It's only time

LUI/LEI - FICLET

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    Eccomi di nuovo sui vostri schermi. ù.ù

    Questo è un racconto a cui tengo in modo particolare, forse ancor di più del primo che ho scritto, perciò spero davvero possa piacervi.
    L'ho scritto ascoltando Piccolo uomo di Mia Martini.

    Buona lettura.


    Pairing: Lui/Lei

    Rating: per tutti





    It's only time



    L’aria era pesante, opprimente, le pareva di soffocare. Istintivamente portò la mano alla base del collo come a volersi liberare da una presa ferrea che le impediva di respirare.
    La testa le pulsava forte, un lieve tremore si diffuse per tutto il corpo. Fu costretta ad accasciarsi a terra.
    I capelli biondi le ricaddero scompostamente sul volto, nascondendo gli occhi chiari. Provò a rialzarsi. Le gambe cedettero di nuovo e si ritrovò inginocchiata davanti alla porta che dava sul portico.
    Il tramonto colorava la stanza di un caldo arancione. In lontananza si udivano le grida dei gabbiani, l’infrangersi delle onde sugli scogli era una dolce melodia che spezzava il silenzio della casa.
    Portò la mano alla maniglia della porta, aprendola. Una sferzata di aria fresca le colpì il viso, costringendola a chiudere gli occhi per un istante.
    Tentò di regolarizzare il respiro sincronizzandolo con il rumore delle onde. Lentamente si rialzò e si diresse verso il dondolo.
    Si sedette, prese fra le mani uno dei cuscini e distrattamente iniziò a percorrere con le dita la trama del tessuto. Sotto i polpastrelli la stoffa si scaldava leggermente donandole una sensazione di tepore. Le dita si muovevano lente, disegnando piccoli cerchi concentrici intervallati da figure geometriche irregolari. Gli occhi puntati verso il mare.
    Non si rese conto di quanto tempo trascorse lì, immobile, rannicchiata. Si ridestò solo quando percepì qualcuno accarezzarle i capelli delicatamente, quasi avesse paura di farle male.
    Dopo poco il ragazzo si sedette accanto a lei. Decise di ignorarlo.

    Il tempo stava peggiorando, borbottii cupi giungevano dal mare, le onde si facevano via via più grosse schiantandosi contro gli scogli con un tonfo sordo. L’aria era elettrica. Il cielo, ormai grigio, minacciava tempesta.
    Lui le prese delicatamente un polso, intenzionato a riportarla dentro casa.
    Lei si liberò di scatto, alzandosi. Un piccolo capogiro la colpì di nuovo, portò le dita alle tempie massaggiandole. Mosse qualche passo verso la spiaggia.
    L'uomo rimase fermo, silenzioso. Afferrò il cuscino e prese a giocare con la cerniera.
    “Devo andare…” – disse all’improvviso.
    “No. Non devi, vuoi.” – rispose lei stizzita.
    “È il mio lavoro, non una vacanza di piacere.” – rimbrottò.
    “…”
    “Sono solo sei mesi.” – provò a farla ragionare.
    “…”
    “Domani parto, lo sai. Possiamo passare almeno queste ore senza litigare? È un mese che non facciamo altro, ormai.” – la voce gli uscì stanca, rassegnata.
    “Te ne vai! – sbottò – “ Che vuoi ora?” - si voltò in un moto di rabbia per poi tornare a contemplare il mare. “Dovrei augurarti buon viaggio, dirti che andrà tutto bene, che starò qui ad aspettarti mentre…” - s’interruppe, mesta.
    “Non succederà.” – replicò sicuro.
    “Non puoi saperlo.” – bisbigliò.
    “Sì, so che non accadrà.” – si alzò e l’afferrò per le spalle. “Guardami.” – impose.
    “No.”
    “Guardami.” – ripeté alzando la voce.
    “NO!” – urlò indispettita.
    La avvolse in un abbraccio protettivo, inalando il profumo dei suoi capelli, stringendola dolcemente. “Guardami.” – le sussurrò.
    Lei scosse piano la testa, si rigirò tra le sue braccia posando il capo nell’incavo del suo collo. Piccole lacrime scesero a rigarle il volto. Si sentiva persa. Artigliò le sue spalle, presa dall’angoscia di vederlo scomparire.
    Lui la cullava, tentando di lenire il suo dolore, di trasmetterle quanto quella separazione pesasse anche per lui.
    Lui, il cinico bastardo che non provava sentimenti. Lui che prima d’incontrarla non cercava una relazione stabile, anzi scappava al primo accenno. Lui che si era aperto con lei come mai con nessun altro. Lui che sentendola singhiozzare si malediceva per il male che le stava provocando. Lui che l’amava e per lei aveva cambiato la sua esistenza.
    Lui che ora aveva paura. Paura di perdere l’unica cosa bella della sua vita, paura che la distanza diventasse insormontabile, paura che lei si rendesse conto che lui non era degno del suo amore. Paura che fosse lei a lasciarlo.
    La strinse di più, le baciò i capelli profumati.
    La scostò quel tanto che bastava per guardarla negli occhi.
    Si abbassò piano, facendo incontrare le loro labbra. La baciò lentamente, senza fretta, lasciando che in quel bacio si riversasse tutto l’amore che provava. Quell’amore che non era mai riuscito a esternare a parole in quei due anni ma che era palpabile in ogni suo gesto.
    Lei si staccò riluttante, gli occhi rossi per il pianto, le labbra tirate in un accenno di sorriso.
    Aveva paura, lei. Paura che tutto ciò che aveva vissuto fosse stato un sogno ad occhi aperti, paura che la lontananza potesse far riaffiorare in lui la voglia di libertà, l'esigenza di non avere un legame stabile. Paura che lui si rendesse conto che lei era solo una palla al piede, la mano che gli tarpava le ali.
    Paura che fosse lui a lasciarla.

    Il vento, ormai, sferzava impetuoso. I ruggiti delle onde erano sempre più forti, la sabbia turbinava intorno. Il cielo era illuminato da lampi minacciosi. Il dondolo cigolava sinistramente.
    Lui cercò la mano di lei, intrecciando le loro dita in una presa salda e forte. Gli occhi bruciavano per le lacrime trattenute a stento.
    “Forse… forse, dovremmo lasciarci, adesso…” – disse lei – “prima di farci troppo male, forse adesso… adesso… è il momento migliore.” – proseguì. Non aveva il coraggio di guardarlo, stava a testa bassa aspettando solo che lui confermasse le sue paure.
    Con uno scatto brusco lui si allontanò, dirigendosi verso casa. La porta sbatté con un rumore sordo.
    Si guardò intorno impaurita. Il fragore del mare era quasi assordante ma lei non percepiva nulla.
    Più nulla.
    Solo silenzio.
    Vuoto.

    Rientrò in salotto poco dopo, incerta sul da farsi e intimorita dalle parole che lei stessa aveva pronunciato. Si diresse verso la loro camera, mosse qualche passo all'interno. La valigia era aperta su una delle due poltrone, gli abiti buttati dentro alla rinfusa, le ante dell’armadio spalancate.
    Ciò che la colpì dritta al cuore fu la visione di lui, accucciato ai piedi del letto, con il viso tra le mani. Piccoli fremiti lo scuotevano ma dalle labbra serrate non usciva un singulto.
    Rimase immobile a fissarlo per diversi minuti.
    Non lo aveva mai visto così. Sembrava un bambino impaurito.
    Si gettò su di lui, prendendogli il viso tra le mani, accarezzandogli i capelli corti. Dalle sue labbra usciva solo il sussurro del suo nome e la richiesta di perdono.
    Quando lo sentì calmarsi lo guidò verso il letto. Si stesero ancora vestiti, stretti l’uno all’altra. Passarono la notte così, ascoltando il battito dei loro cuori, perdendosi nei respiri, beandosi del tepore dei loro corpi vicini, concedendosi di tanto in tanto teneri baci.

    La luce mattutina la risvegliò. Inconsciamente allungò la mano verso il suo compagno. Le lenzuola erano già fresche, il letto vuoto, lui non c’era più.
    Trattenne a stento le lacrime che minacciavano di scendere.
    Si sedette a gambe incrociate sul letto. Avvertiva già la sua mancanza.
    Controllò l'ora.
    Sorrise.
    Accanto alla sveglia c'era un mazzetto di nontiscordardime legati con un ramoscello d'edera, una collana di giada e una foto.
    Sfiorò con dita tremanti il gioiello. Un ricordo della madre, lui non se ne separava mai.
    Prese la fotografia. Ricordava precisamente il giorno in cui era stata scattata, l'anno precedente.
    Era un caldo pomeriggio di aprile, avevano finalmente deciso di imbiancare il salotto.
    Lei era inginocchiata accanto al ragazzo, i capelli legati in una coda alta. Un sorriso le illuminava il volto mentre brandiva un pennello sporco di colore giallo. Lui le ghignava divertito, ormai ricoperto di pittura, con una mano le teneva fermo il polso, con l'altra scattava la fotografia.
    Rigirò il regalo fra le dita. La sua attenzione fu catturata da una scritta sul retro della foto.
    Chiuse gli occhi commossa.

    È solo tempo. Ti amo.
     
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    Le Allegre Comari
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    Eh, a proposito di romanticismo e passione!
    Giadina, hai un debole per le storie d'amore angst, vero? Devo dire che ti capisco e che ho apprezzato molto anche questa ficlet. In particolare mi è piaciuta la scelta degli oggetti che, infine è stata convincente. L'ultimo momento è appunto il più toccante, quello dove si raggiunge l'apice del sentimento. Mi piace anche la semi-citazione.
    "It's only time" non è una frase del magnifico Brian Kinney god of sex?
    Complimenti.
     
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    CITAZIONE
    Giadina, hai un debole per le storie d'amore angst, vero?

    Perché, si nota?! XD


    CITAZIONE
    "It's only time" non è una frase del magnifico Brian Kinney god of sex?

    Oh yes! Il mio cinico, bastardo spuccioso. Quanto lo adoro. ♥


    Tessorro, sono felice che ti sia piaciuta.
    Alla fine ho optato per questi oggetti perché rappresentano qualcosa anche per me. Sono contenta che ti risultino convincenti, sarebbe un bel problema se non sembrassero plausibili. Devono richiamare l'amore, la fedeltà, il ricordo e rappresentare la speranza, non l'abbandono.
     
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  4. Baky86
     
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    Molto carina, mi piace!
     
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    Grazie.
    Mi fa piacere che tu l'abbia apprezzata! ^^
     
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4 replies since 22/7/2011, 21:04   77 views
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