pianse come mai prima di allora.
    14° CAPITOLO

    6 giugno

    Ben correva lungo il marciapiede facendo impazzire Buffy che gli stava appresso a stento. Quel bambino proprio l’ultimo giorno di lavoro aveva deciso di ucciderla.
    Col fiatone gli urlava di rallentare, ma lui si voltata e le faceva la linguaccia con disprezzo.
    “Cattiva! Cattiva!” e se ne scappava via di volata.
    Alla fine Buffy lo raggiunse e riuscì a fermarlo per un polso.
    “Perché fai così? Potresti farti male!” lo rimproverò seria. Ma a Ben si riempirono gli occhi blu di lacrime.
    “A te che importa? Tanto te ne vai e mi lasci solo… non mi vuoi bene!”
    “Oh tesoro, io ti voglio bene! Te ne voglio tanto e ti giuro che andremo insieme al parco molto spesso, ok?” Buffy lo abbracciò forte e attese un suo sorriso che arrivò raggiante e rasserenato.
    Poi prendendosi per mano si avviarono verso casa di Cordelia, ma proprio dinanzi al cancello di casa O’Neil, il cellulare di Buffy squillò.
    Era Cordelia che la avvisava di trovarsi al pronto soccorso con Angel che aveva avuta un’improvvisa colica renale e che William si trovava sicuramente a casa sua.
    Così, senza spaventare Ben, Buffy lo riprese per mano e insieme si avviarono verso il lato opposto della strada.
    La villetta Shelby era circondata da un piccolo giardino tutto verde, un portico a volte con un dondolo e piante di fiori, e si dislocava in due piani.
    Era bianca con rifiniture giallo chiaro e una bella porta di ciliegio.
    Appariva una bella dimora, confortevole, calda.
    L’auto dello psichiatra era parcheggiata lungo il vialetto che portava al garage, ma dall’esterno non si vedevano luci accese.
    Buffy accompagnò Ben fino al portone. Bussò, suonò, ma nessuno aprì.
    Eppure il dottore doveva trovarsi lì… forse.
    “Papà nasconde le chiavi sotto lo zerbino” confidò Ben a Buffy, che ci provò e ne trovò un paio.
    “Che uomo scontato” rifletté a voce alta, tappandosi subito la bocca.
    I due entrarono: l’ingresso era nella penombra come tutto il resto del piano inferiore. Una leggera luce si intravedeva oltre le scale, ma nessun rumore a far intendere che ci fosse una persona.
    “Vieni, intanto mettiamo l’acqua al fuoco per la cena. Tu se vuoi puoi guardare i cartoni” Ben obbedì e si stese a pancia in giù sul tappeto della sala di fronte alla tv, Buffy si recò in cucina e sistemò alcune cose, ma una tazzina di caffè ancora tiepida le fece sorgere un sospetto.
    William era in casa, ma allora perché non gli aveva aperto?
    Che fosse accaduto qualcosa?
    Si agitò, ma fece lunghi respiri per essere lucida, passò per la sala, disse al bambino che andava di sopra a rifare i letti e che lo doveva aspettare buono buono.
    Salì le scale facendo piano… aveva paura di scoprire qualcosa di orribile. Seguì la luce fioca che proveniva dallo studio e per un attimo si fermò davanti alla porta socchiusa. Bussò appena, chiamando il dottore, ma nessuno rispose.
    Così entrò con le gambe che le tremavano e una profonda angoscia.
    Non lo vide subito, perché la prima cosa che catturò il suo sguardo furono le carte buttate a terra, gli oggetti scaraventati contro il muro, la finestra spalancata e l’odore di birra.
    Infine la testa di William apparve adagiata al muro, reclinata da una parte.
    A quanto pareva, era svenuto e stringeva sulla mano una bottiglia vuota per metà di birra scura.
    Buffy corse verso di lui e gli si accovacciò di lato.
    Gli toccò il viso e lo sentì madido di sudore e forse lacrime. Respirava pesantemente e la camicia era sporca di caffè. Sembrava avesse affrontato tutto l’esercito americano e combattuto fino alla morte.
    Cercò di scuoterlo, di farlo rinvenire, ma William pareva profondamente addormentato.
    Così lo prese per i polsi e lo trascinò fino alla camera da letto. A fatica riuscì a metterlo sul letto, gli tolse le scarpe e lo coprì con una coperta leggera.
    Mentre lo sistemava, si accorse di un foglietto che gli usciva dai pantaloni.
    “Al diavolo la privacy! Se mi sono rotta la spina dorsale per trasportarlo in tutta casa, dovrà pure darmi una spiegazione!” borbottò Buffy scartandolo e mettendosi a leggerne il contenuto.

    < Cara Darla, sai benissimo cosa provo per te, e quale dolore immenso mi dai nel dirmi queste parole. Io ti amo, su questo non c’è dubbio, e sono certo che per te è lo stesso. Capisco le tue paure, i rimorsi, ma tesoro mio, chi si ama come noi due non può sentirsi nel peccato… e sono talmente preso da te, dai ricordi delle nostre nottate insieme, che sono disposto ad aspettare. A farti vivere questa gravidanza da sola. Sappi che se fosse mio, sarei disposto a riconoscerlo, a sposarti, a portarti via con me, dovunque tu voglia. Sarò sempre qui, per una parola, un abbraccio, una carezza, un consiglio. Ti penserò ogni momento della mia vita lontana da te, finché un giorno non ci rincontreremo.
    Devotamente tuo fino alla morte,
    Parker junior >

    Buffy si tappò la bocca dallo stupore. Era una cosa tremenda, devastante. E il volto di William assunse subito un’altra immagine.
    Vittima di un dolore emerso dal passato, che era tornato come a punirlo, a lacerargli un cuore già tagliato in due. E poi lei lo aveva trattato così male, pochi giorni prima… William le aveva detto la verità di quello che sentiva, una verità dolce, colma di buoni sentimenti. E lei lo aveva allontanato per paura… di cosa? Del suo corpo tanto caro e bello? Delle sue braccia amorevoli e sicure? Dei suoi occhi pieni di passione e calore? Delle sue labbra soffici come nuvole?
    _Ah Buffy, hai trovato il vero amore e lo hai scansato solo per colpa di un passato… lo stesso che adesso uccide te, William…_ pensò accarezzandogli con la punta delle dita uno zigomo.
    “Penserò io a te” disse, girandosi e tornando in cucina.
    Ben era tranquillo e gli disse che il suo papà stava facendo un riposino perché non si sentiva bene. Mise al fuoco del tè forte e apparecchiò la tavola; passò per il bagno e prese un asciugamano, il borotalco e una ciotola d’acqua.
    Quando il bollitore fischiò, preparò la tazza col filtro e la depose su un piccolo vassoio con la zuccheriera e un cucchiaino, prese il tutto e tornò al piano superiore.
    William non si era mosso di un millimetro. Buffy appoggiò il tè sul comodino, gli slacciò la camicia e iniziò a pulirgli il torace dal caffè e il viso dal sudore, facendo attenzione a non svegliarlo.
    Ma l’acqua seppur tiepida, lo destò. Socchiuse gli occhi sbattendo le palpebre ripetutamente e si portò una mano alla testa.
    “Ehi” sussurrò Buffy restandogli seduta accanto sul bordo del letto mentre riponeva lo strofinaccio nella bacinella.
    “Dove… sono a letto?” biascicò lui, evidentemente confuso.
    “Ti ho portato qui io. Eri ridotto piuttosto male”
    “Adesso sto bene però” fece per alzarsi, ma una fitta alle tempie lo obbligò a restare disteso.
    “Credo che la sbornia non sia del tutto smaltita. In questi casi ci vorrebbe un triplo caffè amaro, ma ho optato per un tè forte – prese la tazza ancora fumante – ne beviamo un po’, ok?”
    William aprì le labbra e lasciò che lei gli imboccasse pochi cucchiaini con una tale espressione materna che lo commosse.
    “Non mi sono ubriacato… ho bevuto pochi sorsi, ma non era quello di cui avevo bisogno. Sono caduto, ecco perché ho dolore” le spiegò. Non voleva che lei lo vedesse come quel padre violento che le aveva usato violenza sotto l’effetto dell’alcool.
    “Non mi devi spiegazioni” gli rispose secca, alzandosi e rimettendo a posto il tè.
    “Sì che devo – William sui puntò sui gomiti – mi stai dando del tu, e questo significa che hai confidenza con me. Anche io te ne devo. Ho scoperto una verità che mi ha… fatto molto male”
    Buffy si voltò verso di lui e si sentì colpevole di aver sbirciato su cose non sue.
    “Ho letto la lettera e mi dispiace molto, credimi” decise di confessare. La verità era la miglior scelta, in ogni caso. Lo aveva imparato sulla propria pelle.
    William appoggiò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi. Deglutì forte, per non piangere.
    “Perché mi stai aiutando?”
    Buffy rimise apposto tutto e si preparò per tornare al piano inferiore.
    “Non lo so… forse perché per la prima volta ho incontrato qualcuno che sta peggio di me” e senza aggiungere altro, se ne uscì dalla stanza.

    Preparò una cena leggera e mise Ben a tavola, raccontandogli una storia inventata per farlo mangiare in fretta, poi lo accompagnò a infilarsi il pigiama e a lavarsi. Mentre il bambino preparava lo zainetto per l’asilo, Buffy prese una decisione.
    Afferrò il telefono e chiamò Willow, dicendole che quella notte non sarebbe tornata a dormire a casa, ma si sarebbe trattenuta dagli Shelby. Evitando troppe spiegazioni dettagliate e facendo orecchie da mercante alle sue grida, la rassicurò che sarebbe tornata il mattino dopo in tempo per portare Dawn a scuola.
    Così riattaccò e dopo aver baciato Ben per la buonanotte, tornò in camera di William.
    Si avvicinò al suo letto e provò a coprirlo credendo che dormisse, ma lui la sorprese girandosi e fissandola con gli occhi luminosi di pianto.
    “Vorrei solo morire” le confessò, scoppiando in singulti trattenuti a stento.
    Buffy si chinò su di lui e lo accarezzò lentamente.
    “Non servirebbe. Il dolore và vissuto tutto… ma posso restare per alleviartelo”
    “Dici sul serio?” era incredulo, e un lampo di gioia apparve fugace sul cielo triste dei suoi occhi.
    Buffy annuì.
    “Ben dorme già, io riposerò sul divano. Non posso lasciarvi soli. So quanto si sta male a soffrire senza nessuno che ci consoli” si sporse appena e gli baciò la fronte. Restando con le labbra sulla sua pelle calda, mormorò: “Scusa per l’altra sera”
    Spostandosi, tornò ad annegare nel suo sguardo.
    “Ecco perché ti vorrei accanto per sempre. Riesci a donarmi quello che non ho. La spinta, la voglia di farcela”
    “Quella è già in te, ricordi? Me lo hai detto mille volte” gli sorrise, dolcemente.
    “Era una bugia – lei lo guardò storto – o meglio, una mezza verità. Bisogna avere un buon motivo per avanzare”
    “Adesso che lo so, prenderò i tuoi consigli col contagocce... riposa, sono di sotto se hai bisogno”Buffy si alzò, ma William fu rapido e intrecciò le sue dita a quelle di lei, trattenendola.
    “Non posso darti quello che vuoi” gli disse a malincuore. Era necessario mettere le cose in chiaro, affinché nessuno dei due soffrisse ancora.
    “Non sai cosa voglio, ne ciò di cui ho bisogno” la riprese lui con tono sicuro.
    “Vuoi una storia, un amore completo… e sai a cosa mi riferisco” stava alludendo al sesso, alla fisicità. A tutto ciò che ancora la spaventava.
    William negò col capo.
    “Ti sbagli, mi basta questo – e indicò le loro mani unite – le tue piccole attenzioni, un bacio sulla guancia, l’ultimo saluto del giorno. Non ti chiederei mai cose che ti facessero soffrire. Mai.”
    Buffy fece per pensarci, tenendolo sospeso su una risposta. Infine gli sorrise.
    “Posso farlo”

    TBC.....
     
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    15° CAPITOLO

    15 luglio

    Cordelia le aveva telefonato tutta eccitata. Suo fratello Wesley era arrivato da Londra assieme alla moglie e voleva presentarglielo a tutti i costi.
    Buffy si preparò, scegliendo di indossare per la prima volta dopo un’infinità di anni, una gonna nera, modesta, che le coprisse le ginocchia. Vi abbinò una camicetta bianca, si truccò per non apparire una morta vivente, ripromettendosi di andare un giorno al mare prima della fine dell’estate.
    Willow quel pomeriggio lavorava, ma anche se fosse stata libera non le avrebbe accompagnate. Da quella rivelazione durante il pic nic le relazioni fra di loro si erano freddate. Restava la dovuta distanza e un dialogo obbligato che le faceva interagire per sopravvivenza.
    Dawn sorrise mentre Buffy l’aiutava a pettinarsi e le raccontava dell’ultimo periodo con William: uscivano insieme a mangiare un gelato, a passeggiare, a vedere un film al cinema, ma la loro non era una relazione amorosa, quanto una bella amicizia, che aiutava entrambi. Aiutava lei perché le dimostrava di non dover temere gli uomini, aiutava lui perché non lo faceva macerare nel dolore del tradimento che aveva scoperto, mettendo in dubbio persino la sua paternità su Ben.
    Buffy continuava a fargli da baby sitter e si stava affezionando a lui oltre ogni previsione.

    Le due Summers arrivarono a casa O’Neil in orario.
    Cordelia aprì la porta con un sorriso smagliante e una forma perfetta, le fece accomodare e offrì loro pasticcini e del vero tè inglese, regalo importato in quei giorni.
    Parlarono un po’ con Angel mentre attendevano che gli ospiti tornassero dalla passeggiata.
    Dopo neppure dieci minuti il campanello suonò.
    Un uomo alto, vestito elegantemente, con i capelli castani pettinati con cura, piccoli occhiali appoggiati su un naso lineare, occhi piccoli, ma di un azzurro intenso, una barba incolta sinonimo di rilassamento, entrò seguito da una ragazza dalle forme morbide e flessuose.
    Aveva i capelli mori raccolti in una coda bassa, il naso aggraziato, labbra sottili e anche lei portava gli occhiali, ma le due pietre nere che celavano, brillavano di dolcezza e calore, illuminandole il viso. Si intravedeva da un miglio quanto fosse intelligente e innamorata dell’uomo che teneva per mano, gettandogli di tanto in tanto occhiate di devozione.
    “Ed eccoli qua! – esultò Cordelia, evidentemente attaccata al fratello maggiore -
    Questo è Wesley Shelby e lei è Monica, la mia cara cognatina italiana!”
    Buffy strinse la mano ad entrambi e presentò Dawn a sua volta, definendo se stessa la baby sitter di Ben escludendo qualsiasi altro legame che non fosse lavorativo con gli Shelby.
    Il pomeriggio trascorse in allegria. Wesley raccontò del suo lavoro da ispettore in cooperazione niente di meno che con Scotland Yard; Monica, in un inglese perfetto, parlò delle sue ricerche biologiche e del lavoro pomeridiano in una casa editrice.
    “Amo scrivere, mi libera dai miei limiti, mi rende quasi invincibile. Anche se la mia vera passione rimane la biologia, e spero un giorno di diventare una brava biologa. Ovviamente dopo aver sfornato almeno quattro bambini che assomiglino tutti al loro papà!” la sua innata dolcezza si univa in maniera esatta alla determinazione con la quale si poneva.
    Wesley arrossì lievemente, poi guardò la sorella.
    “Ci stiamo provando, a dire il vero” ammise imbarazzato, sorridendo alla moglie con tenerezza.
    “E’ fantastico Wes! A dire il vero anche noi ci diamo da fare, ma non si vede niente di niente” si rabbuiò Cordelia, ma un attimo dopo tornò solare come prima.
    “Comunque direi che riprovare, riprovare e riprovare non è un compito così spiacevole, eh?” ironizzò Angel afferrandola per i fianchi e baciandola scherzoso.
    “Anzi, direi molto gradevole!” ribatté Monica e un lampo di lussuria attraversò i cuoi occhi da cerbiatto.
    Buffy rabbrividì e si alzò, dicendo che aveva bisogno di un bagno.
    Una volta al sicuro, si sedette sul water e sperò solo che William arrivasse il prima possibile.
    Mai come allora si accorse di quanto ne avesse bisogno e di come lui la facesse sentire… sicura.

    Era quasi ora di cena, e di lui e Ben nemmeno l’ombra. Cordelia aveva provato e riprovato a cercarlo al cellulare, ma le aveva dato sempre irraggiungibile.
    L’aria serale era tiepida e meravigliosamente aromatica, e Buffy avrebbe voluto restare lì per molto, ma era tardi. Willow si sarebbe spazientita fuori misura e non voleva altri screzi, a meno che non fossero stati necessari.
    Così si congedò dai presenti, abbracciando Monica con la quale aveva instaurato un buon rapporto, organizzando un’uscita solo loro per l’indomani.
    Come ebbe chiuso dietro di se la porta di casa O’Neil sospingendo la sorella verso il vialetto, sentì i passi piccoli e la voce di Ben venirle incontro.
    Il bambino le saltò al collo, baciandole le guance e raccontandole in un centinaio di parole dette in pochi secondi, il favoloso pomeriggio trascorso col papà al parco.
    “Ha una sorpresa! L’ho convinto io, vedrai che bravo che sono stato!” rise lui, indicando il padre con l’indice.
    Buffy alzò gli occhi e vide William entrare nel giardino, illuminato dai deboli raggi della sera. Camminava eretto, col viso alto e quel dondolio leggero dell’andatura che gli conferiva un’aria molto sensuale. Portava un paio di jeans e una maglietta bianca. Semplice con un odore prettamente maschile che preannunciava il suo arrivo.
    Solo quando si fece più vicino, Buffy si accorse della sorpresa a cui si riferiva Ben.
    I suoi capelli una volta castani, ricci e corposi erano diventati di un giallo spaventosamente elettrico, ed erano lisciati all’indietro.
    Appariva inizialmente eccentrico, tant’è che Buffy si trattenne a stento dal ridergli in faccia, ma più lo guardava e più quella particolarità lo rendeva… unico.
    “Ridi pure, non mi offendo” le disse lui sconsolato, infilandosi le mani in tasca.
    “No, no – Buffy scosse la testa per non risultare maleducata – ti stanno bene, ti fanno un po’ Billy Idol, ma tutto sommato ci si deve solo fare l’abitudine”
    “Non è molto carino come giudizio, ma non è neppure dei peggiori. Quando mio fratello mi vedrà, si sentiranno le urla da casa vostra!”
    Ben ridacchiava, aggrappandosi ai suoi calzoni.
    “E comunque, mi ha convinto lui! – indicò il figlio – gli ho chiesto un parere ed ecco il risultato!” William allargò le braccia mostrandosi, e stavolta pure Dawn sorrise divertita.
    “Non ci posso credere!! – sbottò sorpreso – pure tu ti prendi gioco di me? Piccola briciola perfida!” e iniziò a farle il solletico in maniera molto leggera, felicissimo di quel contatto con la sua giovane paziente.
    Come c’era da aspettarsi con tutta quella confusione, Cordelia e gli altri aprirono la porta e si affacciarono, scoppiando in una fragorosa risata nel vedere i capelli platinati del fratello.
    I commenti e le battutine non furono risparmiate e alla fine Dawn e Buffy si trattennero pure a cena, scatenando – anche se per un ottimo motivo, pensò Buffy – le ire di Willow.

    Era vero: a fianco di William Buffy non temeva i riferimenti sul sesso o le domande intime. Lui le dava sicurezza, lui la difendeva.
    Alla seconda portata, Monica si mise a raccontare la prima volta con Wesley, consumata ai lati di un cimitero dentro un auto minuscola, col cambio puntato sul di dietro e il volante sulla schiena. La situazione spiegata col suo umorismo, fece piegare in due dal ridere tutti i presenti, persino il marito che appariva molto riservato e timido.
    William aveva preso la mano di Buffy, sotto il tavolo, al riparo da occhiate indiscrete, per farle capire che era lì con lei. E lei non gliela aveva lasciata. Fino al dessert.
    “E tu fratellino? Mi sembri meno triste dall’ultima volta che ci siamo incontrati. Amori nuovi all’orizzonte?” gli domandò Wesley addentando una fetta do torta alla frutta.
    “Macché, il nostro Willy è tutto lavoro e casa! - disse Angel ironico, sogghignando – secondo me non si ricorda nemmeno come si fa!”
    Cordelia gli diede una sonora gomitata al fianco, credendo che William si fosse offeso, ma rimase stupita dalla sua risposta serena.
    “Wes ha ragione, ho un amore all’orizzonte ed anche se non è corrisposto, mi rende felice – per una frazione di secondo guardò Buffy seduta al suo fianco, le dita intrecciate a quelle di lei – e poi cos’è la fisicità rispetto alla fiducia, al dialogo, all’intesa?”
    Ci fu un attimo di silenzio e riflessione, che Monica spezzò alzando un calice di vino dopo aver baciato suo marito.
    “All’amore vero!” brindò, e tutti la seguirono tintinnando i bicchieri fra di loro.

    Dawn la stava aspettando lungo il giardino, fissando le stelle su nel cielo. William l’aveva accompagnata al portone. Buffy non gli aveva detto niente dopo il brindisi, evitando i suoi sguardi e slegando la mano dalla sua subito dopo.
    Adesso erano fermi oltre l’uscita, sullo zerbino, entrambi con gli occhi bassi tentando di sostenere la tensione.
    “Ti chiedo scusa se ti ho fatto del male con le mie parole, prima” esordì lui. Odiava quel silenzio fra di loro. Mille volte meglio litigare che non comunicare.
    Buffy scosse la testa.
    “Non è per quello – si corresse – o meglio, è per quello, ma non nel senso che gli dai tu… mi ha fatto soffrire sapere che ti manca qualcosa, qualcosa che non ti posso dare” ammise, fremendo.
    “Forse non hai ascoltato bene, ma ho detto che mi rendi felice”
    “Sì lo dici, ma io sento che…” lui non le fece finire la frase, perché la strinse a se forte, respirando l’aroma dei suoi capelli.
    “E’ perfetto così Elisabeth, non mi manca niente se ci sei tu qui, fra le mie braccia” le sussurrò, commosso. E lei si rilassò, arrendevole.
    “Ci sarò sempre, Will… e chissà, forse un giorno..” un dito sulle labbra la fece bloccare.
    “Credo tu abbia bisogno di una visita a otorino, signorina Summers, perché le ho appena detto che è tutto perfetto”
    Buffy annuì, parzialmente convinta, sorridendogli.
    “Allora buonanotte”
    “Notte a te, mio raggio di sole” le disse slegandosi dall’abbraccio e baciandole il dorso della mano.
    Buffy tornò appena indietro, quel tanto che le permettesse di mettersi in punta di piedi e baciargli la guancia, indugiando sulla sua pelle rasata e profumata di sale.
    Lasciandolo raggiante dinanzi alla porta, prese sua sorella a braccetto e insieme sparirono dietro l’angolo.
    William respirò ancora il suo odore nell’aria, poi rientrò e si trovò gli occhioni scuri di Monica che lo squadravano sospettosi.
    “Dobbiamo fare una lunga chiacchierata, io e te mio bel cognato” le sue intenzioni non erano certo amichevoli. Ormai William la conosceva troppo bene.
    16° CAPITOLO

    15 luglio

    “Non è come pensi” le disse superandola e dirigendosi verso il sottoscala. L’unico posto della casa vuoto. Di certo la chiacchierata si prospettava lunghetta.
    Monica lo guardò con aria circospetta.
    “Dimmelo tu allora com’è”
    “Siamo amici” William sperò vivamente che lei ci credesse, anche se la conosceva troppo bene per credere che mollasse così facilmente.
    Infatti…
    “Certo, intendendo per amici la fiducia, il dialogo e l’intesa…” lei alluse alla discussione avuta durante la cena.
    William fece due passi sul posto, agitato, passandosi una mano fra i capelli platino.
    “Smettila Monica. Dio, sei sempre stata curiosa, ma sono fatti miei, quindi gentilmente lasciami perdere!”
    Lei avanzò, minacciosa, i suoi occhi pungenti e decisi.
    “Non stavolta. Ammetto di ficcare spesso il naso in cose che non mi riguardano, ma credo di dover fare io stasera la psicologa della situazione.”
    William sospirò.
    “Non mi darai tregua, vero?”
    “Mai” ammise sorridendogli perfidamente.
    “Bene – lui allargò le braccia, arreso - allora psicanalizzami”
    Monica scosse la testa, ridendo.
    “No tesoro, su di te non c’è niente da dire” mormorò.
    William sbottò, teso allo spasimo.
    “E allora? Cosa vorresti sviscerare? Un bacio sulla guancia? Il fatto che io sia innamorato di lei e lei neppure mi guardi?” aveva parlato troppo, dannazione. Ma non riusciva più a tenersi dentro quel peso, quell’amore che lo sconvolgeva e lo stava sopraffacendo.
    La ragazza apparve sorpresa e al contempo contrariata.
    “Oddio, siamo arrivati ad essere patetici Will… non ti ricordavo tanto coinvolto da qualcuno. Dopo Darla, ovviamente” Monica l’aveva conosciuta, e le era rimasto impresso il legame speciale che univa quei due. E adesso lo stava vivendo accanto al suo meraviglioso Wes. Sorrise dentro di se a quel pensiero.
    “Non tocchiamo questo argomento” il tono terribilmente triste di William la scosse dalla felicità del suo matrimonio.
    “A cosa ti stai riferendo?” domandò.
    “Basta! Non voglio dirtelo!” le rispose malamente. Con sua cognata gli veniva spontaneo raccontare tutto. Lei era sincera, saggia, intelligente e in genere lo capiva. Ma stavolta, non si trattava solo di lui. Ma di Darla. Del tradimento, di una paternità che forse non gli spettava, di un amore nato senza preavviso, di una ragazza violentata per anni dal padre. La situazione era di certo molto, molto delicata.
    Monica mise le mani avanti.
    “Ok, ok… ma tornando all’incipit del mio terzo grado, quella che ha bisogno di supporto è proprio colei che * tu dici* non ti ama”
    “Lo hai visto anche tu stasera… lei non prova quello che sento io” era strano come l’attenzione di William si focalizzasse solo su quell’ultima parte del discorso di Monica. Il resto, era come se non l’avesse sentito, come se la sua vita dipendesse solo dalla rivelazione di credere, sperare che la sua Elisabeth lo amasse come lui amava lei.
    “Ho visto solo una ragazza molto legata a te che ha problemi col sesso” ecco il vero punto. Il fine a cui lei mirava e che aveva colto con la sua perspicacia.
    “Non è vero” troppo rapida come risposta.
    “Sì che lo è”
    “Non mi scucirai una parola dalla bocca Monica, non è mia abitudine speculare sul dolore degli altri” William per anni aveva difeso il suo lavoro, il tormento di quelle persone che si affidavano a lui.
    “Ehi, ma per chi mi hai presa?” si risentì Monica, scioccata. Aveva esagerato. Lui si fidava di lei e non le aveva detto mai simili cose.
    “Scusa – era davvero dispiaciuto - adesso però ti prego, voglio tornarmene a casa mia e dormire”
    La ragazza gli si accostò maggiormente, per non farlo passare. Doveva arrivare al punto, essere diretta, altrimenti l’avrebbe solo esasperato.
    “Buffy è stata violentata, vero?” più che una domanda, suonava come un’affermazione già appurata che lasciò William stordito.
    “Co-cosa?” la voce gli uscì strozzata. Come poteva aver capito…?
    “Ho fatto centro. Dammi retta, chiudi baracca e burattini e lascia a me il tuo studio” gli consigliò incrociando le braccia e fissandolo soddisfatta.
    “Perché pensi questo di lei?”
    “Prima dimmi se è la verità. Poi ti darò la mia riposta, giurandoti che non racconterei niente a nessuno di quello che mi confidassi” adesso era tornata decisamente seria. William attese, riflettendo. Ma dopo tutti quegli anni passati ad aiutare le persone che rimuovevano il loro problema, capì di non poter mentire ma accettare la cosa.
    “È così - le sue spalle si incurvarono, il respiro si rilassò - Adesso tocca a te” il blu dei suoi occhi si era incupito e la mascella era serrata. Monica annuì e iniziò a parlare.
    “A sedici anni sono stata violentata da un compagno di classe. Ho avuto terrore del sesso e degli uomini per un tempo infinito e ricordo benissimo lo sguardo impaurito, il tremore, l’imbarazzo, il sudore di fronte alle battutine allusive.. proprio come quelle che sono state fatte stasera.” Il silenzio piombò come a suggellare quella confessione lineare, ma permeata di un dolore antico.
    “Mi dispiace Monica, veramente” William le si accostò, prendendola fra le braccia e baciandole una tempia. Monica si lasciò cullare, poi si slegarono e lei asciugò furtivamente una lacrima fuoriuscita dai suoi occhi di mandorla.
    “Che vuoi farci, è la vita! Ed anche gli stronzi che ancora circolano in libertà, pervertiti mentali, a distruggere i sogni di un’adolescente con le loro smanie orgasmiche. Comunque…” la sua forza ricomparve forte e tenacie come sempre.
    Ma adesso lui voleva sapere… voleva di più.
    “Come hai superato i… - non voleva sembrare un insensibile - insomma tu e Wes siete innamorati e focosi”
    Lei gli sorrise fintamente scioccata.
    “Mi sorprendi, William. Sei tu lo psichiatra, toccherebbe a te darmi una risposta”
    “L’amore?” ipotizzò lui, abbassando lo sguardo.
    “E cos’altro?” gli rispose lei con ovvietà.
    “Niente, hai ragione. Cosa dovrei fare?” ora i suoi occhi erano tornati a squadrarla. E ad implorare aiuto.
    “Aspettare, non forzarla, proteggerla, coccolarla.”
    “Non voglio altro, Monica, mi basta questo” era sincero.
    “Per il momento sì, ma più le starai accanto, più l’amerai, più vorrai entrare in lei. In ogni senso”
    “Forse…” sospirò lui, ricordando che già a tratti avrebbe solo voluto toccare un lembo di pelle di Elisabeth per inebriarsi del suo profumo dolce.
    “La passione cammina di fianco all’amore, William” continuò lei, con occhi birichini.
    William le sorrise.
    “Sei molto saggia cognata, lo sai?”
    “Eccome, ed ho moltissimi altri pregi!” per alcuni secondi la tensione si alleggerì, ma William doveva avere altre informazioni. Per usarle a sua volta.
    Al diavolo gli studi di psichiatria e il tirocinio e la gavetta… quando si ama, la testa non ragiona più. E ci si dimentica di tutto che non sia lei.
    “Wes lo sa?”
    Monica annuì.
    “È stata la prima cosa che gli ho detto. Mi ricordo che lui mi guardò senza compassione, ma dolcemente e mi offrì un gelato. L’ho amato da quell’istante esatto – il suo sguardo si ammorbidì e divenne lucido di commozione - e Will, anche lei ti ama, solo che ancora non riesce a distinguere ciò che prova. E’come se avesse i sentimenti centrifugati tutti assieme.”
    Lui sorrise amaramente.
    “Non ne sono sicuro”
    “Domani usciremo insieme” Monica glielo confidò entusiasta.
    “Tu e lei?” domandò accigliato.
    “Mica sarai geloso! Comunque, voglio parlarle. Voglio che lei si confidi con me”
    “Non sperarci, con me è passato un secolo prima che lo facesse”
    “Ma tu sei un uomo – gli fece presente - Io sono come lei. Sono certa che potrò aiutarla”
    William si illuminò tutto, come un bambino il giorno di Natale.
    “Sarebbe meraviglioso e te ne sarei grato a vita”
    Monica arrossì e per riprendersi dall’imbarazzo che metteva troppo a nudo la sua sensibilità, innescò la sua solita aria da dura.
    “Oh smettila, che cavolo! Non sono una santa ne una guaritrice, quindi evita scene melense. Piuttosto, mica conoscerai qualche cura per aumentare la fertilità?” ed eccola ghignare come una pazza maniaca.
    “Dimmi un po’, ma quante volte lo fate?”
    “Al giorno?” gli chiese riflettendoci, senza trattenersi.
    “Cavolo, siete a pieno ritmo, eh?”
    “Non va bene?” si insospettì lei massaggiandosi la mascella riflessiva.
    “Gli spermatozoi si devono concentrare per centrare bene il bersaglio… quindi rallentate, la carica sarà più alta e di conseguenza la probabilità maggiore” le spiegò lui da bravo uomo di medicina.
    “Oh – restò per alcuni secondi con la bocca spalancata - beh, non è una bella notizia, ma sarò brava: non ti farò pagare la parcella per la seduta che abbiamo avuto”
    William la riabbracciò forte.
    “Sei una gran donna, Monica”
    “Lo so… ma anche tu non sei da meno, cognato. Dopotutto, sei il fratello del mio adorato Wes!”



    16 luglio

    L’incontro andò malissimo. I presupposti erano sembrati a Monica favorevoli, ma non appena toccò l’argomento *sesso*, Buffy si chiuse a riccio. Peggio andò quando le raccontò il proprio passato, sperando di metterla a suo agio.
    “Non posso.. non continuare, ti prego” le mormorò Buffy tappandosi le orecchie con le mani.
    “Buffy, io ti capisco! Non difenderti anche da me, ho vissuto quello che hai vissuto tu!” Monica le prese le mani cercando di convincerla e placarla, ma Buffy la scansò violentemente e si alzò di scatto in piedi facendo rovesciare l’acqua tonica. La gente seduta nei tavolini del bar attorno a loro, le fissò sorpresa.
    “Tu non puoi sapere… tu non – la fissò furiosa, intuendo un qualcosa che la scioccò – è stato lui a dirtelo, vero? Che figlio di puttana!” si stava riferendo ovviamente a William. I suoi occhi verdi di sommersero di lacrime rabbiose.
    “No, non è così – ma l’altra si voltò scappando e piangendo – Buffy! Buffy!” Monica si alzò e provò a chiamarla, ma la vide solo scomparire dietro le auto della strada, senza voltarsi neppure una volta.
    Rimettendosi seduta davanti al suo bicchiere di aranciata fredda, scosse la testa tristemente e telefonò a suo cognato riferendogli l’esito dell’incontro. Dopo averlo sentito urlare, imprecare e infine sospirare tristemente, se ne tornò a casa O’Neil dove Wesley la aspettava per la sana prova della carica spermatica giornaliera. A poco le erano servite le spiegazioni di William: lui era uno psichiatra, mica un ginecologo!

    17° CAPITOLO

    20 luglio

    Mare, mare, mare. Ecco cosa voleva Buffy: crogiolarsi al sole fino a farsi venire un mal di testa col botto, per dimenticare il mondo e i suoi abitanti. O meglio, una persona in particolare.
    Lo odiava, lo avrebbe strozzato con le sue stesse mani se poi non avesse dovuto pure seppellire il cadavere e rischiare di venire scoperta!
    William l’aveva tradita. Gli aveva donato il suo cuore, il suo dolore, il passato che non aveva mai confessato, e questo l’aveva portata a litigare pure con la sorella. Aveva cambiato modo di vivere, per lui.
    Ma adesso, niente sarebbe stato come prima. Le aveva confessato di amarla… ma non era vero.
    William era un uomo ed era impazzita se aveva creduto che fosse migliore degli altri. Era approfittatore, subdolo, insensibile, fasullo, e mirava solo a quello. Portarsela a letto, e magari congratularsi con se stesso per aver guarito il caso peggiore capitatogli di fobia da sesso.
    Solo una cosa… solo un corpo senza sentimenti, senza amore…questo lei era. Questo Hank aveva visto in lei, e adesso pure William. Forse alla fine, lo era davvero.
    Gli schiamazzi di Willow e Tara dentro l’acqua le fecero alzare la testa da terra. Giocavano serene tentando di coinvolgere Dawn nei loro schizzi, e questo le fece dimenticare per un po’ il resto. Sua sorella maggiore aveva accettato l’invito e quel pomeriggio pareva tranquilla.
    Ristendendosi, aprì il libro che aveva iniziato e continuò a leggere.

    La gita fu piacevole. Mangiarono panini e bevvero tè fresco, fecero il bagno e parlarono a lungo. La presenza di Tara nel gruppo mediava le conversazioni e rendeva tutto più semplice. Willow in sua presenza era felice e predisposta all’ascolto senza saltare subito a strane conclusioni.
    Dawn rideva e si lasciava coinvolgere dalla giornata sotto il sole, senza parlare ma esternando, seppur a tratti, ciò che provava.
    Tornarono a casa con la pelle scottata, il viso arrossato e una stanchezza da piegarle le gambe.
    Dawn e Willow si misero subito a letto, Buffy che aveva ottenuto il mal di testa che voleva, si preparò del latte tiepido.
    Mentre sorseggiava la sua bevanda lenitiva, il telefono squillò. Controllò l’ora: erano le dici di sera. Chi poteva essere? Forse un’emergenza, forse qualcuno che aveva bisogno di lei. Un brivido la percorse quando pensò a Ben.
    Sollevò così la cornetta, in apprensione.
    Dapprima non riconobbe la voce dei suoi incubi, ma le bastò sentirsi chiamare bambina mia, per tremare come un fuscello sotto una tempesta. Era quel demonio di Hank, suo padre.
    “Stanno bene le mie principessine?” domandò con la voce roca, un po’ impastata. Buffy lo vide materializzarsi davanti ai suo occhi, calvo, sudato, grasso e ubriaco che la squadrava voglioso. Un conato di vomito le bloccò la gola, obbligandola ad aspettare prima di rispondere.
    “Come hai trovato il nostro numero?” fu l’unica cosa che le importasse al momento. Non avrebbe potuto dire altro, dinanzi a lui lei soccombeva sempre. Era debole, spaventosamente fragile.
    “Siete mancate al vostro papà, ma so sempre come trovarvi” disse, evitando evidentemente di rispondere alla domanda. Buffy si strinse la testa: il dolore aumentava in maniera esponenziale.
    “Lasciaci in pace!” tentò di urlare, di sembrare aggressiva, ma invece apparve ancora più indifesa e spaventata.
    “Non ti sono mancato un pochino, Betty?”
    Buffy si accorse di piangere quando le lacrime le raggiunsero la lingua. L’aveva chiamata col nomignolo che usava quando la violentava. Se l’era dimenticato. Ma adesso, pronunciato di nuovo da quella bocca viscida, con quel tono melenso e dolciastro, le fece accapponare la pelle.
    Credette di morire. O meglio, lo sperò.
    “Io non… ti prego, basta.. basta” e i singhiozzi le bloccarono ogni facoltà mentale. Riattaccò e si lasciò cadere a terra, col viso coperto dalle mani e il latte che le si rovesciava addosso.
    Era tornata, seppure per pochi minuti, all’inferno e sentiva che dalle sue spire maledette sarebbe stata catturata prima o poi. Per quanto scappasse, lì sarebbe tornata sempre.

    I giorni seguenti Buffy vagò come uno zombie, mangiava a stento, si era data malata per non stare con Ben e tralasciava le faccende domestiche. Non aveva rivelato la telefonata notturna ricevuta dal padre. Sperava fosse stato un orribile incubo o che lui desistesse dal chiamare, ma quando il telefono squillò di nuovo alle dieci di sera una settimana dopo, capì che era tutto vero.
    Stavolta la sua voce era più lucida, meno languida. Voleva sapere come stessero Dawn e Willow, se gli studi continuavano bene, se la salute era a posto. Poi il tono cambiò, divenne cattivo e cominciò a minacciarla.
    “Mi servono seicento dollari, Betty. Se non me li fai avere, giuro che verrò nella vostra squallida casina e ti fotterò fino a farti sanguinare… ricordi piccola mia che begli incontri abbiamo avuto?”
    Buffy si sentì mordere al cuore e allo stomaco, in contemporanea. Fece un rapido calcolo dei soldi che avevano messo da parte in quegli anni di esodo, e si rese conto che poteva rientrarci. Si fece dare un indirizzo al quale spedire il contante lottando contro il battito forsennato del suo cuore che a tratti le impediva quasi di sentire altro suono. Una volta ottenuto quello che voleva, Hank addolcì nuovamente la sua voce augurandole la buonanotte.
    Correndo in bagno, Buffy aprì la specchiera e cercò fra le medicine i vecchi sonniferi di Dawn. Con le mani tremanti, ne ingurgitò un paio e bevve un sorso d’acqua dalla cannella, poi si distese sopra le lenzuola senza neppure cambiarsi.



    Odiava quel suono. I vicini dovevano trapanare il muro per fare tutto quel rumore. Lo squillo gli rimbombava in testa come se il suo cervello fosse simile alle mura rotonde di una chiesa vecchia. Si strinse le mani attorno alla testa e si tuffò di faccia sul cuscino. Un continuo torpore le appesantiva le palpebre e un lieve fastidio le faceva formicolare entrambe le gambe.
    Il suono continuò, tanto da farla imprecare a voce alta. Tentò di aprire gli occhi affinché potesse capire meglio cosa era quel baccano, ma la vista risultò offuscata. Le sembrava di essere avvolta dalla nebbia e un forte conato la fece sobbalzare sul letto e ripiegare a terra.
    Non vomitò niente, il suo stomaco però si contraeva convulsamente facendole mancare il fiato.
    La voce di William le arrivò lontana, come un balsamo. La stava chiamando, le implorava di aprirgli al porta, di farlo entrare. Era lui che suonava. Lui che la stava cercando. E ne aveva bisogno. Disperatamente.
    Buffy si asciugò le lacrime e il naso con la mano, provò a respirare lentamente, a ritmo, e cercò le forze che al momento l’avevano abbandonata.
    Trascinandosi con i gomiti, le mura attorno a lei giravano vorticosamente, facendole aumentare la nausea.
    Dove erano le sue sorelle? Cosa le stava accadendo? Era la fine quella?
    Sperò almeno di poter abbracciare William, prima.

    Non seppe come, ma ci riuscì. E lo vide, sopra di lei, che la tirava su, fra le sue braccia, che la fissava con occhi spaventati e preoccupati, che le mormorava parole incomprensibili, ma estremamente dolci.
    Come in un film muto, in bianco e nero, con parti tagliate e flash improvvisi, si accorse di trovarsi nuovamente a letto e di tremare di freddo.
    Si girò di scatto e non lo vide più. Il terrore l’assalì.
    Era stato solo un sogno? Solo una visione della sua mente in preda agli ultimi spasmi?
    Ma poi lo rivide entrare ed avanzare verso di lei tenendo in mano un bricco fumante e un bicchiere.
    L’odore del caffé le giunse forte al naso e le fece salire in gola altri conati. Si piegò in avanti e i singulti le squassarono il torace.
    “Sono qui Elisabeth, tranquilla” finalmente poté sentirlo. E percepì anche la sua mano lungo la schiena che la accarezzava con movimenti caldi e circolari.
    La nausea cessò e Buffy si distese nuovamente. Lo guardò, sperando che non sparisse ancora.
    Lui le accarezzò la fronte madida di sudore.
    “Devi bere il caffé – lei fece una smorfia – parecchio caffé, poi vomiteremo tutte le schifezze che ti sei mangiata, ok?”
    Buffy scosse la testa, spaventata. I suoi occhi si sgranarono ed ebbe paura. Voleva solo che lui l’abbracciasse, la cullasse fino alla fine.
    “Elisabeth! – la chiamò, imperioso – farai quello che ti ho detto perché sai quanto ci tengo a te. Non potrei farti mai del male. E di certo meno di quello che tu fai a te stessa”
    Senza aspettare altro, William le sollevò la testa e le fece ingurgitare il caffè amaro, bicchiere dopo bicchiere.
    Arrivato a versarne mezza caraffa, Buffy gli fece segno che stava per rimettere anche l’anima, così lui la prese in braccio e la portò in bagno dove rimasero per una buona mezz’ora.
    Alla fine Buffy era stremata, William invece attento e solerte. Le spostava i capelli dalla fronte, le controllava il polso, le asciugava la bocca e il sudore.
    Quando la vide esanime sul pavimento, la raccolse e la mise sotto la doccia fredda. La spogliò con cura, rimanendo scioccato delle cicatrici di bruciature che aveva sul corpo. Intravide un taglio lungo la coscia, e un altro sotto il seno destro. Soffrì per lei, per il dolore che quella ragazza dolcissima aveva subito per anni.
    Lei lo lasciò fare, senza forze per opporsi. E in fondo, era certa che non le avrebbe fatto male. La poteva aver tradita, raccontando a Monica il suo passato, ma non era un uomo violento. Anzi…
    William non le sfilò né il reggiseno, né gli slip. Si mise sotto il getto dell’acqua pure lui, sfilandosi solo la camicia e le scarpe, poi la insaponò e la risciacquò.
    Quando fu pulita e rinvigorita, sostenendola sotto braccio, la asciugò con il telo e il phon.
    Infine, le fece indossare un pigiama di flanella e la rimise sotto le lenzuola.
    Incrociando le mani sul grembo, le si sedette di fianco al letto, su una sedia e la guardò dormicchiare per un po’.
    “Adesso voglio delle spiegazioni” era arrivato il momento e William aveva un tono di voce per niente amichevole.
    Buffy non affrontò il suo sguardo di rimprovero.
    “Ho preso un tranquillante ieri sera. Non riuscivo a dormire” una mezza verità era meglio di una bugia intera. Forse.
    “Uno solo eh? Credi sia stupido?”
    “Non mi sento bene… scusami” si voltò dalla parte opposta, impallidendo nuovamente.
    “No, non ti scuso. Sono giorni che non ti vedo ne ti sento. Ti cerco al telefono e ti fai negare, poi vengo qui esasperato e ti trovo intossicata da barbiturici. Credi possa scusarti?” era arrabbiato. Forse anche deluso. Anzi, entrambe le cose insieme.
    Buffy non riuscì a trattenersi e lo guardò con disprezzo.
    “Mi hai tradita” gli disse risentita.
    William capì al volo, non c’era bisogno di informazioni dettagliate. Quelle le aveva già avute da Monica.
    “Non gliel’ho detto io, l’ha scoperto da sola. Sai cosa ha passato, quindi capirai che ti possa comprendere. E possa intuire”
    Lei non gli rispose. Il mal di testa stava per tornare. Chiuse gli occhi.
    “Pensi davvero che avrei potuto raccontare di te a qualcuno? Pensi davvero questo di me?” il tono tremolante della sua voce le fece capire quanto stesse soffrendo. Quanto male gli stava facendo?
    “Sei un uomo e questo mi basta” fu fredda, gelida. Non riusciva a smettere. Doveva ferirlo, soprattutto dopo le telefonate di Hank che ancora le rimbombavano in testa.
    “Bene. Ottimo. Proprio quello che volevo sentire”
    “Sei come gli altri, ma non avrai niente. Appartengo solo a me stessa”
    “Sei una… una stronza. Cerchi di allontanarmi, eh? Perfetto, farò quello che vuoi, ma non trovare scuse per non ammettere che vuoi farla finita per la paura che hai di vivere. Sei una codarda e che io sia dannato per averti amata!” si alzò di botto, stringendo i pugni.
    Si mosse per la stanza freneticamente, come a cercare di trattenersi. Buffy sentì quel briciolo di amore sparire dal suo cuore. E si girò per non fargli vedere che piangeva, che voleva solo lui, che ne aveva un disperato bisogno. Per sempre.
    “Cercherò un’altra baby sitter per Ben. Dawn sta migliorando molto, quindi può venire allo studio anche da sola – lei sentì il suo sguardo lungo la schiena e rabbrividì – spero davvero che tu stia bene da sola, Elisabeth. Avrei voluto un finale diverso per noi. Ammesso che sia mai esistito, un noi” prima di uscire le lasciò un foglietto sul comodino.
    Quando Buffy sentì il portone chiudersi, si girò e lo lesse. Era un biglietto di Willow che probabilmente William aveva trovato sopra il tavolo della sala.
    < Dormivi così bene che non abbiamo voluto svegliarti. Porto io Dawn a scuola, ci vediamo a cena. Baci, Willow >
    18° CAPITOLO

    1° agosto

    Ci provava, continuamente, ripetendosi di stare meglio da solo, di essere un uomo affascinante e indipendente, che concentrarsi sul lavoro e su Ben gli avrebbe fatto bene e che tutto sarebbe passato in fretta.
    Spesso trascorreva le notti a fissare il soffitto, con le braccia incrociate sotto la testa, catturato da mille idee e pensieri. Mangiava più poco e si era rimesso a fumare, vizio che aveva abbandonato poco tempo dopo la morte di Darla.
    Il tradimento di sua moglie lo aveva ferito dentro l’anima e l’allontanamento da Elisabeth gli aveva lacerato il cuore.
    Era abbattuto da ogni parte, ma cercava di continuare. A sua sorella Cordelia aveva chiesto di stare vicino alle sorelle Summers, spiegandole che la solitudine non faceva loro bene.
    Quella mattina lui e Ben andarono a fare colazione in casa O’Neil. Li stavano aspettando caffé caldo e cornetti al cioccolato, più centrifughe di frutta e il giornale odierno.
    Il bambino gli aveva chiesto quando sarebbe tornata la sua Buffy, e lui si era limitato a dirgli che non stava bene e che sarebbe rimasto con la zia, per un po’.
    Angel gli aprì la porta con il muso lungo. Non che fosse una cosa strana, ma di mattina lo era.
    “Cosa è successo?” gli chiese William entrando e dirigendosi verso la sala da pranzo.
    “Tua sorella ha fatto il test di gravidanza ed è risultato negativo. Se continua così, sarà una di quelle donne che controlla l’ovulazione e mi fa interrompere il lavoro per fare l’amore – si fece cadere all’indietro sulla sedia – dille qualcosa, qualsiasi cosa per non renderla un mostro assetato di ovuli e sperma, ti prego”
    William trattenne a stento una risata mentre si sedeva accanto a Ben e gli versava il latte sulla tazza già preparata.
    Dopo poco Cordelia arrivò con un viso cupo e triste, sprofondata in una tuta di cotone succhiando un cucchiaino colmo di cioccolata cremosa. Era il segno che la depressione era ad un punto avanzato.
    Angel guardò l’orologio e si alzò, la baciò e si offrì di portare Ben a scuola. In verità, era solo un modo furbesco di sfuggire alle grinfie della moglie e lasciarla nelle mani del cognato psichiatra.
    Così, fratello e sorella rimasero soli, in silenzio per parecchio tempo, affogando entrambi i propri dispiaceri in caffé dolcissimi e abbondanti calorie.
    Finché Cordelia, apparentemente rinvigorita, lo colse sul vivo.
    “Ti sei innamorato di Buffy Summers, vero?” glielo chiese senza guardarlo, e più che un chiarimento sembrava un’affermazione.
    Lui non indugiò, non con lei.
    “Sì”
    “Lei lo sa?”
    “Sì”
    “Ma non ricambia?”
    “Credo sia così, più o meno” non alzò lo sguardo dalla tazzina. La verità, che lui aveva sempre conosciuto, gli pesava come la prima volta.
    Cordelia aspettò qualche minuto, cercando forse il modo migliore per continuare quella discussione delicata.
    “E’ per lei che stai così male?”
    William alzò la testa e la guardò stranito, come a voler intendere che avesse detto un’eresia in piena regola. Ma la barba incolta e le occhiaie parlavano al suo posto.
    Cordelia arcuò il sopracciglio, con ovvietà e lui cedette.
    “In parte. Ma c’è dell’altro e non credo di potermelo tenere ancora dentro”
    Lei puntò i gomiti sulla tavola, sporgendosi in avanti.
    Era entrata in modalità < sorella ascoltatrice > e sarebbe rimasta immobile e zitta fino al termine della confessione.
    “Continua” furono le sue ultime due parole.
    William si pulì la bocca col tovagliolo di carta e le raccontò della lettera che aveva trovato nello studio e che rivelava il tradimento di Darla con un certo Parker junior. E che metteva in dubbio la sua paternità nei confronti di Ben.
    Alla fine, Cordelia scosse la testa come se si svegliasse da un brutto sogno, ma non perse il suo savoir faire.
    Diede un morso ad un biscotto facendo cascare le briciole sul tavolo, poi masticando guardò suo fratello con occhi colmi di decisione e fermezza.
    “Dobbiamo cercarlo e chiedergli spiegazioni. Lo conoscevo, credo che adesso sia andato ad abitare a Los Angeles.”
    William scosse il capo poco convinto.
    “No, non voglio sapere altro di questa storia… mi ha già fatto soffrire parecchio”
    Cordelia allungò il braccio sul tavolo e gli prese la mano.
    “Devi sapere se Ben è figlio tuo,Willy. Lo devi a te stesso, ma soprattutto a lui – un’idea le balenò in testa – potresti chiedere a Wes di aiutarti nelle ricerche. Lo facciamo restare un altro mese, potrebbe accettare… dopo l’aumento in grado, credo possa fare quello che vuole a dire il vero.”
    William le accennò un timido sorriso, non proprio dei più felici. Ragionò sulle sue parole, e capì quanto un dubbio così grande non poteva rimanere irrisolto.
    “E facciamolo và. Glielo chiederò stasera dopo cena”
    Cordelia si appoggiò nuovamente sullo schienale della sedia e sorrise compiaciuta.
    “Ben è figlio tuo, William. Avete gli stessi occhi”
    La colazione terminò con meno tensione e un’aria leggera. Qualche nodo stava per essere sciolto.



    Buffy aveva consegnato il bottino maledetto con estrema attenzione. Tutto era andato per il meglio, Willow non si era accorta di niente e Hank non aveva più telefonato.
    Spesso la sera, sotto le lenzuola di cotone, pensava a William e piangeva sperando di poterlo almeno sognare quella notte. Ma persino desideri tanto semplici non venivano esauditi. Non le era permesso essere felice, neppure in modo fittizio.
    Quel pomeriggio la ragazza si preparò per fare una passeggiata. C’era un bel sole, Dawn pareva di buonumore e il senso di nausea che la stava opprimendo da quella fatidica sera, sembrava aver preso un giorno di ferie.
    Le due sorelle uscirono tenendosi per mano, percorsero una parte di strada principale e poi girarono verso il parco che stava sulla sinistra.
    Il sole arrivava con fatica, trattenuto dalle chiome maestose degli alberi, e i suoi caldi raggi parevano spade di luce, che rendevano l’atmosfera magica, quasi surreale. Il canto degli uccelli era continuo e acuto, ma non dava fastidio anzi, creando un sottofondo delicato come una melodia.
    Il selciato era battuto, l’erba pulita, le panchine verniciate di fresco e l’aroma dei pini con la loro densa resina dilatava beneficamente i polmoni.
    Buffy respirò sorridendo: il verde la rilassava e la natura genuina le rinfrancava lo spirito.
    Diede uno sguardo a Dawn che aveva lo stesso viso rilassato.
    “Ci sediamo un po’?” le chiese e l’altra annuì.
    Da ferme era più facile lasciarsi catturare dalla nostalgia: c’erano molte coppie che camminavano abbracciate, negli occhi la luce dell’amore; bambini che correvano festanti, anziani che avanzavano lentamente sorreggendosi a vicenda, padri che tenevano per mano le loro figlie.
    Un mondo che loro non avrebbero mai avuto, una realtà che non avevano mai vissuto. Sembrava un film che stavano guardando come spettatrici esterne.
    Dawn era tranquilla, si guardava attorno con entusiasmo, finché qualcosa la fece contrarre.
    “Dawnie? Dawnie?” Buffy si accorse all’istante che qualcosa non andava. Le dita della sorella erano tirate, il respiro quasi mozzato, un’espressione di puro terrore dipinta in volto.
    Seguì con gli occhi il punto che stava fissando e notò solo la schiena di un uomo sparire tra la gente.
    Ma la cosa che le fece bloccare il fiato anche a lei, furono i pantaloni color caki, così simili a quelli di Hank. Ed anche l’andatura strisciante gli assomigliava molto.
    Buffy accarezzò la schiena della sorella con movimenti dolci, calmi.
    “Tesoro, ci sono qui io, nessuno ti farà del male” la coccolò, usando la voce tiepida che si usa coi bambini spaventati.
    Dawn la guardò con gli occhioni celesti spalancati. Una luce di fede ad illuminarglieli.
    “Era papà, vero?”
    Lei annuì, mentre il labbro inferiore tremava preannunciando un pianto a dirotto.
    E così, mentre lei cominciava il suo sfogo sopra le ginocchia della sorella, questa preparava le prossima mossa affinché quell’incubo finisse una volta per tutte.
    La seguente fermata era lo studio medico del dottor Shelby.
    19° CAPITOLO

    2 agosto

    Lo stavano aspettando accomodate sulla poltroncina della saletta all’ingresso. Buffy teneva la mano di Dawn stretta fra le sue, infondendole coraggio e sicurezza.
    Davanti a loro la stessa donna del primo giorno sedeva con le lunghe gambe accavallate e l’affilato viso truccato abbondantemente.
    Le dita magre erano colme di anelli d’oro, alla caviglia splendeva una catenina accanto ad un tatuaggio a forma di rosa e indossava un vestitino leggero color lilla, che metteva in risalto i suoi capelli corvini e gli occhi viola.
    Stava leggendo attentamente un giornale scandalistico e ogni tanto spostava una ciocca di capelli che le ricadeva sul volto con un gesto aggraziato.
    La sua eleganza e delicatezza, raffiguravano appieno la ricchezza che doveva passarle fra le mani, così tanto da sentire la scia dell’odore dei soldi quando si muoveva.
    Ad un tratto levò gli occhi e li puntò dritti verso Buffy, sorprendendola a guardarla.
    Le fece un sorriso di convenienza e tornò a concentrarsi nella sua lettura.
    In quell’istante la porta dello studio si aprì e William uscì accompagnando una donna di mezza età. Drusilla scattò subito in piedi, senza abbassare la gonna che le era salita mentre stava seduta, e sfoggiando un sorriso malizioso da gatta morta gli si avvicinò.
    “Carissimo, ha due minuti per me? – gli sfiorò la spalla con le unghie affilate – le pilloline rosa non mi fanno dormire più” la donna si imbronciò, sporgendosi un po’ troppo verso la sua faccia. William la scansò con un mezzo sorriso imbarazzato.
    “Drusilla, adesso ho un altro appuntamento – e con lo sguardo indicò le due ragazze sedute che assistevano alla misera scena di abbordaggio della mora – mi può chiamare fra due ore però. Le darò un appuntamento il prima possibile”
    Drusilla si rattristò, ma gli rimase vicino. Molto vicino.
    “Ma stanotte come farò tutta sola nel mio letto a baldacchino?” l’allusione al sesso era fin troppo chiara.
    “Sono certo che suo marito saprà come intrattenerla” William stupì tutti i presenti, e probabilmente anche se stesso.
    Drusilla restò a bocca aperta per un buon minuto, poi spingendo il petto in avanti come sua abitudine, girò sui tacchi e se ne andò senza neppure un saluto.
    Fu quando la porta le si chiuse dietro, che gli occhi di William si fermarono in quelli di Buffy. E si riempirono di una dolcezza e nostalgia quasi liquida, simile a lacrime trattenute e mai esaurite.
    La ragazza dal canto suo, sentì avvampare le guance e il cuore accelerale: avrebbe voluto solo tuffarsi fra le sue braccia e dimenticarsi del mondo, ma la presenza della sorella al suo fianco la riportò velocemente sulla terra.
    “Vieni briciola, tocca a te” William le porse la mano con un movimento lento e calcolato a non spaventarla. La sua voce era calda e sicura.
    “Vai Dawnie, ti aspetto qui” la esortò Buffy facendole segno di andare.
    Con il silenzio profondo che le apparteneva, la ragazzina entrò nello studio.


    “Allora piccola, oggi faremo un gioco – William le porse un foglio e dei colori – fammi un disegno”
    Dawn lo guardò torva e scosse il capo.
    “Non dirmi che sei una frana a disegno …” ammiccò, prendendola in giro.
    Lei sorrise imbarazzata e afferrò il primo pennarello a caso con un cipiglio deciso.
    E non proprio a caso, si rivelò essere il colore nero.
    Lo scappucciò, attendendo ordini.
    “Descrivimi con un oggetto, un paesaggio o una persona, la tua vita a Los Angeles. Puoi fare la scuola, un’amica, la tua stanza, il tuo peluche preferito. Quello che vuoi tu.”
    A Dawn la cosa parve semplice.
    Mentre si impegnava, l’uomo si alzò dalla sedia e guardò fuori dal finestrone. C’era il sole ed era caldo. Si immaginò i capelli chiari di Buffy in mezzo ad un prato di fiori, lui che le carezzava la nuca mentre le baciava le labbra.
    _Sto benone, perfettamente a mio agio nella solitudine della mia vita_ si ripeté, quando un colpo di tosse lo destò dai suoi pensieri.
    Dawn aveva terminato. Gli porse il foglio soddisfatta del suo lavoro, sperando di poter tornare prima a casa. Ma lo sguardo cupo e attento dello psichiatra le tolse ogni speranza.
    Sedendosi, William ragionò. La piccola Summers aveva raffigurato il muro esterno di un’abitazione – casa o scuola era impossibile dirsi – e proprio dietro l’angolo disegnato, c’era un’ombra scura. Poteva passare per uno scarabocchio o una sbavatura, ma il suo occhio esperto gli fece vedere aldilà.
    “Senti Dawn, sai che sono tuo amico, vero?”
    Lei annuì titubante. Le difese si stavano innalzando, nonostante tutto.
    “Quando ripenso ai dolori della mia vita e vorrei dargli un colore, penso sempre che il più adatto sia il nero. Anche per te è così?” continuò lui.
    La ragazzina annuì di nuovo.
    “bene, allora non sono strano – le sorrise, facendola leggermente rilassare col suo pacato sarcasmo – anche Buffy colora di nero le persone che le hanno fatto male, sai?”
    Allungò una mano sul foglio e indicò lo scarabocchio che si intravedeva dietro il muro.
    “E’ tuo padre?”
    Domanda secca. Che la colpì dritta al cuore facendola piangere come se un colpo di pistola l’avesse trafitta.
    Scossa da singhiozzi, cominciò a scuotere il capo.
    “Dawn? Dawn, io posso far diventare quell’ombra chiara. Non posso cancellarla, ma insieme possiamo farla diventare meno spaventosa.”
    Lei lo guardò per un momento lungo, lasciando che le lacrime le colassero sulla faccia.
    Spostò gli occhi freneticamente dal volto del suo medico al disegno.
    E come una folata di vento, decise di fidarsi.
    Odiava quella figura buia nel suo foglio. Odiava quella presenza minacciosa nei suoi sogni, quella malattia nella sua vita, quei ricordi che le smorzavano la voce.
    Annuì, rispondendo così a tutto.
    “Non te ne pentirai piccola - le sorrise William – adesso, molto lentamente, dobbiamo solo dare un nome ad ogni riga di questo capolavoro, ok?”
    La strada per la cura era imboccata.
    Il tempo li avrebbe aiutati.

    Buffy e Dawn tornarono a casa tenendosi per mano.
    Dopo la visita, la sorella minore era parsa più serena, anche se Buffy vedeva distintamente che aveva pianto.
    Quando lei e William si erano salutati, una profonda malinconia l’aveva invasa.
    Ma quando rientrò a casa e vide un messaggio nella segreteria telefonica, ogni sentimento che non fosse paura, scemò.
    Mandò la sorella in cucina ad accendere il forno e ascoltò il messaggio.
    “Betty, quanto eravate carine tu e la piccola Dawn al parco … credevi non avrei cercato di vedervi? Sei ancora una bambina, eh? La mia piccola, arrendevole bambina … ti richiamerò in settimana. Fatti trovare”
    Un tremito la scosse da capo a piedi.
    Corse in bagno e vomitò.
    Il mondo sembrò crollarle addosso. Non avrebbe retto. Non sarebbe riuscita a vivere adesso che Hank era a Sunnydale.
    Pregò Iddio che non lo incontrasse mai… avrebbe anche potuto ucciderlo.
    Trattenendo i conati a vuoto, tornò in sala e raggiunse sua sorella in cucina dopo aver cancellato il messaggio.
    Cosa doveva fare? A chi chiedere aiuto?
    Rimboccandosi le maniche, si mise a preparare la cena.
    20°CAPITOLO

    10 agosto

    “Sei sicuro sia questa la strada?”
    “Sono io il detective. E stai zitto, che mi deconcentri!”
    Wesley guidava attentamente, con la cartina appoggiata alle gambe, che sbirciava ad ogni incrocio facendo preoccupare William che sedeva al suo fianco.
    Wes era un ottimo poliziotto, ma guidava in maniera davvero pessima. Se si distraeva pure, l’incidente era sicuramente in agguato.
    “Sono giovane per morire” gli disse quando l’altro inchiodò ad un semaforo rosso che non aveva notato.
    “Ma non per leggere una cartina!! È per colpa tua se mi distraggo!” borbottò l’autista rosso in volto.
    “Ehi, non è un delitto se non so leggere tutte quelle linee rosse e verdi!! Sono uno psichiatra, il compito di conoscere le strade spetta a te! Però posso dirti quale trauma infantile ti abbia fatto diventare così timido e impacciato” e ghignò, divertendosi non poco.
    “Il mio unico trauma infantile sei stato tu! – Wesley ripartì sgommando, infuriato di aver accettato quell’incarico da Cordelia – quando sei nato tutti si fermavano ammirati a fissare i tuoi occhi blu! Bleah!”
    “Sono sempre stato sexy, io” ribatté l’altro.
    “Intanto io ho Monica, la mia dolcissima e focosa mogliettina, e tu sei solo … - Wesley si accorse immediatamente della gaffe – oddio scusa Will, sono un cretino” e si voltò a guardarlo sinceramente affranto.
    In quel mentre, un auto davanti si arrestò di colpo e la Mustang grigio perla gli si schiantò addosso, facendo un botto spaventoso.
    Il fumo uscì dal radiatore come una nube densa.
    “Stai bene?” domandò Wes al fratello.
    “Certo! L’auto è tua” rispose l’altro slacciandosi la cintura di sicurezza.
    “Cazzo, Monica mi lascerà in bianco per un mese. È a nome suo questa macchina… ” e così dicendo, Wesley scese dall’auto pronto ad affrontare l’energumeno che guidava il pick up, uscito dal tamponamento indenne.

    Arrivarono nella via che Wesley aveva trovato con le sue ricerche quando il buio era già calato, seduti in un taxi di fortuna.
    Seattle era una cittadina luminosa anche di notte e le sue strade erano pulite e diritte.
    La casa in questione, al numero 15, era circondata da un prato curato e le luci al piano terra erano accese.
    William prese un profondo respiro, indugiando con la mano sulla portiera.
    “Deciditi in fretta se farlo o no, il tassometro corre!” lo esortò Wes.
    “Al diavolo Cordelia e le sue idee pazze sullo scoprire un passato ormai …. passato” borbottò l’altro.
    Il fratello gli toccò una spalla, facendolo voltare per guardarlo in faccia.
    “Non è passato, Will. Ben è il tuo presente, e scoprire chi sia davvero suo padre è un favore che devi a lui, oltre che a te stesso. Quindi psichiatra, affronta il tuo incubo a testa alta”
    I due scesero e attraversarono il vialetto. Raggiunta la porta, lessero sul campanello: < Parker >.
    “Suona tu, è meglio” William si infilò le mani in tasca e guardò per terra. Aveva paura che trovandosi davanti l’uomo che gli aveva strappato anche i ricordi più dolci, avrebbe potuto spaccargli la faccia nel giro di pochi secondi.
    Wesley si aggiustò il bavero della giacca e assunse la sua aria più professionale.
    Premette il campanello e attese ripassando mentalmente le parole più giuste.
    Dopo qualche istante, una donna bionda venne ad aprire la porta indossando un tailleur nero, da sera. Probabilmente stava per uscire.
    “Desiderate?” chiese un po’ circospetta. Assomigliava in maniera disarmante a Darla. Gli stessi occhi di cielo, lo stesso portamento da signora.
    “Sono l’ispettore Shelby e questo è il mio collega. Veniamo da Los Angeles, dipartimento Interno della Finanza. Cerchiamo il Signor J. Junior Parker”
    William si trattenne dall’urlare e sfoderò un sorriso che risultasse convincente.
    La donna si incupì e gli fece spazio per farli entrare.
    “Io e mio marito stavamo per andare ad un gala di beneficenza, ma prego accomodatevi, lo chiamo subito”
    I due vennero accompagnati nel salotto ben arredato, con un gusto particolare per il cristallo e i quadri d’autore.
    Evitarono di sedersi e di parlare fra di loro.
    La tensione era palpabile.
    Un rumore di passi che scendevano le scale, li fece voltare all’unisono.
    Un uomo di mezza età, coi capelli brizzolati, avvolto in un completo grigio antracite con cravatta ricamata ad arabeschi d’oro, entrò lasciando un forte profumo di dopobarba.
    “Il signor Parker?” Wesley si fece avanti, allungando la mano che venne stretta dall’uomo.
    “In persona. Cosa posso fare per voi?” dietro di lui arrivò quasi di seguito la moglie, preoccupata.
    “Dobbiamo farle delle semplici domande, niente per cui agitarsi – gettò un’occhiata in direzione della donna - ma in privato”
    “Kristen, per piacere, lasciaci soli” e la donna, con evidente disappunto, abbandonò la stanza.
    Parker si mise seduto invitando gli ospiti a fare lo stesso.
    “Cosa posso offrirvi?” chiese elegantemente e l’anello d’oro nel suo mignolo, brillò.
    “Che ne dice di una spiegazione?”
    William si intromise di botto, infrangendo i patti che aveva fatto col fratello: avrebbe dovuto tacere fino al suo via.
    Ma la rabbia, il risentimento, erano più forti di tutto.
    Quell’uomo era ricco, facoltoso, distinto … insomma, un Signore.
    Anche se bastardo fino al midollo. E lui inevitabilmente, si sentì un inetto.
    _ecco perché Darla ha preferito lui, a me_ pensò, mentre le lacrime premevano e diventavano ferocia nei suoi occhi di ghiaccio.
    “Mi scusi?”
    “Il mio collega voleva sapere se” Wesley cercò di far cominciare il discorso in maniera più calma, ma il ciclone William era ormai partito.
    Nonostante si fosse appena seduto, balzò in piedi e si avvicinò a Parker fissandolo con rabbia.
    Tutti i suoi discorsi fatti internamente sull’autocontrollo stavano sfumando.
    Le mani gli prudevano, dio quanto gli prudevano …
    “Sono Willam Shelby, il marito di Darla e non negare di essertela portata a letto per anni, figlio di puttana – Wes provò a trattenerlo, ma lo scansò – ho trovato l’ultima lettera che gli hai scritto … - prese fiato e calma – di chi è figlio Ben?”
    Parker dapprima sconvolto, si accigliò ma rimase seduto, nel suo smoking elegante, guardandolo con sufficienza.
    Ridacchiò e scosse la testa.
    “Credo ci sia poco da ridere, Signor Parker – disse Wesley, capendo che non si poteva affrontare il problema in maniera diplomatica – e le consiglio di rispondere prima che mio fratello sia … come dire, impossibile da trattenere”
    L’uomo intuì e divenne serio. Alzò lo sguardo verso il suo rivale e sostenne i suoi occhi di ghiaccio e collera.
    “Le dirò l’unica cosa che non sa, visto che il resto è già stato… scoperto. Ma sappia che ho amato Darla e che lei amava me – William strinse i pugni – sono sterile. Me ne sono accorto dopo essermi sposato con Kristen, quindi …”
    William restò attonito e la rabbia, così come era arrivata, scemò.
    Allentò le mani, il respiro riprese la cadenza regolare e le tempie smisero di battergli furiosamente in testa.
    Il suo piccolo, adorato Ben era figlio suo.
    Darla lo aveva tradito … ma Ben era suo. L’unica cosa reale e certa, ormai.
    Si girò e si allontanò, dirigendosi verso il portone di casa senza aggiungere altro.
    Wesley prima di raggiungerlo, disse:
    “E’ stata la giusta punizione per un errore che ha distrutto i ricordi di un uomo buono come lo è mio fratello” l’ultima cosa che sentì, prima di raggiungere l’altro nell’aria fredda della sera, fu:
    “Gli dica che ancora soffro per lei”
    Dopo pochi minuti i fratelli Shelby erano seduti sul sedile posteriore di un nuovo taxi, diretti a casa.
    In silenzio, ma di certo sollevati.

    Arrivati alla periferia di Sunnydale, William parlò.
    “Per anni, dopo la sua morte, mi sono sentito in colpa. Ho analizzato ogni cosa, tutte le parole dette, le mie mancanze, il mio fallimento come medico e come uomo … ma oggi capisco che la vita non può essere comandata. E neppure l’amore. Non gliene faccio una colpa, né a lei e né a lui. In fondo siamo umani, no?”
    Wesley si accorse solo allora che suo fratello aveva pianto.
    “Sì Will, siamo umani. Ma questo non fa di tutti uomini veri e compassionevoli come te. Sei davvero in gamba, strizza cervelli” gli diede una pacca sulla spalla, in gesto amichevole e gli sorrise.
    “Lo sai che parli pure come tua moglie?” gli fece notare William ghignando.
    Wes si diede uno schiaffo in fronte.
    “Oddio, la macchina!!! Mi ucciderà, lo so… o peggio, mi manderà in bianco”
    “No fratellone, non lo farà. Ti ama troppo”
    “Troverai anche tu qualcuna come lei, fidati”
    “L’ho già trovata, Wes, solo che lei ancora non lo sa”
    Sorridendo a se stesso per aver lasciato il fratello con quel dubbio amletico su chi fosse la donna in questione, William guardò fuori del finestrino.
    Ed il suo pensiero volò alla sua piccola Buffy. L’amava ancora di più, se possibile.
    21° CAPITOLO

    15 agosto

    Le aveva telefonato cinque giorni prima, dandole il luogo e l’orario in cui lei gli avrebbe consegnato trecento dollari.
    Buffy camminò attentamente lungo il parco notturno.
    I giochi di ferro dei bambini erano immobili, come scheletri a riposo. L’aria di agosto sembrava più fredda del dovuto e il vento fischiava fastidioso, smuovendo le chiome degli alberi e facendo tintinnare lugubremente la catena di un’altalena.
    Il cielo si preparava per un temporale, i fulmini si accendevano in lontananza come lampioni e i tuoni arrivavano poco dopo rimbombando debolmente.
    Sunnydale a quell’ora le parve spaventosa. Un brivido di freddo, davvero insolito in estate, le salì lungo la schiena avvolgendole il collo.
    Non voleva vederlo.
    Avrebbe lasciato la busta accanto allo scivolo e avrebbe corso fino a non avere più aria nei polmoni.
    Per un attimo le venne in mente Willow. La banca. Il loro conto quasi prosciugato. Sua sorella se ne sarebbe accorta, prima o poi.
    Cosa le avrebbe detto?
    Non ci pensò.
    Appoggiò la busta a terra e guardò l’orologio al polso. Le nove in punto.
    Si guardò un attimo circospetta e si voltò per andarsene.
    Ma un’ombra, apparve dai cespugli.
    Hank.
    “Betty … - la sua voce era roca, un po’ affannata – brava bambina mia… sei puntuale”
    Buffy gelò. Rimase immobile sentendo solo il proprio respiro accelerare.
    Come si sentiva stupida e incapace… avrebbe dovuto scappare, lontano.
    Ma le gambe, il suo corpo, non avevano stimoli.
    L’uomo tossì e si avvicinò, rimanendo nella penombra.
    “Hai portato tutto?” le chiese.
    Lei annuì, senza fiato.
    “Un giorno ti dirò a cosa mi servono questi soldi piccola mia .. ma adesso lascia che ti abbracci Betty - i suoi passi avanzarono, minacciosi, come colpi d’ascia – vieni bambina, saluta papà”
    Buffy tremò. L’ansia le salì alla testa, facendole offuscare la vista.
    L’odore dell’alcool, i gemiti soffocati di orgasmi animaleschi, lo sperma lungo le sue gambe, il sangue, la morte, i gesti frenetici… tutto le tornò alla mente come spade di fuoco.
    Un conato di vomito la scosse e miracolosamente, le diede il coraggio per scappare.
    Fuggì come se la signora con la falce in persona la stesse rincorrendo.
    Corse, inciampò, si rialzò, barcollò, sudò, ansimò, sempre più forte.
    Le luci dei lampioni le sembravano mani elettriche pronte a fermarla. Le macchine lungo la strada, enormi bestie in procinto di morderla.
    I suoni della città, strilli acuti di rabbia.
    Ebbe paura di impazzire. Voleva solo urlare. Maledire la sua vita e quella di suo padre, uccidersi e ucciderlo.
    Terminare tutto quel dolore… per sempre.
    Nella sua folle corsa non si accorse della voce di un uomo, che la chiamava.
    William stava uscendo da un bar. Aveva fatto tardi e si era fermato a bere un caffè prima di passare da Cordelia e riprendere Ben.
    “Buffy! Buffy!” le urlò dietro, restando a guardarla mentre scappava disperatamente da qualcuno che non la stava inseguendo.
    La vide scomparire lungo la strada, avvolta dal buio. E il suo cuore, perse un battito.
    Era accaduto qualcosa, lo sentiva. Ma come penetrare quel muro d’acciaio che lo aveva respinto più e più volte?
    Come riavvicinarla dopo le parole crude di quel mattino?

    Una settimana dopo, Buffy riprese ad uscire per strada senza il terrore di incappare in suo padre.
    Aveva preso l’abitudine di legarsi i capelli e mettersi un cappellino e occhialini scuri, stile diva holliwoodiana.
    Accompagnava Dawn alle visite, e notava i suoi miglioramenti, davvero rapidi ultimamente.
    Willow e Tara andavano d’amore e d’accordo, e quella sera sarebbero uscite per una cenetta romantica.
    Quando rincasò dopo la spesa, nel tardo pomeriggio, Buffy si sentiva più rilassata. Per dormire ormai erano prassi i sonniferi, ma per il restante tempo se la cavava.
    Con una busta di carta in una mano, e una di plastica nell’altra, girò con difficoltà la chiave nella toppa ed entrò.
    Al centro della sala in piedi, con le braccia conserte, i capelli arruffati e gli occhi accesi, c’era Willow.
    Seduta sul divano, Dawn intrecciava un filo colorato fra le dita.
    “Ehi, non sei pronta per la cena?” le chiese Buffy, sperando in cuor suo che ancora non fosse arrivato il tempo della bufera.
    Willow avanzò e le strappò di mano la spesa.
    “Che cazzo hai fatto coi nostri soldi?” le urlò addosso, camminando velocemente in cucina.
    Buffy la seguì, cercando di inventarsi una qualsiasi scusa.
    “Allora??” la sorella maggiore rovesciò il contenuto della busta sopra la penisola e si voltò a guardarla furiosa.
    “Ho dovuto fare delle spese …”
    “Hai comprato una macchina? O mobili nuovi? Oppure un collier di diamanti? Perché mancano davvero molti soldi!”
    L’aria si fece irrespirabile.
    “Ho … ho fatto beneficenza” ecco la scusa più cretina del secolo. Buffy si morse immediatamente la lingua.
    Willow le si avvicinò velocissima e le strizzò un braccio.
    “Non prendermi in giro, Buff – i suoi occhi ardevano – dimmi che fine hanno fatto più di mille e settecento dollari” e leggendo il suo sguardo interrogato, le spiegò a denti stretti: “ sono passata in banca oggi. Volevo fare un regalo a Tara… mi è preso quasi un colpo… davvero credevi non me ne sarei accorta?”
    “Io… io non lo so” ecco la paura, ecco l’enorme voglia di urlare e scappare.
    “Buffy!!!! Per Dio, cosa hai fatto con quei soldi??”
    Anche Dawn le aveva raggiunte in cucina, insospettita dalle urla.
    Era spaventata e non appena vide Buffy in difficoltà, le si mise accanto abbracciandola.
    “Era il nostro futuro!!! Anni e anni di rinunce, di lavoro!!” continuava Willow, accecata dalla rabbia.
    “Mi spiace … io li ho dati a …”
    “A chi? A quel pezzente di William? A lui??” incalzò.
    “No… io…” Buffy nemmeno si accorse delle lacrime che le stavano entrando nella bocca. Le mancava il fiato e sentiva il gelo sulle guance.
    Dawn si sporse appena in avanti e istintivamente, colpì in faccia la sorella maggiore con uno schiaffo sonoro.
    Willow restò a bocca aperta.
    Il tempo si arrestò per qualche attimo.
    Solo il ticchettio dell’orologio da parete si udì. Nient’altro.
    Poi di colpo, Willow mollò la presa sul braccio di Buffy.
    Voltandosi se ne uscì da casa, senza guardarsi indietro.
    “Oddio Dawn, che cosa ho fatto … oddio … è tutta colpa mia e di quel bastardo …” pianse Buffy, stringendosi forte alla sorellina che teneramente le asciugava le lacrime.
    Restarono in quell’abbraccio per tanto e tanto tempo.
    22° CAPITOLO

    25 agosto

    Cordelia rigirò le bistecche sul barbecue mentre Monica le condiva. Wesley e Angel si crogiolavano al sole sdraiati sulle poltroncine gonfiabili mentre William tirava il frisbee a Ben, colpendo di tanto in tanto, ovviamente nel modo il più casuale possibile, i due belloni semi nudi.
    “Ehi voi due, che ne direste di andare a prendere da bere in frigo?” sbottò Cordelia che odiava sudare per cuocere la carne che nemmeno avrebbe assaggiato.
    Monica si intromise guardando il suo uomo con sguardo innamorato.
    “Poverino il mio Wes, anche se gli rinfaccerò il paraurti della mia Mustang, stanotte gli ho dato filo da torcere… e speriamo sia la volta buona!” le confidò senza riservarsi di parlare a voce bassa.
    “Dillo a me… quasi quasi ci rimetto l’orologio per azzeccare il momento fecondo – le si avvicinò circospetta, bisbigliandole all’orecchio – ma tu come fai?”
    “Ah, io ci do dentro. A tutte le ore e in tutte le posizioni … quel matto di William mi aveva detto di andarci con calma, ma dico io… hai mai visto un uomo più bello e sexy del mio Wes???” gli occhini di Monica brillarono.
    “Punti di vista, cognata. Credo che il mio Angel sia più bello”
    “Ma dico io, hai visto che capelli strani che porta?” ribatté l’altra, salando la carne in maniera spropositata.
    “Parlate male di me?” si intromise William raccogliendo il frisbee che era volato vicino alle due.
    “No Will, i tuoi capelli sono eccentrici, ma ti stanno bene – gli rispose Monica - facevo notare a tua sorella i rovi che ha in testa Angel” e ridacchiò spudoratamente.
    “Altro che rovi!! A forza di intingerli nel gel, sono diventati dei veri e propri cactus!” rincarò l’altro, ghignando.
    Cordelia prese la bottiglietta del ketchup e cominciò a strizzarla addosso ad entrambi, dando il via ad una vera guerra.
    Anche i due stravaccati al sole si dovettero alzare e difendersi tirando quello che gli capitava in mano: creme solari, teli da bagno, ciabattine infradito, palloncini di gomma.
    Nel frattempo Ben si era seduto a terra e contava le formiche che, lentamente, salivano sul tavolino del giardino e si dirigevano solerti verso gli sfilatini di pane fresco.


    “Zietta, cos’è questa cosa gialla qui sopra?” domandò Ben fissando l’hamburger sul piatto con occhi perplessi.
    “Dio William, non dirmi che non gli hai mai fatto assaggiare la senape!” esclamò Monica scioccata.
    “Ben non è abituato a mangiare queste schifezze, lo nutro in maniera sana io!” spiegò l’uomo spostando la salsa con la forchetta da sopra la carne.
    “Ah le gioie della vita!” sospirò Monica, guardando Wes.
    “Almeno io e te ce le gustiamo – fece l’occhiolino al marito – in ogni senso!”
    Cordelia ed Angel colsero l’allusione e ghignarono.
    “Buffy mi ha fatto assaggiare quella rossa un giorno. Sulle patatine” disse il bambino guardando il padre.
    A William si strinse il cuore.
    “Oh beh, piccolo, quello è più buono”
    “E più salutare, eh fratellino?” Cordelia lo guardò complice e lui storse la testa.
    “Almeno quello è fatto con pomodoro concentrato”
    “E ovviamente la nostra Buffy è una dietologa coi fiocchi” aggiunse Monica con fare stranamente troppo spontaneo.
    Gli altri due uomini si scambiarono un’occhiata senza capire il senso di tutto quel discorso, dopodiché il pranzo continuò tranquillo.
    Fino alla frutta, quando il campanello di casa suonò e il suo squillo si udì dal giardino sul retro.
    Angel andò ad aprire e subito dopo tornò inseguendo una Willow decisamente provata.
    La ragazza aveva le occhiaie marcate e i capelli legati in fretta. Indossava una tuta acciaccata e scarpe da ginnastica chiare.
    Doveva aver dormito veramente poco.
    “Devo parlare con te – disse fissando William e aggiuse – subito!” il suo tono era imperioso, ma la voce stanca.
    L’uomo si alzò di scatto intuendo che il motivo doveva essere grave se lei aveva così tanta urgenza di parlargli.
    La sospinse delicatamente con una mano verso l’interno della casa, e lei lo scansò con violenza.
    In sala, entrambi si guardarono, fronteggiandosi.
    “Sei un bastardo!” gli sputò addosso Willow con rabbia.
    “Cosa??” William sgranò gli occhi allibito.
    Che cazzo voleva quella ragazzina?
    “I soldi!! – urlò l’altra – che fine hanno fatto??”
    Lui si strinse la testa.
    “Tu sei completamente pazza”
    “Ti piacerebbe, eh? Un’altra Summers pazza … ma per tua sfortuna, sono terribilmente sana”
    “Sei piombata in questa casa e stai facendo una scenata isterica!! Io non so niente di niente! Non vedo Buffy da giorni… perché è di lei che si sta parlando, vero?”
    “E di chi altre? Da quando ti ha conosciuto non è più mia sorella!”
    “Da quando mi ha conosciuto è stata meglio, ma forse è dura ammettere che una volta tanto non sei stata tu la santona del momento. Ti rode eh?” William era su di giri.
    Si sentiva colmo di rabbia, di energia. Forse perché rivoleva Buffy. Forse perché sentiva che stava per accadere qualcosa di grave.
    Willow lo affrontò alterata a sua volta.
    “Tu non sai niente di noi!!!!” gli urlò in faccia. Una vena sul collo si gonfiò e pulsò.
    “Appunto, quindi non so niente dei tuoi dannati soldi!!!”
    In quel momento, Ben raggiunse il padre tagliando l’aria che si era fatta insostenibile con la sua innocenza. Allargando le braccia, chiese di essere abbracciato e sollevato sul suo petto.
    “Ciao” disse semplicemente alla ragazza davanti a lui “ come ti chiami?”
    Willow lo guardò arcigna, ma la sua maschera cadde dinanzi a quegli occhi puri e celesti.
    “Willow”
    “E’ un nome da streghetta. Sei buona o cattiva?”
    _ I bambini sono la bocca della verità_ pensò William dentro di sé.
    “Al momento sono abbastanza arrabbiata …” rispose lei a denti stretti, fissando torva l’uomo.
    “Con papà?”
    Willow sbuffò. Ma non riusciva a stare zitto quel piccoletto?
    “Ni”
    “Buffy dice sempre che bisogna dire o no o sì. Il ni non va bene”
    Ben lasciò la ragazza a bocca aperta. Per la prima volta Willow si rese conto di quanta importanza sua sorella avesse avuto per quel bambino. Per quello psichiatra. Per Dawn. Per lei stessa.
    La vera capofamiglia era Buffy, non lei.
    Se ne accorse in maniera istantanea, senza provarne sorpresa. Come se lo avesse sempre saputo, come se non c’era niente da scoprire ma fosse tutto palese, alla luce del sole.
    Sorrise dentro se. Che sciocca era stata… non si era fidata. Non le aveva creduto.
    Un’altra volta. Si sentì in colpa. Attanagliata dai ricordi del passato e dall’impossibilità di poterli cancellare.
    “Mi dispiace, io … io” di colpo la sua sicurezza era svanita. Si sentiva piccola, inerme. Triste.
    Dalla sera in cui avevano litigato, lei non era più tornata a casa, ma si era fermata a dormire nell’appartamento di Tara. Non aveva telefonato, non si era informata di come stessero. Rimuginava sulla fine di quei soldi, quel gruzzolo che per lei significava il futuro.
    “E’ tutto a posto Willow, non c’è problema, i malintesi sono normali … anche se il problema non è risolto” William la guardò dolcemente e lei, meccanicamente, si lasciò cadere sul divano con le mani in grembo. E come un fiume in piena, gli raccontò tutto quello che era accaduto mentre Ben si appisolava lentamente fra le braccia del padre.

    Era ormai sera e la notte era caduta su Sunnydale come un manto caldo e stellato. La luna non si vedeva, nascosta da poche nuvole candide.
    William fece dormire a casa di sua sorella il piccolo Ben e, cercando nella sua mente le parole giuste, prese la macchina e si diresse a casa di Buffy.
    Sentiva freddo, una strana agitazione gli chiudeva lo stomaco. Dalle parole di Willow quel pomeriggio, i suoi timori avevano preso maggior consistenza, anche se sperava con tutto il cuore che non fossero reali.
    Arrivò dopo poco e parcheggiò l'auto lungo il marciapiede. Le luci dell'appartamento erano accese. Trasse un profondo respiro e si diresse verso il campanello.
    Qualcosa di terribile stava per accadere, e un intenso brivido gli risalì lungo la schiena.
    CAPITOLO 23°

    Un'ora prima.

    Buffy si era messa ai fornelli, col grembiule cinto ai fianchi e l'intenzione di preparare una ricca cena per lei e sua sorella. Dopo il litigio con Willow, non si erano più sentite e le mancava davvero tanto. Sapeva di avere sbagliato, sapeva di avere paura, sapeva che non c'era via d'uscita, ma la verità era un qualcosa da non ammettere nemmeno a se stessa.
    Willow aveva tutto il diritto di sapere, ma lei non riusciva a trovare le parole giuste per spiegare come poteva aver taciuto la presenza di suo padre in città e i soldi datigli per non subire ancora le sue torture psicologiche.
    Le pentole sbuffavano, un buon odore di pomodoro e pancetta riempiva la stanza propagandosi fin nelle camere da letto.
    Dawn sedeva rilassata sul divano, cercando di mettersi lo smalto color latte alle unghie. Era più serena, sembrava non soffrire della mancanza di Willow e ultimamente fischiettava spesso, soprattutto al mattino.
    Buffy girò il sugo nella pentola, versò la posta e caricò il timer. Aprì il cassetto cercando la tovaglia, la spiegò e quando stava per mettere i piatti sentì il telefono squillare.
    La prima reazione fu di panico, ma scacciò quella sensazione come la paranoia di una pazza. Raggiunse la cornetta, per un attimo si guardò attorno, e rispose. Dalla sala proveniva la musica di un gruppo rock. Dawn stava di certo guardandone il video.
    Il primo suolo che le arrivò all'orecchio dall'altro capo del ricevitore fu un colpo di tosse. Poi un altro, più forte del precedente, e infine un respiro soffocato. Una morsa le serrò lo stomaco e nonostante la voce non avesse parlato, riconobbe a chi apparteneva.
    Suo padre. Era certamente lui. Indecisa se riagganciare o no, cercò di superare i capogiri che già erano sopraggiunti traendo profondi respiri.
    Attese, concentrata.
    “Betty?” quel nome la raggiunse in pieno petto, bucandola.
    Che cosa voleva ancora?
    Soldi? Ricatti? Terrorizzarla?
    Beh, stava riuscendo egregiamente in tutto.
    Buffy non rispose, limitandosi ad ascoltare. Il respiro dell’uomo era simile ad un rantolo. Le rivennero alla mente i gemiti animaleschi schiaffati sulle orecchie mentre lui la prendeva di forza da dietro e …
    “Sono malato. Ho bisogno di medicine. Portamele a questo indirizzo ma non farne parola con willow, altrimenti sai come finisce, vero?”
    Buffy annuì senza emettere suono.
    “Allora? Hai capito?”
    “Sì” la voce le uscì senza controllo. Hank aveva ancora potere su di lei.
    Ma stavolta le cose sarebbero cambiate. Avrebbe posto fine a quel tormento.
    Qualcuno sarebbe morto quella notte. Mai come prima da allora, Buffy lo sentì.

    Dopo mezz’ora si era cambiata, aveva lasciato la cena in tavola ancora fumante e con la borsa a tracolla, era pronta ad uscire.
    Si fermò sulla soglia della cucina, fissando le pareti bianche con uno sguardo mai avuto prima.
    Odio, rabbia, furia. Tutto era racchiuso in quegli occhi piangenti e verdi.
    Una diga potente che aspettava una sola spinta per straripare e sommergere tutto.
    Era forte. Era decisa.
    Buffy spinse il petto in avanti e raggiunse il cassetto delle posate.
    Tirò fuori il coltello più grande, quello che usava per tagliare il pollo.
    Guardò la lama: affilata, lucente, carica di una forza misteriosa e assassina.
    Lo avvolse meccanicamente in un canovaccio di cotone e lo gettò in borsa.
    Poi, a passo deciso, entrò in sala e baciò Dawn sulla fronte.
    “Devo uscire per un’urgenza Dawnie. Farò di tutto per tornare fra due ore, ma se alle undici al massimo non fossi di ritorno, chiama questo numero. È quello di William – vide lo sguardo confuso e spaurito della sorellina – sta tranquilla, piccola, non c’è bisogno che tu parli. Gli apparirà sul cellulare il numero di casa nostra e arriverà subito. Ti lascio anche questa indicazione. Lì mi troverete, ok?”
    Dawn cominciò a piangere e Buffy le carezzò la testa abbracciandola.
    “Devi essere forte, me lo prometti Dawn? – l’altra annuì controvoglia – vado a liberarci tutte. Ti voglio bene tesoro, tantissimo, e tu hai un posto prezioso nel mio cuore. Voglio bene anche a Willow, diglielo se non tornerò. E chiedile scusa da parte mia per tutto”
    Come un razzo, senza nemmeno voltarsi un’ultima volta, Buffy uscì di casa stringendo la borsa con una mano e traendo forza dall’oggetto di metallo nascosto in essa.
    Dawn rimasta sola in casa, lesse il foglietto.
    “Small Street, numero 10”
    Tremando si alzò dal divano e raggiunse la tavola, si sedette e fissò a lungo il piatto di pasta da poco cotta.
    E pianse, perché aveva capito.
    Qualcuno sarebbe morto in quella notte.


    Quaranta minuti dopo. Le nove e dieci minuti del 25 agosto.

    William suonò al campanello, attendendo una risposta.
    Batteva agitato un piede a terra, cercando in contemporanea il pacchetto di sigarette nella giacca di jeans.
    Si maledì per averle dimenticate a casa e fissò agitato il campanello.
    Nessuna risposta.
    Fece alcuni passi indietro, alzò gli occhi e vide le luci accese.
    Riprovò a suonare.
    Niente.
    La sensazione di inquietudine tornò prepotente.
    Perché non rispondevano?
    Poi d’un tratto, la porta si aprì e un ragazzo foruncoloso uscì coi capelli sparati in alto e un giubbotto nuovo di zecca. Si vedeva da un miglio che era una serata da appuntamento, per lui.
    “Oh grazie, ho lasciato le chiavi del portone in casa” gli disse William passandogli in fretta di lato, approfittando di quel colpo di fortuna.
    Salì le scale due a due e in breve si ritrovò davanti alla porta dell’appartamento delle sorelle Summers.
    Bussò con decisione.
    “Buffy? Dawn? Sono io, William, aprite!” si accorse troppo tardi di aver parlato a voce alta.
    Dal lato opposto del pianerottolo, una signora anziana sbirciò fuori dalla porta della sua abitazione.
    William le sorrise per tranquillizzarla e lei sbuffò rincasando con un tonfo.
    Altri colpi. Le nocche gli dolsero.
    “Buffy? Per Dio, apri!!”
    L’agitazione divenne frenesia. Un’ansia terribile.
    Poi dei passi. Piccoli passi e finalmente il viso teso di Dawn apparve.
    “Piccola! Stai bene?” le chiese apprensivo guardando oltre le sue spalle.
    La ragazza scosse il capo.
    “Dov’è Buffy?”gli occhi di William si mossero frenetici e come un folle entrò in casa, veloce, perlustrando ogni camera.
    Nell’aria c’era ancora il dolce profumo della sua donna.
    “Dov’è? Dawn! Dov’è tua sorella?”
    La guardò, in piedi sulla soglia della cucina, in mano un foglio stropicciato.
    “Cos’è?” le domandò e lei, automaticamente, glielo porse.
    E quando lesse, William capì.
    Buffy era andata a farsi giustizia.
    Prese il cellulare e telefonò a Cordelia affidandole la piccola Dawn e, quasi scordandosi di respirare, uscì di casa, raggiunse l’auto e partì sgommando.

    CAPITOLO 24°

    Lo stava fissando e lui fissava lei. Immobili, uno di fronte all’altra, ai due lati estremi di una camera spoglia e maleodorante di periferia.
    La ragazza impugnava un coltello e la lama rifletteva la luce fioca della lampadina che penzolava dal soffitto.
    Il suo piccolo corpo era teso come un pilastro di marmo, le gambe leggermente allargate come a sostenerne meglio la pesantezza.
    Gli occhi di smeraldo lucidi di follia, le labbra serrate, i muscoli rigidi e il cuore che seguiva un battito controllato.
    L’uomo, ricurvo con una mano sul petto, aveva il volto cianotico e la fronte imperlata di sudore freddo. Un rantolo gli fuoriusciva dalla bocca sottile, il suo petto ballava forsennato ad ogni respiro.
    “Credi di poter cancellare tutto così?” gli stava ripetendo da minuti ormai mentre lei non si muoveva, cristallizzata nell’adempimento della sua vendetta.

    Buffy fece un passo in avanti quando un tuono squarciò il cielo notturno di agosto.
    Improvvisamente un vento imperioso si agitò muovendo le imposte della stanza, e lo scroscio del temporale estivo piombò sull’asfalto, creando un sottile fumo di vapore.
    Hank arretrò impercettibilmente.
    “Sono malato. Uccidendomi accelerai solo la mia fine”
    “Un semplice tumore non basta come sconto per quello che mi hai fatto” quelle erano le prime parole che la ragazza pronunciava da quando era entrata.
    “Sei sempre la mia bambina … - lui tossì, ancora – una figlia non può uccidere suo padre”
    “Chi lo dice?” un altro passo, la lama più brillante, il temporale più vicino.
    Adesso la paura lentamente saliva sul viso sudato dell’uomo.
    Hank capì che Buffy era davvero decisa a colpirlo e lui si sentiva troppo debole per potersi difendere.
    Gettò un’occhiata repentina al cassetto del comodino che gli stava di lato. Dentro c’era la sua pistola con due colpi in canna, messa lì per difenderlo dai ladri.

    Un lampo seguito da un tuono vicino fece tremare le sottili mura di carton gesso della stanza.
    Una finestra si aprì e lo stridere di pneumatici sull’asfalto si sovrappose a quello del temporale.
    Hank sgranò gli occhi fissandoli alla porta, Buffy non si mosse lasciando che le gocce di sudore le entrassero in bocca.
    Un colpo.
    Un altro più forte. E poi grida.
    Un nome urlato con ferocia mista a terrore.
    “Buffy! Buffy!”
    William scardinò la porta e la sua figura forte e fradicia di pioggia si stagliò davanti alla luce del lampione alle sue spalle.
    La ragazza sussultò, ma non si voltò.
    “Vattene”
    “Vieni con me” le disse avanzando di un passo il più silenziosamente possibile.
    “Vattene William, non sono cazzi tuoi!” abbaiò lei, stringendo ancora di più il coltello fra la mano.
    “Non servirebbe a niente. Non ti libererai dei tuoi fantasmi così, ma ne creerai degli altri ancora peggiori”
    “Non merita di vivere. Non merita di esistere”
    “Lo so, hai ragione, ma non spetta a noi decidere quando una vita debba essere tolta” William sentì che non era lo psichiatra a parlare, ma l’uomo innamorato.
    Avrebbe voluto prenderla fra le braccia, cullarla, dirle che l’avrebbe protetta lui per sempre. E al contempo avrebbe voluto affondare lui quella lama sul costato di Hank, facendolo gridare di dolore. Perché avesse potuto capire solo una goccia di quello che la sua Buffy aveva patito in tutti quegli anni.
    “Le dica di ragionare, è impazzita!” urlò l’uomo pallido di paura che respirava sempre più a fatica.
    “Brutto foglio di puttana, tu mi hai ridotto così!!” a Buffy si oscurarono gli occhi. Un buio denso le colò sulla visuale e il sangue le bussò forte alle tempie, come a farle esplodere le vene del cervello.
    William intuì, ma nonostante il suo scatto in avanti rapido come un felino, non riuscì a trattenerla.
    Buffy si avventò sul corpo grasso e ricurvo del padre che per proteggersi le afferrò i polsi, ricadendole addosso e schiacciandola col suo peso.
    Il coltello scivolò lungo il pavimento, infilandosi sotto il letto e Hank afferrò il collo della figlia, stringendo con forza fino a farla diventare cianotica.
    William come una furia agguantò l’uomo per le spalle, alzandolo di peso e scaraventandolo a terra.
    I suoi pugni partirono automatici, con una furia tale da far sanguinare immediatamente il naso, gli zigomi dell’uomo sotto di lui.
    “Buffy – colpo – non – colpo – si tocca”

    Il temporale continuava imperterrito. L’aria si tinse del colore del sangue e del suo odore metallico.
    Buffy si mise accucciata con le spalle appoggiate al bordo del letto, assistendo a quella carneficina e come un flash, la sua vita le apparve dinanzi agli occhi.
    Le violenze, le grida, il dolore, l’annichilimento del proprio essere.
    La vendetta sfumò.
    Il perdono le invase l’anima e il pianto sgorgò come un torrente in piena.
    “Basta – sussurrò ingoiando a vuoto - basta, William ti prego, BASTA!!!” l’urlo le uscì dalla bocca con una voce alterata, irriconoscibile.
    William si arrestò e la guardò con il viso ancora stravolto dall’ira.
    Sgranò gli occhi e incontrò i suoi, umidi, brillanti, traboccanti d’amore e sofferenza.
    “Buffy…” mormorò alzandosi e andandole incontro.
    La avvolse con le braccia accovacciandosi e tirandola in piedi, carezzandole i capelli, lisciandole la schiena, mentre l’amava ancora di più.
    “Piccola mia, sei una donna straordinaria ed io ti amo tesoro. Così tanto…” le prese il volto fra le mani guardandole nell’anima. E capì
    Ancor prima che lei parlasse.
    Finalmente l’amore corrisposto placò il suo cuore.
    Buffy lo amava.
    Lo amava.
    In mezzo a tutto quel dolore, alla rabbia, alla vendetta, alla paura.
    Lei lo amava.
    “Tu mi hai cambiata, Will. Tu mi hai dato vita. Speranza. Coraggio” gli si accostò prendendo l’iniziativa per la prima volta e lo baciò leggermente, ma con intensità, mischiando il sapore salino delle sue lacrime con quelle labbra di uomo che sapevano di buono.
    Di giusto.
    Di un completamento nuovo.
    “Ti amo William – ancora un bacio – andiamocene”
    Lui annuì, incerto se ridere o piangere di gioia.
    Le prese la mano e insieme si mossero verso la porta spalancata, ignari di un temporale che non smetteva di infuriare.

    “Sai perché ti scopavo Betty?”
    Il gelo piombò nella stanza. L’aria venne tagliata come da sciabole di morte.
    I battiti di due cuori ritrovati accelerarono.

    William e Buffy si voltarono all’unisono.
    Hank si era rialzato e impugnava una pistola. Il viso tumefatto e sanguinante, il respiro strozzato, gli occhi rossi e il corpo piegato.
    Ansimava e tossiva.
    Un’espressione indecifrabile, un misto di isteria e dolore.
    “Lo sai piccola mia?”
    “Metti giù la pistola” lo intimò William con un tono di voce pacato.
    “Avete paura adesso? Hai paura Buffy? Più di quando mi ti facevo dietro la porta della cucina? Quando ti penetravo con violenza e ti picchiavo? Dimmelo! Hai paura???” Hank urlava e la mano che teneva l’arma tremava.
    Il dito sul grilletto si muoveva senza controllo.
    Bastava un niente per far partire il colpo.
    Un niente e tutto sarebbe finito.
    Un niente…

    “Papà è finita. Lasciaci andare” Buffy si stupì delle sue parole così calme e controllate. Della strana pace mista ad un sottile velo di paura che la possedeva.
    Forse la presenza di William, forse l’aver finalmente compreso che il passato ormai, era davvero passato… forse.
    “Piccola Betty – Hank continuò la sua confessione – ti scopavo perché eri così bella… così pulita, chiara. Ogni volta che venivo in te mi scaricavo della mia rabbia, della mia sporcizia. E tu la accoglievi in silenzio. Eri pura, senza macchia. Il mio angelo ed io il tuo diavolo. Eri dolce… eri… sei una donna. Bella. Buona – l’uomo si accasciò cominciando a piangere tenendo sempre la pistola puntata – Dio cosa ho fatto. Eri mia figlia… SEI mia figlia”
    Esiste la salvezza per il male?
    Può la bestia più feroce della savana diventare un agnello mansueto?
    Può esistere redenzione per il peccatore?
    C’è un ritorno per chiunque, sotto questo cielo?
    Ma soprattutto, si può perdonare tanto dolore?
    L’immagine di quell’uomo semi morente provocò la pietà.
    Che solo due spiriti innamorati possono provare.
    Buffy guardò suo padre. E lo perdonò. In quell’esatto istante, mentre lui ancora impugnava l’arma che le avrebbe potuto strappare la vita.
    Lo perdonò, e strinse maggiormente la mano di William. Che la comprese e annuì.
    “Possiamo ancora rimediare, papà. Puoi ancora salvarmi e salvarti. Lasciami andare e non cercarmi più. Lascia che io viva sul serio, adesso”

    L’uomo alzò il capo e la guardò.
    L’ultima lacrima cadde dai suoi occhi addolciti da un amore che lo stava rigenerando.
    E senza pensarci due volte, abbozzando un sorriso, puntò la pistola alla tempia e premette il grilletto.
    Lo sparo squarciò il tempo e lo spazio. Il sangue schizzò sui muri.
    E l’urlo di una figlia ruppe il cielo.
    Il passato era finito completamente, ormai.
    Finito.

    EPILOGO

    William chiuse il fascicolo.
    < Coraggio, dolore e silenzio. Le sorelle Summers e la loro storia. Come uscire dalla violenza. >
    Lisciò la copertina plastificata con il palmo della mano e guardò le tre ragazze davanti a lui, oltre la scrivania.
    “Bene. E adesso cosa si fa?” domandò Buffy con un nuovo sguardo. Brillante, vivo, sereno.
    Il funerale di Hank era passato da una settimana. Vi avevano partecipato poche persone, parenti sperduti nel mondo che erano venuti solo per un formalismo fuori luogo.
    Willow il giorno dopo aveva deciso di andare a vivere da Tara, per lasciare alle sorelle l’occasione di cavarsele da sole. Sapendo che ce l’avrebbero fatta alla grande.
    Dawn ancora non aveva ripreso l’uso della parola, ma era partecipe a tutto. E sorrideva, abbracciava, sentiva.
    Viveva, finalmente.
    “Direi una bella passeggiata” propose Willow.
    “E anche un gelato!!” esultò Ben, aggrappandosi ai pantaloni del padre mentre saltellava felice.
    “Gelato, passeggiata e parco giochi. Che ne dici piccolo?”
    “Sì papà!!!”

    Cordelia e Angel continuavano a cercare di avere un figlio, come Monica e Wesley ormai tornati a Londra.
    Le due coppie erano l’esempio dell’amore che continuava, che non si arrendeva, che tentava e lottava per quello che voleva.
    Un incoraggiamento a spingersi sempre oltre.
    Perché nell’amore vero non ci sono limiti, ma solo mete da raggiungere assieme, per gioirne e goderne fino alla fine.

    Sotto il sole tiepido di settembre, il gruppo uscì camminando senza fretta, annusando l’odore dolce dell’estate alla fine.
    Pronto ad accogliere l’autunno che sarebbe seguito, e l’inverno che non li avrebbe mai più divisi l’uno dall’altro.
    Buffy si fece avvolgere le spalle dalla presa stretta di William e sorrise a Dawn.
    “Dio mio, è tutto perfetto, non manca niente” esclamò respirando profondamente.
    “A dire il vero, manca ancora qualcosa, ma arriverà da sola, vero Dawnie?”
    La ragazza annuì.
    “Manca una sola parola” aggiunse William esortandola con lo sguardo. Come se sapesse qualcosa che era ignaro alle altre.
    E si fermò, arrestando la passeggiata.
    Willow, Buffy e Ben si fermarono pochi passi più avanti, confuse e interrogate.
    E videro Dawn allargare il torace e prendere un respiro grande come il mondo.
    “Muore la parola
    Appena è pronunciata:
    così qualcuno dice.
    Io invece dico
    Che comincia a vivere
    Proprio in quel momento.
    Emily Dickinson, la mia poetessa preferita”

    Il silenzio della sorpresa iniziale venne rotto da grida di gioia, da lacrime di felicità, da abbracci di affetto e calore.
    Sotto un cielo di settembre, che assiste al dolore, alla morte, alla sofferenza come alla pace, alla serenità e alla vita, le tre sorelle Summers, William lo psichiatra e il piccolo Ben, si strinsero l’uno all’altro, sorridendo ad un futuro sempre ignaro, ma che preannunciava un sole brillante e costante sopra le loro teste.
    “E’ giunta l’ora di mostrarvi il lago che tanto amo. Andiamo” disse William indicando la via che portava verso il bosco, oltre le colline, dove l’acqua era pura e cristallina.
    Dove avrebbero nuotato, giocato, corso e ballato.
    Vivendo.
    Semplicemente.


    Fine
     
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    Che storia appassionante!! E' scritta così bene e i passaggi sono fatti con il giusto ritmo...
    La sto divorando!
    Grande Stefy! *.* Grazie per averla postata!!
     
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    Quando finisci di leggerla, fammelo sapere che inizio a postarne un altra!
    Sono contenta che ti piaccia!!!! :wub:
     
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    L'ho appena finita e mi è piaciuta tantissimo!! Penso che l'autrice abbia trattato questi temi delicatissimi con la giusta dolcezza e sensibilità! E' stata davvero bravissima! Girale i miei complimenti! *.*
     
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    Fatto...Questa è la sua risposta

    "Grazieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee sei davvero un tesoro Stefania! Ringraziala tantissimo da parte mia e dille che è un vero onore essere letta da lei e da tutte le altre! Un bacio grande e ancora grazie non sai il bene che mi fai "
     
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    Ieri notte (fino alle 3!!!) ho letto tutta questa bella storia!!!
    Fai i complimenti alla autrice anche da parte mia, la storia è interessante, specialmente per le tematiche ed il modo dolce e delicato con cui vengono raccontate..
    Ero un po' perplessa per Spike all'inizio ma poi è riuscita a convincermi, di solito io non isolo mai William uomo dallo Spike demone, mi piace fonderli ma devo dire che risulta un buon lavoro!!! L'ho davvero letta tutta d'un fiato!!
     
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    Le Allegre Comari
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    Ma questa storia è stupenda!
    L'ho recuperata con lentezza, al mio solito. Vorrei avere il tempo di leggere tutte le storie, ma molto spesso non ce la faccio ergo le recensioni che arrivano dopo decenni dal postaggio.
    La storia mi è piaciuta molto, sebbene in alcuni punti è molto forzata la caratterizzazione dei personaggi rispetto allo show, e mi riferisco proprio al fatto di usare Spike, Buffy eccetera che in questa versione umana somigliano talora pochissimo ai personaggi dello show. In particolare William, credo, che è troppo bilanciato e saggio per essere Spike. (Non che Spike non sia anche saggio, ma bilanciato direi di no) E c'è la forzatura di dipingere Hank in modo totalmente diverso dallo show, laddove è un padre assente ma normalissimo. Cambia tantissimo la caratterizzazione di Buffy che da eroina diventa vittima.
    Ma lo stile di scrittura è veramente molto bello, fluidissimo, corretto. La narrazione fila che è una bellezza e tutto - anche i momenti più disturbanti - è trattato con grandissima delicatezza e sensibilità.
    In sintesi direi che è una storia che consiglierei di leggere, non perché fedelissima al Buffyverse, ma perché è emozionante e scritta divinamente. L'autrice ha fatto un ottimo lavoro.
     
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