-I'm only human-

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    Tutto perfettamente IC: dall'alcolismo (credo che sia davvero la traduzione migliore, in termini reali, dello sdoppiamento di personalità di Angel. Quello o la psicosi, ma in quel caso non ci sarebbe alcuna possibilità per lui) al rapporto troncato di netto, alla complicità che, comunque, resiste in Buffy e Spike.
    Mi fa impressione chiamarla Elizabeth. ò_ò
    Aspetto un nuovo posticino più succoso, per capire un po' i rapporti tra i personaggi. Dru è meglio che si comincia a mettere l'anima in pace. ù_ù *patpatt*
     
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  2. keiko89
     
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    Ci sono, questo capitolo è complicaterrimo.
    E' diviso in due parti, vi posto la prima che è più corta del solito ma mi serve un po' da introduzione. Tra oggi e domani arriverà anche l'altro.


    Stefy: Grazie :wub: So che brancolate ancora un po' nel buio ma qualche cosa ve l'ho detta su! =) Il nuovo post è piccino ma quello dopo sarà una bella mazzata.



    Cri: Sì, l'alcolismo mi serviva per spiegare la doppia personalità di Liam ed anche per un altro motivo importante.
    Chiamala pure Buffy se vuoi, è il suo nomignolo!




     

    Capitolo quinto


    -parte prima-





    Elizabeth si rigirò, per la quarta volta in dieci minuti, sulla poltroncina di pelle scura adiacente allo studio, controllò l'orario sbuffando, sistemando un ciuffo ribelle che era sfuggito dall'accurato chignon.
    Posando lo sguardo sulle ballerine blu notò una piccola macchia sulla scarpa destra che si premurò di pulire accuratamente. Picchiettando con i piedi sul pregiato parquet tentò di rilassarsi: odiava aspettare. Il fatto che fosse in uno studio legale non la aiutava per niente.
    La tensione scemò quando vide Liam uscire dall'ascensore e dirigersi a passo spedito verso di lei. Osservandolo notò come il suo sguardo sembrava stanco, un filo di barba ricopriva le guance solitamente perfettamente rasate, un'ombra scura sotto gli occhi suggeriva la mancanza di un adeguato riposo.
    Corrugò la fronte pensosa, che fosse successo qualcosa? Mise un freno alla sua curiosità quando l'uomo la invitò a seguirlo dentro l'ufficio e ad accomodarsi sulle comode poltrone di pelle chiara di fronte alla scrivania.
    Aveva sempre pensato che quell'ufficio fosse particolare. Il parquet color mogano faceva da contraltare alle enormi vetrate da cui si aveva una meravigliosa vista della Tour Eiffel, i mobili scuri si contrapponevano ai suppellettili bianchi e alle poltrone dai toni chiari. Uno strano gioco di luci ed ombre catturava l'attenzione, sensazione acuita dai grandi quadri che ornavano le pareti: anch'essi bianchi e neri ma tutti contraddistinti da spruzzi e macchie di rosso scuro. L'enorme libreria, che occupava un'intera parete, traboccava di libri di diritto, codici civili e penali, riviste specializzate, manuali ed articoli. Sull'angolo sinistro una fontanella giapponese in bamboo conciliava l'atmosfera, accanto ad essa su un tavolino di vetro una raccolta di fotografie, tra cui spiccavano quelle di William e Drusilla. Una chaise lounge bordeaux era rivolta verso le grandi finestre, a fianco, su un basso tavolino, diverse candele ed un libro aperto. Sulla parete retrostante alla scrivania una gigantografia del Guernica.
    Elizabeth riportò l'attenzione sull'uomo, intento a digitare qualcosa sulla tastiera. Liam sollevò il capo incrociando il suo sguardo, sorridendole bonariamente.
    - “Scusa per il ritardo” - iniziò, rassicurato dal sorriso della ragazza proseguì - “la prossima settimana ci sarà l'udienza, Elizabeth.” - fece una pausa - “Sarai chiamata a testimoniare.” -
    - “Sono pronta” - fu la replica sicura della ragazza - “Sono anni che aspetto questo momento. Quel vigliacco...” - strinse le labbra frenando il commento.
    Liam la fissava attento.
    - “Il giudice tenterà di metterti in difficoltà, come sai sono anni ormai che il processo va avanti... devi cercare di stare calma, rispondi esattamente a ciò che ti viene chiesto, non divagare, non dargli la possibilità di appigliarsi a nessun cavillo... al resto ci penserò io.” - concluse calmo - “Gli faremo il culo, stavolta” - ghignò.
    Elizabeth annuì, parzialmente rassicurata, afferrando la cartelletta che lui le porgeva.
    Si congedò dal suo avvocato non prima di essersi informata sulle sue condizioni fisiche: Liam era stato abbastanza evasivo, si era solo lasciato scappare qualche notizia su Drusilla e su una nuova ricaduta della ragazza.



    Elizabeth rientrò a casa, accolta dal mero ticchettio dell'orologio a muro. Aveva scritto a Faith, comunicandole che oggi non sarebbe andata in ufficio, ricevendo solo uno squillo come risposta.
    Sospirò pesantemente, dopo l'ultimo litigio “causa William” la tensione tra loro era palpabile. La ragazza non le rivolgeva praticamente parola, tranne quando era strettamente necessario.
    Faith aveva l'innata capacità di tirare fuori il peggio di lei, di farle oltrepassare il limite. Aveva capito che la mora voleva solo che le parlasse, che si sfogasse tirando fuori ciò che la stava opprimendo da settimane ma aveva spinto troppo. Aveva toccato i tasti sbagliati e lei non ci aveva più visto.
    Conosceva il motivo del suo distacco, quella sua uscita infelice aveva ferito Faith più di quanto la mora volesse ammettere.
    Non che potesse biasimarla. Faith aveva avuto un'infanzia disastrosa, non conosceva il padre e la madre aveva perso il lavoro tre anni dopo la sua nascita, si era data all'alcol e alla vita promiscua. Faith era stata presa in cura dagli assistenti sociali che l'avevano chiusa in orfanotrofio. A causa del suo carattere ribelle e della sua parlantina spigliata aveva cambiato diverse famiglie ma nessuna, alla fine, era stata disposta ad adottarla. A diciotto anni era scappata grazie all'aiuto di ragazzo che aveva conosciuto all'interno della casa famiglia. Senza soldi, né casa, né lavoro i due avevano vagato per i sobborghi di Parigi, facendo dei lavoretti saltuari e vivendo alla giornata.
    Faith aveva lavorato come ballerina in un night, rischiando di finire in un brutto giro di prostituzione e droga. L'intervento di Giles era stato provvidenziale. Nessuno dei due aveva mai parlato molto di come fossero andate le cose, né di come si fossero conosciuti, l'unica cosa chiara era che l'uomo si era preso cura della giovane e l'aveva aiutata a trovare un lavoro dignitoso. Dapprima aveva collaborato con lui nella gestione della libreria, poi aveva iniziato a lavorare come barista ed infine aveva conosciuto Joyce, che l'aveva presa subito sotto la sua ala protettiva.
    Faith amava Joyce, solo con lei riusciva ad aprirsi e a raccontare gli episodi di un passato tanto duro e crudo. Adorava chiacchierare con lei, aiutarla nelle faccende domestiche o anche solo guardare un film insieme. Il suo rapporto con Elizabeth, invece, non era dei migliori. La mora non nascondeva la sua gelosia nei confronti della bionda e il desiderio di tenere Joyce tutta per sé; di lei si poteva fidare, si sentiva sicura, protetta come mai prima sino ad allora.
    Dopo la morte di Joyce le due ragazze si erano avvicinate, Faith aveva sofferto quanto Elizabeth per la perdita. Era come se in un attimo le fosse stata strappata di nuovo la madre e che quel mondo caldo ed ovattato in cui aveva vissuto per pochi anni le fosse stato tolto nuovamente, senza che lei potesse muovere un dito.
    Elizabeth sapeva quanto Faith fosse fragile, quanto il suo passato l'avesse segnata e quanto fosse restia a farsi avvicinare realmente da qualcuno. Ma si erano state accanto, nei momenti più difficili Faith era stata sempre presente, magari non direttamente ma con mille piccole attenzioni: una tazza di cioccolata calda pronta sul tavolo, un mazzo di fiori sulla tomba di Joyce, un giornale di moda posato accanto alla tastiera in ufficio.
    Elizabeth ricacciò le lacrime in gola, sentendosi vuota e sola, stava facendo del male a tutti quanti.
    Dirigendosi verso il bagno per una doccia calda prese una decisione: domani sarebbe passata dal cinese all'angolo della strada, avrebbe preso una quantità esorbitante di riso alla cantonese ed involtini primavera e avrebbe offerto il tutto a Faith come segno di pace. Sperava davvero che la ragazza potesse perdonarle quella frase.
     
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    Ancora non sappiamo nullalsgjldsjgldskg
    a+èk
    et+èkew
    +tkèaw

    *mord*

    Okay, sappiamo di più su Faith e trovo che tu abbia fatto un lavoro fantastico nel riportare tutto in IC.
    Voglio William. Voglio l'altro pezzo del capitolo.
    Buffy la chiamo Buffy. ù_ù


    Give me moreh! *C*
     
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  4. keiko89
     
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    Scusate il ritardo, avevo detto che avrei postato subito dopo ed invece le cose sono andate molto per le lunghe.

    Dato che questa seconda parte stava diventando chilometrica ho preferito tagliarla, darvi la maggior parte delle spiegazioni qui e lasciare Buffy e Spike al prossimo capitolo.
    E' stato complicato scrivere questo pezzo, spero di aver fatto un buon lavoro.


    Cri: Grazie :wub: Avevo paura che il rapporto Buffy/Faith vi sembrasse terribilmente OOC ma ho preferito una Faith un po' più adulta, odio quella delle prime stagioni.
    Ti è piaciuto lo studio di Liam? *w*




     

    Capitolo quinto


    -parte seconda-




    Elizabeth avvolse l'accappatoio attorno al corpo, frizionando i capelli con un asciugamano chiaro. Adorava sentire la morbidezza della spugna sulla pelle, il profumo delicato del borotalco che aleggiava nell'aria, il sentore di mango tra i capelli. Delicatamente massaggiò il viso con una crema idratante: il freddo ormai era alla porte e la pelle necessitava di piccole coccole quotidiane.
    Indossò i pantaloni neri da ginnastica ed un maglioncino azzurro a collo alto e si diresse verso il salotto. Lì, accanto al portacd arancione, aveva posato la cartelletta che le aveva dato Liam. La rigirò fra le mani, decidendo di farsi un tè per rilassarsi.
    Distesa sul piccolo divano di fronte alla tv, la tazza fumante appoggiata sul tavolino accanto ad un piattino con dei biscotti al cioccolato, Elizabeth estrasse con cura i documenti.
    Strinse le labbra e serrò gli occhi. Un'ondata di ricordi la travolse.
    La vecchia casa, immacolata e bianca, con il grande porticato ricoperto d'edera, le enormi scalinate di marmo algido, il salotto e la biblioteca piena di libri d'ogni genere, la camera da letto color rosa e crema traboccante di peluches.
    La casa dei sogni, splendida ed elegante all'apparenza ma fredda e vuota al suo interno.
    Erano anni che non vi metteva più piede. Era la villa di Hank, come ci teneva a sottolineare lui.
    Hank.
    Aveva passato l'infanzia a cercare la sua approvazione, il suo affetto. Lui le aveva sempre negato anche un semplice sorriso, una parola gentile. Nulla di ciò che faceva sembrava incontrare la sua benevolenza.
    La realtà era che Hank non la voleva. Non l'aveva mai voluta.
    Lui e Joyce si erano conosciuti durante un incontro combinato dalle loro famiglie. Hank era il rampollo di una potente famiglia aristocratica parigina, figlio unico ed erede dell'impero paterno, era un giovane scapestrato senza alcuna intenzione di mettere la testa apposto.
    Louis Montgomery III si era presto stancato della vita dissoluta del figlio e gli aveva imposto un ultimatum: Hank avrebbe dovuto cercar moglie, una giovane illibata, che si sarebbe consacrata alla famiglia in modo da garantire una discendenza alla casata oppure lo avrebbe cacciato di casa, tagliandogli i viveri e disponendo come suo erede il nipote, Henri.
    Hank era stato costretto ad accettare, dipendente economicamente in tutto e per tutto dal genitore e con nessuna intenzione di lavorare, aveva acconsentito alle richieste del padre.
    Fu così che conobbe Joyce, una giovane inglese trasferitasi in Francia dieci anni dopo essere nata. La sua famiglia stava attraversando un periodo buio e tormentato: il padre aveva dilapidato l'intero patrimonio finanziario giocando a poker ed ora necessitava di un matrimonio riparatore per rimettere in sesto le finanze.
    I due giovani parvero piacersi al primo incontro, convolando a nozze dopo solo cinque mesi.
    Ma la favola non durò a lungo. Se da un lato Hank aveva rispettato il volere del padre, dall'altro non era assolutamente intenzionato ad abbandonare le proprie inclinazioni e i propri vizi.
    La situazione si aggravò ulteriormente quando Joyce finalmente rimase incinta. Le attese della famiglia vennero tradite quando si seppe il sesso del nascituro: una bambina.
    Hank sembrava impazzito, l'aveva accusata di averlo fatto intenzionalmente, di non volergli donare un maschio come vendetta verso le sue scappatelle.
    Le aveva detto, o meglio dire ordinato, di abortire prima che Louis ne venisse a conoscenza.
    Joyce non si era lasciata intimorire dalle minacce. Mai avrebbe ucciso la sua bambina. Aveva portato avanti la gravidanza nell'indifferenza più totale del marito e nel malcelato disappunto del suocero.
    La nascita di Elizabeth fu accolta nella più totale freddezza, aumentando il gelo e i contrasti fra i due coniugi.
    Hank trascorreva sempre meno tempo a casa, trastullandosi tra donne e viaggi fuori porta, abbandonando completamente la moglie e contravvenendo ai suoi doveri coniugali.
    La sua presenza si limitava ai pranzi di famiglia, alle serata di gala o alle uscite pubbliche. La facciata doveva essere mantenuta. Sempre.
    Joyce, però, stava diventando sempre più insofferente. Il fatto di non avere un lavoro e che il contratto prematrimoniale le imponesse di occuparsi esclusivamente della casa rendeva la sua vita monotona e priva di prospettive. Ma non poteva ribellarsi, non ancora almeno. I suoi genitori si erano parzialmente rialzati dal baratro in cui erano caduti ma sarebbe bastata una solo parola di Louis perché si ritrovassero nel bel mezzo di una strada.
    E lei non poteva permetterlo.
    Per questo manteneva le apparenze, comportandosi da moglie devota, spalleggiando il marito durante gli eventi mondani e stampandosi in viso un sorriso di circostanza.
    L'unica sua fonte di felicità era la piccola Elizabeth che cresceva a vista d'occhio. Quel piccolo batuffolino biondo dagli occhioni verdi sapeva sempre strapparle un sorriso, le dava la forza per sopportare quella vita infelice che le incombeva sulla testa come una scure in attesa della vittima predestinata.
    Ma la situazione peggiorò irreversibilmente alla morte di Louis, quando Hank dovette succedere al padre nelle direzione dell'azienda di famiglia e prendersi, finalmente, le proprie responsabilità.
    Le liti erano all'ordine del giorno, il semplice convivere nella villa, per quanto fosse enorme, era diventato insostenibile.
    Hank aveva iniziato a bere. Più del solito. Ben presto iniziò a rincasare sempre più alticcio.
    La prima volta avvenne quando Elizabeth aveva cinque anni.
    Non aveva ben capito. Lei era andata a letto, alle nove, come sempre. Mamma l'aveva accompagnata nella propria cameretta, le aveva rimboccato le coperte e baciato la fronte sfiorandole con la punta del naso la guanciotta morbida, così come usava fare.
    Le aveva augurato sogni d'oro e poi aveva richiuso la porta, dirigendosi verso il piano terra.
    Poi aveva udito l'auto del padre, rumori al piano di sotto, urla, qualcosa che si infrangeva a terra con un tonfo sordo.
    Strinse forte gli occhi, nascondendo la testa sotto il cuscino, coprendosi le orecchie con le manine.
    Il giorno dopo, quando scese per far colazione, notò il grande vaso veneziano in frantumi. Mamma indossava un paio di occhiali da sole dalla montatura larga che le coprivano mezzo viso. Sembrava stanca.
    Elizabeth le salì in braccio abbracciandola stretta.
    Joyce le baciò la guancia, rigirandola sulle sue gambe e accarezzandole dolcemente i capelli per poi iniziare ad acconciarli in lunghe treccine. Fece un patto con la sua piccola Buffy: se avesse sentito ancora i genitori discutere sarebbe rimasta chiusa nella sua cameretta.
    Elizabeth annuì, voltandosi di nuovo per appoggiare la testolina nell'incavo del collo della madre. Joyce la strinse forte, sentendo le lacrime pungerle gli occhi.
    Successe una notte di pieno inverno, quasi un anno dopo, Elizabeth dormiva serena nel suo letto quando avvertì la madre urlare contro Hank, fece appena tempo a registrare dove fosse che sentì nuovamente la voce di Joyce pregare l'uomo di fermarsi.
    Passi veloci lungo le scale, un tonfo. La paura la assalì. La bimba riuscì solo ad afferrare il peluche con il quale dormiva e a nascondersi sotto il letto.
    Hank spalancò la porta, urlando il suo nome così forte che le fischiarono le orecchie. Lei rimase ferma nel buio, trattenendo il respiro, stringendo convulsamente il suo orsacchiotto.
    L'uomo barcollò fino al letto sfatto, crollandoci sopra miseramente mentre ancora borbottava qualcosa. Si addormentò nel giro di due secondi. La puzza di alcol si poteva avvertire da lontano.
    Tremante e con gli occhi lucidi Elizabeth uscì dal proprio nascondiglio, correndo incontro a Joyce che era riuscita a salire le scale ed era immobile ferma sulla soglia della stanza, gli occhi sbarrati e le mani tremanti.
    Quella notte dormì nel grande letto della madre, stretta al suo petto, con la porta chiusa a chiave.
    Joyce le aveva detto che d'ora in poi avrebbe dovuto chiudersi nel piccolo bagno adiacente alla sua stanza, a chiave.
    Dopo quella notte Hank tornò sempre meno spesso a casa, solo due o tre volte a settimana, ma le liti non diminuirono. Buffy mantenne la promessa fatta alla madre, chiudendosi in bagno non appena sentiva l'uomo rincasare.
    I quattro anni successivi furono un vero inferno ma Joyce tentò in tutti modi di stemperare la tensione e dare alla figlia una parvenza di vita normale.
    Fu una domenica di maggio quando la madre entrò nella sua camera, mentre Elizabeth stava ultimando di leggere il nuovo libro di fotografia, e le annunciò che la settimana successiva si sarebbero trasferite.
    Joyce aveva preso in affitto un bilocale nel quartiere di Montparnasse accanto allo studio grafico in cui aveva iniziato a lavorare da pochi mesi.
    Incontrare un'occupazione si era rivelato un'impresa ardua. Hank era un uomo potente, non rispettato e stimato come lo era stato Louis, ma sicuramente molto influente.
    Le aveva fatto terra bruciata attorno. Aveva acconsentito alla separazione, solo per non dover aver più niente a che vedere con lei e la bimba, ma mai le avrebbe reso la vita facile.
    Ma Joyce non si era data per vinta, voleva una vita migliore per lei e la figlia, voleva un lavoro per potersi mantenere ed essere indipendente, non voleva più alcuna imposizione. Avrebbe lottato per il loro futuro.
    I primi mesi nella nuova casa furono difficili, lo stipendio di Joyce copriva appena le spese e, a parte i propri genitori, nessuno sembrava disposto ad aiutarla.
    Elizabeth aveva fatto del suo meglio per supportare la madre, era diligente a scuola, cercava di non fare i capricci, la aiutava nel suo piccolo a rassettare le stanze.
    Joyce la chiamava la sua piccola donna, paragonandola alle protagoniste del libro della Alcott che amava tanto leggerle, baciandole la fronte e stringendola forte forte.
    Nel giro di tre anni la loro situazione economica migliorò, Joyce aveva conosciuto il signor Giles, dal buffo accento inglese, che possedeva una piccola libreria in fondo alla strada. Buffy spesso si rifugiava lì, nei pomeriggi d'inverno, quando mamma era al lavoro e a casa si annoiava. Amava sfogliare i grandi libri d'arte, ammirando i quadri e le pitture. Aveva sviluppato anche una curiosità viscerale per i libri sui vampiri, spendendo ore ad immergersi in quel mondo surreale fatto di succhiasangue, oscurità e perversione.
    Giles era sempre molto gentile con lei, la aiutava a scegliere i libri adatti, si interessava della scuola e delle sue amicizie. Era pronto a dispensarle consigli e ad aiutarla con i compiti di matematica. Aveva quel fare paterno che ad Elizabeth era tanto mancato e riusciva a far ridere mamma, questo era l'importante. Joyce non si era più lasciata avvicinare da nessun uomo, nonostante fosse una bella donna e avesse molti corteggiatori.
    Dopo alcuni anni Joyce aveva risparmiato abbastanza soldi per potersi permettere una piccola casetta bifamiliare non molto lontano da dove era situato l'appartamento. Si trasferirono lì, con l'aiuto di Giles.
    Una sera di poche settimane dopo Hank aveva bussato alla loro porta. Fu dopo quella visita che Joyce lo citò a giudizio. Buffy da quel giorno smise di considerarlo il proprio padre. A diciotto anni cambiò il cognome, adottando quello della madre, Summers.

    Un conato di vomito costrinse Buffy ad alzarsi velocemente dal divano e a correre in bagno. Brividi di freddo le scuotevano il corpo mentre si sciacquava il viso e si lavava i denti.
    Guardando il proprio riflesso nello specchio Elizabeth promise a se stessa che quell'uomo avrebbe pagato per tutto. Tutto.
     
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    Quanto angst! çOç Quando arriva lo Spuffy?
    Capiamo ancora di più di Buffy e del suo desiderio di vendetta che, possibilmente, la blocca in altri campi. Sto pensando a Spikino, soprattutto.
    I want to see him! *C*
     
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    :o: oh cazzarola, mi sono persa due post!!!!!......
    Cmq questo pomeriggio appena riesco..me li gusto per bene!!!!!!
     
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    Ok...recuperato tutto!

    Povera Buffy, mentre tu descrivevi le scene delle violenze causate da quell'essere " chiamato padre" potevo vedere la piccola buffy terrorizzata, sotto le coperte e con le manine che coprivano le orecchie!!!!....Sarà segnata per sempre!
    Fortunatamente Joyce ha tirato fuori le palle permetendo così una vita dignitose per entrambe!....Ok capisco nìpiù che bene l'odio di Buffy nei confronti di Hank , ma Spike cosa centra in tutto questo????...Me troppo curiosa!!!!!!!!!!!!!!!!!
     
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    ehm...sono in astinenza.....di questa meraviglia!!!!!!! :disperazione: :disperazione:
     
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  9. keiko89
     
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    tesoro, sono bloccata sulla scena principale :wall: magari entro fine settimana riesco a scriverla :paralisi:
     
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  10. keiko89
     
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    Eccomi, ci ho messo una vita ma sono qui.

    Bene siamo arrivate al capitolo clou, qui capirete perché i nostri eroi non riescono a star insieme almeno per ora.

    Spero che a nessuna venga un infarto!


    Ho deciso di cambiare il titolo di questo storia, d'ora in poi sarà "I'm only human" visto che era nata in un modo ma poi ha preso tutt'altro giro.



    Il capitolo è dedicato a Stefy che sta vivendo un periodo particolare. Cara, avresti bisogno di tanto fluff, ma questa è una storia angst... spero potrai apprezzarlo lo stesso.


    Un grazie speciale a Kiki che è sempre presente ad ogni aggiornamento e mi sopporta quando la stalkerizzo. Luv ya.




    Ebbene, ecco a voi.



     

    Capitolo sesto




    L’aria era pesante e satura all’interno della stanza, Elizabeth cercò di scacciare indietro il malessere che la stava attanagliando. Rivolse lo sguardo verso le vetrate, estraniandosi dal mondo: il freddo inverno era arrivato in città, la prima nevicata dell’anno avevo reso l’aria pungente, i colori erano spenti e monotoni, una luce sinistra e artificiale si rifletteva su ogni cosa.
    La giovane, ormai, non ascoltava più le parole atone pronunciate dal giudice seduto di fronte a lei, non prestava attenzione al sorriso tirato di suo padre o al tamburellare frenetico delle dita di Liam sotto il tavolo.
    Tutto le appariva informe e vago; i colori e i suoni si confondevano gli uni con gli altri, dando vita ad un insieme indefinito ed inquietante, simile alle grandi tele dei pittori astrattisti.
    L’aula di tribunale perse progressivamente la sua connotazione, tramutandosi in uno spazio ampio in cui spiccava una grande scrivania ottocentesca, alcune poltrone pregiate e dei tappeti di ottima fattura: l’ufficio di Hank.
    Elizabeth vi era stata solo una vota, l’anno precedente. Ricordava quel giorno come se fosse stato ieri.
    Dopo aver fatto visita alla madre malata si era diretta all’azienda del padre. A passo sicuro era entrata nella hall, notando - colpita - come l’uomo avesse arredato gli interni con gusto.
    Intercettando lo sguardo annoiato della segretaria chiese dove fosse situato l’ufficio di Hank.
    La giovane le rispose che l’uomo era momentaneamente occupato e che avrebbe potuto attenderlo lì. Elizabeth non si curò minimamente della risposta avanzando verso la porta che le era stata precedentemente indicata.
    Fu afferrata per un braccio dalla donna che, stizzita, le stava ordinando di aspettare.
    Buffy si liberò dalla presa, comunicando che lei avrebbe visto suo padre in quel preciso momento e, approfittando dello smarrimento della giovane, si diresse decisa verso l’ufficio.
    Harmony rimase interdetta per qualche secondo, non tanto per il malo modo in cui era stata trattata ma, soprattutto, per quel che le aveva appena detto la bionda.
    Hank aveva solo un figlio, mai era stata menzionata l’esistenza di una ragazza in tutti gli anni in cui aveva lavorato in quell’azienda.
    Elizabeth spalancò poco cortesemente la porta dell’ufficio, interrompendo i due uomini che stavano parlottando animatamente. Hank fu il primo a notarla e sul suo viso comparve una smorfia di disgusto, seguito poi da un giovane ragazzo moro dagli occhi scuri.
    La ragazza lo squadrò per un attimo, ritrovando nei suoi lineamenti qualcosa di familiare.
    Hank rivolse di nuovo l’attenzione al ragazzo che, intanto, fissava imbambolato la nuova arrivata.
    “Riley, puoi lasciarci soli?”
    A quelle parole Buffy fece un passo avanti.
    “Non ci presenti, papà?” - chiese, gli occhi puntati ostinatamente sul ragazzo.
    Hank frenò una battuta acida, assecondando la giovane.
    “Riley, ti presento Elizabeth... Summers.” - calcò volutamente sul cognome - “la tua sorellastra”.
    I due giovani rimasero a fissarsi interdetti, entrambi ignari dell’esistenza l'uno dell’altra.
    Fu Hank a porre fine a quel momento surreale, congedando il figlio e chiedendo a Buffy cosa volesse.
    Elizabeth lo guardò dritto negli occhi, facendo appello a tutta sua forza per non afferrarlo e sbatterlo al muro. Gli anni di kick boxing e autodifesa l’avevano resa molto forte.
    Sapeva che suo padre era a conoscenza della malattia della madre e che, l’unica volta che le aveva fatto visita in ospedale, eludendo la sorveglianza, le aveva candidamente augurato di lasciare questo mondo il prima possibile. Per alleviare le sue sofferenze, certo, e per porre fine a quell’inutile processo che si protraeva da anni.
    Joyce l’aveva cacciato su due piedi; quella stessa notte aveva avuto una ricaduta.
    Buffy sorrise amara a quel ricordo: sua madre aveva sempre lottato.
    “Porterò avanti io il processo, Hank. Non mi darò pace finché non ti vedrò marcire dietro le sbarre”.
    La risata fredda dell'uomo rimbombò nella stanza.
    “Tu? E cosa vorresti dimostrare? Che non ti ho comprato le caramelle? O che non mi sono presentato alle tue stupide recite?” - chiese sarcastico - “Non sai niente. Non puoi fare niente.”
    “Ricordo più di quanto tu possa immaginare, Hank.”
    Con quella manciata di parole Elizabeth mise fine alla discussione uscendo dall'ufficio, non prima di aver lanciato un'occhiata al vetriolo a quell'uomo che era diventato ormai un estraneo.


    Il calore di una grande mano posata sulla sua spalla riportò Buffy al presente. Liam la guardava preoccupato e lei si affrettò a sorridergli cercando di sembrare tranquilla.
    L'udienza era terminata, il giudice si era congedato dando appuntamento ai presenti per i primi di gennaio. Il processo stava volgendo al termine.
    Vide Liam riordinare gli atti nella cartellina e porgerle il cappotto. Si avviarono fuori dall'aula, fianco a fianco, decidendo poi di mangiare qualcosa nel piccolo bistrot all'angolo della strada.
    Ad Elizabeth non sfuggì lo sguardo carico d'odio e rancore che Hank le aveva rivolto prima di uscire.




    ***

    Il profumo di zucchero filato, mandorle tostate e dolciumi al cioccolato permeava l'aria, le lucine coloravano la città a festa, il vociare dei bambini lungo il corso rallegrava l'atmosfera.
    Il grande albero di natale splendeva maestoso nella piazza, lì accanto, dentro a piccole casette di legno, si teneva il classico mercatino natalizio. Babbi, angeli, palline decorate e rametti di vischio puntellavano le bancarelle, cambiando il volto austero della piazza in un piccolo scorcio di realtà fiabesca.
    Tutto attorno sembrava risplendere di una luce nuova e magica, Elizabeth si lasciò cullare da quella serenità che si respirava per le vie del centro.
    Sorseggiando la cioccolata calda si avvicinò alla grande pista di pattinaggio costruita proprio nel centro della piazza. Sorrise vedendo i bimbi impacciati muovere i primi passi sul ghiaccio, aiutati dai genitori che li incoraggiavano chiamandoli con buffi nomignoli. Era stata Joyce ad insegnarle pazientemente come stare in equilibrio sui pattini, trasmettendole l'amore per quello sport. Ultimamente, però, gli impegni l'avevano talmente sommersa da non lasciarle un attimo libero per coltivare la sua passione.
    Terminata la bevanda si diresse verso la cassa, pagando il biglietto e ritirando i pattini. Scese in pista tra la folla e dopo un primo attimo di smarrimento prese a volteggiare sicura.
    Pattinare la faceva stare bene, le dava l'impressione di volare, di lasciar andare tutti i cattivi pensieri. Le sembrava di librarsi nell'aria, in un luogo bianco e puro. Continuò a muoversi leggiadra, la sciarpa svolazzava nell'aria mentre piccoli pezzetti di ghiaccio le bagnavano i guanti.
    Si concesse qualche altro giro della pista beandosi di quella sensazione di libertà.
    Sfilò i pattini e li riconsegnò all'addetto allo smistamento, accettando con un sorriso i complimenti del giovane. Si ripromise di tornare presto, non appena avesse avuto un momento libero.
    Attirata dalla melodia di un flauto si avvicinò ad una bancarella dove facevano bella mostra di sé piccoli oggetti di vetro lavorati a mano. Incantata dalla loro bellezza prese tre angioletti intenti a suonare il liuto.
    Riprese la strada verso casa, decidendo di passare per il parco addobbato a festa. Osservando due bambini intenti a costruire un pupazzo di neve non si rese conto di andare a sbattere contro un uomo.
    Rossa in viso e balbettando parole di scuse alzò lo sguardo, trovandosi di fronte a Riley Finn.
    Lui, cortesemente, la invitò a bere qualcosa ma, declinando velocemente l'invito, si allontanò a passi veloci dal ragazzo.
    Non aveva assolutamente intenzione di aver a che fare con lui.
    Aggiustando la sciarpa attorno al collo aumentò il passo, voleva tornare a casa il prima possibile. Quell'incontro aveva rovinato il suo buon umore.
    Non aveva nulla contro Riley, ma rimaneva il figlio di Hank. Il figlio che aveva sempre voluto. Riley rappresentava tutto il dolore e le umiliazioni che lei e Joyce avevano subito.
    Zigzagando con lo sguardo si accorse di aver sbagliato uscita, l'oscurità ormai stava calando e un brivido freddo le percorse la schiena.
    Fece a ritroso la strada verso il centro di quell'enorme parco maledicendosi per la sua disattenzione. Fu così che lo scorse.
    Seduto su di una panchina, la macchina fotografica in mano William era intento a scattare delle foto.
    Disturbato dallo scalpiccio l'uomo si voltò verso la sua direzione, spalancando appena gli occhi quando la riconobbe.
    Elizabeth fece un cenno con il capo a mo' di saluto, deglutendo ansiosa quando lo vide alzarsi per andarle incontro.
    William le si fermò davanti, alzando una mano per sfiorarle il viso. Dio se gli era mancata, erano settimane che non la vedeva, mesi che non sentiva il calore della sua pelle, il respiro caldo mescolarsi al suo.
    “Fermo. Non avvicinarti. Non toccarmi... non devi toccarmi.”
    “Buffy?” - chiese William incerto.
    C'era troppo buio, troppo silenzio. Elizabeth indietreggiò di qualche passo, portando le braccia a stringersi il corpo.
    “Tu... non... stammi lontano.”
    E la consapevolezza piombò su William come un macigno.
    “Non crederai, n-non crederai davvero che io... che io potrei farti del male? Buff?” La sua voce era ridotta ad un sussurro.
    “L'avresti fatto! Se io non ti avessi fermato, se non... tu...”
    “Dio, NO! No, no, no, no... Buffy ascoltami, ti prego. Ho sbagliato, Dio solo sa...”
    “Smettila. Smettila... avresti fatto come lui... se non ti avessi fermato tu...”
    Ed improvviso non c'era più William davanti a lei, non era più in un parco della capitale.
    All'improvviso era nel bagno del vecchio appartamento, quello dove era appena andata ad abitare con mamma.
    Accovacciata accanto alla vasca, il viso premuto nell'asciugamano zuppo di lacrime, il rubinetto del lavandino aperto per attutire i rumori al piano di sotto.
    E Joyce che piangeva, che implorava di lasciarla andare. E i gemiti sempre più forti di suo padre.
    E lei che non trovava la forza per alzarsi dalle mattonelle fredde, la forza per scendere e salvare sua madre.
    “Se non ti avessi fermato... mi avresti violentata.” - finì in un sussurro quasi impercepibile. - “MI AVRESTI VIOLENTATA COME HANK HA FATTO CON MIA MADRE”.
    Le parole le uscirono dalle labbra senza che potesse fermarle. Sotto shock si tappò la bocca con entrambe le mani, consapevole che nemmeno Liam era a conoscenza di quel fatto. Prima di rendersene conto corse via.
    Corse lontano. Lontano da quel parco. Lontano da William. Lontano dai ricordi.
    William cadde in ginocchio a terra, il viso nascosto tra le mani mentre le lacrime scendevano silenziose a bagnargli il viso.
    Da una bancarella lontana proveniva la melodia di una vecchia canzone natalizia.

    A very merry Christmas
    and a happy New Year,
    let's hope it's a good one
    without any fear.




    TBC







    ---

    Buone lì, posate le armi e i pomodori marci... so' giovane ancora per morire.


    Ebbene, vanno fatte delle doverose precisazioni.

    (1) Come avrete capito, almeno spero, questa ff si basa su ciò che è successo in Seeing Red ma con delle modifiche sostanziali dato che siamo in una AU e si parla di persone reali o quantomeno in un contesto reale.
    William non ha cercato né minimamente voluto violentare Buffy, mai avrei potuto scrivere qualcosa che giustificasse un atto tanto ripugnante ed offensivo.
    Nel prossimo capitolo capirete realmente cosa è successo e soprattutto perché.

    (2) La scena della violenza perpetrata da Hank verso Joyce avviene quando Buffy ha quasi quattordici anni - quindi è relativamente grande per tentare di difendere la madre - subito dopo che è trasferita nella nuova casa.
    Il riferimento è al capitolo quinto, dove viene detto che dopo quella "visita" Joyce decide di citare a giudizio il marito.

    (3) Il cognome di Riley rimane quello del tf, Finn, va da sé che Hank faccia di cognome Finn. Summers è il cognome di Joyce che poi è stato adottato da Buffy, come spiegato nel capitolo precedente.



    Spero che siate tutte ancora vive, vi aspetto allla prossima!


    Edited by keiko89 - 19/9/2012, 20:50
     
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    Questa storia mi ricorda un po' Ventuno Giugno, nel senso che non c'entra assolutamente niente (E allora che scrivo?) ma c'è tutto questo rapporto passato e presente che si intreccia: i legami e le ferite del passato, soprattutto, e le ripercussioni sul presente.
    L'accusa di Buffy a Spike, secondo me, è una ripercussione di quel passato che lei per prima non vuole lasciar andare.
    RILEY FIGLIO DI HANK MI UCCIDE, SAPPILOodjgodskgal
    Dicevo, un passato che i protagonisti non riescono a lasciarsi alle spalle. Tanto Buffy quanto Spike sono prigionieri di due ombre e spero, davvero, che si liberino presto, perché lo sai, ecco. ù_ù
    La cosa bella di Buffy è che ha una psicologia talmente contorta, che si offre all'esplorazione degli stati più complessi della mente. La amo con tutto il cuoreh. *^*
     
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    Intanto io davvero ti ringrazio tantissimo per la dedica e ti abbraccio con il cuore! GRAZIE!


    Ecco...è davvero angosciante quello che mi si para davanti andando avanti nel leggere questa storia scritta realmente BENE...La frustrazione di William si capisce benissimo,nn avere colpa ed essere accusato di un azione così schifosa subdola e malsana è davvero orribile, certo Buffy sicuramente avrà le sue ragione per aver frainteso .....Nn riesco per adesso ad inquadrare Riley, nn capisco se sarà un bene o un male per lei...Hank invece spero che faccia una fine dolorosa e molto lenta!

    Io come sempre buona buona aspetto che il genio " componga"


    Ps Grazie ancora tesoro
     
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  13. GabrydiSpike
     
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    Zio Criceto!
    Ho le budella attorcigliate dall'emozioni forti di questa stupenda storia!
    Unisco i miei più fervidi complimenti a quelli delle altre...
    Non solo hai scritto formalmente bene il testo ma hai reso praticamente alla perfezione i caratteri dei personaggi pur basandosi sul doloroso episodio di seeing red. Non mi pare di ricordare nessuna storia AU che ricalchi così bene i personaggi nella loro interezza, non solo per alcuni aspetti, e con rimandi così puntuali al telefilm!
    Mi piace anche molto lo stile scelto, molto "televisivo", in cui con rapidi tocchi permetti al lettore di visualizzare perfettamente la scena, il momento, le emozioni pur senza trascurare i momenti descrittivi!
    Aggiungiamoci poi alcuni tocchi di genio come il rapporto di parentela che hai instaurato tra Drusilla e Spike e Buffy e Riley... anche se l'ormone è impazzito alla scena incestuosa... [ Kiki, decisamente Spike non si accompagna alla morale! ;) :P ] ( manca una faccina da sbavo!) ed ho rischiato l'infarto! [ Ho una certa età ormai!]
    Le emozioni che mi hai suscitato però hanno offuscato la mente e non mi risulta ben chiara la sequenza temporale di vari " bocconi" di realtà che ci doni... specie quel devastante momento nel prologo... quel "
    CITAZIONE
    Era tutto sporco.
    Lui era sporco.
    William pianse in silenzio mentre il tramonto colorava di rosa la camera d'ospedale.

    dove hai condensato il Willliam poeta e figlio amorevole...fino all'eccesso di BTVS 7x17 "Lies My Parents Told Me", il vampiro respinto di 5x07 "Fool For Love" ed il vampiro redento e ferito di ATS 5x11 "Damage" ... SUBLIME momento ... e dolorosissimo perchè il mio cuore ci legge il male che i due si faranno!
    Dal pavimento dove mi sono raggomitolata ti supplico umilmente di continuare il più presto possibile!!! :cant:

    P.S. Una nota della tua melodia mi suona però un pò discvordante: Angel a Parigi... lo sento troppo "americano- english style" per raffigurarmelo come abitante di Parigi...perciò devo chiedertelo: perchè Parigi? Perchè non Londra o Washington?

    POSTA, Posta, postaaaaaa!!!! Sono già in astinenza ed jho appena finito di rileggerla!
     
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  14. keiko89
     
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    Eccomi, ci ho messo un secolo ma ce l'ho fatta.

    In questo capitolo c'è un pezzo di storia raccontato da William, spero di non aver combinato un macello. I dialoghi mi convincono ancora poco e se vi sembra il tutto OOC vi prego si segnalarmelo!


    Kiki: E' un bel casotto riuscire a mandar avanti tutto a flashback, mannaggia a me quando ho deciso di impelagarmi in questa ff! >*< Io volevo farla fluff ç___ç
    Riley e Hank, mi pareva avessero la stessa faccia da pesce lesso ecco perché li ho accopiati così XDD
    Fornisce immagini:

    XDD



    Stefy: Non preoccuparti, Hank la pagherà. :risata: Spero di non deluderti cara.



    Gabry: ^///^ oddio, non credo di meritarmi tutte le belle parole che hai speso per la ff ma sono veramente contenta ti sia piaciuta.
    E' un enorme concentrato di angst ma si risolverà tutto, col tempo... credo. :ph34r:
    Per Angel hai ragione, lui è più american-style ma in realtà questa storia doveva nascere come fluff, essere incentrata solo su Buffy/Spike, risolversi in un paio di capitoli con un "vissero tutti felici e contenti", per questo avevo scelto Parigi, perché è la città dell'amore e mi piaceva come idea.
    Poi la storia ha preso vita da sola :ph34r: si sono inseriti personaggi che non dovevano apparire :ph34r: è divetata angst :ph34r: perciò Angel si è dovuto adattare a tutto ciò! XD

    Immagino sia un po' complicato seguire tutti i flashback...cerco di spiegarti.
    Il prologo - la parte che hai citato tu in particolare la trovarai spiegata nel capitolo sottostante - si inserisce a metà della narrazione più o meno.
    Ripensa alla sesta stagione e più o meno i miei "bocconi" ripercorrono gli stessi eventi.
    Buffy e Spike si conoscono - morte di Joyce - rapporto spuffy conflittuale stile sesta stagione - episodio Seeing red (modificato e ora leggerai come) - rottura tra i due -morte di Anne (madre di William) - rapporti tesi tra William e Buffy (presente).
    Il presente ci presenta - scusa il gioco di parole - un William problematico e una Buffy incasinata, nel bel mezzo di un processo contro il padre.
    Hai capito un po' di più? :ph34r:




     

    Capitolo settimo




    La moto scivolava veloce sul leggero strato di ghiaccio e neve fagocitando l'asfalto scuro, il motore rimbombava sordo per le vie della città deserta.
    Il vento freddo gli sferzava il volto, arrossando gli occhi e rendendo difficile la visibilità.
    William accelerò ripetutamente, spingendo il motore al limite; accucciato sulla moto in corsa voleva avvertire solo il dolore, il freddo che gli penetrava nelle ossa, il pericolo.
    Voleva dimenticare tutto ciò che era appena successo. Elizabeth, il parco, le urla, le lacrime.
    Tutto.
    Si sentiva svuotato e perso.
    Ed in colpa. Una colpa così pesante ed opprimente che sembrava volerlo divorare tutto, pezzo per pezzo, rendendogli faticoso il respiro e la concentrazione. Stava annegando in un mare di dolore, orrore per ciò che avrebbe potuto commettere e per ciò che Hank aveva fatto.
    Sterzò bruscamente, imboccando la via verso la periferia.
    La notte era cupa, poche stelle puntellavano il cielo nero, gli alberi – ormai spogli – parevano demoni accartocciati su stessi con le braccia rivolte al cielo, il sibilo del vento rendeva l'atmosfera cupa e spettrale.
    Giunto a destinazione, William scese dalla moto sfregandosi le braccia tentando di scaldarsi un po'. Inclinando il capo di lato diede una rapida occhiata intorno: nulla era cambiato dall'ultima volta in cui vi era stato.
    Il bordello era situato in una vecchia casa di campagna, bassa e decadente, con le finestre piccole e i muri grezzi.
    William aprì la porta di legno, riconoscendo nell'aria stantia l'odore inconfondibile di alcol e sesso. Passò lo sguardo sui divani luridi, dove due vecchi grassoni erano intenti a sbavare su due giovani ragazze in topless.
    Riconobbe Darla, in piedi dietro al bancone, mentre versava un bicchiere di brandy all'ubriaco di turno, più in là intravide una ragazza salire le scale ridendo sguaiatamente alle battute poco galanti di un giovane campagnolo.
    Avvicinandosi alla bionda fece un cenno di saluto indicando poi la bottiglia di bourbon.
    Darla gliene versò un generoso quantitativo, guardandolo a metà tra lo stupito e il preoccupato. L'ultima volta l'uomo si era sentito male dopo aver ingurgitato alcol ed anfetamine e lei era stata costretta a chiamare Drusilla perché se lo portasse via. Non si era aspettata di veder comparire sulla soglia Angel e non voleva assolutamente ripetere l'esperienza. Si era nascosta velocemente sul retro, aspettando che il suo ex portasse via il biondo, con il cuore in gola e una tremenda voglia di uscire allo scoperto e maledirlo per come l'aveva lasciata.
    William, intanto, non degnandola di uno sguardo, sbatté il bicchiere vuoto sul bancone, attendendo che fosse riempito di nuovo. Quattro bicchieri ed un paio di bestemmie più tardi, William si alzò, pagando il conto e dirigendosi verso l'uscita. Ne aveva abbastanza, neanche in quella schifosa bettola riusciva a smettere di pensare a ciò che gli aveva urlato contro Buffy.
    Lui non era quel tipo di uomo.
    O sì?
    Il dubbio si insinuò prepotentemente nella sua mente. Se lei non l'avesse respinto, lui sarebbe stato in grado di fermarsi?
    O le avrebbe fatto del male?
    Troppo sobrio per i propri gusti e con un peso sul cuore che non era in grado di reggere, si voltò di nuovo verso il bancone per cercare rifugio nel liquido scuro.
    Fu intercettato dalla mano pallida di una giovane donna, vestita di rosso scuro. William, seccato, alzò lo sguardo e strattonò via la mano per liberarsi. Fu in quel momento che si perse negli occhi verdi della giovane.
    Assomigliava incredibilmente a Buffy. O era l'alcol che gli faceva vedere ciò che non era?
    Ancora in tranche si lasciò trascinare su per le scale, verso una delle camere per gli ospiti.
    Lasciò che la ragazza si inginocchiasse davanti a lui e appena avvertì la bocca calda sul proprio membro lasciò andare ogni pensiero. Chiuse gli occhi e dettò il ritmo che voleva, portando le mani tra i capelli di lei.
    Un istinto animale prese il sopravvento. Aveva bisogno di sesso, sesso puro, fine a se stesso. Senza pensieri, senza tenerezza, senza sentimenti.
    Raggiunto l'orgasmo, lasciò che lei lo ripulisse per bene e poi si infilò velocemente il preservativo. La prese con forza, spingendo sempre più a fondo alla ricerca del proprio piacere.
    Ma non era morbida e calda come Buffy. Non era accogliente come la sua Buffy. La sua pelle non era liscia e delicata come quella di Buffy.
    Il letto era sporco e puzzava. Le pareti dalla stanza divennero improvvisamente pesanti, ebbe quasi l'impressione che si stessero piegando su se stesse per imprigionarlo lì dentro.
    Colto da uno strano senso di claustrofobia e ribrezzo si sfilò dalla donna sotto di lui, strappandole un gemito di dolore, lanciò via il preservativo e richiudendo la patta dei pantaloni corse a rotta di collo giù per le scale, sino fuori all'aria aperta.
    Respirò a pieni polmoni finché un conato di vomito lo costrinse ad accovacciarsi dietro un cespuglio.
    Vomitò anche l'anima.
    Saltando in sella alla moto partì a tutto spiano.


    ***

    Liam fu svegliato di soprassalto dal suono insistente del citofono. Controllò la sveglia: erano le tre di notte.
    Chi diamine si presentava a quell'ora a casa sua?
    Sentì Cordelia muoversi accanto a lui, segno che si stava svegliando. Le sfiorò delicatamente la fronte con le labbra, mormorando un “dormi è ancora presto”.
    Prima di scendere le scale si assicurò che la compagna fosse ben coperta e al caldo; le sue donnine non dovevano prendere freddo.
    Arrivato in corridoio, controllò sul display della videosorveglianza chi fosse. Non appena mise a fuoco l'immagine aprì il cancelletto e si diresse velocemente alla porta d'entrata.
    Pochi secondi dopo William barcollò verso di lui. Liam gli rivolse un sguardo serio, prima di farlo entrare ed indicargli la cucina. Mentre il più giovane cercava di ridarsi un tono, il moro riconobbe l'odore di alcol e si accinse a preparare una limonata.
    Che cazzo stava succedendo a William ultimamente? Da giovane era stato un vero “big bad” ma ora sembrava aver messo la testa apposto o per lo meno non era coinvolto in una rissa ogni sera, aveva un lavoro dignitoso e gli era sembrato di capire che avesse una specie di relazione con la sua assistita, Elizabeth.
    Voltandosi verso il biondo ne studiò il corpo magro, il volto spento e tirato, gli occhi che brillavano come gemme bagnate. Una strana tenerezza lo pervase, sembrava di trovarsi di fronte ad un cucciolo smarrito e solo.
    “Che ti succede, William?” - chiese, dando voce ai propri pensieri.
    Il cugino lo guardò smarrito, non comprendendo a pieno il senso della domanda.
    “Io volevo solo farla stare bene... volevo stare bene Liam...” - sussurrò - “cosa c'è di sbagliato?”
    Liam aggrottò la fronte perplesso.
    “Sto diventando un mostro... sono un mostro! Io... se lei... io... io... non volevo, te lo giuro! Non volevo fare come...” si fermò improvvisamente mordendosi la lingua. Ricordava la reazione di Buffy dopo aver detto quelle parole e non era sicuro che Liam sapesse dell'accaduto, decise quindi di tenere il fatto per sé - “...come se lei fosse una mia proprietà”
    William tremava, aveva gli occhi grandi e spalancati, un ciuffo di capelli libero dal gel gli ricadeva sul viso. Ricordava tanto un bambino impaurito. Liam gli si avvicinò cautamente, prendendolo per mano e trascinandolo verso il divano. Gli posò una mano sulla base della schiena, muovendola su e giù sulla stoffa fredda.
    Il più giovane parve rilassarsi un attimo e si voltò a guardarlo negli occhi.
    “Ti va di spiegarmi meglio, eh?” chiese Liam, con tono rassicurante, continuando a massaggiargli la schiena.
    William prese un profondo respiro, seppellendo poi il viso tra le mani.
    “Ricordi quando mi hai trovato al vecchio bordello?” - senza attende risposta continuò - “Ero stato da Buffy prima, avevo litigato con mia madre e volevo vederla. Avevo bisogno di lei. Anne aveva finito l'ultimo ciclo di chemio, ero passato a trovarla in ospedale per vedere come stava... ma lei era stanca... arrabbiata... mi disse che con tutto quello che aveva dato per me non si meritava di avere un figlio scapestrato... che ero la sua condanna.. disse che ero un buono a nulla, non come te, che ero solo un piccolo patetico essere inferiore... che quell'inferno doveva spettare a me, non a lei...”
    Liam portò le mani tra i capelli del cugino, passando i polpastrelli sulla base del collo ed invitandolo a proseguire.
    “Ero arrabbiato... sono scappato dall'ospedale e mi sono diretto a casa... ho fatto fuori mezza bottiglia di bourbon ma non... non stavo bene. Ho preso le chiavi dell'appartamento di Buffy e mi sono diretto là... volevo solo...”
    La mano del moro si bloccò improvvisamente udendo quelle parole e si ritrovò a trattenere il fiato mentre un freddo improvviso parve penetrargli fin dentro alle ossa.
    William si alzò di scatto, rifugiandosi accanto alla porta della cucina, stringendosi le braccia attorno al corpo e accovacciandosi in terra.
    Liam lo seguì con lo sguardo, per poi alzarsi e sedersi davanti a lui.
    “Lei era appena uscita dalla doccia... era in accappatoio... quando mi ha visto si è spaventata... sembrava stanca... mi ha chiesto cosa volessi... mi ha detto di andarmene... io l'ho raggiunta in cima alle scale... volevo solo stringerla... starle vicino... volevo... avevo bisogno di sentirmi amato, Liam... l'ho stretta tra le braccia forte... forse troppo” - le parole non riuscivano ad uscire, la voce gli tremava, il respiro a strappi.
    “William...”
    “Ho cercato di baciarla ma lei non voleva... ha iniziato ad urlare... mi ha graffiato le braccia... mi ha morsicato una mano... finché non ho capito che le stavo facendo del male e l'ho lasciata... non volevo... lei aveva gli occhi sbarrati... pareva in tranche... Cristo, che le ho fatto? E lei mi ha spinto via... mi ha detto che sono come un animale... sono un animale, Liam? Cosa sono? Cosa sono diventato Liam?” - chiese raggomitolandosi in posizione fetale.
    “Sono un mostro... un mostro...” fu un sospiro spezzato, un mantra che si protrasse fino alle luci dell'alba.
    Mentre William piangendo cercava un'assoluzione, Liam poteva solo stringerlo tra le braccia e mormoragli parole gentili.



    ***

    Drusilla aveva acconciato i capelli in morbidi boccoli che le ricadevano sulle spalle ed indossato l'ultimo vestito che William le aveva regalato.
    Attendeva la visita del fratello da giorni ormai ma era preoccupata. Faceva un sogno ricorrente da settimane, il buio la inghiottiva, non riusciva più a vederla. Non vedeva più la donna bionda tanto odiata.
    Udito il rombo della moto, corse giù per le scale attendendolo sul porticato. William le aveva portato un mazzo di margherite.
    Corrucciandosi un po' scrutò il fratello.
    “Will, ma tu mi ami tutta? Anche le parti che non puoi vedere?"
    Il fratello le sorrise, stringendola a sé e mormorando tra i suoi capelli:
    Dalle palle degli occhi alle viscere, mia cara.
    Soddisfatta dalla risposta Drusilla attirò William nel salone, accendendo lo stereo per ballare una vecchia canzone.
    Il ragazzo decise di assecondarla.
    Con il capo appoggiato sulla sua spalla e respirando il profumo del fratello la ragazza sorrise felice.
    “E' presto, mio piccolo William. E' ancora presto.” disse, accarezzandogli i capelli - “Sarai sempre mio. Starai sempre nel buio con me. Cantando le nostre canzoni. Ti piacciono le nostre canzoni, non è vero? Ti sono sempre piaciute, fin dall'inizio. Ed è lì che stiamo andando.” - concluse in un sussurro.


    TBC
     
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    *resuscita*
    *ri-muore*


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    Io ci farò un approfondimento a questo punto. Sulla somiglianza inquietante tra Hank e Riley. Sappilo. è_é
    Okay, sto procedendo con la storia e con la dinamica dei personaggi in gioco. Per adesso ho capito le ragioni della paura di Buffy e del suo blocco, istintivo, dinanzi a certe situazioni. William è un po' il punto interrogativo: è davvero difficile inquadrarlo in questo contesto e, nella fase in cui affoga il dispiacere in Darla, mi ha ricordato più che altro l'Angel della Seconda Stagione che, effettivamente, è quello più tormentato, mangiato vivo dal senso di colpa e tentato perennemente da Darla. In qualche modo Spike lo vedo meno tentabile dalle lusinghe di Dru, perché lui è un love's bitch e quando il cuore gli comanda qualcosa parte senza esitazioni. Non ha la dualità di Angel.
    In questo senso risulta un gioco perso in partenza quello di Dru. E chissà se non tenterà anche Angel, che sembra tanto stabile e dimentico del suo passato ...
    Al prossimo aggiornamento!
     
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