*TRUST* una questione di fiducia.

di *Ardespuffy*

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  1. katespuffy
     
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    Vi posto un'altra perla di Ericuccia *C*

    CITAZIONE
    Ok, sorelline. Eccoci qua
    Me l'ero ripromesso di festeggiare i miei 1400 messagi con il primo post di questa storia che mi ha tanto fatta penare.
    Solo una piccola nota, e poi vi lascio alla storia.
    **Trust** è nata dalla sensazione di aver tralasciato qualcosa, in **Fate**. Forse, più avanti, capirete meglio che cosa intendo: per ora, mi limiterò a dire che questa è ciò che ritengo la vera, più giusta e meno romanzata, conclusione della mia prima storia.
    Inutile specificare quanto tenga a questa fanfic, e quanto del mio cuore e della mia anima vi sia dentro
    Infine, immancabile la dedica: il primo capitolo è tutto per spuffy4ever80, la MIA ANGY () che è senza dubbio colei che ha atteso questo seguito con più ansia.
    Ti voglio bene, sorellina

    Title: Trust
    Author: **Ardespuffy**
    Written: estate 2006/estate 2007
    Disclaimer: tanto per cambiare, tutto appartiene a Whedon, alla FOX e alla ME, fatta eccezione per alcuni personaggi di mia invenzione
    Feedback: vi adoro sissine! [email protected] o [email protected]
    Pairing: … c’è davvero bisogno di dirlo?
    Time: quasi due anni dopo “Chosen”. E’ il seguito della mia precedente fanfic, **Fate**, ma si può leggere indipendentemente.
    Spoiler: uhm… naah!
    Rating: NC17 for adult contents.
    Subject: Buffy e Spike vivono sereni la loro Seconda Possibilità. Ma i fantasmi del passato ritornano sempre…


    1.


    ********




    Cleveland, Ohio – Just An Ordinary Day

    “Spiegamelo di nuovo, perché proprio non ci arrivo”.
    Spike si poggiò contro lo stipite della porta, un’espressione vagamente contrariata sul viso.
    Buffy sospirò: “Lo sai che ho bisogno di soldi. Questa casa mi porta via un mucchio di denaro, e poi ci sono tutte le spese, e…”.
    Spike alzò gli occhi al cielo, sbuffando: “Hai già il lavoro in palestra, per questo! E poi c’è quello che hai messo da parte quando hai lasciato l’Europa” insisté.
    Buffy fece una smorfia: “E tu credi che mi basti?” domandò, scettica. “Il prossimo anno Dawn andrà al college, e allora ci saranno anche le rate semestrali di cui occuparsi. Spike, questi soldi mi servono” concluse, rassegnata.
    Gli si avvicinò e lo abbracciò, allacciandogli le braccia intorno al collo: “Credi che a me faccia piacere snervarmi cinque ore al giorno in un buco di negozio, dopo aver appurato che quello di commessa non è proprio il mio mestiere?” sospirò stancamente. “Ma non ho altra scelta” si affrettò ad aggiungere.
    Spike la strinse a sé, ma senza smettere di brontolare: “E va bene, Wonder Woman! Fa pure tutto da sola! Tanto, a chi importa se il tuo ragazzo si caverebbe un occhio, per te!” borbottò.
    Buffy sorrise e gli accarezzò i capelli: “Tesoro, lo so che posso contare su di te. Ma è una faccenda personale, una sfida, capisci? Devo farcela da sola” sentenziò, negli occhi la luce della determinazione.
    Spike ricambiò il sorriso, suo malgrado: “Un’altra di quelle dannate Cose da Cacciatrice, giusto?” chiese, inarcando beffardamente il sopracciglio sinistro.
    Buffy ridacchiò: “Già! Che vuoi che ti dica… deformazione professionale!” si giustificò, e poi si protese verso le sue labbra, baciandolo dolcemente.
    Spike approfondì il bacio e la strinse a sé, godendosi la sensazione di quel corpo sottile e flessuoso contro il proprio.
    Dio, era meravigliosa.
    Quasi non riusciva a credere di aver avuto tanta fortuna.
    Dopo la resurrezione, non aveva mai perso la speranza di ritrovare la sua Cacciatrice. Ma, quando aveva scoperto la sua relazione con quel demone senza nome, aveva cominciato a temere di doversi rassegnare.
    Fin quando, grazie ad una fortunata macchinazione del destino, non era venuto a conoscenza del suo ritorno negli U.S.A. Così, senza pensarci due volte, aveva mollato tutto ed era partito. Per raggiungere la donna della sua vita.
    Ed eccoli lì, insieme, nonostante tutto.
    “Beccati questa, Capellone!” pensava, ogni volta che ricordava le intrusioni di Angel.
    Buffy si scostò gentilmente da lui e si sciolse dall’abbraccio: “Devo scappare, sono già in ritardo. Assicurati che Dawn abbia con sé il pranzo, prima di accompagnarla, ok? Altrimenti finisce come martedì scorso, quando siete dovuti tornare indietro all’ultimo minuto” lo rimproverò, ma con il sorriso sulle labbra.
    Non c’erano più ombre sul suo bel viso.
    Era tornata alla luce. Era tornata alla vita.
    Insieme a lui.
    Spike mise su uno dei suoi più tipici bronci: “Devi proprio andare?” domandò, col tono di un bambino abbandonato che vede per la prima volta sua madre uscire senza di lui.
    Buffy roteò gli occhi, ostentando esasperazione: “Dobbiamo discuterne ancora?” protestò, dirigendosi verso l’ingresso a passo spedito.
    Spike la seguiva con l’entusiasmo di un condannato al patibolo: “Cerca solo di tornare presto, d’accordo?” mugolò, in tono deluso.
    Buffy sorrise tra sé e si avvicinò alle scale che portavano al piano superiore: “Dawn??!! Muoviti, farai tardi a scuola!” gridò, impaziente.
    Sfrecciò nuovamente verso l’ingresso e si fermò all’appendiabiti. Dopo una breve esitazione, scelse una giacchetta color crema con la zip sul davanti, perfetta per i primi giorni di un tiepido settembre.
    Finalmente pronta, si voltò verso Spike: “Io vado. Tira giù Dawn con la forza, se necessario, e cercate di non fare tardi, va bene? E non correre!” lo ammonì, ben consapevole della passione del suo uomo per l’alta velocità.
    Spike sospirò ed annuì con aria teatrale: “Come vuoi, capo! Tu, piuttosto, non trattenerti a fare conversazione come l’altra volta, intesi? Ricorda che ti voglio qui subito dopo pranzo!” la redarguì, in un tono che non ammetteva repliche.
    Buffy sorrise e lo baciò lievemente su una guancia: “Come vuoi tu, Mister Apatico!” esclamò, rivolgendo poi le proprie attenzioni alla bocca di lui.
    Spike la baciò appassionatamente, stringendola con foga, e Buffy dovette lottare contro sé stessa per convincersi a fermarlo.
    “Vado!” ribadì, aprendo con slancio la porta d’ingresso. Fece per uscire, ma sembrò ricordarsi improvvisamente di una cosa, e tornò sui suoi passi.
    Si fermò dinanzi a Spike e gli scompigliò affettuosamente i capelli: “Ti amo” fu tutto ciò che gli disse, prima d’infilare la porta ed allontanarsi.
    Spike restò fermo sulla soglia a guardarla camminare, incantato dal modo in cui la luce dorata del giorno metteva in risalto la naturale bellezza del suo magico angelo.
    “Ti amo anch’io, passerotto” sussurrò, mentre un sorriso involontario gli si dipingeva in volto.
    C’erano cose a cui non avrebbe mai fatto l’abitudine. Stare alla luce del sole, per esempio. O mangiare cibo normale, senza più quell’asfissiante dipendenza dal sangue. Oppure, ancora, vedere la sua immagine riflessa nello specchio, dopo oltre un secolo di vanità alla cieca.
    Ma, sopra ogni altra cosa, ciò cui non si sarebbe mai abituato era l’amore di Buffy.
    Perché *fare l’abitudine* diventa spesso sinonimo di *dare per scontato*; e lui non sarebbe mai riuscito a dare per scontato qualcosa che tanto aveva desiderato, e che aveva ottenuto dopo tanto tempo e dolore.
    Rimase lì, sul portico, inondato dalla luce del giorno, ad osservare quella piccola ed aggraziata figuretta bianca discendere il vialetto d’accesso, finché questa non scomparve all’orizzonte.
    Solo allora si sentì libero di rientrare in casa. E, nel chiudersi la porta alle spalle, realizzò improvvisamente una cosa che gli riempì il cuore di gioia.
    Quella mattina, la sua Raggio di Sole non aveva mai smesso di sorridere.


    ********

    2.

    Dirty Secrets

    “Buon giorno a tutti!”.
    Buffy sorrise ai suoi nuovi colleghi, sperando che un bel po’ di cordialità riuscisse ad evitarle una ramanzina per il ritardo.
    Molly le restituì il sorriso con aria vagamente assente, come se neanche la conoscesse. Derek, invece, parve letteralmente illuminarsi al suo ingresso:
    “Buongiorno, Buffy! Più radiosa del solito, vedo!” la accolse, abbozzando un cerimonioso inchino.
    Lei si concesse il lusso di sorridergli, civettuola. Non poteva negarlo: era lusingante sentirsi ancora ammirata da qualcuno, soprattutto se si trattava di un bel giovanotto bruno e abbronzato come Derek Hayes.
    Era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva flirtato con un uomo, rammentò, non senza una punta di rimpianto. Alla fine della sua storia con l’Immortale, aveva lasciato Roma e i suoi fascinosi abitanti per rintanarsi all’ennesima Bocca dell’Inferno, dove gli unici esemplari maschili mai adocchiati avevano squame e/o zanne.
    Fino all’arrivo di Spike.
    Buffy non potè fare a meno di sorridere; e non per Derek, stavolta, ma per quello strampalato, sexy biondino platinato che l’aspettava a casa.
    Quante altre donne potevano vantare una fortuna del genere??
    “Buffy…? Hai sentito cosa ti ho detto?” la richiamò Derek, strappandola alle sue fantasie.
    Cadde dalle nuvole: “Oh… scusami, no… ero soprappensiero”.
    Derek le sorrise: “Ho detto che il Grande Capo ti aspetta di là, nel suo ufficio. Vuole parlarti” annunciò.
    Buffy impallidì di colpo. La sua (scarsa, a dir il vero) esperienza le insegnava che non era mai un buon segno essere convocati dal capo, se non in tempo di paga: “Oh… d’accordo. Bene. Vado” farfugliò, dirigendosi verso il retro della piccola bottega.
    Dopo l’atroce avventura da commessa al Magic Box, anni prima, si era ripromessa che mai più, per nessuna ragione al mondo, avrebbe accettato di lavorare in un negozio. Ma le cose erano cambiate, da allora. Come aveva cercato di far capire anche a Spike, uno stipendio supplementare faceva sempre comodo, e in particolare nelle sue – tutt’altro che floride – condizioni economiche.
    E poi, il sig. Finnigan, il proprietario del bazar, si era dimostrato una persona davvero squisita: gentile, paziente e generoso, incarnava alla perfezione il modello di Datore di Lavoro Ideale.
    Non poteva perdere quel posto. Non dopo una sola settimana. Non aveva neanche ricevuto la sua prima paga!
    Rassegnata (e preoccupata), raggiunse la porta dell’ufficio e bussò timidamente. Quando ottenne risposta, ruotò il pomello d’ottone e scomparve oltre la porta color ciliegio.

    Derek seguì i suoi movimenti con gli occhi e sorrise.
    Buffy Summers era davvero un bel bocconcino. Finnigan aveva avuto un puro colpo di genio, assumendola. Era passato un po’ di tempo dall’ultima volta che aveva avuto una collega tanto giovane, bella e compiacente.
    Se lo sentiva nelle ossa: quella era una che ci stava, eccome se ci stava! Lo si capiva dal modo in cui sorrideva, con l’aria furbetta di chi la sa lunga.
    Derek sogghignò senza accorgersene. La piccola voleva farsi sbattere? Bè, sarebbe stato felice di accontentarla!
    Il suo corpo stava giusto iniziando a rispondere a quegli stimolanti pensieri, quando una voce li intercettò bruscamente:
    “Non ci provare, Hayes. Non ci pensare nemmeno”.
    Molly Sanderson lo incenerì con un’occhiata, gli occhi color nocciola che lampeggiavano sdegnati: “Non te lo permetterò, questa volta. Devo ricordarti com’è andata a finire con quella tedesca?” sbottò, le mani strette a pugno.
    Era furiosa. In passato non aveva potuto far altro che restare a guardare, impotente, mentre tutte quelle ragazze, sue coetanee o anche più giovani, subivano le… angherie di Derek.
    Ma, se c’era qualcosa che poteva fare, per impedire che quell’incubo si ripetesse ancora, bè, l’avrebbe fatto.
    Derek le rivolse lo stesso sguardo disgustato di cui avrebbe degnato un insetto: “Il mondo sarebbe un posto migliore se tu fossi muta, lo sai?”.
    Molly sembrò ignorarlo: “E’ americana quanto me, Derek. Il vostro lurido giochetto non può funzionare con lei” ringhiò, gli occhi lucidi per la rabbia.
    Derek la fissò in cagnesco: “Chiudi quella fogna!” l’apostrofò. “E piantala di fare la santarellina! Ci sei dentro anche tu, e fino al collo” aggiunse, truce.
    Si mosse nella sua direzione, raggiungendola nel suo angolino sicuro, dietro la cassa. Molly rabbrividì, inquieta.
    Quando fu abbastanza vicino, Derek si chinò su di lei, un orribile ghigno stampato sul volto: “Rassegnati, tesoro. Siamo sulla stessa barca, e tu sai di che parlo” la redarguì, nel suo tono più minaccioso.
    Molly deglutì silenziosamente, gli occhi sbarrati per l’angoscia.
    Aveva ragione lui. Per quanto detestasse ammetterlo, aveva ragione. Era stata trascinata in quell’odiosa faccenda contro la sua volontà, e non c’era nulla che potesse fare per venirne fuori.
    Nulla.
    Derek sorrise malignamente: “Bene. Vedo che siamo tutti d’accordo” commentò, brioso.
    Le voltò le spalle e fece per allontanarsi, ma sembrò avere un ripensamento e tornò sui suoi passi. Quando le fu di nuovo davanti, si decise a parlare: “Tanto perché tu lo sappia, comunque, non ho intenzione di praticare il mio… com’è che lo chiami? Lurido giochetto, con Buffy” dichiarò, col tono secco di chi si sente accusato ingiustamente.
    Molly trasse un sospiro di sollievo, ringraziando mentalmente ogni divinità conosciuta per aver ascoltato le sue preghiere, quando una gelida risata distrusse ogni sua speranza.
    I freddi occhi grigi di Derek brillavano di una luce inquietante, mentre terminava beffardamente la frase:

    “Sarà lei a giocare con me!”


    TBC
     
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    Capitolo 3 - The Houseman

    Spike si stava annoiando a morte.
    Dopo una strenua lotta, era riuscito a trascinare Briciola a scuola; ma avevano dimenticato il pranzo – amorevolmente preparato da Buffy – ed erano stati costretti a tornare indietro.
    Risultato? Nonostante avesse guidato il più velocemente possibile, ignorando piccolezze come semafori e cartelli stradali, erano arrivati in ritardo, e si erano beccati (entrambi) una sonora ramanzina dalla professoressa di Dawn, l’Orrida Braithwaite.
    Molti “Non si può andare avanti in questo modo!” e “In questa scuola ci sono delle regole da rispettare!” dopo, la vecchia mummia si era decisa a lasciarlo andare, e così Spike era tornato a casa, accompagnato da una meravigliosa emicrania.
    Solo che adesso non aveva assolutamente nulla da fare.
    Benché passasse quasi tutto il suo tempo libero (che era decisamente tanto) spulciando giornali e navigando in rete, non era ancora riuscito a trovare un lavoro adatto a lui.
    Dopotutto non aveva un gran bel curriculum. Per oltre un secolo la sua professione era stata uccidere, ed era l’unica cosa che gli riuscisse davvero bene.
    Le cose non erano cambiate neppure alla Wolfram&Hart. Le modalità erano diverse, certo, e veniva regolarmente pagato; ma pur sempre di omicidi si trattava.
    Con dei trascorsi tanto rassicuranti alle spalle, quale imprenditore con un minimo d’istinto d’auto-conservazione sarebbe stato lieto di offrirgli un impiego?
    Da quel punto di vista, doveva ammetterlo, L.A. gli mancava. Gli mancava il lavoro, i clienti, le loro strane e perverse richieste; gli mancavano i colleghi (di certo non Angel!) e, soprattutto, gli mancava l’azione.
    Non era nella sua indole starsene in panciolle tutto il santo giorno. Per lo meno, non da quando era diventato umano. Ogni notte accompagnava Buffy nella ronda, e le dava una mano con l’addestramento di quella Cacciatrice di cui si occupava, Madison.
    Ma non era abbastanza.
    Aveva viaggiato in lungo e in largo per il mondo, visto e fatto ogni genere di cose. Diamine, aveva anche sventato un paio d’Apocalissi! Non gli riusciva facile rinunciare a tutto questo, alla sua amata danza, in cambio di una vita così tragicamente normale.
    Per carità, era pazzo di Buffy. Avrebbe fatto qualunque cosa, sarebbe andato in capo al mondo se solo gliel’avesse chiesto. E adorava Briciola: gli piaceva accompagnarla a scuola, al mattino, anche se ogni volta finivano con l’arrivare tardi.
    Solo che quella non era la vita per lui.
    Aveva un bisogno disperato di lavorare. Non voleva starsene tutto il giorno in casa a rigirarsi i pollici e, più di ogni altra cosa, non voleva gravare sulle spalle di Buffy.
    Il solo pensiero che fosse stata costretta a fare la commessa – un lavoro al quale era notoriamente allergica – per provvedere anche al suo sostentamento lo atterriva.
    Quando si era offerto di sostituirla al negozio o in palestra, Buffy aveva categoricamente rifiutato. Ma lui non aveva alcuna intenzione di arrendersi: se non fosse riuscito a trovarsi un impiego per conto proprio, avrebbe rubato quello della sua donna. Era più che deciso.
    Lanciò l’ennesima occhiata truce all’orologio.
    Fortunatamente, rimuginò, Buffy sarebbe tornata a casa a momenti.
    Capitolo 4 - Dating the Boss

    Driiin.
    Spike alzò distrattamente lo sguardo dalla rivista d’annunci che stava sfogliando e fissò il telefono.
    Driin.
    Accigliato, si alzò di scatto e raggiunse l’apparecchio.
    “Casa Summers…”.
    “Tesoro?”.
    Spike sussultò per la sorpresa: “Buffy? Cos’è successo? Va tutto bene?”.
    La ragazza lo interruppe precipitosamente: “Tranquillo, è tutto ok. Ho chiamato solo per avvertire che farò tardi” aggiunse, in tono misterioso.
    Spike cercò di ignorare la sensazione di pugno allo stomaco che scaturì da quelle parole: “Come tardi? Perché?” protestò, sospettoso.
    Buffy parlava in fretta: “Il mio capo, il sig. Finnigan… mi ha invitata a pranzare con lui. Dice che vuole vedermi a tu per tu” spiegò, abbassando impercettibilmente il tono della voce per non farsi sentire da Derek, che bighellonava nei paraggi.
    Spike s’irrigidì d’istinto: “E questo che significa? Perché dovrebbe voler vedere proprio te?” sbottò, stringendo più forte la cornetta tra le dita senza avvedersene.
    Buffy roteò gli occhi, esasperata: “Per amor del cielo, Spike! E’ il mio capo! Avrà cinquant’anni anni, forse di più. Vuole solo scambiare due parole con me lontano da occhi indiscreti. Non mi sembra così tragico!” obiettò, divertita dalle vibrazioni di puro odio che poteva sentir filtrare dal telefono.
    “Si, ma… ma… non puoi andarci a pranzo! Insomma, questo qui potrebbe essere chiunque! Potrebbe essere un criminale! Un serial killer. Uno squilibrato” insistè il biondo, rasentando la crisi di nervi.
    La Cacciatrice (l’unica… per sempre…) sbuffò, seccata: “Si tratta solo di un’oretta, niente di più. E comunque, devo forse ricordarti con chi stai parlando?? Anni ed anni alla Bocca dell’Inferno, e tu credi davvero che non sappia difendermi da un aggressore qualunque?” chiese, a metà tra l’incredulo e l’indignato.
    Spike sporse il labbro inferiore in un accenno di broncio: “Non sto dicendo questo… E’ solo che… Mi manchi tanto” mugolò, odiando ferocemente la voce da checca che aveva appena pronunciato quelle parole.
    Buffy prese un profondo respiro e si morse il labbro. Dio, come faceva a farla sciogliere anche solo per telefono??
    Sentendosi orrendamente in colpa, argomentò: “Lo so… e anche tu mi manchi tanto, ma…”.
    S’interruppe. “Farò presto. Te lo prometto”.
    Spike sospirò teatralmente: “E va bene. D’accordo. Và pure se vuoi. Ma non aspettarti di trovarmi…”.
    Non ebbe neanche il tempo di finire la frase che Buffy lo interruppe di nuovo: “Oh, fantastico! Sapevo che avresti capito! Ci vediamo più tardi, amore… devo scappare. Ti amo” concluse alla velocità della luce, guardando preoccupata l’orologio.
    Riagganciò.
    “Cos… Buffy?! No!”.
    Spike restò di stucco con la cornetta ancora in mano, sentendosi un completo idiota per la millesima volta, quel giorno. “Oh, al diavolo!” imprecò bruscamente, e sferrò un potente calcio al tavolino da caffè…
    …che si ribaltò, rovesciando interamente il suo contenuto sul pavimento.
    Spike restò a guardare, impotente, l’allargarsi della macchia di cappuccino sulle piastrelle, e sospirò.
    Non poteva che considerarlo un cattivo presagio.
    “Buffy? Allora, sei pronta, cara?”.
    Buffy spense il telefono cellulare e sorrise cordiale: “Certo, mi scusi. Possiamo andare” annunciò allegramente.
    Il sig. Finnigan le porse il braccio con un caloroso sorriso dipinto in volto: “Dopo di te, tesoro”.
    I due si incamminarono insieme fuori il piccolo negozio d’antiquariato, chiacchierando amabilmente.
    Ma, se Buffy non fosse stata troppo impegnata nel tentativo di riuscire simpatica al suo capo, avrebbe sicuramente notato un fisso sguardo argenteo che li seguiva passo passo…

    Capitolo 5 - Conversation with friendly people

    “Era semplicemente squisito!”.
    Arthur Finnigan sorrise compiaciuto: “Lieto che sia stato tutto di tuo gradimento, cara! E’ sempre un piacere portare a pranzo qualcuno che sappia cosa significhi onorare la tavola, di tanto in tanto” aggiunse, con un velo di bonaria derisione nella voce.
    Buffy arrossì all’istante, sentendosi improvvisamente in imbarazzo per il bis di torta alla frutta che aveva ordinato: “Uh… ehm bè, sa com’è… mia madre diceva sempre che è da criminali prendere una sola porzione di dolce, se se ne possono avere tante!” si giustificò debolmente.
    Fortunatamente Finnigan la tolse da ogni imbarazzo con una sonora risata: “Saggia donna tua madre!” commentò, in preda all’ilarità.
    Per un attimo Buffy temette che quell’affermazione precedesse un lungo terzo grado sulla sua famiglia, cosa assolutamente sconsigliabile data la storia dei Summers.
    Ma, per buona sorte, il suo interlocutore si riprese e lasciò cadere l’argomento: “Sai, mi ha fatto davvero piacere parlare un po’ con te a quattr’occhi, Buffy” cominciò, con un sorriso pacato ad increspargli il volto. “Amo instaurare un rapporto quanto più… come dire… intimo, con i miei dipendenti” spiegò, giocherellando distrattamente con il cucchiaino da caffè.
    Buffy assentì quasi senza accorgersene, mentre Finnigan proseguiva: “Insomma, voi siete giovani, mentre io vivo i miei anni d’argento chiuso in un negozio d’’anticaglie… di tanto in tanto ho bisogno di sentirmi un po’ meno senile” disse, in un tono di comica malinconia.
    Buffy ridacchiò: “Io non credo che lei sia vecchio. Voglio dire, è una parola grossa! Piuttosto, mi ricorda qualcuno…”. La Cacciatrice socchiuse gli occhi: “… un caro amico che… conoscevo”.
    Non potè impedirsi di rabbuiarsi in volto, ripensando all’uomo che, per sette anni della sua vita, era stato né più né meno che un padre, per lei.
    “La Cacciatrice… caccia… e l’Osservatore…”
    “Osserva?”
    Art Finnigan sorrise con calore: “Dev’essere stata una persona importante per te, e questo mi lusinga” commentò pacato, guadagnandosi un sincero sorriso di gratitudine.
    L’arrivo del cameriere con il conto – che Buffy non ricordava neppure fosse stato richiesto – li distolse dalla conversazione. Dopo aver pagato, l’uomo la condusse verso la sua lussuosa berlina.
    Buffy non potè fare a meno di considerare un po’strano il fatto che un semplice bottegaio potesse permettersi un’auto del genere; ma non disse nulla, e accettò di buon grado un passaggio a casa.
    Non vedeva l’ora di tornare tra le braccia del suo casalingo preferito.

    Capitolo 6 - the Endless Waiting

    Tu-tu. Tu-tu.
    Spike sbuffò e riappese il ricevitore.
    Il viso infantile di Dawn apparve in cima alle scale: “Ancora niente?”.
    Il biondo scosse mestamente la testa: “E’ sempre staccato”.
    Dawn si morse il labbro inferiore e lo raggiunse, allungandogli una piccola pacca consolatoria sul braccio: “Coraggio papino. Smettila di fare il fidanzato geloso e torna a poltrire. Buffy sarà qui a momenti”. Gli sorrise con aria furba: “E quando arriverà, potrai finalmente darle la bella notizia!”.
    Spike roteò gli occhi, sorvolando su quell’irritante *papino* che la piccola amava tanto: “A dir il vero non sono poi così certo che la considererà una bella notizia. Ho sempre pensato che in fondo le piacesse essere l’unica” confessò, sorridendo tra sé per gli infiniti doppi sensi che quell’affermazione poteva scatenare.
    Dawn scosse la testa con una risatina, per poi sparire al piano di sopra, dove il suo adorato Giul…*i compiti* l’attendevano, lasciando il quasi-cognato in piena autocommiserazione.
    “Se essere umano significa diventare un’altra Checca, allora tanto valeva restare un vampiro!” pensava di tanto in tanto; ma la possibilità di perdere ancora l’amore per via della sua natura era fuori discussione.
    Spike si lasciò cadere sul divano e sospirò. La latitanza di Buffy gli aveva tolto anche la gioia di quella buona notizia che aveva da darle. Ma, ehi, aveva ragione Briciola: inutile continuare a rimuginare. In fondo, era solo andata fuori col suo capo. Non ad un rave party per nudisti.
    Eppure, il suo istinto non gli suggeriva nulla di buono.

    Capitolo 7 - Break Out

    “Ora basta. Io vado a cercarla”.
    Spike era fuori di sé. Erano passate due ore, e di Buffy neanche l’ombra. Persino Briciola cominciava ad avere paura.
    Per un attimo aveva pensato di rivolgersi alla polizia; ma aveva abbastanza esperienza da sapere che, entro le 24 ore dall’ultimo contatto, una persona non poteva ritenersi scomparsa. O almeno, questa era la scusa delle autorità per lavarsene le mani.
    Ma, dannazione, Buffy era scomparsa. Il cellulare era sempre staccato, e il negozio chiuso da un pezzo. Persino in palestra non si era vista, e Madison era all’oscuro di tutto.
    Il suo istinto continuava a mandargli segnali impazziti. Doveva agire, e subito.
    Spike afferrò con impeto la giacca dall’appendiabiti e si rivolse a Dawn un’ultima volta: “Tu stai qui, e avvisami subito nel caso telefoni”. La piccola annuì, e Spike aprì la porta.
    Rivelando Buffy.
    Era irriconoscibile. Se ne stava in piedi sulla soglia, tremante, il trucco sciolto sulle guance e gli occhi vitrei. A giudicare dal modo in cui si teneva il braccio, sembrava ferita.
    Spike sgranò gli occhi, mentre una miriade di piccoli aculei lo trapassava:
    “Buffy… mio dio… amore, cos’è success…?”.
    Non fece in tempo a sfiorarla. Buffy allontanò di scatto la sua mano, in un atto che poteva definirsi solo… terrorizzato.
    Poi, accadde in un attimo. Lo superò rapidamente, corse in casa e si rintanò al piano di sopra, piangendo a dirotto.
    “Buffy!”.
    Dawn era interdetta. Restò per un attimo a fissare il punto su per le scale in cui la sorella era sparita, poi si voltò verso Spike.
    Era ancora immobile sull’uscio, la porta aperta. Negli occhi, la più pura espressione di dolore che avesse mai ritenuto possibile vedere.
    Dawn si morse il labbro: “Vado io” mormorò semplicemente, sapendo che lui avrebbe capito. Si voltò e iniziò a salire lentamente le scale, lottando per mascherare l’angoscia che le opprimeva il cuore.
    Spike era interrotto. Il suo intero essere aveva subito una battuta d’arresto, nel momento in cui Buffy aveva respinto la sua mano.
    Occhi.
    I suoi occhi.
    Non li aveva mai più visti in quel modo. Non più, dopo la notte che aveva cambiato i loro destini per sempre.
    “Chiedimi di nuovo perché non potrei mai amarti!”
    Aveva fatto di tutto. Aveva provato, davvero, a gettarsi quella fetta del suo passato alle spalle. Ma i suoi antichi demoni non l’avevano mai abbandonato pienamente.
    Quell’unico sguardo di lei li aveva risvegliati dal loro torpore.
    Chiuse gli occhi, nel tentativo di cancellare l’immagine di smeraldo infranto che li popolava.
    E fu allora che vide l’inferno.

    Il cotone color crema è fresco al contatto con la sua pelle bollente. Ricorda ancora i primi battibecchi sulla scelta delle lenzuola, quando Spike…
    Buffy gemette silenziosamente e si rigirò nel letto. Aveva freddo. Freddo dentro.
    Sentiva ancora il sapore del sangue, del ferro, dell’asfalto e della paura.
    Odiava avere paura. Tutti odiano aver paura, ma per lei era diverso. La paura era per i deboli, per gli indifesi. E lei non lo era mai stata.
    La paura era uno smacco per la sua identità.
    Ancora freddo. Ancora l’odore di ruggine.
    Signor Finnigan…
    Si tirò su a sedere a si abbracciò le ginocchia, nascondendo la testa tra le gambe. Tremava.
    Cosa… cosa sta facendo?
    Il rumore sommesso della porta che si apriva la fece sussultare.
    Signore… mi lasci… che diavolo…?
    Sua sorella apparve sulla soglia.
    “Buffy…”.
    Buffy… che bel nome… così tenero… per una ragazza così calda…
    Ebbe un conato di vomito. Vide Dawn avvicinarsi al letto, ma tutto era confuso e indistinto.
    Non mi tocchi!
    Ora si era seduta, lì, ai suoi piedi. La guardava con aria addolorata, restando in silenzio.
    Shh… stà buona, bella bambolina… sarà il nostro piccolo segreto.
    Dawn parve prendere coraggio. Lentamente, per non spaventarla, allungò una mano sul materasso, tesa a prendere la sua, stretta intorno alle gambe.
    Ti piacerà… vedrai.
    “NO!”.
    Non si accorse di averlo urlato davvero. Dawn sussultò e si ritrasse, spaventata.
    Aveva spaventato sua sorella. Grandioso.
    Cercò di parlare, di tranquillizzarla, ma dalla sua gola uscì solo un gemito strozzato.
    Dawn aveva gli occhi pieni di lacrime: “Buffy… cosa ti è successo? Che… che cosa ho fatto?” aggiunse titubante.
    La Cacciatrice rabbrividì: “Dawn…” gemette, per poi nascondere di nuovo la testa tra le ginocchia. Non poteva. Era troppo. Non riusciva a guardarla negli occhi.
    Sua sorella ritentò. Le accarezzò lievemente la testa, e stavolta non fu respinta.
    La sua voce le giunse come un’eco lontana:
    “Buffy, dimmi la verità. E’ stato lui, non è vero? Il tuo datore di lavoro. Ti ha fatto del male?”.
    Stà buona… vuoi farti sentire da tutti?
    Buffy mosse convulsamente la testa, in un cenno a metà tra l’assenso e il diniego.
    Mi lasci!
    In un flash, l’immagine di una ragazza bionda. Un attimo prima, stretta fra le braccia di un vecchio, contro il muro di un vicolo cieco in una zona tranquilla.
    Un attimo dopo, in fuga.
    Dawn non ebbe bisogno di sapere altro. Strinse le labbra: “Lui ha… ha cercato di…”. Riprese fiato.
    “Ti ha violentata, non è così?”.
    “Te lo farò sentire…”
    Buffy emise un suono strozzato e si prese la testa tra le mani, dondolando avanti e indietro nel tentativo di scacciare le immagini che le popolavano la mente.
    Dawn cercò di bloccarla prendendola per le spalle, ma Buffy la spinse via con foga.
    Corri, corri, CORRI!
    Sua sorella si tenne il braccio dolorante e socchiuse gli occhi.
    “Buffy… dimmelo, ti prego. Prometto che non ti toccherò, ma tu parla. Ti ha violentata?” chiese in un filo di voce.
    Non riusciva ad accettare che la sua forte sorellona, la Cacciatrice, colei che l’aveva difesa con la vita potesse farsi sottomettere da un semplice uomo.
    Buffy chinò il capo. Era così umiliante. Non avrebbe mai voluto farsi vedere in quello stato dalla persona che, più di tutte, aveva promesso di proteggere.
    “Mi dispiace piccola… ho fallito”.
    “Buffy…?”.
    Doveva.
    Alzò il capo.
    “No. Lui non… non c’è riuscito”.
    Dawn rilasciò il respiro trattenuto troppo a lungo. Non sapeva se fosse più grande il dolore per aver avuto ragione, o il sollievo per non averla avuta del tutto.
    Gli occhi di Buffy erano ancora lucidi, ma ora riflettevano il coraggio di affrontare i propri fantasmi: “Lui mi ha… si era offerto di riaccompagnarmi a casa, dopo il pranzo, e io ho accettato. Quando siamo saliti in macchina, ha cominciato a fare strani discorsi, e…” . Deglutì a fondo: “Lui ha… ha accostato l’auto. Ci siamo fermati ad un vicolo cieco. Mi ha chiesto di accompagnarlo alla cabina telefonica, e… dio, sono stata così ingenua!”. Scosse debolmente la testa: “A quanto pare tutta la mia esperienza col sovrannaturale mi ha fatto sottovalutare i pericoli terreni” commentò amara, e Dawn si morse il labbro.
    “Buffy…”.
    “Siamo scesi. Io mi sono diretta alla cabina, ma lui mi ha presa per un braccio. Mi ha… trascinata verso il vicolo, e sbattuta contro un muro. Prima che potessi ribellarmi, ha cominciato a toccarmi…”.
    Le mancò la voce. Si coprì la bocca con la mano per soffocare un singhiozzo, e Dawn l’abbracciò. Non le importava di essere respinta, in quel momento… Buffy aveva bisogno di quel contatto.
    E infatti non si sottrasse. Si aggrappò alle sue spalle sottili, stringendola con tutta la sua forza da Cacciatrice. Le stava facendo male, ma quel dolore era rassicurante.
    Quando si sciolsero, Buffy tirò cu con il naso: “Ora vorrei un po’ riposare. Potresti…”. Indicò la porta con un gesto impacciato.
    Dawn annuì e si alzò: “Certo. Chiamami se hai bisogno”.
    Raggiunse l’uscio e si voltò per l’ultima volta. Sua sorella era già distesa, nella solita posizione fetale di quand’era più piccola.
    “Dovevano essere sicuri che la Cacciatrice la proteggesse a costo della vita. Così, le inviarono la Chiave sulla terra… sottoforma di una sorella…”
    Dawn scosse debolmente la tesa ed uscì.
    Non era il momento per i cattivi pensieri.
    Ora c’era un più duro compito ad attenderla… proprio al piano di sotto.

    Quando scese, Spike era in salotto. Era letteralmente sprofondato tra i cuscini del divano, la testa tra le mani, lo sguardo fisso al pavimento.
    Dawn si schiarì la voce per riscuoterlo.
    I suoi demoni sbiadirono. Spike sollevò la testa di scatto, poi si alzò: “Cos’ha detto? Cos’è successo?” chiese, la voce tremante.
    Non voleva sapere.
    Ma ne aveva bisogno.
    Dawn lo raggiunse. Il suo sguardo restò inchiodato al pavimento: “E’ come pensavo. E’ stato il suo datore di lavoro”.
    Spike sentì il sangue ribollirgli nelle vene. Strinse i pugni: “Io lo ammazzo, quel figlio di puttana!”.
    Mosse verso l’ingresso, ma poi ebbe un ripensamento. Si diresse verso le scale: “Prima però devo parlare con Buffy”.
    “NO!”.
    Si voltò, sorpreso. Briciola lo stava guardando con gli occhi pieni d’angoscia.
    “Quell’uomo ha cercato di violentarla, Spike. In questo momento tu sei l’ultima persona che lei vorrebbe vedere”.
    Capitolo 8 - Wisely Young
    Sentirsi crollare il mondo addosso.
    Non aveva mai davvero compreso il significato di quest’espressione.
    Fino ad allora.
    I suoi demoni presero a ridere, ridere incontrollabilmente. Ridevano di lui, proprio lì, nella sua testa.
    “Mamma… ti sto supplicando adesso… ti prego, fallo smettere!”
    Spike cadde senza forze sul divano.
    Un guscio vuoto, ecco cosa.
    Dawn gli si avvicinò titubante: “So che è dura per te non poterle stare vicino, in questo momento… ma credimi, è meglio così per entrambi. Buffy è fuori di sé, finirebbe col dire o fare qualcosa di cui pentirsi” cercò di confortarlo, ma lo vide scuotere la testa.
    “No, no piccola. Tu non hai la minima idea di cosa voglia dire”.
    Spike si alzò di scatto. I suoi occhi erano mari in tempesta: “Dopo tutto questo tempo, posso dire di aver fatto pace con la mia coscienza. Non che vada fiero del mio passato, ma l’ho superato. C’è solo una cosa, una cosa che non sono riuscito a lasciarmi indietro”.
    Dawn rabbrividì in attesa, consapevole.
    “Quello che ho fatto a Buffy… cercare di prenderla con la forza… violare il suo corpo, forzare il suo cuore… ecco cosa mi uccide”.
    Ormai un velo di lacrime era apparso a rendere quei mari più limpidi: “Non c’è notte, Dawn, non c’è notte in cui non lo sogni. Sento i suoi gemiti, le sua urla, e non posso fare a meno di chiedermi…” S’interruppe, richiamando a sè la forza per quelle ultime parole: “Cosa sarebbe successo se lei non mi avesse fermato? Cosa ne sarebbe stato di lei, di noi, se in quel momento non avesse trovato la forza di liberarsi?”.
    “Spike… sono ferita, ti prego… basta….”
    Chiuse gli occhi. Due lacrime sgorgarono senza un rumore dalle palpebre abbassate, illuminandogli il viso in un istante.
    Quando li riaprì, il mondo era un velo di brina e parole non dette: “Capisci adesso, Briciola? Capisci quello che sono? Capisci… che cosa sono?”.
    Dawn assentì, sforzandosi per non cedere all’emozione: “Capisco benissimo cosa sei, Spike. Sei un uomo che ha commesso degli errori, e che ha pagato. Che ha scontato la sua pena attraverso l’inferno, e ne è uscito illeso grazie all’amore di una donna”. Sospirò, scuotendo mestamente la testa: “Lei ti ama. Ti ha sempre amato, molto prima di rendersene conto. Ha saputo perdonarti prima che tu perdonassi te stesso, solo perché voleva farlo. Non eri tu ad aver bisogno, Spike, era lei”. Sorrise tristemente: “E ne ha ancora. Buffy ha bisogno di te, ma… non è questo il momento. Ora è tempo che affrontiate i vostri fantasmi, ma prima devi lasciare che lei affronti da sola i suoi”.
    Dawn lo guardò dritto negli occhi, con una decisione tale da spaventarlo: “Sarà lei a cercarti, quando si sentirà pronta. E allora tu dovrai esserci. Per dimostrarle di essere l’uomo che merita” concluse raddolcendosi.
    Spike restò in silenzio per un istante. Poi l’angoscia fu tale da non riuscire più a trattenersi: “E se non lo fossi? Buffy merita solo il meglio, ed io… Lei sta male a causa mia, capisci? Come posso essere l’uomo giusto? Dopo questa storia aprirà gli occhi e chi credi vorrà al suo fianco? Il suo primo quasi-stupratore?” chiese con la voce incrinata. Non riusciva a vedere se stesso in modo diverso, con gli occhi di Buffy.
    Dawn lo fissò, più seria di quanto non fosse mai stata: “No. L’uomo che ama” rispose semplicemente.
    Spike sbuffò e sorrise allo stesso tempo: “Apprezzo che tu stia cercando di farmi sentire meglio, Briciola, ma…”.
    “Nient’affatto” fu la secca risposta. “Io faccio quello che ritengo più adatto per mia sorella. E in questo momento ritengo che la cosa più adatta sia tu”.
    La sensazione di déja-vù lo colpì in pieno, alla vista di tanta decisione.
    “Dormi pure. Ma se fai del male a mia sorella… se solo la tocchi… ti sveglierai tra le fiamme.”
    Non potè impedirsi di sorridere: “Da quando sei diventata così determinata, Summers?”.
    Dawn restituì il sorriso, lieta che, per una volta, lui non le avesse dato appellativi da bambina: “Da quando tu sei diventato tanto insicuro!” rispose briosa.
    Spike rise appena. Diavolo, aveva ragione. Stava diventando un fottuto pappamolle!
    “Se avrò bisogno di qualcuno che si piange addosso ti chiamerò”
    Un’ombra tornò ad attraversare il suo viso.
    Dawn notò subito il cambiamento, e gli accarezzò un braccio con aria solidale: “Stà tranquillo. Presto sarà lei a cercarti” ripetè, sperando di infondergli un po’ del suo ottimismo.
    Spike annuì lentamente: “Già” .
    Sospirò.
    “Speriamo solo non ci voglia troppo tempo”.
    Capitolo 9 - Defated

    “Ricordi quello che provavi… quando ero dentro di te?”.
    Spike…
    “Te lo farò sentire!”.
    Lo spettro di una risata aleggiò nell’aria.
    Buffy si tirò su di scatto, ansante, la fronte imperlata di sudore.
    Non doveva chiudere gli occhi. Non poteva permettere agli incubi di sopraffarla. Non quando tutto ciò che sognava era…
    Spike.
    Spike, lì, sulla soglia.
    Cosa…?
    Istintivamente, arretrò fino a toccare la spalliera del letto, attirando a sé il lenzuolo.
    Spike vide.
    Strinse i pugni. Dio, Briciola aveva ragione. Buffy aveva paura di lui.
    “Già, perché tu non menti, né rubi, né imbrogli, né manipoli!”.
    “Non ti faccio del male”.
    Bugiardo. Gliene aveva fatto eccome.
    Buffy era la Cacciatrice. Figlia della morte e del dolore.
    “Hai bisogno del dolore che ti infliggiamo”.
    Ma lui si era illuso… si era illuso di averle portato un po’ di pace. Di aver illuminato, anche solo fiocamente, una vita buia e difficile.
    E invece non aveva fatto altro che spingerla in nuovi abissi.
    Amore… che cosa ti hanno fatto? Che cosa ti ho fatto?
    Buffy non riusciva a guardarlo in faccia. Stringeva convulsamente il lenzuolo, gli occhi irrequieti vagavano per la stanza. Qualsiasi cosa, qualsiasi cosa pur di non perdersi in quei mari azzurri.
    Perché sapeva che, nel momento in cui li avesse incontrati…
    Avrebbe solo visto il suo stupratore.
    Gemette involontariamente e chinò il capo.
    Spike agì d’istinto. Non c’era verso che potesse sopportare un lamento di Buffy senza accorrere. Anche a costo di spaventarla.
    In due passi fu al bordo del letto:
    “Buffy….? Va tutto bene?”.
    Oh, dio, che domanda stupida! Cosa poteva mai rispondere la vittima di un tentato stupro??
    Si maledisse mentalmente e studiò le sue reazioni.
    La domanda arrivò in ritardo alle orecchie di Buffy. I suoi sensi erano troppo impegnati a captare i movimenti dell’ex vampiro, per focalizzarne le parole.
    Non guardarlo. Qualunque cosa accada, non guardarlo.
    “Buffy… guardami, ti prego”.
    Si morse il labbro inferiore fino a sanguinare. Come poteva chiederle una cosa del genere?? Possibile che non capisse?
    La risposta arrivò prima di quanto si aspettasse.
    No, certo che non capiva. Non poteva capire. Lei rifiutava un qualunque contatto, precludendogli completamente l’accesso ai suoi pensieri.
    Se solo potessi…
    Spike tentò.
    Con una lentezza struggente, alzò la mano e l’allungò verso il viso di lei. Non voleva rischiare di spaventarla, così le offriva la possibilità di ritrarsi in qualunque momento.
    Anche se, dio, questo l’avrebbe ucciso.
    Fremette quando le sue dita sfiorarono la pelle calda di pianto. Sforzandosi di non precipitare la situazione, si spostò dolcemente verso il mento per indurla ad alzare la testa.
    Guardami amore… lascia che chieda perdono ai tuoi occhi.
    E in un attimo, eccoli lì.
    Blu oceano e verde smeraldo, persi l’uno nell’altro, annegati nel riflesso del dolore.
    Lacrime lontane, ma così simili, a legarli in catene di comprensione.
    Perdonami Buffy…
    Perdonami William…
    Cedette. Per quanto odiasse perdere, accolse la sconfitta chinando il capo.
    Spike tremò.
    Buffy aveva interrotto il contatto. Segno che non era ancora pronta per lui.
    Senza una parola, si alzò dal letto, raggiunse la porta ed uscì.

    Appena fu fuori, si lasciò cadere sul pavimento, le spalle al muro.
    Chiuse gli occhi e pianse fino a perdere i sensi.
    Capitolo 10 - I’ve Always Been Bad
    “Non è andata un granchè bene, eh?”.
    Alzò la testa a incontrare lo sguardo comprensivo di Dawn.
    Spike sospirò e scosse il capo: “Non riesce neanche a sopportare la mia presenza. E non posso biasimarla”.
    Dawn fece una smorfia: “Io ti avevo avvertito. Non precipitare le cose, o la farai sentire braccata”.
    Esitò per un attimo, chiedendosi se fosse il caso di aggiungere qualcos’altro. Trovandosi senza parole, però, lo superò e fece per andarsene.
    “Ehi, piccola”.
    Si voltò.
    Spike aveva in volto un’espressione truce che non gli vedeva più da molto tempo:
    “Se è stato quel Finnigan… se ha anche solo osato metterle le mani addosso… io dovrò farlo a pezzi”.
    Contrasse la mascella, poi sbuffò: “Volevo solo che tu lo sapessi”.
    Avrebbe dovuto dirgli di no. Avrebbe dovuto fargli la predica e farlo ragionare. Avrebbe dovuto dirgli che con la violenza non si risolvono i problemi, e che non sarebbe stato corretto picchiare un uomo attempato.
    Ma lei non era Buffy.
    Quell’uomo aveva cercato di stuprare sua sorella. Non riusciva a pensare ad una fine migliore, per quel lurido verme, che cadere tra le mani di William il Sanguinario.
    Così, semplicemente, accennò con la testa.
    E uscì dal suo campo visivo.

    “Non è andata un granchè bene, eh?”.
    Il vecchio alzò la testa di scattò e digrignò i denti: “Che diavolo ci fai tu qui?”.
    Derek Hayes ghignò, spudoratamente compiaciuto: “Mi sembra ovvio: godo dei tuoi insuccessi!”.
    Si avvicinò al capo con la sua tipica andatura decisa, un sorriso di scherno stampato in faccia: “Ma guardati. Sei solo un vecchio pervertito. Credevi davvero di avere la minima speranza con Buffy Summers?”. La sua espressione si fece più dura: “Avresti dovuto lasciar fare a me. L’avrei scopata fino a toglierle il fiato, e poi l’avrei impaurita come si deve”. Il solito ghigno arrogante tornò sul suo viso: “Sarebbe stato divertente!”.
    Arthur Finnigan fece una smorfia: “Personalmente preferisco forme di divertimento che non prevedano pugni allo stomaco!”.
    Derek rise di gusto: “Te le ha date di santa ragione? Dio, questo sì che è divertente!”.
    Finnigan lo fulminò con lo sguardo: “Piantala, idiota. Ad ogni modo, non avrebbe funzionato con lei. E’ americana. Documenti in regola. Ho controllato personalmente”.
    Derek roteò gli occhi: “Parli così solo per guarire il tuo orgoglio ferito. Esistono mille modi per ricattare una persona, non lo sai? Miss Summers ha bisogno di questo lavoro. Non avrebbe rinunciato tanto facilmente”.
    S’interruppe per un istante, prima che nei suoi occhi passasse un lampo di malvagia genialità: “Aspetta un momento…”.
    Finnigan lo fissò con aria distante, fingendosi del tutto disinteressato.
    Derek si leccò le labbra, compiaciuto dalla sua stessa idea: “Forse non è ancora tutto perduto. Scommetto che ho ancora una possibilità di far aprire le gambe a quella puttanella da quattro soldi…”.
    “Io non ne sarei così sicuro, amico!”.
    I due cospiratori si voltarono simultaneamente.
    Sulla soglia del negozio c’era un uomo mai visto prima. I suoi vistosi capelli decolorati spiccavano nella penombra, illuminati dal lampione giù in strada.
    Derek si accigliò: “Ehi, chi diavolo…?”.
    Ma una mano di ghiaccio stretta attorno al suo collo gli impedì di continuare la frase.

    “Apri bene le orecchie, razza di miserabile, lurido pezzo di merda”.
    Lo guardava, l’uomo, e sorrideva. Sembrava persino tranquillo, ma le sue mani erano fuoco solido.
    Derek sostenne il suo sguardo. Non era mai stato tipo da farsi intimidire tanto facilmente. Neanche con cinque dita che minacciavano le sue corde vocali.
    Il tizio continuò a sorridere, gentilmente: “Forse da quando quella cagna di tua madre ti ha mollato al tuo destino hai cominciato a vedere le donne in modo diverso; o forse, chissà, dev’essere stato il trauma di quella scopata gay a sedici anni; o magari, ancora, forse hai solo seguito gli insegnamenti del tuo degno precettore” cominciò, interrompendosi solo per accennare vagamente a Finnigan con il capo.
    “Fatto sta che niente, nemmeno il peggior trauma della tua fottuta, patetica, squallida, insignificante esistenza, può giustificare quello che hai fatto, né tanto meno servirà a salvare il tuo povero culo malato dalle mie grinfie, in questo preciso momento”.
    A quelle parole, tenendolo saldamente fermo per il collo, lo allontanò dal muro contro cui l’aveva sbattuto per scagliarlo con forza inaudita sul pavimento. Derek emise un gemito soffocato e guardò l’estraneo con un’espressione che rasentava il disgusto: “Come osi, figlio di…”.
    Il biondo alzò una mano per dissuaderlo dall’andare avanti, sempre quell’espressione amichevole sul volto angelico, ma dai lineamenti affilati: “Perché vedi, povero, piccolo, rivoltante rifiuto umano, stavolta hai commesso un errore”. S’interruppe, e quando continuò, non c’era più traccia di benevolenza sul suo viso, ma solo un ghigno amaro che rendeva quelle fattezze diaboliche:
    “Stavolta hai toccato qualcosa di mio, amico. E chiedi in giro che fine fanno quelli che toccano qualcosa caro a William il Sanguinario”.
    Per un attimo, Derek si accigliò. Avrebbe dovuto conoscere quel nome? Ma non gli ricordava niente. Eppure, riflettè, non era un soprannome rassicurante.
    Tuttavia si alzò lentamente in piedi, il solito sorrisetto arrogante a fronteggiare quello del suo avversario: “Guarda, guarda chi abbiamo qui” quasi sputò le parole. “Fammi indovinare, ti prego… Oh, ecco, aspetta, ci sono: devi essere la guardia del corpo di quella specie di sgualdrinella in calore. Miss Buffy-Scopami-Summers” commentò, compiaciuto dal suo sangue freddo nonostante il dannato dolore al sedere.
    L’ossigenato scrollò appena il capo: “Non ha importanza chi sono io, adesso. Quello che conta è chi sei tu”. Gli sorrise di nuovo con quell’aria innocente, quasi cordiale: “E vuoi sapere chi sei tu, miserabile pervertito?”.
    Si avvicinò lentamente, a passo cadenzato, scandendo trionfalmente le sue ultime parole:
    “Sei un miserabile pervertito morto”.
    Non gli lasciò il tempo di ragionare. In un attimo fu su di lui, e l’ultimo pensiero coerente di Derek fu che una simile furia non poteva venire da un essere umano.
    Non riusciva neppure a difendersi. Il biondo lo colpiva con la forza della follia, con una frenesia ebbra di rabbia, eppure, assurdamente, ancora ben lucida da sapere esattamente come e dove toccarlo per fargli più male.
    Stava cominciando a credere davvero che sarebbe morto. Ogni contatto era una lama acuta che lo trapassava da parte a parte, ogni pugno una scarica di fuoco che gli arrivava direttamente al cervello, ogni calcio una sferzata d’acciaio che lasciava marchi indelebili sulla pelle.
    Era, semplicemente, dolore.
    E poi, tutto a un tratto, l’inferno cessò di bruciare, e il suo aguzzino venne spinto via a forza, cedendo al corpo martoriato una necessaria tregua.
    Lentamente, lottando con la gravità per sollevare le palpebre pesanti, Derek aprì gli occhi.
    E quello che vide lo lasciò senza fiato.

    Spike si sentiva così bene. Erano anni, secoli, che non avvertiva l’adrenalina pompargli le vene in quel modo. La lotta lo aveva sempre eccitato, ma predare per fame era diverso dal massacrare qualcuno che ti ha fatto un torto.
    E quell’essere, oh, altro che torto.
    Meritava di marcire all’inferno anche solo per aver detto quelle cose sulla sua Buffy. Su quella creatura magnifica che, mentre lo stronzo spacconeggiava, se ne stava chiusa in camera senza vedere nessuno, il cuscino stretto al viso coperto di lacrime.
    Stà tranquilla, amore. Ci penserò io. Presto tutto andrà bene. Lascia solo che lo faccia a pezzi, ti prego.
    Ma poi, tutto a un tratto, mentre godeva ancora dell’inebriante sensazione della pelle lacera sotto le dita, del sangue caldo sotto le unghie, qualcosa lo aveva fermato e spinto via a forza.
    Si era voltato, già pronto a far fronte al suo assalitore.
    Ma, una volta faccia a faccia, lo stupore l’aveva attanagliato, e, semplicemente, non aveva potuto.
    Davanti a lui, ansimante e paonazza per lo sforzo di bloccare la furia di un ex vampiro ben allenato, c’era una giovane donna.
    Doveva avere all’incirca l’età di Buffy. Grandi boccoli rossi che le ricadevano sulle spalle contornavano un viso largo e un’espressione decisa, addolcendola, per quanto possibile. Il corpo era esile e magro, e Spike non potè a meno di chiedersi come avesse potuto fermarlo con una presenza del genere.
    Ma poi, guardandola in faccia, capì ogni cosa.

    Piangeva, Molly.
    I pugni serrati e le labbra tremanti, mentre, con lo sguardo, accarezzava la figura del giovane bruno accasciato al suolo, coperto di sangue ed escoriazioni.
    Come ti sei ridotto, stupido folle?
    Piangeva perché, mai come allora, alla vista di quel tornado biondo che travolgeva il suo uomo, si era resa conto di quanto potentemente e ingiustamente lo amasse, quel criminale, quel mostro, quel depravato.
    Derek cercò di alzarsi, ma potè a malapena mettersi seduto: “Molly…” fiatò a stento.
    Il suo cuore perse un battito: “Sono qui…” sussurrò vergognosa, mentre ancora una volta si sottometteva a lui, al suo fascino, ai suoi ricatti.
    Ma no.
    Non più.
    Strinse i denti, mentre una lacrima dispettosa le rotolava lungo la guancia. L’aveva giurato a se stessa. Per se stessa, oltre che per tutte loro. Tutte le ragazze che, negli ultimi due anni, si erano susseguite in quella spirale di orrore e silenzi; le ragazze che guardava ogni giorno negli occhi, fingendo di non sentire l’eco delle loro urla impressa a fuoco nei timpani.
    Deglutì e distolse lo sguardo da lui, da Derek, per puntarlo sulla furia bionda.
    Ora pareva essersi calmata, però. La fissava con un misto di sorpresa e diffidenza, e si stupì di quanto palesi passassero le emozioni in quegli occhi color oceano.
    Gli concesse un sorriso, un piccolo, caldo sorriso, sebbene il suo inferno personale la stesse consumando:
    “Ti spiegherò tutto io. Ora vieni con me”.

    Capitolo 11 - Veil of Time

    Dawn scrutò attentamente il volto di sua sorella.
    Era rimasta davvero sorpresa quando, pochi minuti prima, l’aveva vista apparire in cima alle scale, innaturalmente pallida, ma con un’espressione decisa in volto. Sapeva che uscire dalla sua stanza era un modo per riprendere i contatti col resto del mondo, per aprirsi al resto del mondo, ed era assurdamente fiera di essere stata scelta per quel primo contatto umano.
    L’aveva abbracciata. Buffy aveva sceso con gambe malferme gli ultimi gradini, ed era volata tra le sue braccia, chiedendo quel muto conforto di cui aveva tanto bisogno.
    E così, ora, eccole lì, le sorelle Summers, sedute al tavolo testimone di tante emozioni. Dawn aveva rinunciato all’idea del caffè, ben sapendo cosa pensasse la sorella delle sue arti culinarie, e si era limitata a prendere un pacchetto di biscotti dalla credenza. Al cioccolato, ovviamente. I biscotti dei momenti di crisi.
    Buffy non ne aveva parlato, ma le aveva letto negli occhi verdi lo stupore di non vedere in giro una certa testa ossigenata. Così, senza farsi incalzare, Dawn aveva mormorato:
    “Spike è uscito un attimo. Aveva... delle cose da sbrigare. Ma sarà qui a momenti, vedrai”.
    Sua sorella aveva sgranato lievemente gli occhi, ma era rimasta in silenzio, troppo presa a chiedersi in cosa potessero consistere le ‘cose da sbrigare’ di un ex vampiro disoccupato.
    Un attimo dopo, aveva capito.
    Impallidì. Puntò gli occhi brillanti come fanali sulla giovane Summers:
    “Non… non sarà…” non riuscì a completare la frase.
    Dawn scrollò appena il capo. Era una ragazza sveglia. Solo che non poteva rispondere a quella domanda.
    “Se è stato quel Finnigan… se ha anche solo osato metterle le mani addosso.. io dovrò farlo a pezzi”
    Proprio in quel momento, salvando la bruna dall’imbarazzo di una risposta, il suono della chiave che girava nella toppa venne a riscuoterle.
    Istintivamente, Buffy si alzò, mettendosi sulla difensiva. Dawn lesse il panico su quel viso provato dal tempo, e le accarezzò lievemente il braccio per rassicurarla.
    La porta si aprì.
    Spike entrò con la furia di un tornando, evidentemente turbato da qualcosa; ma alla vista delle due sorelle sedute insieme in cucina si bloccò, paralizzato.
    Deglutì piano, sentendo tutta la rabbia scivolargli di dosso com’era arrivata:
    “Buffy…”.
    Lei sostenne il suo sguardo. Intimorita, angosciata, ma sostenne il suo sguardo.
    Era già un passo avanti.
    Lentamente, intimando a se stesso di non precipitare le cose, mosse nella sua direzione, senza mai rompere il contatto visivo.
    Buffy tremò, ma rimase immobile. Temeva la vicinanza, ma in qualche modo non riusciva a schivare quello sguardo azzurro.
    Dawn la vide stringere i pugni, e capì. Doveva fare qualcosa.
    “Spike, sei tornato!” esordì in tono brioso, alzandosi in piedi a sua volta. “Allora, come…com’è andata quella… uhm… commissione che dovevi sbrigare?” aggiunse, chiedendosi per un attimo se fosse davvero il caso di parlarne davanti a sua sorella.
    Spike la guardò appena, per poi puntare ancora lo sguardo in quello di Buffy.
    “Io credo in te, Spike”
    Oh, amore, amore mio… parleresti ancora così, dopo quello che ti hanno fatto?
    La rabbia e il dolore superarono la razionalità. Cominciò a parlare senza quasi rendersi conto di quel che diceva:
    “Sono andato al negozio. Da Finnigan, e da quel bastardo con le mani lunghe”.
    Buffy capì e, mentre l’immagine del sorriso lascivo di Derek le si insinuava in mente, provò un conato di vomito e si accasciò pesantemente sulla sedia.
    Spike non le toglieva gli occhi di dosso: “Li ho sentiti confabulare. Erano d’accordo, quei due pezzi di merda” ringhiò, stringendo i pugni.
    Dawn studiò preoccupata le reazioni della sorella. Aveva uno sguardo smarrito ma, quando parlò, la sua voce tremante s’impose nel silenzio:
    “Non… non gli avrai…?”. Inghiottì piano, sforzandosi di nascondere l’angoscia. “Non gli hai fatto del male, vero?” sussurrò flebilmente.
    Spike la guardò a lungo. Pensò al viso contuso di Derek, e agli occhi sbarrati del vecchio codardo, che non aveva neppure trovato il coraggio di intervenire in difesa del suo discente.
    Scosse appena la testa: “No, io…”. I suoi occhi si fissarono intensamente in quelli di Buffy, provocandole un brivido a metà tra la paura e… quella solita sensazione di desiderio che solo Spike sapeva accendere in lei.
    “Non li ho uccisi, se è questo che vuoi sapere” mormorò stancamente, mentre Dawn traeva un intimo sospiro di sollievo. Per un attimo aveva davvero temuto il peggio. Sperava solo che Buffy non avesse notato le nocche spaccate sui pugni del biondo.
    Buffy deglutì lentamente e annuì appena, incitandolo a continuare.
    Spike strinse i denti e si preparò alla parte più difficile del discorso:
    “Era tutto un accordo. Una tresca. Finnigan e il figlio di puttana, Hayes, collaborano per adescare giovani ragazze extracomunitarie e farne quello che vogliono”.
    Respirò a fondo per calmarsi e continuò.
    “A quanto pare sono due anni che questo schifo va avanti. La formula è sempre la stessa: Finnigan assume una giovane e bella straniera, possibilmente senza permesso di soggiorno, o magari in guai con la legge, come commessa nel suo negozio. Hayes comincia a sedurla, tanto per tastare il terreno, e a quel punto scatta l’appuntamento col capo. Finnigan fa quello che vuole con la ragazza, e poi la cede ad Hayes che, dopo essersi divertito un po’, passa alla fase due. Quella del ricatto”.
    Buffy e Dawn seguivano il racconto in silenzio, ciascuna in balia di sentimenti diversi e contrastanti.
    Pur sentendosi ignobile ad affrontare in quel modo un argomento del genere, Spike si fece coraggio e andò avanti:
    “Le minacce sono molto semplici: niente permesso di soggiorno, denunce, mandati d’estradizione, tutta burocrazia, insomma. E’fin troppo facile fregare chi è senza cittadinanza. Hayes terrorizza la malcapitata di turno per tenerla legata a sé; poi, quando, puntualmente, si stufa del suo giocattolo, torna da Finnigan, che si sbarazza della ragazza dopo averla costretta al silenzio, e cerca un’altra vittima. E la storia ricomincia”.
    Buffy sentì le lacrime pungerle negli occhi. No, non poteva essere. Si sentiva in colpa per essersi fatta lusingare dalle attenzioni di Derek, quell’essere mostruoso, e ancora in più per aver paragonato quel verme del sig. Finnigan a Giles, l’uomo che l’aveva amata e cresciuta più d’un padre.
    Chinò il capo sulle ginocchia, lottando invano per trattenere i singhiozzi, e sentì una pressione gentile sulla schiena. Voltandosi, vide il sorriso caldo di lacrime della sorella, e la sua forza le diede la spinta per ascoltare ancora quella fiaba piena d’orrore.
    “Volevano fare lo stesso con Buffy. All’inizio devono aver pensato che fosse straniera, ma quando hanno visto i documenti hanno capito l’errore”.
    Spike tacque per un istante, reprimendo l’istinto di volare tra le braccia del suo passerotto impaurito, per riaffermare ancora una volta il suo amore e il suo possesso su di lei. Ma si costrinse a resistere, e terminò il racconto a voce più bassa, arrochita:
    “Solo che, a quanto pare, Hayes ama le sfide. Ha persuaso Finnigan a tentare ugualmente il loro giochetto, contando di ricattarla in qualche modo, ma con Buffy gli è andata male”.
    Non potè nascondere la nota d’orgoglio nel sottolineare la superiorità della sua Cacciatrice.
    Buffy era immersa in un lugubre mare di rabbia e frustrazione. Avrei potuto aiutare quelle ragazze. Avrei potuto salvarle.
    Avvolta com’era nel suo bozzolo di dolore, percepì a stento la voce di Dawn attraverso la coltre dei suoi pensieri:
    “Ma… come hai fatto a sapere tutto questo?”.
    Oh, giusto. Quella sì che era una bella domanda.
    Alzò la testa, incuriosita, e vide Spike sospirare: “Avevano una complice. Bè, non proprio una complice, a dir il vero… più che altro era una vittima come le altre. Era innamorata di Hayes, per questo non li ha mai denunciati. Fino ad ora”.
    Improvvisamente, tutte le tessere del puzzle andarono al loro posto.
    Buffy sussultò, mentre l’orrore di quell’ultima scoperta la divorava: “Molly…”.
    Spike la fissò, sorpreso: “Già, Molly. La conosci?”.
    Dawn vide sua sorella rabbrividire e capì:
    “E’ la ragazza di cui mi hai parlato… la commessa scontrosa. La tua collega. Non è così?”.
    Buffy tirò su con il naso: “Si. E’ lei” sussurrò flebilmente, le spalle che ancora tremavano.
    Spike avvampò mentre, improvvisamente, tutto tornava: “Ma certo… era sempre a stretto contatto con loro… ha visto susseguirsi tutte quelle ragazze.. e non ha mai detto niente” concluse tra i denti. Non poteva fare a meno di pensare che, se quell’ochetta avesse trovato prima il coraggio di parlare, non sarebbe accaduto nulla alla sua Raggio di Sole.
    Ma, proprio ad intercettare i suoi pensieri, Buffy strinse i pugni e raccolse l’energie necessarie a pronunciare una sola, piccola frase:
    “Era innamorata, Spike”.
    Quando sentì due paia d’occhi fissarla con sorpresa, alzò timidamente il capo e incontrò i due oceani in cui era solita perdersi:
    “Molly era innamorata di Derek. Sapeva chi e cosa fosse in realtà…”
    “Tu sai che cosa sono! L’hai sempre saputo”
    “… ma questo non le ha impedito di provare qualcosa per lui.”
    “Io… provo qualcosa per te…”
    “Avrebbe dovuto denunciarlo, è vero…”
    “Devo raccontare cosa è successo”
    “… lo sapeva anche lei, ma semplicemente non ha potuto.”
    “Non sono pronta a non averti più nella mia vita”
    Buffy deglutì a fondo, gli occhi ormai colmi di lacrime mentre il presente e il passato si confondevano:
    “L’amore è folle. E’ cieco, ed irrazionale…”
    “L’amore vero… è selvaggio… è appassionato… è pericoloso”
    “… e spesso porta a commettere degli errori.”
    “Te lo farò sentire…”
    Strinse i pugni mentre quei frammenti di terrore, mai così vivi come in quel giorno, tornavano a popolarle la mente.
    Ma, adesso, riusciva a vederli in modo diverso.
    Guardò Spike dritto negli occhi, come aveva bramato e temuto di fare in quelle ore d’angoscia, e no, non vide il suo stupratore.
    Quell’uomo, quella… creatura non c’era più.
    Ora c’era solo Spike.
    L’uomo della sua vita.
    L’uomo della sua anima.
    L’uomo del suo cuore.
    “Ma l’amore… è l’unica cosa che ci tiene in piedi. E’ l’unica cosa che ci fa alzare al mattino, e dormire la sera; è l’unica cosa che dà e toglie il respiro; è l’unica cosa per cui valga la pena vivere, e l’unica per cui valga la pena morire”.
    “Brucia… consuma…”
    Buffy sorrise, tra le piccole lacrime argentee – le ultime, per quel giorno e per molti altri a venire – che le illuminavano il viso in un alone impalpabile.
    “Per amore si soffre… si mente… si uccide. Ma ci fa sentire vivi. E l’uomo ha bisogno di sentirsi vivo. Per non crollare”.
    Spostò lo sguardo da Spike, a Dawn, e poi di nuovo a Spike, fissandolo più intensamente di quanto non avesse mai fatto prima.
    E, improvvisamente, tutti i dubbi furono dissipati, i timori sopiti, i muri abbattuti.
    “Ti fidi di me?”
    Si alzò lentamente in piedi, senza distogliere lo sguardo da uno Spike completamente rapito.
    Poi si voltò verso Dawn, la sua piccola, grande sorellina, e le sorrise, sperando di riuscire a comunicarle così tutta la sua gratitudine.
    “E’ il sangue delle Summers. E’ proprio come il mio”
    Un’ultima occhiata, solo un’ultima occhiata, tra loro.
    E poi, silenziosa com’era arrivata, Buffy uscì dalla cucina e scomparve su per le scale.

    Spike tacque, incantato dalle parole della sua Raggio di Sole, e stordito dalla luce che era tornata a brillarle dentro.
    Buffy, amore… ti prego, ti supplico… lasciami solo…
    “Bè? Cosa diavolo stai aspettando?”.
    Tornò bruscamente alla realtà, solo per incontrare il lampo di severa esortazione sul viso di Dawn.
    Esasperata, la ragazza roteò gli occhi: “Ma perché bisogna sempre spiegarti tutto? Và da lei, no?”.
    Spike la scrutò ansiosamente: “Credi forse che non vorrei? Ma non…”.
    “Posso, vuoi dire? Oh, insomma, andiamo!”.
    Dawn sbuffò e sorrise, mentre il suo piano di fare la dura falliva ancora una volta miseramente: “Ma hai sentito anche solo una parola di quello che ha detto? Quanto credi le importasse di Derek e Molly? Lei stava parlando di voi, Spike, per voi”.
    Sospirando, si alzò in piedi e lo raggiunse, sospingendolo con foga verso la porta: “Ora tu esci da questa stanza, anche perché io devo fare una telefonata, e fili subito da Buffy, è chiaro? E ricorda che, se la farai soffrire…”.
    Spike completò con un sorriso quello che era ormai diventato il loro mantra: “… ti sveglierai tra le fiamme! Stai diventando monotona, Briciola, te l’hanno mai detto?”.
    Con un’ultima, poderosa spinta, Dawn gli sbattè in faccia la porta della cucina e, attraverso il vetro, potè sentirla sbottare: “Meglio monotona che completamente ottusa! E adesso sparisci! Via! Sciò!”.
    Spike scrollò appena il capo, sorridendo, e guardò verso le scale.
    “Fino alla fine del mondo... anche se dovesse essere stanotte”
    Lentamente raggiunse i gradini e andò incontro al suo destino.
    Capitolo 12 - Heaven out of Hell

    Era lì, Buffy.
    Seduta sul letto, tra i guanciali, avvolta in un’aura d’inimmaginabile candore.
    Sorrise tra sé a quel pensiero. Eccolo William, il suo poeta che riemergeva.
    Senza mai smettere di guardarla, si chiuse la porta alle spalle e prese ad avvicinarsi, constatando con sollievo che lei non sembrava spaventata. Raggiunse la spalliera, ma poi si fermò.
    Non voleva darle l’impressione di…
    “Vieni qui”.

    “Vieni qui”.
    Buffy sorrise internamente.
    Eccolo il suo William, timoroso anche solo d’avvicinarla.
    Ma non c’era più niente da temere. Mai più.
    Scivolò verso il suo lato del letto, facendogli posto, e battè leggermente sul cuscino per invitarlo a sedersi.
    Lo vide deglutire e prendere un profondo respiro, prima di aggirare la spalliera e lasciarsi cadere al suo fianco.
    Sorridendo, aspettò che si fosse sistemato, e poi lo fece.
    Si accoccolò tra le sue braccia.

    Si accoccolò tra le sue braccia.
    Spike la fissò ad occhi sgranati, e fremette nel vederla sorridere.
    Cercò senza successo di ricordare l’ultima volta che l’aveva avuta così vicina, senza malizia né desiderio, solo teneramente avvolta dalle sue braccia.
    Non riusciva a credere che glielo stesse permettendo.
    La sua voce gli arrivò vagamente attutita dalla stoffa che li separava: “Cosa succederà adesso?”.

    “Cosa succederà adesso?”.
    Buffy alzò appena il capo per guardarlo negli occhi, sperando in una risposta dall’uomo che era caduto nella sua vita come un angelo.
    Ma quell’angelo la fissava con ineluttabile tristezza; la tristezza che non dovrebbe mai illuminare gli occhi di un angelo.
    “Bè, io…” Spike respirò a fondo. “Ho trovato un lavoro. Insomma, più o meno. Domani ho un colloquio, ecco. Il punto è che, con un po’ di fortuna, non…”.
    “Hai un colloquio??”.
    Buffy lo interruppe, fissandolo ad occhi sgranati: “Spike, ma… è fantastico!”.
    Lui sorrise mestamente: “Già, bè. Così almeno, se tutto va bene, riuscirò a fare un po’ di soldi e a pagarmi il volo per…”.
    Ancora una volta, lei gl’impedì di finire: “Volo? Quale volo?”.
    Lo guardò negli occhi. E si sentì morire.
    “Spike… cosa significa questo?”.

    “Spike… cosa significa questo?”.
    Lui strinse le labbra, sforzandosi di non imprimere nella voce la reale angoscia per quanto stava per dirle: “Torno a Los Angeles, Buffy. Se non posso restare qui, allora è lì che voglio andare. Mi cercherò un appartamento come base qui a Cleveland, per il lavoro, e appena avrò il denaro sufficiente partirò.” Prese un profondo, necessario respiro, prima di quelle parole che sapeva avrebbero distrutto la sua vita per sempre.
    “Non mi rivedrai più. Te lo prometto”.

    “Non mi rivedrai più Te lo prometto”.
    Per un attimo sentì davvero il suo mondo sgretolarsi e crollarle intorno. Ma fu solo un attimo.
    Sorrise. Il sorriso di una donna che sa.
    Non era più una ragazzina, Buffy.
    “Tu non andrai proprio da nessuna parte, William. Non finchè ci sarò io ad impedirtelo!”.
    Senza dargli il tempo di pensare a nulla, si protese verso di lui.
    E lo baciò.
    Un gesto istintivo, non ponderato, dettato dal bisogno di legare a sé per sempre l’uomo che sentiva, sapeva di amare. Posò teneramente le labbra calde su quelle fresche di lui, schiudendole appena per assaporare l’umidità che celavano. Ma, quando con la lingua saettò ad accarezzarlo brevemente, Spike si ritrasse.

    La fissò con l’aria di un cucciolo impaurito: “B-Buffy…”.
    Lei gli sorrise con tutta la tenerezza di cui era capace: “Va tutto bene, Spike. Andrà tutto bene… se resterai”.
    Prima che lui potesse replicare, scivolò di nuovo tra le coltri e tornò tra le sue braccia, respirando con un mugolio di soddisfazione il ben noto profumo virile.
    Spike era inebetito. Inebriato da lei, ancora una volta, per sempre. Quella donna non aveva mai perso la capacità di sorprenderlo. Era forte come una roccia, eppure così tenera, fragile a volte. Tutti quegli anni passati a prendersi cura degli altri le avevano fatto dimenticare cosa significasse sentirsi protetta; ma ora avrebbe fatto qualsiasi cosa per tenerla al sicuro. Aveva già fallito una volta, e non sarebbe più successo.
    La strinse leggermente a sé, cullandole dolcemente la testa, mentre annegava nella propria fortuna. Lei lo voleva ancora nella sua vita. Lei l’aveva perdonato.
    Non c’era più nulla al mondo che potesse ferirlo.

    Buffy strusciò appena la guancia contro il cotone della t-shirt di lui, sospirando di soddisfazione.
    Ad un tratto, però, un pensiero le si riaffacciò alla mente.
    Si sciolse appena dalla presa e alzò gli occhi: “Cosa succederà adesso a… a Finnigan, e agli altri?”.
    Spike strinse le labbra e fece spallucce: “Molly ha sporto denuncia. Ci vorrà un po’ prima del processo, ma, date le testimonianze, non c’è da dubitare che verranno condannati. Violenza carnale, minacce e percosse. Non credo che abbiano molto di che rallegrarsi, specie se Molly riesce a convincere qualcuna delle vittime a presentarsi in aula”.
    Buffy tacque per un momento. Molly era stata forte, molto forte. Aveva fatto qualcosa che non era da tutti: mettersi contro il proprio cuore per perseguire la cosa giusta. Era stato un atto coraggioso, e meritava una ricompensa.
    “Lo farò io”.
    Spike non comprese subito il senso di quelle parole, perso com’era nelle deliziose immagini di quei bastardi dietro le sbarre: “Cosa?”.
    Buffy prese un respiro profondo: “Testimoniare. Lo farò io. Voglio partecipare al processo”.
    Il biondo spalancò gli occhi e la scostò per guardarla meglio: “Buffy, amore… non devi. Non devi sentirti obbligata. Hai idea di cosa sarà, per te, rivedere quegli animali?” chiese tra i denti, la rabbia che gli rimontava violentemente in gola.
    Lei sostenne il suo sguardo, fiera e decisa com’era sempre stata: “Non sarà facile, è vero. Ma non ha importanza. E’ qualcosa che devo fare. Lo devo a Molly, e a tutte le vittime di quei mostri. Spike…”. Deglutì leggermente. “Io sono una Cacciatrice. Me la sono cavata. Ma molte altre donne non hanno avuto la mia stessa fortuna”.
    Quelle parole, insieme ai due smeraldi colmi di lacrime che lo fissavano, punsero il cuore di Spike in un modo che non credeva possibile. Eccola di ritorno. La Cacciatrice. Riemerge dal Paradiso o dall’Inferno e si rimette in pista. Perché lei è ancora l’unica, nonostante tutto.
    Annuì appena nella sua direzione, non fidandosi della propria voce. Buffy tirò su con il naso e gli regalò un sorrisino timido.
    E poi, di nuovo, gli accarezzò gli zigomi spigolosi e lo baciò.
    Stavolta non gli permise di tirarsi indietro. Marchiò con la lingua ogni millimetro della sua bocca, fino a costringerlo a schiuderla per lei. Le loro lingue s’incontrarono, dapprima tenere e delicate, poi sempre più avide e prepotenti.
    Febbrilmente, Buffy infilò le mani sotto la maglietta di lui, spingendola su per le braccia fino a sfilarla. Al contatto con la sua pelle gemette piano e si sdraiò su di lui, i suoi seni premuti contro il torace marmoreo.
    Spike le scostò i capelli per raggiungere il collo, perdendosi a sua volta nell’intimità di quel contatto. Il suo corpo iniziò a rispondere vistosamente mentre Buffy si muoveva sinuosa sui suoi jeans, i gesti resi incisivi dall’urgenza.
    Sfuggì gentilmente alla presa di lui e si sollevò a cavalcioni, sfilandosi in un unico movimento la camicetta. Alla vista del suo petto avvolto nel reggiseno di pizzo, Spike si morse il labbro e le spinse lievemente l’erezione tra le cosce.
    Buffy avvampò e si chinò di nuovo su di lui, percorrendo il tragitto dalle spalle al collo con la lingua. Spike lasciò correre le mani lungo la schiena, fino alla chiusura del reggiseno, e rimosse l’indumento con un atto fluido.
    Buffy s’inarcò su di lui quel tanto che bastava per permettergli di trovare con la bocca i suoi capezzoli, lappandoli con la lingua e forgiandone a coppa la forma. Chiuse gli occhi per il piacere mentre, con la mano destra, raggiunse in fretta la cintura di lui, sfibbiandola per aprirsi la strada verso il bottone.
    Ma una mano fredda scattò ad impedirglielo.
    Buffy si riscosse, lasciandosi cadere verso il basso per affrontare gli occhi tempestosi che la fissavano.
    La voce di Spike era un sussurro tremante: “Buffy… sei sicura? Sei sicura di volere che… che noi…?”.
    Lei gli sorrise. Non un’esitazione prima di quelle parole che, ne era certa, avrebbero segnato un nuovo inizio per loro.
    “Sopra ogni cosa. Io ho fiducia in te, Spike”.
    Mai aveva desiderato quell’ammissione come in quel momento.
    Spike la fissò ad occhi sgranati, prima che un velo di lacrime calasse rendendoli lucidi.
    Quello era il suo dono. Il suo dono per lui.
    Non l’avrebbe sprecato. Mai più.
    Senza aggiungere altro, l’attirò a sé baciandola febbrilmente, mentre la piccola mano s’intrufolava impaziente nei jeans. La sua erezione sgusciò fuori con prepotenza, e gemette nel bacio, mentre Buffy si lasciò scivolare giù dai fianchi i jeans e gli slip bagnati, posizionandosi su di lui.
    Spike ruppe il bacio. La vide liberarlo dei pantaloni e sedersi sul suo membro duro, fissandolo con palese lussuria.
    Senza indugi, Buffy lo afferrò per le spalle e calò su di lui, avvampando nell’accogliere il suo sesso nelle proprie profondità. Spike strinse i denti e l’afferrò per la vita, guidandola lentamente sulla sua virilità, finchè fu completamente sepolto in lei. Buffy gli sorrise, a metà tra malizia e dolcezza, e prese a dondolarsi lievemente su di lui, lasciandosi cadere per baciarlo. Spike le succhiò con veemenza le labbra, mentre con le mani le afferrò le natiche per spingersi più in profondità dentro di lei. Buffy gemette e spinse con decisione, l’osso pelvico che urtava sul suo clitoride. Spike si scostò da lei e capovolse le posizioni, inchiodandola al materasso con una poderosa spinta.
    Buffy latrò il suo nome e lui si chinò sul suo orecchio:
    “Sei mia, Buffy”.
    Affondò nel suo collo, sorridendo per non doversi curare di trattenere il demone, e la morse leggermente, senza farle male, mentre la sentiva inarcarsi contro di lui ad ogni colpo.
    I suoi muscoli da Cacciatrice iniziarono a stringerlo convulsamente, e seppe che non avrebbe resistito ancora a lungo. Uscì da lei per ritardare il più possibile il rilascio, ma Buffy, che era ormai al limite, ribaltò nuovamente le posizioni e sbattè con forza in lui, costringendolo ad una penetrazione violenta che fece gemere entrambi.
    Reggendosi alla spalliera del letto, sforzandosi di non perdere l’equilibrio, Buffy rimbalzò freneticamente sulla sua erezione, mordendosi con forza la lingua mentre le mani di lui andavano al suo clitoride torcendolo energicamente.
    Lottò contro l’estasi per aprire gli occhi e guardarlo: “Spike... sto… Ahnn!”.
    Non ebbe il tempo di finire la frase. L’orgasmo la colse impetuosamente, inondando le mani di lui che si sentì finalmente libero di lasciarsi andare. Tenendola con forza per i fianchi, la guidò nelle ultime spinte fino ad esplodere in lei, trattenendo a stento un grido quando sentì la sua piccola mano circondargli il membro alla base e stringerlo forte. Venne abbondantemente, prolungando il suo orgasmo ed il proprio con una serie di ultime, piccole spinte convulse, che lasciarono entrambi tremuli ed appagati.
    Buffy collassò sul suo petto, ansimando pesantemente, mentre Spike le accarezzò leggermente la schiena, sospirando appena il suo nome. Quando i loro occhi s’incontrarono, entrambi avvertirono la solita scossa elettrica che aveva sempre caratterizzato quel loro folle rapporto.
    “Chiedimelo di nuovo”.
    Spike la guardò accigliato, segretamente impegnato a contemplare la sua bellezza, sempre crescente dopo l’orgasmo: “Cosa?”.
    Buffy si morse il labbro e si chinò su di lui, per sussurrargli all’orecchio:
    “Lo sai… quella cosa”.
    Spike si sentì il suo sesso risvegliarsi al calore del suo fiato sul collo, e si mosse leggermente per rammentarle che era ancora dentro di lei. Buffy ansimò e, gli occhi accecati dalla lussuria, rubò alle sue labbra un ennesimo bacio, prima di ergersi nuovamente a cavalcioni su di lui.
    Le sue mani si chiusero alla base della sua virilità, lì dove i loro corpi si congiungevano.
    “Ti fidi di me?”.
    Spike sorrise.
    Più tardi, ancora avvolti l’uno nell’abbraccio dell’altro, tra le lenzuola cariche di passione, Buffy e Spike stavano crogiolandosi nella sensazione del reciproco calore.
    “Sai, in fondo sono contenta di non dover più lavorare al negozio”.
    Spike chinò il capo, incuriosito, e vide Buffy sorridere con ilarità: “Si, insomma… dopotutto adesso ci sei tu che porti i soldi in casa, giusto? Quindi io posso anche rilassarmi” commentò briosa.
    Spike inarcò un sopracciglio, fingendosi incredulo: “Cosa sentono le mie orecchie?? Rilassarti? Tu? La grande, inarrestabile Cacciatrice… aspetta com’era?”. Corrugò la fronte nel ricordare “E’ una faccenda personale, una sfida, devo farcela da sola … bla, bla, bla” la scimmiottò, guadagnandosi una bella cucinata sul naso.
    “Chiudi il becco” protestò lei, sporgendo il labbro inferiore in quel broncio che, lo sapeva bene, faceva impazzire il suo uomo. “Lo dicevo solo per non farti sentire a disagio. Non è mica colpa mia se hai dei complessi d’inferiorità nei miei confronti” lo stuzzicò, ben preparata alla reazione che avrebbe destato.
    Spike le restituì la cucinata: “Ma sentila! Per tua informazione, baby, io non sono inferiore a nessuno” replicò altezzosamente. “E mi pare di avertelo ampiamente dimostrato” soggiunse con un ghigno lascivo che le fece roteare gli occhi.
    “Il tuo ego è senza dubbio la cosa più grande che abbia mai visto, Spike”.
    Si accorse dell’errore un attimo troppo tardi. Spike sghignazzò sfacciatamente, facendola arrossire.
    “Ne sei proprio sicura, amore? La più grande?” la provocò, rubandole un piccolo bacio. Non riusciva a resisterle quando era imbarazzata.
    Ancora un po’ rossa, Buffy si sistemò in modo da dargli le spalle e continuò: “Ad ogni modo, mi hai detto per che cos’è il tuo colloquio?” chiese noncurante, cambiando brillantemente argomento.
    Spike non mancò di notare la digressione, ma si limitò a sorridere: “Secondo te, con il mio fantastico corpo, cos’avrei mai potuto trovare?” chiese in tono sensuale, lasciando una piccola scia di baci sulla sua spalla.
    Buffy s’irrigidì: “Non saprei, mio venerabile Dio del Sesso” lo canzonò, non riuscendo a trattenere un sorriso nel sentirlo ghignare.
    La bocca di Spike l’era ormai arrivata all’orecchio quando mormorò: “Spogliarellista in un locale notturno”.
    La reazione fu così rapida da non dargli il tempo di scansarsi. Buffy si voltò di scatto, mandandolo a finire sul fondo del letto, e saltò su di lui, immobilizzandolo con tutta la forza di cui era capace.
    “CHE COSA hai detto??”.
    Ripresosi dallo shock, Spike si passò la lingua sui denti, ma poi scoppiò a ridere: “Dio, Cacciatrice, dovresti vedere la tua faccia!”.
    Sentendo la pressione sul suo collo aumentare, si affrettò ad aggiungere: “Datti una calmata, stavo solo scherzando!” piagnucolò, ignorando il fatto che, se l’avesse voluto, si sarebbe facilmente liberato da quella stretta.
    Ma Buffy non aveva intenzione di cedere tanto facilmente: “Molto divertente Big Bad. Ora sputa il rospo”.
    Spike sollevò di scatto le anche, facendole perdere l’equilibrio, e la prese fra le braccia quando cadde su di lui.
    “Indovina un po’? Sarò il tuo capo, bellezza!”.
    Buffy sgranò gli occhi e lo fissò, non potendo fare a meno di notare l’evidente compiacimento sul suo viso: “Il mio capo? Che vuoi dire?”.
    Lui le sorrise più teneramente e l’adagiò al suo fianco, abbracciandola da dietro: “Proprio così. Pare che serva un nuovo istruttore al centro benessere. Cercano qualcuno *aitante e in ottima forma fisica*, quindi, coraggio piccola, chi è più adatto di me per un posto del genere?” la incalzò, sorridendo contro la sua pelle di pesca.
    Buffy sorrise tra sé all’ironia del destino, ma poi emise un basso mugolio di frustrazione: “Oh mio dio, no! Per favore! Già è un’impresa sopportarti qui a casa, figurati se dovessi vederti ogni giorno al lavoro!” frignò con finta esasperazione.
    “Ehi!” brontolò Spike indignato. “Attenta a te, Summers. Potrei licenziarti da un giorno all’altro” la minacciò, ma senza smettere di ricoprirle le spalle di baci.
    Buffy ridacchiò appena e sporse il collo per facilitarvi l’accesso, accarezzando la mano che le cingeva i fianchi.
    Non riusciva a credere di essere stata ancora sul punto di perderlo. Aveva già sbagliato troppo, con lui, per permettere che gli errori di qualcun altro minassero la loro felicità.
    Quella storia, però, le aveva aperto gli occhi. Fino a quel momento si erano limitati ad andare avanti come se nulla fosse successo, cercando di ignorare il passato. Ma la girandola degli orrori di Finnigan e soci aveva loro ricordato che il passato è sempre alle spalle: lontano dagli occhi, ma mai lontano dal cuore.
    Forse, ora che i vecchi fantasmi erano stati affrontati, il futuro avrebbe avuto un sapore più dolce.
    Le labbra di Spike al suo orecchio la strapparono a quei pensieri. Per un attimo, non potè fare a meno di chiedersi se le stesse riflessioni avessero raggiunto anche lui.
    Senza immaginare quanto avesse ragione.
    Le parole che seguirono furono come una promessa di pace dopo l’eterna lotta con l’incubo del dolore.
    “Credo che dovremmo sposarci”.
    Buffy sorrise e chiuse gli occhi.


    Fine
     
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  3. Redan
     
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    Finalmente ho potuto leggere questa storia. Grazie per l'opportunità :wub:

    Effettivamente affronta un tema che viene quasi sempre tralasciato nelle ff Post Chosen, o trattato con troppa superficialità. Apprezzo molto che qui, invece, la cosa venga affontata e superata in modo credibile. Spike e Buffy avevano bisogno di un chiarimento su questa ombra nel loro passato.
    Mi è piaciuto particolarmente il discorso di Buffy sul sapere di amare un mostro, ma amarlo ugualmente; penso che per lei sia stato veramente così, e penso anche che, come Molly, lei alla fine sia riuscita ad allontanarsi dalla "persona sbagliata" e a fare la cosa giusta, lasciandolo. Con questo non voglio assolutamente paragonare Spike a questo Derek, non c'è neanche da parlarne! Però il messaggio è lo stesso. La cosa magnifica è che Spike ha affontato il mostro dentro di sè e l'ha battuto, per amore di Buffy :cute:
     
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    Si è vero,ha affrontato un discorso lasciato andare con troppa facilita e frivolezza...e Spike alla fine come sempre ha dimostrato che x amore è riuscito a combattere il suo demone. Sono contenta che finalmente tu abbia potuto leggerla. E che ti sia piaciuta....👍😊😉
     
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3 replies since 6/10/2011, 21:16   385 views
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