. ° A Love Story. °

[spangel, AU, NC17, romance]

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    Dunque, salve. Eccomi qui. *rotola*
    Era un sacco di tempo che mi imponevo di fare una revisione generale, di correggere e dare alla fic una forma più consona.
    Amo molto Love, però potevo scriverla meglio e con meno "scene filler".
    Finalmente, mi sono messa al lavoro ed ho cominciato a rivedere la storia iniziata tempo fa, che mi ha fatta appassionare tanto di più allo slash e al fandom.
    Ovviamente, non escludo ulteriori errori, papocchi, schifezze di vario genere. Sono una povera fangirl delirante, regalatemi caramelle. *^*
    Ovviamente, credo che qualcosina cambierà in corso di revisione, rendendo piacevole la lettura anche a coloro che conoscono già la storia dall'inizio alla fine.

    Dedico questa operetta a due persone in particolare: Tania, che ha fatto da madrina a questa storia e Anna, che mi ha fatto da balia e BetaZen.
    Un pensiero anche a Maddy, che se non so se leggerà, per come ha amato William.





    Disclaimer




    AU, romance, angst, drama.
    Ambientazione inglese - Cambridge - e accademica.
    Rating: NC17
    I personaggi non mi appartengono. Sono tutti di Joss, della Mutant Enemy e di quanti detengano i diritti (e non vogliano fare film)

    I protagonisti sono loro: Angel e Spike, nella versione umana, meno eroica e trasgressiva.
    Spike, in particolare, è il William che viene mostrato in "Fool for Love ": il poeta dolce, un po' goffo, entusiasta ed ingenuo.
    Ho cercato di ricostruire la sua personalità ed inserirla in un contesto contemporaneo, diverso da quello ottocentesco. Quindi, non aspettatevi spolverino e sigarette, anche se cercherò di essere quanto più IC possibile.
    Angel è - spero! - sempre lui, brooding attitude e maglioni neri compresi.

    Spero, con questa storia, di fomentare la sacra fiamma dell'amor greco.


    Buona lettura!












    .° A Love Story.°












    Prologo .





    Un taxi percorreva, spedito, l’ordinata autostrada inglese. La mattina era eccezionalmente assolata, dopo quasi quattro giorni di nebbia e pioggia intensa.
    Sospirando, Liam O’Connor volse lo sguardo al paesaggio circostante.
    La luce esaltava il verde dei prati rigogliosi, l’azzurro del cielo sgombro, l’atmosfera quasi selvaggia delle campagne londinesi.
    Quasi selvaggia.
    Mai come la sua Irlanda.
    Erano anni che Cordelia progettava di organizzare un bel viaggio di ritorno a casa. Ad ogni occasione minimamente opportuna, proponeva di abbandonare sogni di vacanze tropicali e spiagge incontaminate per dedicarsi ad un nostalgico ritorno in madrepatria. Come da copione, era lui ad intervenire per demolire ogni speranza, da vero seccatore incallito.
    In un istante, l’immagine della sorella, con le braccia conserte e il volto corrucciato, fece capolino nella sua mente.
    Abbassò il capo, trattenendo un sorriso.
    Cordy l’avrebbe sicuramente sgridato e avrebbe cominciato una lunga invettiva contro il suo spirito disfattista. Fortunatamente, l’avrebbe anche rassicurato, dimenticando in un attimo nervosismo e arrabbiatura. La sorellina minore era incapace di tenergli il broncio per più di dieci minuti.
    Assorbito dai pensieri, Liam non si rese quasi conto d’essere arrivato a destinazione.
    La sede che lo attendeva sarebbe stata, forse, la meta finale del suo peregrinare continuo. Nella cattedra assegnatagli riponeva ogni speranza di stabilità per lui e la famiglia.
    Con una calma che non sentiva intimamente, scese dal taxi e prese il bagaglio.
    Congedando l'autista, si voltò a fronteggiare il suo obiettivo: Cambridge.
    Come un vero eroe romantico, si concesse un lungo, epico attimo di contemplazione e godette a fondo di quegli attimi di dolce nulla che avrebbero preceduto la sua sfida più importante.
    In quell'istituto antico e prestigioso, in qualità di docente di Letteratura Inglese, avrebbe dovuto dimostrare il suo valore, al di là di tutto.
    Avrebbe dovuto saper sfruttare la più grande opportunità della sua vita







    1 .





    “Scusate?! C’è qualcuno?! È aperto qui, giusto?”
    Da qualche minuto ormai, Liam stava urlando contro il vetro trasparente di un piccolo ufficio informazioni. Sentiva le gambe crollargli per la stanchezza, ed avrebbe francamente desiderato un buco dove sotterrare il pesante borsone che si trascinava appresso.
    Bussò ancora, con più forza.
    Rischiò quasi di rovesciare il caffè nero – già il secondo - che reggeva tra le mani.
    Tutta trafelata, si materializzò la figura rotonda di un’impiegata, nel giro di qualche secondo dall’ultima invocazione.
    Aveva le guance arrossate, gli occhiali leggermente cadenti e qualche ciocca ribelle che sfuggiva allo chignon. Pareva avesse corso.
    “Mi scusi se l’ho …” cominciò Liam, leggermente imbarazzato.
    Si sentiva quasi colpevole per l’affanno della donna.
    “Oh no! Si figuri!” strillò lei, sorridente. La sua voce acuta raggiunse note inedite alla Houston. “È qui per i buoni pasto, giusto? Allora, aspetti …”
    Minacciando ad ogni gesto di far cadere i documenti disposti sulla scrivania, l’impiegata si sedette. Aggiustò la gonna, composta.
    “Sì, lo so!” starnazzò, agitata. “So che anche voi avete ragione! Ho già ho parlato con l’amministrazione e …”
    “Veramente io …”
    “Non serve che mi dica di quell’iniziativa presa col Consiglio, so già tutto! Questo è un periodo difficile!”
    “Veramente …”
    “ … Ma possiamo sistemare la questione se …”
    Con un imperioso colpo di tosse, Liam interruppe il confuso cianciare e si presentò.
    “Mi chiamo Liam O’Connor, sono qui per la cattedra in Storia della Letteratura Inglese che si è liberata il mese scorso. Vorrei vedere un dirigente responsabile, se è possibile.”
    Nel giro di qualche secondo, la signora divenne un pomodoro.
    Uno particolarmente rosso.
    “Oh … oh … oh! Lei è un professore!” all’esclamazione seguirono una serie di strilli acuti, accompagnati da una risatina isterica. “Sa com’è! È così giovane! L’avevo scambiata per uno dei nostri studenti! Insomma … con i capelli tagliati in quel modo! … Telefono al responsabile, mi scusi un momento.”
    Liam si voltò, guardandosi attorno.
    Nelle torsione delle spalle incontrò una vetrata lucida e vi si specchiò, aggrottando le sopracciglia. Cosa avevano i suoi capelli di tanto particolare?
    “Dottor O’Connor!”
    Venne chiamato e si girò nuovamente, serio e riflessivo.
    “Il responsabile degli uffici interni è pronto a riceverla immediatamente, professore. Si rechi alla Regent House. Benvenuto a Cambridge.”



    “Quest’università non è prestigiosa per il nome e la tradizione soltanto: c’è un’organizzazione, una struttura, e la struttura siamo noi, Liam. Noi e i nostri ragazzi.”
    Stavano passeggiando da qualche minuto nell’immenso complesso dei giardini esterni alla facoltà di Architettura .
    La giornata era davvero bella. Tiepida e luminosa come poche, nell’Inghilterra piovosa.
    Wesley Wyndam-Pryce, dirigente della sezione amministrativa, aveva snocciolato le doverose informazioni circa il regolamento e le abitudini del campus, spiegato a Liam come orientarsi nel corso della prima settimana.
    Nonostante il tono altero, quasi compassato, Wyndam-Pryce aveva messo a suo agio il nuovo arrivato, instaurando immediatamente un rapporto cordiale, di reciproca simpatia.
    “… ed è sempre in continua evoluzione. Io stesso mi sono molto ricreduto dai tempi della mia laurea ad oggi. Certo, non è tutto rose e fiori! Ci sono anche ostacoli da aggirare …”
    “Quali, per esempio?” domandò Liam, ammirando un elegante albero antico.
    “In questo momento, l’ostacolo più rivelante ad una riforma sostanziale del regolamento è il cancelliere, capo simbolico dell’istituzione. In teoria il suo ruolo dovrebbe essere rappresentativo, però, da quando si è insediato Quentin Travers, le cose sono cambiate. Quell’uomo ha acquisito molto potere, soprattutto nei confronti dell’organo esecutivo che riesce a pilotare con un’inaudita facilità.”
    Liam aggrottò le sopracciglia, dubbioso.
    “C’è da preoccuparsi?”
    Wesley sospirò pesantemente.
    “Io mi preoccupo un po’, lo confesso. Siamo scivolati in assetti conservatori che non si vedevano da decenni, ormai.”
    “Capisco.”
    “Si è fatto tardi!” affermò Wyndam-Pryce, fissando l’orologio. “È quasi ora di pranzo. Se per te non è un problema, potremmo andare alla mensa della facoltà di Lettere, poi potrei accompagnarti al nuovo alloggio. Ho già preso le chiavi.”



    L’appartamento si trovava a qualche chilometro di distanza dagli edifici universitari.
    L’edificio si mostrava come una classica casa inglese di provincia. Compatta, realizzata coi mattoni rossi. Accanto all’abitazione c’era un piccolo, adorabile giardinetto, di cui Liam non si sarebbe minimamente occupato.
    Appoggiandosi allo stipite della porta, il professore ammirò l’ingresso nella nuova dimora. L’appartamento era di modeste dimensioni, ma pulito, confortevole e luminoso.
    Liam individuò immediatamente una libreria ed iniziò a riempirla col suo bagaglio più consistente.
    Terminata l’opera si diresse in soggiorno e prese il telefono, per digitare un numero che ricordava a memoria.
    I pensieri successivi furono spazzati via da una voce piena di vita e speranza.






    2 .






    La stanza era semplice, essenziale come tutte quelle destinate agli alloggi per studenti.
    Di modeste dimensioni, era occupata da due letti singoli, una libreria, due armadi spaziosi e due scrivanie. Ad ornare le pareti, un sacco di poster ingialliti dedicati ad icone del rock e conigliette di Playboy. Uno nero, a lettere rosse, recitava il famoso aforisma di un letterato inglese: “all art is quite useless.” I vestiti degli occupanti giacevano sulle sedie e sul pavimento, alla rinfusa.
    Un letto era vuoto, nel secondo dormiva un ragazzo.
    “Buongiorno Cambridge! Alzatevi e risplendete, dormiglioni!”
    “Cazzo!”
    Con un solenne gesto della mano, il giovane spense la radiosveglia, lasciandola cadere al suolo. Rigirandosi svogliatamente tra le coperte tiepide, tentò di riaddormentarsi.
    Lo sbattere della porta d’ingresso lo fece sobbalzare di stupore.
    Si sedette, coprendo gli occhi ostinatamente serrati. Tossì, schiarendo la voce impastata dal sonno.
    “Xander?”
    Una robusta figura maschile era entrata nella stanza, muovendosi senza criterio, sbattendo contro ogni oggetto.
    “Xan?” chiamò ancora, stordito.
    “Sì, sono io!” borbottò l’altro, urtando una sedia.
    “Che diavolo stai …”
    Senza ascoltarlo, il coinquilino si era buttato sul suo letto come un sacco di patate.
    Portava ancora i jeans e la giacca della sera prima. Non aveva avuto l’accortezza di togliere le scarpe pesanti e sospirava distrutto, come un soldato di ritorno dal fronte.
    “Xander?”
    “Will?”
    William spalancò gli occhi, una volta per tutte.
    Definitivamente sveglio, si sedette sul materasso.
    “Che diavolo è successo? Non sei rientrato stanotte?”
    “Aaaaahhh … no! Anya! Mi ha convinto a restare a casa sua …. per dormire insieme … dormire! Abbiamo smesso appena mezz’ora fa!”
    William rise di gusto.
    “Quella ragazza è incontenibile! Ti porterà alla tomba, caro mio!”
    Xander fece una smorfia contrariata.
    “Dico sul serio.” ripeté l’amico, alzandosi di scatto.“Quella lì ti lascerà pelle e ossa, se continuate a questi ritmi!”
    Sghignazzando divertito, si diresse in bagno.
    “Faccio la doccia per primo. Non ti dispiace, vero Xan?”
    Il ragazzo steso mugugnò qualcosa di incomprensibile.
    “Okay, allora!”
    In breve tempo, William rientrò nella stanza completamente asciutto e vestito.
    Xander rantolava nel letto, devastato.
    “Che cosa avete fatto? Grandi manovre orientali?” domandò Will irriverente, frizionando i capelli umidi.
    “Lei aveva questo coso …. un coso che …”
    “Xander, Xander! La tua donna è una macchina!”
    “Ridi pure …” mormorò l’interessato. “Devi ancora raccontarmi la storia di domenica, con Cecily. Non lo scordo, sai? Devi dirmi quello che avete combinato!”
    “Cosa vuoi che ti dica?”
    “Come: cosa? Che diavolo di risposta è?!”
    “Adesso non ho tempo, amico. Mi aspetta la lezione di Adams, non posso arrivare in ritardo. Ti racconterò a mensa. Ci sarai, giusto?”
    “Se tutto va bene, penso di sì.”
    Will rise e fece per allontanarsi.
    “Avvicinati, biondino.” comandò Xander.
    “Mmm?”
    “Avvicinati.”
    Obbediente, il ragazzo tornò su suoi passi.
    Arretrò e venne tirato per i capelli.
    “Vaffanculo, lo sapevo! Sono ancora tutti bagnati! Sei un pazzo, Shelby! Uno di questi giorni ti verrà una polmonite fulminante!”
    Esibendosi in un teatrale inchino, Will prese i libri ed uscì.



    Le sedie parevano più scomode ogni volta, quasi si deformassero inesorabilmente ogni giorno di più.
    Will mugugnò alla ricerca di una posizione che non compromettesse per sempre la funzionalità della sua spina dorsale.
    “… Quindi, alla luce della concezione romantica fin qui spiegata, potremmo dire che la poetica di Keats …”
    “Stai capendo qualcosa oppure sei immerso nelle tue fantasie?” mormorò una vocina femminile, sottile e dolce, alla sua sinistra.
    Will si voltò e sorrise a Tara, compagna di corso e amica.
    “Più o meno.” mormorò criptico.
    La lezione terminò e si diressero entrambi in corridoio, a prendere un po’ d’aria prima di immergersi in altre due ore di massacro universitario.
    “Almeno hai preso appunti?” scherzò Tara, seguendolo.
    “Temo che dovrai prestarmi i tuoi, ancora una volta.” sussurrò lui, schioccandole un bacio sulla guancia.
    “La prendi comoda, eh? E, poi, cos’è quest’aria estatica, stamattina? Non fai altro che dispensare sorrisi! Ti starà mica venendo una forma fatale di ritardo mentale?”
    “Scherza pure, passerotto!”
    “Dimmi: è per Cecily?”
    “Nah ...”
    “Xander mi ha parlato di domenica scorsa …”
    “Ah, Xander e la sua lingua! Potrebbero scriverci sopra un trattato!”
    “Quindi con Cecily …”
    “Con lei è tutto finito. Che c’entra adesso?”
    Tara si bloccò, spalancando gli occhi.
    “No!” esclamò, enfatica. “Tu, William Shelby, malato d’amore allo stadio terminale, hai messo un punto fermo alla relazione con Cecily?”
    Will scosse il capo, imbronciandosi.
    “Perché siete tutti così interessati a questa storia?
    “Perché vogliamo capire! Cosa ti ha fatto aprire gli occhi così d’improvviso? E, soprattutto, perché sei tanto felice?”
    “Non posso essere felice?”
    “Perché il sole è alto in cielo?”
    William sospirò e cercò di spiegare, lievemente imbarazzato.
    “Non so. Ho come la sensazione che … che qualcosa di grande mi stia aspettando dietro l’angolo. Ecco, l’ho detto! Qualcosa che … non so, ho questa sensazione!”
    Tara socchiuse le labbra e sorrise, luminosa.
    Will si vergognò immediatamente della confessione fatta e cercò di sminuire.
    “Certo che devo proprio smetterla di mangiare a mensa! Chissà che mettono nella carne!” scherzò, facendo strada.
    Di colpo, i suoi occhi sembrarono rintracciare qualcosa.
    In una frazione di secondo, senza tempo di mettere a fuoco, gli parve di vedere un’ombra scura, elegante, maschile.
    Sbatté le ciglia, scombussolato. Trattenne il fiato.
    Scosse il capo riscuotendosi, concentrandosi sulle parole della collega.
    L’ombra non c’era più.



    “E così ne avete accettati cinquanta in meno!?”
    Una voce alterata risuonò tra i tavoli della mensa.
    “Eravamo lì. Avevamo suonato. Non ne avevano altri cinquanta.”
    “E che cavolo di motivazione è?! Questo è un furto bello e buono, amico mio! Se avreste avuto un avvocato …”
    “ … questo non sarebbe mai successo!”
    Gunn e Oz si voltarono, sorridendo a Will che li raggiungeva.
    “Salve, ragazzi!” mormorò il giovane inglese, occupando un posto nel tavolo con gli amici: Gunn, aspirante avvocato, e Oz, musicista e genio informatico. “Sta arrivando Tara. Xander si è fatto vivo?” domandò, curioso.
    Oz fece un silenzioso cenno di diniego e non spese più di una parola per spiegarsi, non smentendo la sua fama di persona riflessiva e misurata.
    “No.”
    Will ghignò.
    “Stavate parlando di soldi?”
    Fu Gunn a riportare la conversazione all’origine.
    “Senti questa, amico: Oz e i ragazzi fanno il giro del mondo, finiscono a Northampton per suonare, spendono benzina, portano gli strumenti, aggiustano gli amplificatori. Al momento del pagamento, il tizio non aveva la somma concordata e si sono fatti togliere cinquanta sterline dal compenso finale. Dimmi se non è una palese ingiustizia!”
    “Eravamo lì. Avevamo suonato. Non ne avevano altri cinquanta.” ripeté Oz, meccanico.
    “Secondo me hanno fatto bene a prenderli.” commentò Will, con una scrollata di spalle.
    “Ma dai! E li difendi pure!? Non c’è più religione a questo mondo!”
    Il rumore di un tonfo annunciò l’arrivo di Xander.
    Con la grazia di un rinoceronte, lo studente si era lasciato cadere nel sedile accanto a quello di Gunn, poggiando la testa contro il tavolo e nascondendola tra le braccia.
    “Ehi Xan! Ma che diavolo hai combinato? Sei stato in tour coi Red Hot?”
    “Niente affatto!” rispose William, sottraendo all’amico il diritto di replica. “È reduce da una nottata di sesso bollente con la sua dolce metà!”
    “Un giorno ti punirò per la tua insolenza!”
    “Sì, sì, come vuoi …”
    “Non scherzo, Shelby. Piuttosto, racconta ai tuoi amici che hai combinato con Cecily domenica sera. Avanti, sii uomo!”
    Will fece una smorfia distratta.
    “Ho concluso.”
    “La storia? Con Cec? Fine?”
    “Sì.”
    “Come?! Allora perché sei così allegro?”
    William fece un cenno a Tara che si avvicinava.
    I suoi occhi scintillarono di una luce nuova.
    “Perché questa è una bella giornata.”





    3 .





    Il sole lo svegliò prima che s’attivasse l’aggeggio infernale poggiato sul comodino.
    Provò un immenso senso di gratitudine per quel risveglio naturale, meno doloroso e traumatico di quello imposto dalla sveglia.
    Si sedette sul materasso, cominciando a stiracchiarsi, sospirando. Placidamente, scostò le lenzuola e si diresse in cucina. Dopo aver messo sul fuoco la caffettiera, si avviò al bagno, spogliandosi del pigiama ad ogni passo. Fece la doccia ed aprì l’armadio, scrutandolo a fondo.
    Effettivamente, aveva portato con sé solo vestiti scuri. Neri. Aveva forse adottato il look sbagliato per un professore universitario? Aggrottò le sopracciglia. Non avrebbe voluto dare un’immagine sbagliata, ma pensare a se stesso con qualcosa di pericolosamente colorato, di rosso o verde, lo faceva rabbrividire.
    L’immagine che dava era più che perfetta.
    E, poi, lui era Liam O’Connor! Non si era mai sforzato di fare il primo della classe, amava passare inosservato piuttosto, sempre chiuso nel solito cantuccio buio
    Aggrottò le sopracciglia una seconda volta.
    Fortunatamente gli impegni quotidiani lo distraevano abbastanza dal suo rimuginare.
    Con un gesto rabbioso, prese il primo paio di pantaloni che gli capitavano sotto mano e cominciò a vestirsi.
    Di nero.



    Accelerò il passo, attraversando l’immenso giardino che divideva lo spazio centrale della facoltà.
    Con attenzione, scansò gli studenti, facendo attenzione a non rovesciare tazza di caffè e fogli, che aveva inserito distrattamente nella ventiquattrore.
    Concludendo lo slalom, si diresse al corridoio ed individuò in un attimo l’aula predestinata.
    Si fermò davanti alla porta, prendendo un profondo respiro.
    Poteva farcela.
    Diede un ultimo sguardo ai suoi abiti, ai suoi capelli. Si buttò nella mischia.
    Con un gesto deciso, spalancò la porta d’ingresso. Gli studenti erano già seduti ai loro posti, lo attendevano coi libri aperti, inquisitori.
    Provò un leggero senso d’ansia.
    “Salve.” cominciò, tossendo subito. “Scusate, dicevo … salve! Sono il professor Liam O’Connor e prendo il posto del professor Jacobs. Terrò per voi il corso di Storia della Letteratura Inglese.” aggiunse, sentendosi più sicuro. “So che in questa facoltà vige il metodo del tutorato, io stesso seguirò personalmente gli alunni che mi verranno indicati dall’amministrazione per aiutarli con la tesi per l’esame finale. Vi assicuro che per dubbi, incertezze o domande, la porta del mio ufficio sarà sempre aperta. Agli orari di ricevimento, ovviamente.”
    Qualcuno sorrise.
    Molte ragazze si portarono le penne alle labbra, fissandolo attente.
    “Esigo la massima attenzione ed il massimo impegno.” riprese, volutamente più severo. “Non sarò un sergente maggiore, ma vi assicuro che so essere molto rigoroso quando lo desidero.”
    A quelle parole seguì una risatina generale, imbarazzata e maliziosa.
    Liam notò e sfoggiò un ghigno perfido.
    “Spero di dovermi trattenere, comunque. Direi di cominciare con l’illustrare i punti cardine del programma …”
    Mentre si voltava a prendere i documenti, la porta si spalancò di colpo.
    Lentamente, Liam alzò lo sguardo.
    Un ragazzo era in piedi davanti all’ingresso. Sudato e arrossato, lo fissava ad occhi spalancati, pieno di terrore.
    “Mi scusi.”
    Liam ascoltò il mormorio soave della sua voce e guardò estasiato i ricci dorati come miele scuro, che s’arricciavano sul capo dello studente.
    Gli occhi lucidi.
    Azzurri.
    “Mi scusi, non è mia abitudine arrivare in ritardo …” lasciò cadere il ragazzo.
    “E non deve diventarlo da oggi.” scherzò Liam, cercando di tranquillizzare quel … “Soprattutto ora che ci sono io. Mi stavo presentando alla classe: il mio nome è Liam O’Connor e, visto che sono arrivato in ritardo anche io, non le farò il solito predicozzo … ma solo per oggi!”
    Il ragazzo sbatté ripetutamente le ciglia.
    “Piacere, allora. Mi chiamo William Shelby e prometto che cercherò di essere puntuale.” disse poi, abbozzando un sorriso.
    Liam sorrise a sua volta.
    “Piacere di conoscerla, signor Shelby. Se ora si vuole accomodare, stavo iniziando ad illustrare il programma di questo semestre.”
    Liam aspettò inconsciamente che il ragazzo si sedesse, spendendo tempo a fingere di esaminare i suoi fogli.



    La sveglia tuonò minacciosa, annunciando al ragazzo che era ora del risveglio.
    Borbottando, William allungò una mano verso il rumoroso oggetto, cercando di spegnerlo. Alla cieca, cercò il pulsante che avrebbe messo fine alla tortura. Se non si muoveva, avrebbe sentito anche la radio che Xander aveva integrato per una maggiore efficacia.
    “Buongiorno Cambridge! Oggi è un’altra, meravigliosa giornata di sole! Sono le otto e …”
    Ecco, appunto!
    Aspetta un secondo … cosa aveva detto?
    Le OTTO?!
    Spalancando immediatamente gli occhi, William guardò l’orologio.
    Otto e cinque minuti: cazzo.
    “Cazzo!” esclamò, saltando giù dal letto.
    Freneticamente poggiò alcuni vestiti sul letto e si diresse al bagno.
    Che cavolo di ora aveva impostato, Xander?!
    Veloce, si tuffò nella doccia, neanche preoccupandosi di far riscaldare l’acqua. Rabbrividendo, maledisse mentalmente il coinquilino, meditando tremenda vendetta.



    Uscì del dormitorio correndo, evitando ad ogni passo di schiantarsi contro la gente che camminava in senso opposto al suo. Nella fretta aveva avuto modo di afferrare un libro ed un block notes, peccato che non portava con sé alcuna penna. Ancora una volta, niente appunti!
    Scansò una bionda lentissima ed iniziò a percorrere l’interminabile giardino.
    Non era un secchione che smaniava per prendere appunti, non passava i giorni a pensare ai mille modi per compiacere il professore, eccetto che in questo caso.
    Frequentava il terzo anno ed aveva scelto letteratura inglese come argomento di tesi. Se fosse riuscito a realizzare un buon lavoro, avrebbe potuto accedere ai corsi di dottorato, che si tenevano in facoltà e che erano decisamente selettivi. Quindi, era indubbiamente una mossa poco intelligente fare una cattiva figura con l’unico professore che avrebbe potuto dargli una mano.
    Evitando l’ennesimo scontro frontale, William riuscì ad arrivare indenne dinnanzi all’aula. Chiusa.
    Bene, bene, bene, Shelby.
    Il professore era già entrato, la corsa era stata inutile. Non poteva farsi sbattere fuori, era meglio andarsene.
    Mentre si voltava un po’ distrutto dall’affanno, un pensiero gli attraversò la mente, fulmineo: professore nuovo.
    “Cazzo!” imprecò, mordendosi le labbra.
    Jacobs era andato in pensione, adesso c’era il sostituto in aula. Sostituto che avrebbe elencato gli autori compresi nel programma annuale. Programma che era il suo programma!
    “Okay … al massimo che succede? Mi urla dietro per mezz’ora e mi rovina la carriera universitaria. Che sarà mai?” mormorò a se stesso, in preda al panico.
    Rifletté sulla cosa più saggia da fare: andare via; ricordandosi, però, di essere un istintivo pazzo, Will afferrò la maniglia e spalancò la porta.
    Vide qualcosa che non avrebbe mai immaginato di vedere.
    Un uomo, bellissimo, in piedi vicino alla cattedra. Leggermente chino, intento ad esaminare alcuni incartamenti.
    Il nuovo professore.
    William deglutì leggermente e si accorse di avere le labbra socchiuse, leggermente inumidite.
    Immediatamente, si sferrò un calcio mentale, maledicendosi d’essere tanto stupido. Stava facendo la figura dell’idiota davanti al professore che avrebbe potuto segnare le sorti della sua carriera universitaria! Era totalmente impazzito!
    “Mi scusi, non è mia abitudine arrivare in ritardo …” cominciò, preparandosi al peggio.
    Le labbra del professore si curvarono in un lento, inaspettato, sorriso.
    Un sorriso bellissimo.
    “E non deve diventarlo da oggi. Soprattutto ora che ci sono io. Mi stavo presentando alla classe: il mio nome è Liam O’Connor e, visto che sono arrivato in ritardo anche io, non le farò il solito predicozzo … ma solo per oggi!”
    Will sbatté le ciglia, incredulo.
    “Piacere, allora. Mi chiamo William Shelby e prometto che cercherò di essere puntuale.” disse poi, abbozzando un sorriso.
    Il professor O’Connor ricambiò con calore.
    “Piacere di conoscerla, signor Shelby. Se ora si vuole accomodare, stavo iniziando ad illustrare il programma di questo semestre.”
    “Sì.” sussurrò Will, impercettibilmente.
    Velocemente si diresse verso un sedile libero, scacciando il senso di confusione e stordimento.



    “Professor O’Connor?”
    Una voce intimidita arrivò alle sue orecchie, mentre metteva a posto fogli e volumi.
    Liam alzò lo sguardo e vide William Shelby dinnanzi a lui, ansioso e incerto, aggrappato ad un enorme librone. Immediatamente, provò un moto di tenerezza.
    “Signor Shelby, cosa posso fare per lei?” domandò, rischiarando la voce.
    “Volevo scusarmi per il ritardo di stamattina.”
    “Non si preoccupi, le ho già detto che ero in ritardo anch’io.”
    Il ragazzo inglese scosse il capo, sorridente.
    “Divento ripetitivo. Volevo scusarmi e presentarmi meglio. Io … beh, frequento l’ultimo anno e vorrei provare ad accedere al dottorato. Prima che lei arrivasse ero passato in segreteria, a fare domanda per essere seguito dal professor Jacobs ... per la tesi! La tesi di fine corso, che vorrei dedicare alla sua materia.”
    “Capisco. Il regolamento del college prevede che l’impegno passi a me?”
    “Sinceramente non saprei. In ogni caso io avrei scelto, se per lei è un problema …”
    “No, no! Si figuri. Mi pagano per questo!” ribatté il professore, divertito. “Mi è stato spiegato come funziona qui, con i tutor ... ma, sa? Non ho ancora letto bene tutto il regolamento.”
    “Oh, beh! Penso che nessuno lo faccia mai veramente!” osservò Will, complice. “Potrei … informarmi in amministrazione … sempre che lei …”
    “Lo faccia senza problemi. Mi dica: ha già un progetto?”
    “Sì. Non ho qui gli appunti, ma …”
    ”Non si preoccupi. Mi parli di quello che ha in mente, mentre ci dirigiamo alla sala professori.”



    Parlarono tanto.
    Del progetto di Will, delle sue idee, delle aspirazioni, degli obiettivi che si prefiggeva.
    Camminando lungo i corridoi affollati della facoltà di Lettere, si scambiarono punti di vista e scoprirono opinioni concordanti e divergenti.
    Liam si interessò sinceramente ai progetti dello studente appena conosciuto.
    I pensieri del ragazzo erano pieni di passione, estro e creatività.
    Guardandolo gesticolare animatamente, illuminato dal sole dorato, Liam si chiese dove fosse andata a finire la timidezza di poco prima.
    Sorrise.
    “Bene. È stato un piacere conoscerla, signor Shelby.”
    In un attimo, Will si rese conto di essere arrivato a destinazione. Si bloccò, imbarazzato. Quasi in colpa per aver monopolizzato la conversazione.
    “Io …” cominciò, portandosi una mano alla nuca.
    Il professore gli tese la mano.
    “È stato un piacere parlare di letteratura con lei. Credo che molte delle sue idee siano ottime e necessitino soltanto di un più approfondito sviluppo. Mi ricorderò di passare a chiedere come funziona questo sistema dei tutor. Mi piacerebbe cominciare con lei.”
    William sorrise raggiante.
    “Whoa! È fantastico! Cioè … io …”
    Liam rise.
    “Sono contento di averla entusiasmata tanto. Ci vediamo alla prossima lezione, signor Shelby.”
    “Alla prossima, professor O’Connor.”
    Si strinsero la mano.
    Liam osservò Will che usciva in giardino, nel sole caldo del mattino.






    4 .





    Will camminava spedito per i corridoi affollati della facoltà, alla ricerca di una qualsiasi fonte di nutrimento capace di colmare la voragine aperta nel suo stomaco.
    L’incontro con O’Connor si era rivelato estremamente produttivo. Il professore in questione non solo non l’aveva preso a calci nel sedere per la sua disorganizzazione, ma aveva anche sopportato i suoi sproloqui sul progetto di letteratura.
    Non aveva parole per descrivere il senso di soddisfazione, l’euforia che provava grazie a quel piccolo riconoscimento. Impulsivo, già immaginava la nascita della tesi sognata, la conduzione del progetto supervisionata dal docente appena conosciuto.
    Si rendeva conto di camminare molto velocemente, a saltelli, quasi non toccando terra. Si sentiva un perfetto idiota. Un perfetto idiota entusiasta.
    Sorrise nello scorgere una luminosa testa bionda.
    Chiamò Tara, impegnata a parlare con un tizio.
    “Dolcezza!”
    La collega rispose al saluto e concluse la conversazione, congedandosi dal ragazzo sconosciuto.
    “Will, che ci fai qui? Già finita la lezione?” chiese, schioccando un bacio sulla guancia dell’amico.
    “Finita.” annuì William. “E devo darti una grande notizia! Prima, però, dimmi: chi era quel tipo?”
    “Chi?”
    “Quello con cui parlavi.”
    “Oh! È Edward, l’assistente di Hamilton. Sta tenendo qualche lezione da noi, visti gli impegni del professore. È un bravo insegnante, molto intelligente e sempre disponibile. Potrei presentartelo, in caso di necessità.”
    “Okay, grazie. Per adesso non credo di aver bisogno di nulla. Ho parlato col professor O’Connor.”
    “Chi?”
    “Il nuovo! Il … quello che sostituisce Jacobs! Gli ho parlato della mia idea, della richiesta per un tutor … è sembrato abbastanza convinto. Magari comincio a preparare la tesi finale proprio con lui!”
    “È magnifico!”
    “Sì! Cioè … ecco, lui non ha dato risposta definitiva ed io ho la tendenza a lasciarmi trasportare dalle fantasie, ma …”
    “Sembri davvero felice. Credo che O’Connor ti abbia dato delle speranze concrete. Sei irruento, non stupido!” scherzò la ragazza, simulando una gomitata complice.
    “Scema!” sorrise William, abbracciandola.
    “E com’è questo O’Connor?” domandò Tara, curiosa.
    “Mi sembra molto interessante. Lo sai, io sono un tipo da prime impressioni. Lui mi è parso … onesto, sincero.”
    La ragazza sorrise e, insieme, si diressero ai dormitori.



    Urlando divertito,William spalancò la porta della sua stanza.
    “Xan! Alzati e risplendi, si va a mangiare!” annunciò a gran voce.
    Spalancando gli occhi, si rese conto che l’amico non era solo.
    Una schiena nuda, femminile, copriva il corpo del coinquilino steso sul …
    “Anya!” esclamò Will, chiudendo gli occhi.
    Che figura disastrosa!
    “Ciao, Will!” salutò lei, per nulla impressionata.
    Xander pareva sepolto. In coma cerebrale. Muoveva solo le braccia, mugolando.
    “Io … mi dispiace!”
    “Sono tornata in anticipo dal mio viaggio a Londra.” spiegò la ragazza, lievemente affannata per lo sforzo fisico. “Ho pensato di passare in facoltà per fare sesso con Xander. Fra poco avremo finito e potrai portarlo a pranzo come desideri.”
    “Amore … Anya …”
    “Xander! Non puoi aver già concluso! E io? Voglio avere un orgasmo!”
    Ad occhi ostinatamente serrati, Will chiuse la porta e uscì dalla stanza.
    “Scusate l’interruzione. Chiamate quando avete … fatto.”



    “Oh, bene! Siamo proprio affamati! Il sesso è stato sfiancante!”
    William e Xander avevano appena cominciato ad assaggiare i loro primi, quando Anya pronunciò la frase spumeggiante della giornata.
    Il resto del gruppo, che aveva preso posto al tavolo della mensa, fissava le posate. Immobile.
    “Davvero!” proseguì la ragazza, per nulla imbarazzata. “Ad un certo punto ho anche avuto questa sensazione … avete presente quando tutti i muscoli del …”
    “Amore mio!” interruppe Xander, alterato e rosso in viso. “Non credo che i ragazzi vogliano sapere.”
    “Preferiremmo rimanere nella nostra ignoranza.” sostenne Tara.
    “Fermi alle api e agli uccelli.” concluse Oz, lapidario.
    Anya scosse il capo, non del tutto convinta.
    “La scelta è vostra! Comunque buona questa pasta!”
    “Ecco. Bene. Ci siamo!” ridacchiò Xander. “La pasta è un argomento. Di pasta si può parlare ... a tavola.”
    Anya fissò il fidanzato, dubbiosa; sembrava fosse costipato. Lui le baciò i capelli, devoto.
    Fu Tara a riprendere la conversazione.
    “Will ha parlato col professore della tesi!” annunciò, contenta.
    L’interessato s’imbronciò, torturando con la forchetta una carota sminuzzata.
    “Non è proprio così. Voglio dire, ancora non mi ha dato la sua disponibilità e …”
    “Sei proprio convinto di voler provare col dottorato?” interruppe Gunn. “Io non lo farei mai!”
    “Neanche io!” esclamò Xander. “Anzi, non vedo l’ora di concludere i tre anni per mettermi a lavorare. Non ne posso più di stare appresso a libri e lezioni! Will, però, deve fare contento il papà …”
    “Non è per lui!” ribatté William, infastidito. “E lo sai! Voglio accedere al dottorato, io!”
    “Giusto. Scusami.”
    “Figurati. È che … non c’entra niente mio padre. Che se ne stia nel suo maledetto studio, a leggere i suoi maledetti libri! Non vivo la vita per lui.”



    “E com’è andato questo primo giorno? Voglia di scappare?”
    Liam scosse il capo, prendendo posto a tavola.
    Wesley aveva deciso di accompagnarlo a mensa per non lasciarlo pranzare in solitudine. Era grato per quel piccolo gesto cortese, quasi amichevole.
    “Per adesso no, ma confido nel tempo.” rispose, versandosi da bere.
    L’amministratore inglese alzò lo sguardo, divertito, e prese ad insaporire la sua carne.
    “Sei prudente, fai bene. Proprio oggi ho saputo che il cancelliere ha deciso di conoscerti. Ha deciso di conoscere … il nuovo membro di questa nostra, grande famiglia.”
    “Mi sono già fatto una famiglia, qui in Inghilterra? Santo cielo, non pensavo di essere tanto veloce!”
    Wesley rise.
    “Allora,” domandò Liam. “Devo preoccuparmi?”
    “No, per carità! Sarà un incontro di routine. Il cancelliere ti conoscerà e ti annoierà coi dettagli della gloriosa storia di questa istituzione. Bevi un caffè, prima.”
    “Come se non lo facessi continuamente … a proposito di dettagli: poco fa ho parlato con un ragazzo, un certo Shelby …”
    “Sì?”
    “Il ragazzo sta frequentando il terzo anno accademico e vorrebbe cominciare col tutorato e la tesi, ha già pensato di dedicare il lavoro alla disciplina che insegno …”
    “Ti faccio avere tutte le informazioni in giornata. In ogni caso, la scelta è discrezionale per il professore. Ti pare uno competente, questo Shelby?”
    Liam aggrottò le sopracciglia, incerto.
    “Sì.” rispose infine, arrossendo senza ragione.
    In effetti, William sembra troppo disorganizzato per un puntiglioso come lui, solo che …
    Rivedeva le sue dita, strette intorno al libro enorme. Le rivedeva, ed erano lunghe e sottili … erano …
    Belle.
    Liam sospirò, in silenzio.





    5 .





    Un vento caparbio scuoteva i rami degli alberi. Il prato, una volta tinto del verde luminoso dell’erba nuova, si colorava adesso delle mille sfaccettature del rosso, del giallo, dell'arancio.
    La stagione più mite stava finendo, lasciando il passo all’inverno gelido.
    Represse un brivido.
    Una voce lo riscosse dalle sue riflessioni malinconiche.
    “Will, stai bene?”
    Joyce sorrideva, guardandolo incuriosita.
    “Sì, mamma. Pensavo.”
    “Me ne sono accorta, tesoro. Hai sentito una parola di quello che ho detto?”
    William sorrise.
    “A dire il vero, credo di essermi perso un po’ tutto il discorso.”
    Madre e figlio risero in complicità.
    Joyce non si trattenne e carezzò la testa riccia del suo ragazzo. Will godette il gesto d’affetto, un po’ imbarazzato, intimamente contento.
    Erano seduti a tavola, nel gazebo posteriore all’ingresso.
    Joyce amava quel luogo.
    “Sei sempre il solito distratto.” mormorò la donna, addolcita dalla tenerezza. “Mi domando cosa guardi quando cammini per strada.” riproverò, non troppo convinta. “Probabilmente non avrei dovuto far apparecchiare all’aperto. Senti freddo, vero? Sta quasi per piovere.”
    “Non preoccuparti. E poi, ci tenevo a vedere la campagna prima che iniziasse l’inverno.”
    “Lo so.”
    “È bella.”
    “Sì. Prendi un po’ di marmellata, forza. L’ha fatta Louise quando ha saputo che saresti venuto a trovarci.”
    “Sto scoppiando, non posso! Piuttosto, come sta il marito di Louise?”
    “Così … non riesce ancora a camminare bene, forse i medici l’hanno dimesso troppo presto.”
    “Mi dispiace.” mormorò Will, stringendo le mani della madre. “Andrà tutto bene, vedrai.”
    “Sì, lo spero.” replicò lei. “Mi sei mancato tanto, William. So che hai molti impegni, ma vorrei che passassi più spesso. Solo tu riesci a farmi vedere le cose in una prospettiva migliore, più rosea.”
    Il ragazzo rise.
    “Non dire così, dai!”
    “Credimi. Quando guardo te, il mondo gira con più grazia.”
    Will scosse il capo, un po’ vergognoso, un po’ lusingato.
    “Hai dipinto ancora?” chiese, incerto.
    “Qualcosina. Andiamo a vedere.”



    Verde. In due diverse tonalità.
    Mescolato al giallo limone e alla terra di Siena, nello spazio di qualche abile pennellata. Qua e là, sprazzi di bianco ed accenni impercettibili di arancio, di rosso. L’azzurro del cielo terso, limpido.
    I chiaroscuri degli alberi e delle case di campagna.
    “È davvero bello!” mormorò Will estatico, voltandosi a guardare la madre.
    I raggi del sole, che filtravano obliquamente dalle finestre abbassate, illuminavano solo parte della figura femminile, che appariva lontana, eterea.
    William riusciva a scorgere solo il bagliore di un sorriso e la luce scura degli occhi.
    “Sono contenta che ti piaccia.” mormorò Joyce. “L’ho fatto quest’estate, nei giorni più caldi.”
    “Si vede. È pieno di vita.”
    “C’erano anche i tuoi zii dal Belgio, per la cronaca!”
    Will rise.
    “Tu li detesti!”
    “Mi hanno rovinato l’umore moltissime volte, non chiedermi cosa mi ha trattenuta dal tirare una teglia in testa a tua zia Norma!”
    La conversazione divertita venne interrotta dalla domestica che annunciava il pranzo.
    Will abbassò il capo, immediatamente incupito.
    “Non ho ancora visto la tela centrale.” mormorò, triste e frustrato.
    Non voleva incontrare il padre. Stava così bene nello studio.
    Joyce lo carezzò ancora, dispiaciuta.
    “Rispettiamo la vecchia tradizione, vuoi? Quando sarà completo tornerai qui e te lo mostrerò. È dedicato a te.”
    “Davvero?”
    “Sì.” sussurrò lei. “L’ho sognato ed è tuo.”



    “ … Quindi, pensi che darai presto qualche risultato significativo o continuerai ad adagiarti nella comoda mediocrità? Cara, passami le patate.”
    Il vassoio col contorno fece il giro della tavola.
    “Sto parlando con te, William.” dichiarò Roger Shelby, impassibile e severo. “Avresti la buona cortesia di rispondermi?”
    Will infilzò la carne, trattenendo la rabbia che gli prendeva lo stomaco.
    Astioso, fissò le mani, affusolate e belle del padre. I suoi occhi azzurri e impietosi, di giudice in cattedra.
    Joyce si portò una mano alla fronte, sospirando esausta.
    “Gradirei pranzare in santa pace.”
    “Cara,” interruppe Roger, sarcastico. “Era solo una domanda! William non dovrebbe avere alcun problema a replicare.”
    Will si morse le labbra.
    “Scusami papà, pensavo …”
    “Ed è un bene, figlio mio.”
    “Lo sai che non dipende da me. Io sto …”
    Roger Shelby batté una mano sul tavolo, replicando il gesto imperioso che tante volte aveva utilizzato, nel corso dell’onorata carriera come docente di ruolo a Cambridge.
    “Non dipende mai da te! È questo il tuo problema! Ti nascondi dietro scadenze e tempi morti e ti culli nell’insufficienza. Alla tua età avevo già intrapreso il tirocinio ad Oxford, per merito!”
    “William è in corso, Roger. E i tempi sono decisamente cambiati.” ribatté secca Joyce.
    Cominciava ad avere un leggero cerchio alla testa, a causa di quelle inutili chiacchiere.
    “Non eccelle neanche nei voti, santo cielo!”
    “Smettila!” gridò William, stringendo le dita sulla tovaglia. “Non sono venuto a pranzo per litigare con una cariatide piena di risentimento e disprezzo!”
    “Attento a come …”
    “SMETTETELA ENTRAMBI, SUBITO!” comandò Joyce, alzando la voce come raramente le capitava. “Vorrei pranzare in tranquillità! Vorrei godermi una domenica in famiglia, come tutte le madri di questo mondo! È così difficile?”
    William abbassò il capo.
    La presa sulla tovaglia si era fatta meno forte.



    Quando, al crepuscolo, Will percorse il vialetto d’ingresso, si rese conto che la pioggia aveva bagnato i fiori e le foglie, profumando l’aria.
    Il cielo era nuovamente terso, le foglie danzavano al ritmo del vento.
    L'acquazzone c'era stato, tremendo ed inevitabile come previsto. Eppure, si era concluso in breve, lasciando spazio alla notte stellata.





    6 .





    Un piacevole aroma di caffè si diffondeva denso nell’aria. La piccola cucina sembrava traboccare d’energia all’inizio di quella bella mattinata di fine ottobre.
    “Diamine!” sbottò Liam, posando il rasoio sulla superficie del lavabo, precipitandosi fuori dal bagno nonostante la schiuma da barba ancora sul viso.
    Rapidamente raggiunse i fornelli e spense la caffettiera, scottandosi. L’orologio segnava le otto meno dieci, avrebbe dovuto sbrigarsi. Per quel giorno era stato fissato l’appuntamento con Travers, non avrebbe voluto dare una cattiva prima impressione ad un uomo tanto formale.
    Bevve il caffè, senza zuccherarlo. Corse a terminare la rasatura e indossò camicia e cravatta.
    Davanti allo specchio, sentì un moto d’inadeguatezza, di vergogna.
    Provò ad aggiustare il nodo della cravatta, a stirare le pieghe del maglione scuro che indossava.
    Tutto inutile. La triste sensazione di impotenza non scompariva.
    Rimaneva in fondo alla gola, come un nodo sterile e doloroso.



    “ … Quello che facciamo non è soltanto insegnare storia, diritto, letteratura; quello che facciamo è formare uomini! Uomini che sappiano affrontare le insidie del mercato del lavoro, della società politica, le sfide del futuro! È questo ciò che rende Cambridge un’istituzione nobile e rispettata! La nostra missione è imprimere valori saldi, duraturi. Valori che possano …”
    Okay, era già la seconda volta che ritornava sul concetto dei valori e del prestigio eterno dell’università. Cominciava a diventare ripetitivo.
    Liam sospirò, ascoltando parte della conversazione che avveniva dietro le porte serrate dell’ufficio del cancelliere.
    Dalla sua scrivania, la segretaria sorrideva pacatamente, quasi a volerlo incoraggiare per ciò che sarebbe successo al termine della riunione, quando lui sarebbe entrato nella stanza degli orrori.
    Ricambiò il sorriso, incerto.
    Le porte si aprirono.
    “Può andare.” fece lei, con la solita espressione benevola. “Chiuda la porta, entrando.”
    Liam si fece coraggio e si accomodò nello studio del cancelliere.
    Un salone illuminato da ampi finestroni di vetro, colmo di antichi quadri di studiosi e allievi celebri, tende pesanti e vasi antichi.
    “Buongiorno, professor O’Connor.” salutò Quentin Travers.
    Era un uomo piuttosto basso, sulla sessantina, impettito e composto.
    “Buongiorno a lei. Piacere di conoscerla, dottor Travers.” fece Liam, avvicinandosi a stringere la mano del cancelliere.
    L’uomo sorrise, inaspettatamente.
    “Immagino che avrà avuto modo di sentire il discorso appena concluso.” affermò, versandosi un bicchiere d’acqua. “Gradisce?”
    “No, la ringrazio. Sì, ho sentito parte della conversazione.” ammise Liam.
    Gli occhi di Travers lo scrutarono attenti, quasi soppesando il senso delle sue parole.
    “Avrà pensato ad inutili chiacchiere di propaganda.” disse, gelido. “Vede, a qualcuno la mia impostazione tradizionalistica non piace. Sembra un telo volto a coprire la realtà delle cose. Forse lei avrà avuto la medesima impressione, professor O’Connor. Lei è giovane. Uno dei più giovani in questa istituzione che, pure, è molto all’avanguardia.”
    “Ho trentaquattro anni.”
    “La metà dei miei, più o meno.” sorrise Travers. “Ci si aspetta molto da una mente come la sua.”
    Liam tacque.
    “Professore, sono convinto che la nuova generazione di insegnanti debba avvicinarsi quanto più possibile all’età degli studenti; eppure, credo molto alle regole, al rispetto della tradizione. Apprezzare la compostezza, il rigore del passato, non trovo sia sinonimo di ottusità. La forma è importante in ogni istituzione che si fondi sulla coesistenza ordinata. Sono certo che comprende il senso delle mie parole.”
    “Perfettamente.”
    “Bene, le sarà utile per affrontare il soggiorno in questa prestigiosa università. Benvenuto a Cambridge, dottor O’Connor.”
    Liam chinò il capo, senza sorridere.



    Il sole era ancora alto nel cielo, mentre usciva dagli uffici più antichi della Regent House. Anche il vento sembrava essersi acquietato nella dolce frescura pomeridiana. Nonostante tutto, il freddo tardava ancora a manifestarsi. Singolare a quelle latitudini.
    Spedito, Liam percorse i corridoi della facoltà al ritmo del brontolio del suo stomaco. Fortuna che l’incontro col cancelliere non era durato moltissimo.
    “Professor O’Connor? È lei?”
    L’irlandese si voltò in tutte le direzioni, cercando di individuare il punto di provenienza della voce che lo chiamava.
    “William!” sussurrò.
    Abbastanza forte, affinché il ragazzo sentisse, abbastanza piano perché nessun altro potesse.
    “Professore!” ripeté lo studente.
    Era in piedi, a qualche metro di distanza. Stringeva tra le mani alcuni fogli ed una carpetta scura. Il sole illuminava i tratti del suo volto, esaltandone il colorito roseo, gli zigomi cesellati, l’azzurro cristallino dello sguardo.
    “Che ci fa qui, Shelby?” domandò Liam.
    “Dovevo passare a prendere le dispense di un assistente. Lei?”
    “Ho avuto un colloquio e mi sono liberato adesso. Mi stavo giusto aggirando per questi corridoi alla ricerca disperata di un distributore automatico. Mi oriento ancora male!”
    Will rise e avanzò una proposta.
    “Io non ho nulla da fare. Se vuole posso accompagnarla in un bar qui vicino.”
    “Mi accompagni, allora.”



    Si erano accomodati in un tavolinetto di metallo verde e vimini, lontani dalle pochi clienti del locale che distrattamente leggevano il giornale o sorseggiavano il loro caffè.
    Le ampie vetrate del bar, che dava sulla piazza, riflettevano i raggi del sole al tramonto. Poche auto affollavano le strade. All’interno del locale, solo il rumore dell’acqua che scorreva nel lavello, del personale di servizio indaffarato.
    Rimanevano il profumo del caffè e della cioccolata.
    I colori negli occhi di Will, sulle sue guance arrossate.
    “ … e mi dica, a proposito del viaggio in Italia, è stato come l’aveva immaginato?” domandò lo studente, ravvivando la conversazione.
    Liam sorrise con dolcezza.
    “Sì, l’Italia è un paese meraviglioso. Per tanto tempo ho desiderato visitarla, visitare i luoghi che hanno ispirato tanti artisti e poeti. Ti dirò che, per un momento, ho temuto che mi deludesse, ma così non è stato.”
    William rigirò la sua cioccolata calda, ascoltando rapito.
    “Ho potuto ammirare alcune opere di pregio ed ho visto le case dei miei artisti preferiti … è stato davvero bello. Potessi, lo rifarei. Inoltre, vorrei tanto vedere le isole minori che, nel mio viaggio, non ho potuto visitare.”
    “Devono essere davvero belle.” osservò William. “Piacerebbe visitarle anche a me, almeno una volta nella vita.”
    Liam sorrise ancora, inaspettatamente.
    “Ti succederà, ne sono sicuro.”
    “Davvero?”
    “Sì. Riesco quasi ad immaginarti davanti al mare che è tanto simile ai …”
    Il professore s’interruppe, immediatamente imbarazzato.
    Stava per fare un paragone inopportuno, romantico, tra il mare e gli occhi di William. Non si sarebbe mai perdonato una leggerezza simile e non capiva neanche il perché di tanto slancio poetico. Sebbene fosse un artista ed un esteta nel profondo dell’anima, Liam sapeva anche essere pragmatico, serio, composto. Di poche parole, decisamente calcolate. Gli risultava difficile comprendere ed accettare un tale atteggiamento irrazionale, che sentiva di potersi impedire.
    Più di tutto, si dispiaceva per il tono confidenziale usato.
    Non avrebbe dovuto.
    “Spero che sia così.” ribatté il ragazzo, spezzando il corso dei suoi pensieri.
    “Già. William, ascolta, ho chiesto in amministrazione e mi hanno fornito tutte le informazioni necessarie riguardanti la tua proposta, quella di farti da tutor.”
    “Oh.”
    “Io accetterei volentieri, se non hai cambiato idea. Potremmo iniziare dalla prossima settimana, se sei disposto.”
    Will spalancò gli occhi leggermente lucidi.
    “Sarebbe una cosa … sarebbe perfetto! Potremmo cominciare con la traccia generale, io … mi scusi, le sembro un pazzo, vero?”
    Liam rise, nuovamente a suo agio.
    “No. Piuttosto, sono davvero contento di essere tanto desiderato. Sono certo che non mi ricapiterà spesso.”
    Will lo fissò, senza replicare.
    “Lunedì, allora?” chiese, soave.
    “Lunedì.”






    7 .






    La stanza era pulita, ordinata. I vestiti, che di solito giacevano sulle sedie, erano stati accuratamente riposti nell’armadio. I comodini e le scrivanie erano sgombri e rassettati. Ogni cosa aveva trovato una precisa collocazione, nella camera che sembrava quasi spoglia per la sua essenzialità. Soltanto un letto era colmo di libri.
    Quello di Will.
    “Questo no … questo neanche …”
    Lo studente era in piedi davanti alla libreria. Ogni volume, da lui letto e scartato, non trovava nuova collocazione accanto agli altri, ma finiva sul letto.
    Pareva che niente potesse soddisfare la ricerca del ragazzo.
    “Buonasera a tutti, signori e signore!” annunciò Xander, facendo il suo ingresso.
    Strabuzzò immediatamente gli occhi alla vista del macello combinato dal coinquilino.
    “Will? Che diavolo stai facendo?!”
    “Ciao, Xan.”
    “Credevo che avessi finito ieri con le pulizie!”
    “Non faccio pulizie.”
    “Ah! Ti avevo già scambiato per mia madre! Dov’è il mio amico? Chi lo ha rapito?”
    “Stronzo!” esclamò Will, ridendo.
    “Allora, che stai combinando qui?”
    “Cerco un libro …”
    “Qualcosa lo lasciava intuire ...”
    “Cerco un libro per il progetto!”
    Xander fece una smorfia contrita.
    “Dio, ancora!”
    “Harris! Per favore.”
    “E che sto dicendo? Niente! Solo non ho idea del perché, da settimane, non dormi più la notte al pensiero di deludere questo O’Connell!”
    “O’Connor.”
    “Sì, sì, quello che è! Dico solo: ehi amico, rilassati! Col cervello che ti ritrovi non farai certo la figura dello scemo! Non capisco perché ti affanni tanto.”
    “Voglio fare le cose bene, ecco. Non mi sembra abbastanza!”
    “Abbastanza cosa, Will? Non ti ho mai visto studiare tanto! Vuoi smetterla e dedicarti un po’ anche agli amici?”
    Will si voltò e fronteggiò il coinquilino con un’espressione colpevole.
    “Mi dispiace, sono così preso dalla tesi che …”
    “È okay, Shelby. Però, stai tranquillo. Rilassati quando puoi, altrimenti a che servono gli amici? A questo proposito, domani sera Oz e gli altri suonano. Non puoi perderli.”
    “Non lo farò.” mormorò il ragazzo.
    Abbassò lo sguardo e vide un volume di poesia romantica. Lo prese in fretta e lo nascose nella borsa.
    “Esci? Dove vai?”
    “Dal professor O’Connor.” disse, piano. “Avevo appuntamento con lui oggi pomeriggio.”
    “Davvero appropriato! Dico sul serio, Will: che tempismo!”
    “Senti, io –“
    “Non scordarti di comprare le patatine al ritorno. Siamo a secco. E saluta quel bastardo di Neal da parte mia, digli che aspetto i miei trenta.”
    Will sorrise.
    Prese la tracolla ed uscì dalla stanza.



    Non esistevano più voci né rimproveri.
    Non esistevano le raccomandazioni sagge di un amico. Gli avvisi, le previsioni, i consigli dettati dalla ragione. Non esistevano le conseguenze.
    Ogni volta che percorreva i corridoi e sapeva di dover raggiungere Liam, per William contava solo il respiro accelerato, il desiderio, l’anelito.
    Il resto del mondo – stranamente, con violenza – cessava di esistere ed una sensazione intensa, pungente da far male, lo colpiva al cuore. Ancora e ancora.
    Temeva quella sensazione. Delirante, si sentiva colmare da una gioia irrefrenabile, da un’eccitazione febbrile.
    Avrebbe voluto provare sempre una tale emozione. Sempre, con costanza ed intensità. Sempre, nelle notti interrotte da sogni caldissimi di mani e labbra sul suo corpo.
    Non avrebbe saputo dire cosa gli stesse accadendo. Non avrebbe mai pensato di provare un sentimento tanto viscerale per un altro uomo.
    Un uomo.
    Non riusciva neanche a concepirlo, eppure … non si sentiva nemmeno colpevole, non del tutto.
    Perché Liam era più che un uomo qualsiasi.
    Liam era il centro dell’universo.



    Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo.
    Era arrivato.
    Stava fermo, dinnanzi all’ingresso dell’aula studio. Avrebbe dovuto compiere lo sforzo doloroso di avanzare di un passo, di stringere la maniglia ed entrare.
    Fece pressione, emozionato.
    Gli pareva di schiantarsi al suolo a fortissima velocità.
    “William! Buon pomeriggio!”
    Will sorrise al professore che lo attendeva col volume di storia della letteratura aperto.
    Lui era talmente bello, illuminato appena dalle lampade.
    “Sono in ritardo?”
    “No, sei sempre puntuale. Credo, però, che dovresti abbandonare gli studi per dedicarti alla corsa professionale!”
    Will chinò il capo, arrossendo per l’imbarazzo.
    “Diciamo che dovrei migliorare nel campo dell’organizzazione! Mi preparo sempre all’ultimo minuto.”
    “Ma ti prepari bene.” replicò Liam, tendendogli una mano a mo’ di invito. “Siediti, ragazzo.”
    William dovette deglutire.
    Così vicino, riusciva a sentire ogni piccola nota del profumo di Liam, l’odore del dopobarba e dei capelli appena lavati. Un brivido caldo lo percorse.
    Il professore mormorava qualcosa, visionando i documenti.
    Will immaginava soltanto di baciarlo. Baciarlo. In aula studio, stretto a lui e alla camicia chiara, a righine, che evidenziava il corpo perfetto mai ostentato.
    “Mi ascolti?” domandò Liam, imbronciato. “Ti chiedevo l’argomento guida della mappa concettuale. L’hai già scelto?”
    “Oh sì! Sì. Io avrei pensato a … all’amore.”
    Il professor O’Connor deglutì, stupito.
    “L’amore?”
    “Sì. Non pare che esista argomento più immortale nella letteratura.”
    “L’amore è una tematica talmente vasta, vaga, nebulosa … qui si tratterebbe di fare un compendio della letteratura mondiale piuttosto superficiale. Non credo che …”
    “Ma ho già pensato a tutto! Parlerei dell’amore invincibile! Mi soffermerei sui legami che intercorrono tra diversi stili di poesia, riuscirei a restringere il campo con un sottotitolo e alcune precisazioni generali.”
    “Will, mi pare comunque –“
    “Per favore, prima legga la bozza dell’introduzione!”
    Liam esitò. Infine, esaminò i fogli stropicciati, rimanendo sbalordito.
    “Sembra davvero molto …”
    “La convince, vero?”
    Il professor O’Connor sospirò rumorosamente.
    “Sì.” ammise, piano.
    William sorrise vittorioso.
    “Mi aiuterà ancora?”
    “Ti aiuterò … certamente.”




    TBC



     
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    Le labbra di Liam dovevano essere morbide.
    Morbide, sì. Di una dolcezza che non aveva nulla a che fare con quella femminile, troppe volte simulata da strati di rossetto. Sottili, ma non troppo, leggermente curvate in una maniera che non avrebbe saputo mai descrivere. Calde, umide. Morbide.
    Indubbiamente dovevano essere così.
    Will sospirò, decise di farla finita con fantasie proibite che l’avrebbero spinto a correre in bagno a toccarsi. Lentamente aprì gli occhi, nell’oscurità della camera animata dal leggero russare di Xander. Gli riusciva impossibile anche solo immaginare di addormentarsi, eppure aveva trascorso una giornata lunga e faticosa. Sentiva il bisogno fisico di dormire.
    Niente da fare.
    Il progetto di letteratura gli stava letteralmente togliendo il sonno.
    Il professore di letteratura gli stava togliendo il sonno!
    Deglutì, soffocando l’ondata di sofferenza che gli serrava la gola.
    Non si era mai sentito attratto da un uomo, non in quel modo almeno. Che stesse … diventando gay?
    Serrò gli occhi, affondando il capo tra i cuscini, stringendoli violentemente.
    Che cazzo gli stava succedendo? Si stava davvero innamorando di un docente?
    Innamorando.
    Prese un respiro profondo, ripetendosi mentalmente il verbo prescelto.
    Lo sapeva, sapeva che l’attrazione che provava non era semplicemente fisica. Liam, col suo sorriso, col suo sguardo intenso e il suo odore, riusciva a renderlo più felice di ogni altra cosa al mondo.
    Allentò la presa sul cuscino.
    Dio, si stava veramente innamorando!
    Lentamente, si lasciò cullare dalle spire della stanchezza, dimenticando ogni ansia, immaginando Liam.
    Liam sereno, in casa, davanti al televisore acceso; Liam al mattino, sorridente alla sua amante.
    Sentiva un tumulto agitargli il cuore, un mare di colori invadergli la mente.
    Improvvisamente ogni stanchezza era passata e non importava più l’esito di un’altra notte senza riposo.
    Si sentiva bene, si sentiva ispirato.
    Con uno scatto scese dal letto, assicurandosi di non fare molto rumore.
    Silenzioso, prese il raccoglitore che teneva appoggiato al comodino e afferrò una penna. In quel frangente sentiva la necessità disperata di scrivere, doveva scrivere.
    Muovendosi con più attenzione possibile, aprì la porta del bagno. Fregandosene del freddo si appoggiò al muro, scivolando fino a trovarsi seduto.
    La luce gialla della lampada era leggermente fastidiosa.
    Estrasse un foglio e lo fissò a lungo, in cerca dell’idea che lo aveva colpito solo qualche momento prima. Con calma prese la penna e la portò alla bocca, strappandole il tappo coi denti.
    E poi scrisse, e non fu più dentro la stanza.



    “E così non hai dormito nemmeno stanotte!” constatò Xander, a braccia conserte.
    “Ho dormito, Xan!”
    “Sì perché, normalmente, quando si dorme, si ci presenta il giorno dopo con quelle enormi occhiaie!” fu la replica acida.
    Will sospirò.
    “Ma io so di chi è la colpa!” dichiarò il furente coinquilino. “Dello stupido progetto supervisionato da uno stupido irlandese che ti carica di lavoro come un mulo!”
    “Cosa vai blaterando, tu!”
    “Ah! Non me la dai a bere, caro mio! Sai che ti dico? Dovresti mandarlo al diavolo questo O’Connor! Io farei così.”
    “Tu molleresti un progetto solo se ti chiedessero delle revisioni settimanali!”
    “Il sabato è giorno di riposo, che colpa ne ho?”
    “Harris, non sei ebreo.” mormorò Will, controllando l’ora.
    Quasi le quattro: doveva sbrigarsi se voleva raggiungere il professore.
    “… Cosa diavolo c’entra se …”
    “Ti devo lasciare.” tagliò corto Will, stringendo la tracolla. “Revisione settimanale.”
    “Eh! Ci risiamo! Divertiti con O’Connell!”
    “O’Connor!”



    Camminando in direzione di casa O’Connor, William sentiva la tensione aumentare.
    Liam l’aveva invitato a studiare da lui – da lui! – non sapeva se avrebbe potuto reggere la pressione di una sfida tanto ardua.
    A casa di Liam c’erano i libri di Liam, i vestiti di Liam, il letto di Liam …
    Chiuse gli occhi, fremendo di eccitazione. Santo cielo, doveva darsi una calmata immediatamente o avrebbe dovuto disertare l'incontro!
    Si mosse veloce, raggiungendo il grande complesso residenziale costruito apposta per ospitare gli appartamenti dei docenti. La lunga camminata avrebbe, forse, placato i suoi bollenti spiriti.
    Individuò immediatamente la casa del docente, circondata da un piccolo giardino spoglio. Percorse il vialetto di corsa e quasi venne colpito dalla porta d’ingresso che si spalancava.
    “Professore!”
    “William!”
    Arretrò di qualche passo, col fiato corto per lo spavento e la fatica.
    Il professor O’Connor lo fissava, sconvolto e imbarazzato.
    “Mi … mi dispiace … scusami! Ho sentito i tuoi passi e mi sono precipitato alla … io non intendevo …”
    “Non si preoccupi! Non fa niente!”
    “Ma … avrei potuto colpirti.”
    “Non si preoccupi. Sul serio.”
    Liam sorrise, come rassicurato.
    Fece spazio a Will, lasciandolo accomodare in casa.
    “Vuoi andare in soggiorno?” propose, dolcemente. “Potremmo studiare seduti sul divano oppure in cucina. Come preferisci. In cucina c’è più luce, in effetti, e c’è il tavolo.”
    “Cucina sia.”
    Entrando nella stanza, Liam si premurò di sgomberare la tavola.
    “Accomodati. Non è il massimo, ma …”
    “È perfetta.”
    “Sei gentile. Vuoi qualcosa? Tè? Caffè?”
    “Nulla, grazie.”
    “Allora cominciamo.” disse il professore, prendendo posto accanto al ragazzo.
    Will fremette involontariamente per quella vicinanza.
    Si voltò a guardare l’uomo che desiderava e strinse le pagine del libro, stropicciandole leggermente.
    “Che fai?” sussurrò Liam, sciogliendo le dita ostinate.
    In un attimo, professore e allievo si ritrovarono l’uno a pochi centimetri dal viso dell’altro.
    Liam indugiò, fissando le labbra morbide che chiedevano soltanto di essere baciate.
    “Passami lo schema …” mormorò, spezzando ogni magia.
    A capo chino, il ragazzo lo accontentò.







    9 .





    L’acqua che scorreva sulla sua pelle era ormai diventata gelida.
    Cercò di regolare il getto della doccia, riscaldare la temperatura. Disinteressato e afflitto, si abbandonò contro le piastrelle umide. Chiuse gli occhi.
    L’avrebbe baciato, maledizione! Avrebbe baciato il ragazzo!
    Ma cosa gli diceva il cervello?! Cosa avrebbe combinato assecondando i suoi istinti più bassi?!
    Non era uno studentello alle prime armi, era un professore: il tutor di William! Non avrebbe potuto comprometterlo in quel modo, tradirlo in quel modo. Era da pazzi anche solo prendere in considerazione un’idea del genere.
    Esalando un sospiro di stanchezza, terminò di lavarsi e corse a vestirsi in camera da letto.
    Il fremito che aveva sentito dinnanzi a Will … non aveva alcuna importanza.
    Non avrebbe portato nulla di buono né a William, studente brillante e attento, né alla sua carriera di docente appena inserito. Dunque, la cosa migliore da fare era ignorare quel sentimento, comportarsi con decoro, sostenere Will nel percorso di studi.
    Farsela passare, insomma.
    Farsela passare.



    “… e così gli ho detto di farsela passare! Ci sono delle regole in questo college, regole alle quali anche Marcus Hamilton deve sottostare!”
    L’imperiosa esclamazione risuonò forte nella sala professori semivuota.
    “Insomma, quell’uomo, se potesse, trasformerebbe un’istituzione dedita alla cultura in un centro commerciale. Tutto per fare più soldi!”
    “Hai proprio ragione!”
    Gli occhi di Winifred Burkle scintillarono adoranti e Wesley si sentì quasi un eroe.
    “Tu credi?” domandò, improvvisamente timido.
    “Certo che sì.”
    “Salve ragazzi.” salutò Liam, facendo il suo ingresso in sala.
    Wes e Fred sorrisero all’unisono.
    “Di che stavate parlando?” domandò, servendosi un caffè pessimo.
    “Di come Wesley ha distrutto Hamilton in collegio docenti!” replicò la ragazza, entusiasta.
    Wes arrossì vistosamente e fece un vago cenno della mano.
    “Non è proprio così ...”
    “Ah no?”
    “C’è stato un diverbio ed io ho semplicemente detto quello che pensavo. Non potevo permettere che si stanziassero altri fondi per un progetto inutile e si togliessero alle borse di studio. Mi sembra una vergogna!”
    Liam annuì.
    “Tu, piuttosto, come mai non ci hai raggiunti? La riunione era molto importante.”
    “Lezione.” mentì Liam.
    E, in un attimo, rivide gli occhi azzurrissimi di William, le sue labbra carnose.
    “Ricordati che alla prossima non potrai mancare. Ci sarà una votazione per affossare il progetto di Hamilton. Ha intenzione di chiedere soldi per trasformare la vecchia ala della biblioteca in una sala convegni.”
    “Non mancherò.”
    “Assieme ai docenti ci saranno alcuni rappresentanti del corpo studentesco. Travers è già dalla parte sbagliata, solo uniti potremo fargli cambiare idea.”
    “El pueblo unido jamás será vencido!” esclamò Lilah Morgan, dirigendosi alla macchina del caffè.
    La Morgan si occupava della tutela legale dell’immagine di Cambridge ed era molto amica di Marcus Hamilton.
    “Lilah … gradirei che smettessi di fare dell’ironia.”
    L’avvocato si voltò sorridente, mordendosi le labbra rosse e scure.
    “Io? Ironia? Sono un agnellino innocente!” sussurrò diabolica, puntando lo sguardo da predatrice su Liam. “Salve bel maschione, come andiamo?”
    Il professore si limitò a fare un cenno del capo, per nulla impressionato.
    “Ma come siete diventati timidi tutti quanti!” esclamò Lilah. “Menomale che c’è Wes a rendere le cose interessanti!” sospirò, annoiata. “Sarà meglio che torni alle sudate carte … piuttosto, le aule del complesso C sono fuori uso per questo pomeriggio. Portate i vostri ragazzi da qualche altra parte!”
    Liam chiuse gli occhi, abbattuto.
    Avrebbe dovuto invitare Will a casa sua.



    Non poteva accadere nulla.
    Non poteva accadere nulla se lo voleva, giusto?
    Ripetendosi più di mille volte il nuovo mantra personale, Liam O’Connor si diresse in bagno. Aprì il gettò dell’acqua fredda e si rinfrescò. Forse il gelo avrebbe calmato i bollenti spiriti.
    “Finiamola con queste cazzate.” comandò alla sua immagine riflessa allo specchio.
    Sentì il suono del campanello e imprecò mentalmente.
    Velocissimo, raggiunse la porta, riuscendo a frenarsi a stento. A prendere un respiro.
    “Ciao, Will.” salutò, lasciando accomodare il ragazzo.
    “Buonasera, professore.”
    Liam sperò intensamente che non si facesse alcuna allusione al bacio scongiurato il pomeriggio prima. Fece strada per la cucina, ansioso.
    “Ti offro qualcosa? Lo vuoi un caffè?”
    “No, grazie.”
    “Per favore, permettimi di …”
    William dovette rendersi conto del suo nervosismo.
    Scrollò le spalle e accennò un sorriso.
    “Caffè sia, allora!”
    Liam si aggrappò alla caffettiera come un naufrago in balia delle onde si aggrappa alla sua zattera.
    “E quindi … dimmi …” cominciò, preparando la bevanda. “Cosa vorresti fare dopo?”
    “Dopo quando?”
    “Dopo … la laurea. Cosa ti piacerebbe …”
    Will chinò il capo, in un modo dolcissimo.
    “Mi vergogno un po’ a dirlo.”
    “Perché?”
    “Vorrei diventare un poeta, ecco.”
    Il professore irlandese fissò l’espressione imbronciata, tenera del suo allievo.
    “Non è una cosa stupida.” mormorò, comprensivo.
    “Ci vuole talento.”
    “Credi che a te manchi?”
    Il ragazzo scrollò le spalle e non rispose.
    Liam si dedicò nuovamente al caffè, in silenzio. Dosò lo zucchero nelle tazzine, preparò dei biscotti in un piccolo vassoio e li offrì allo studente. Si premurò di sgombrare la tavola, stendere la tovaglia pulita, girarsi per …
    “Voltati, per favore.”
    “Cosa?”
    “Voltati.” comandò William, deciso sebbene la voce tradisse l’emozione del momento.
    A Liam mancò il coraggio di assecondarlo. Consapevole di quanto sarebbe accaduto, si morse le labbra, stringendo i margini del ripiano cottura. La mano del ragazzo si posò sulla sua schiena contratta e non poté evitare un sospiro.
    “Will, aspetta …”
    “Guardami.”
    Il professore obbedì, trasalendo.
    Ritrovò la bocca dello studente a pochi centimetri dalla sua e deglutì di desiderio.
    “Liam …”
    Will si avvicinò e gli sfiorò le labbra in un bacio casto, impercettibile. Premette la fronte contro il suo mento e si mosse invitante, come un cucciolo bisognoso di tenerezze.
    Liam non si trattenne più.
    Prese il viso spigoloso tra le mani tremanti e lo strinse, in un bacio appassionato.












    9 .







    L’acqua che scorreva sulla sua pelle era ormai diventata gelida.
    Cercò di regolare il getto della doccia, riscaldare la temperatura. Disinteressato e afflitto, si abbandonò contro le piastrelle umide. Chiuse gli occhi.
    L’avrebbe baciato, maledizione! Avrebbe baciato il ragazzo!
    Ma cosa gli diceva il cervello?! Cosa avrebbe combinato assecondando i suoi istinti più bassi?!
    Non era uno studentello alle prime armi, era un professore: il tutor di William! Non avrebbe potuto comprometterlo in quel modo, tradirlo in quel modo. Era da pazzi anche solo prendere in considerazione un’idea del genere.
    Esalando un sospiro di stanchezza, terminò di lavarsi e corse a vestirsi in camera da letto.
    Il fremito che aveva sentito dinnanzi a Will … non aveva alcuna importanza.
    Non avrebbe portato nulla di buono né a William, studente brillante e attento, né alla sua carriera di docente appena inserito. Dunque, la cosa migliore da fare era ignorare quel sentimento, comportarsi con decoro, sostenere Will nel percorso di studi.
    Farsela passare, insomma.
    Farsela passare.



    “… e così gli ho detto di farsela passare! Ci sono delle regole in questo college, regole alle quali anche Marcus Hamilton deve sottostare!”
    L’imperiosa esclamazione risuonò forte nella sala professori semivuota.
    “Insomma, quell’uomo, se potesse, trasformerebbe un’istituzione dedita alla cultura in un centro commerciale. Tutto per fare più soldi!”
    “Hai proprio ragione!”
    Gli occhi di Winifred Burkle scintillarono adoranti e Wesley si sentì quasi un eroe.
    “Tu credi?” domandò, improvvisamente timido.
    “Certo che sì.”
    “Salve ragazzi.” salutò Liam, facendo il suo ingresso in sala.
    Wes e Fred sorrisero all’unisono.
    “Di che stavate parlando?” domandò, servendosi un caffè pessimo.
    “Di come Wesley ha distrutto Hamilton in collegio docenti!” replicò la ragazza, entusiasta.
    Wes arrossì vistosamente e fece un vago cenno della mano.
    “Non è proprio così ...”
    “Ah no?”
    “C’è stato un diverbio ed io ho semplicemente detto quello che pensavo. Non potevo permettere che si stanziassero altri fondi per un progetto inutile e si togliessero alle borse di studio. Mi sembra una vergogna!”
    Liam annuì.
    “Tu, piuttosto, come mai non ci hai raggiunti? La riunione era molto importante.”
    “Lezione.” mentì Liam.
    E, in un attimo, rivide gli occhi azzurrissimi di William, le sue labbra carnose.
    “Ricordati che alla prossima non potrai mancare. Ci sarà una votazione per affossare il progetto di Hamilton. Ha intenzione di chiedere soldi per trasformare la vecchia ala della biblioteca in una sala convegni.”
    “Non mancherò.”
    “Assieme ai docenti ci saranno alcuni rappresentanti del corpo studentesco. Travers è già dalla parte sbagliata, solo uniti potremo fargli cambiare idea.”
    “El pueblo unido jamás será vencido!” esclamò Lilah Morgan, dirigendosi alla macchina del caffè.
    La Morgan si occupava della tutela legale dell’immagine di Cambridge ed era molto amica di Marcus Hamilton.
    “Lilah … gradirei che smettessi di fare dell’ironia.”
    L’avvocato si voltò sorridente, mordendosi le labbra rosse e scure.
    “Io? Ironia? Sono un agnellino innocente!” sussurrò diabolica, puntando lo sguardo da predatrice su Liam. “Salve bel maschione, come andiamo?”
    Il professore si limitò a fare un cenno del capo, per nulla impressionato.
    “Ma come siete diventati timidi tutti quanti!” esclamò Lilah. “Menomale che c’è Wes a rendere le cose interessanti!” sospirò, annoiata. “Sarà meglio che torni alle sudate carte … piuttosto, le aule del complesso C sono fuori uso per questo pomeriggio. Portate i vostri ragazzi da qualche altra parte!”
    Liam chiuse gli occhi, abbattuto.
    Avrebbe dovuto invitare Will a casa sua.



    Non poteva accadere nulla.
    Non poteva accadere nulla se lo voleva, giusto?
    Ripetendosi più di mille volte il nuovo mantra personale, Liam O’Connor si diresse in bagno. Aprì il gettò dell’acqua fredda e si rinfrescò. Forse il gelo avrebbe calmato i bollenti spiriti.
    “Finiamola con queste cazzate.” comandò alla sua immagine riflessa allo specchio.
    Sentì il suono del campanello e imprecò mentalmente.
    Velocissimo, raggiunse la porta, riuscendo a frenarsi a stento. A prendere un respiro.
    “Ciao, Will.” salutò, lasciando accomodare il ragazzo.
    “Buonasera, professore.”
    Liam sperò intensamente che non si facesse alcuna allusione al bacio scongiurato il pomeriggio prima. Fece strada per la cucina, ansioso.
    “Ti offro qualcosa? Lo vuoi un caffè?”
    “No, grazie.”
    “Per favore, permettimi di …”
    William dovette rendersi conto del suo nervosismo.
    Scrollò le spalle e accennò un sorriso.
    “Caffè sia, allora!”
    Liam si aggrappò alla caffettiera come un naufrago in balia delle onde si aggrappa alla sua zattera.
    “E quindi … dimmi …” cominciò, preparando la bevanda. “Cosa vorresti fare dopo?”
    Dopo quando?”
    “Dopo … la laurea. Cosa ti piacerebbe …”
    Will chinò il capo, in un modo dolcissimo.
    “Mi vergogno un po’ a dirlo.”
    “Perché?”
    “Vorrei diventare un poeta, ecco.”
    Il professore irlandese fissò l’espressione imbronciata, tenera del suo allievo.
    “Non è una cosa stupida.” mormorò, comprensivo.
    “Ci vuole talento.”
    “Credi che a te manchi?”
    Il ragazzo scrollò le spalle e non rispose.
    Liam si dedicò nuovamente al caffè, in silenzio. Dosò lo zucchero nelle tazzine, preparò dei biscotti in un piccolo vassoio e li offrì allo studente. Si premurò di sgombrare la tavola, stendere la tovaglia pulita, girarsi per …
    “Voltati, per favore.”
    “Cosa?”
    “Voltati.” comandò William, deciso sebbene la voce tradisse l’emozione del momento.
    A Liam mancò il coraggio di assecondarlo. Consapevole di quanto sarebbe accaduto, si morse le labbra, stringendo i margini del ripiano cottura. La mano del ragazzo si posò sulla sua schiena contratta e non poté evitare un sospiro.
    “Will, aspetta …”
    “Guardami.”
    Il professore obbedì, trasalendo.
    Ritrovò la bocca dello studente a pochi centimetri dalla sua e deglutì di desiderio.
    “Liam …”
    Will si avvicinò e gli sfiorò le labbra in un bacio casto, impercettibile. Premette la fronte contro il suo mento e si mosse invitante, come un cucciolo bisognoso di tenerezze.
    Liam non si trattenne più.
    Prese il viso spigoloso tra le mani tremanti e lo strinse, in un bacio appassionato.




    10 .







    Non vedeva Liam da un paio di giorni.
    Neanche il pomeriggio prima, all’università, quando l’insegnante avrebbe dovuto tenere una lezione in aula magna.
    Lezione rinviata: così recitava il cartello affisso sulla parete del corridoio.
    Appena letto, Will s’era precipitato in segreteria a chiedere informazioni. Ufficialmente, il professor O’Connor aveva avuto un impegno inderogabile, di natura familiare. Non c’era che da attendere sino al giorno successivo.
    William trascorse una notte insonne nel tentativo di non pensare al bacio che aveva scambiato con Liam e alla sua assenza così improvvisa, tanto crudele.
    Ogni volta che provava a chiudere gli occhi, un desiderio doloroso gli stringeva il petto e la mancanza si faceva ancora più amara, più insostenibile.
    Probabilmente, non avrebbe dovuto essere tanto agitato. Reagiva quasi come se Liam l’avesse appena piantato e questo non era successo.
    Tuttavia, era nella sua natura lasciarsi andare a passioni violente, totalizzanti.
    Quella per Liam sarebbe stata la più feroce di tutte, lo sentiva.



    La pioggia improvvisa aveva quasi allagato i giardini centrali, provocando un assembramento di studenti nelle aule e nei corridoi. Anche i più incoscienti e testardi, tra quelli che adoravano studiare all’aperto, avevano dovuto cedere il passo di fronte all’intenso acquazzone.
    Schivando pozzanghere, Will correva.
    Non aveva tempo di passare dalla via principale. Erano quasi le cinque e sarebbe arrivato in ritardo alla lezione di Liam. Doveva vederlo, assolutamente.
    “Cazzo!” esclamò, affannato.
    Aggirando qualche ostacolo umano, il ragazzo si ritrovò nei pressi dell’aula magna, già chiusa dall’interno. Soppresse un’imprecazione e continuò a correre, arrivando a poggiare la fronte sulla porta gelida.
    Prese un respiro.
    Fece il suo ingresso.
    Liam, che spiegava, non si accorse di lui.



    “ … è quindi questa l’intenzione dell’autore?”
    “Certamente no, se consideriamo il contesto e le opere precedenti.”
    Il dibattito con gli studenti stava costringendo Liam ad un forte esercizio di memoria e di conoscenza. Tuttavia, era contentissimo di trovarsi dinnanzi ad un pubblico critico e attento. Era molto motivante per il suo lavoro di formazione e confronto con le giovani generazioni.
    “Dovremmo rifarci alle pagine che ha appena letto il vostro collega.” spiegò, paziente. “Cerchiamo di focalizzare meglio il tema principale, forza.”
    Un allievo prese a leggere a voce alta e Liam poté distrarsi un momento.
    L’attimo gli fu fatale, poiché si rese conto che William era entrato in aula.
    Trattenne il respiro. Spaventato all’idea di incontrare gli occhi azzurri del ragazzo, vagò con lo sguardo per tutta l’aula.
    “ … la passione?”
    “Cosa?”
    “È la passione il tema principale.”
    Il professore si premurò di fornire una risposta.
    “Esatto. Nonostante il tema macabro della morte … anzi, potremmo dire che è proprio la morte lo sfondo ideale per l'intenso amore celebrato.”
    “Amore e morte.”
    “Precisamente.”
    Uno studente rise, scettico.
    Liam aggrottò le sopracciglia.
    “Mi scusi, professore …” disse il ragazzo. “È che sembra molto romantica e arretrata questa storia! Incredibile che un autore contemporaneo la scelga come tema della sua opera!”
    Il docente allargò le braccia, incerto.
    “Come fanno l’amore e le pulsioni di morte ad essere superati? Signori, qui si sta parlando dell’animo umano, dei grandi desideri immortali dell’animo umano! La letteratura è lo specchio di queste passioni e, in certe cose, noi non siamo tanto diversi da Otello che uccide Desdemona o da Giselle che, per amore, impazzisce e muore.”
    Una studentessa prese la parola.
    “Forse è perché parla della morte … insomma, non si capisce bene quale sia il rapporto dell’autore con l’amore. Da un lato è l’unica salvezza del protagonista, senza amore sarebbe rimasto un mostro, eppure è proprio per seguire l’amata che lui si danna nuovamente.”
    “Questo perché ogni passione è fondamentalmente ambigua, incontrollabile, al di là del bene e del male. La passione ci governa, lo constatiamo spesso nella vita quotidiana, e noi obbediamo. È la fonte della gioia dell’amore, della lucidità dell’odio, dell’estasi del dolore.”
    I ragazzi tacquero e Liam continuò a spiegare.
    “Può ferirci profondamente, non trovate? Eppure, senza passione saremmo morti. Saremmo veramente morti.” concluse, puntando gli occhi scuri in quelli di William.
    Vide il ragazzo deglutire d’emozione. Abbassò lo sguardo.
    “Per oggi abbiamo concluso.” dichiarò, dirigendosi alla cattedra. “A giovedì, e ricordate di scaricare la lista dei testi consigliati! Potete andare.” salutò. “Tutti tranne lei, signor Shelby. Tra dieci minuti nel mio ufficio.”



    Stava percorrendo il corridoio che dava sull’ufficio di Liam da secoli. Le sue scarpe si sarebbero consumate nell’attesa snervante.
    Passando una mano tra i capelli, Will sbuffò per l’ennesima volta, incapace di controllare l’impazienza.
    D’improvviso, una voce lo riscosse.
    “Signor Shelby? Il professore si è appena liberato, la aspetta.”
    William si precipitò nella stanza e chiuse la porta alle sue spalle, veloce.
    Il professore era seduto dietro la scrivania di mogano scuro, intento a fissare alcuni incartamenti.
    Will si fece avanti, timidamente, chiedendo il permesso.
    “Posso?”
    “Se già qui, mi pare.”
    “Sì … sì. Perché hai voluto che …”
    “Sei uno studente ed io sono il tuo tutor.” ribatté Liam, netto.
    Will si sentì gelare.
    “Che hai?” domandò, spaventato.
    “Niente.”
    “Rispondi.”
    “Sto lavorando, William. Fai una cosa, anzi: prendimi un libro. È alla tua destra, terzo ripiano, copertina rossa.”
    Esitante, il ragazzo raggiunse la libreria. Si tese sulla punta dei piedi nel tentativo di arrivare all’unico volume rosso che riusciva a scorgere.
    “Questo qui? Questo che recita …”
    Non ebbe il tempo di terminare la frase. Si trovò sbattuto contro il mobile di legno ed immobilizzato da una presa spietata.
    “Che fai?” reagì immediatamente, puntando gli occhi in quelli, accecati dal furore, di Liam. “Che hai? Che ti prende?”
    Il professore non lo fece fiatare.
    Premette le labbra calde contro le sue in un bacio esigente, pieno d'ardore. Will ansimò e cercò di liberare i polsi, ottenendo solo di farsi più male. Gemette nella presa feroce, dominatrice. Sentì una mano percorrere lo spiraglio minimo che separava i corpi. Trattenne un grido.
    “Ah!”
    Liam l’aveva bloccato con più forza, stringendo le dita contro il suo sesso teso coperto dal denim dei jeans.
    “Liam!”
    “Non parlare.” comandò lui, mordendogli le labbra. “Non parlare.” ripeté, staccandosi di colpo. “Dimmi ... cos’è questo?” domandò, serrando la mano dolorosamente. “Cos’è questo!?”
    Will spalancò la bocca, senza parole.
    “È questo l’effetto che ti faccio?”
    Il ragazzo scosse il capo, trattenendo le lacrime.
    Improvvisamente, Liam sembrò rendersi conto di come lo stesse tenendo, di quanto male gli stesse facendo.
    “Mi dispiace.” soffiò, lasciandolo andare in un attimo. “Mi dispiace!”
    Will scivolò lungo la superficie della libreria, senza forze.
    “Mi dispiace … io non … questo non può succedere, William. Non può succedere.”
    Liam si portò le mani al capo, addolorato.
    “Perdonami.” mormorò, prima di uscire dalla stanza.







    *
    Il monologo di Liam sulla passione è in parte tratto dal famoso monologo di Angelus in Passions, seconda stagione di BTVS. Sono certa che i fans più accaniti avranno riconosciuto le parole del Flagello.

    * La menzione a Giselle è un omaggio alle preferenze del nostro vampiro irlandese. Avevo deciso di usare un altro riferimento, poi mi è venuto in mente il grande amore di Angel per il balletto. Spero di aver citato correttamente.




    11 .





    Un suono secco e ripetuto, cupo.
    Gli occhi di Will si schiusero, al ritmo di quelli che sembravano colpi provenienti dall’esterno della stanza. Il ragazzo non ebbe il tempo di elaborare il pensiero che si sentì sopraffare ancora una volta dalla stanchezza. Scivolò nel sonno, esausto.



    Tara stava bussando ormai da mezz’ora.
    La camera dei ragazzi era chiusa dall’interno e William sembrava non dare segni di vita. Lei era proprio passata a trovarlo, preoccupata dalla recente stanchezza che aveva impedito all’amico di seguire lezioni importanti.
    Un altro tentativo andava fatto, magari Will si sentiva poco bene.
    Tara fece per bussare, quando una voce la spinse a voltarsi.
    “Lascia perdere, starà dormendo!” mormorò Xander, raggiungendola. “Apro io.” si offrì, gentile.
    Una volta dentro, i ragazzi dovettero socchiudere gli occhi per l’oscurità.
    Xander si precipitò ad alzare le tapparelle e diede una leggera pacca a Will, rannicchiato a letto come un malato.
    “C’è Tara, svegliati.” spiegò, dolcemente.
    “Ma cos’ha?” chiese la ragazza, in un moto di apprensione.
    “Niente, dorme. Penso sia in fase di recupero. Troppo sonno perso per il progetto, il nostro Shelby non è più arzillo come un tempo!”
    “Guarda che ti sento, idiota!” esclamò William, coprendosi il volto.
    La luce lo infastidiva.
    Tara si sedette sul suo letto e gli carezzò la schiena tesa.
    “Ehi, Will … stai male?”
    “No, dolcezza. Sto solo riposando.” rispose il ragazzo.
    “Sei sempre così attivo, è strano vederti a letto. Magari hai preso l’influenza. Hai la fronte calda?”
    “No, non preoccuparti.”
    Will si sedette e stropicciò gli occhi gonfi.
    “Sto bene.” sorrise, cercando di risultare convincente.
    In realtà, temeva molto che l’espressione del suo viso tradisse l’emozione che stava provando, la tristezza e il dolore per la reazione violenta di Liam.
    “Sono contenta.” disse Tara. “Sarai pronto per giovedì!”
    “Cosa succede giovedì?” si intromise Xander, spumeggiante.
    “Super party organizzato da Harmony e Cecily!”
    “Stupendo!” ironizzò William, per niente contento di avere a che fare con le ragazze in questione.
    “Non fare così, Shelby! Cecily è pure la tua ex!”
    Sconfitto, Will si abbandonò ancora una volta contro il cuscino.
    “Che ho detto?!” esclamò Xander. “Insomma, ci sarai però? Sembra una cosa frivola da universitari, invece …”
    “… È realmente frivola.” continuò Tara. “Viene Willow!” aggiunse poi, eccitata.
    “Amico, rimorchierai come un treno! Tutto il campus: presente, passato e futuro! Tutto questo sarà tuo!”
    “Stai parlando in presenza di una lesbica, Xander.”
    “Non ho detto niente di male … ancora.”
    Will rise e si riscosse.
    “Okay, mi avete convinto: verrò con voi. Però, non mollatemi con Harmony … neanche un secondo!”



    “Credo che dovresti venirci.”
    “No.”
    “Ti divertiresti!”
    “No.”
    “Non puoi dire sul serio!”
    “Invece sono serissimo.”
    Fred aveva il broncio.
    Da mezz’ora stava provando a convincere Liam ad unirsi a lei e Wes per la megafesta di giovedì. Ogni tentativo sembrava inutile. Liam respingeva al mittente tutte le proposte di trattativa.
    “Ma sarebbe un’ottima occasione per conoscere nuova gente, fare vita sociale …”
    “Io non voglio fare vita sociale!” ribatté il docente irlandese.
    “Wesley! Convincilo tu!”
    L’amministratore inglese snocciolò tutta una serie di scenari allettanti da festa.
    Liam aggrottò le sopracciglia, sorseggiando il caffè scuro. Chissà perché avevano preso di mira proprio lui! Non era decisamente il tipo da relazioni pubbliche col sottofondo di rumore spaccatimpani.
    E poi, detestava la danza.
    “Sei di coccio!” sbottò Wes, esasperato. “Ci divertiremo un mondo, vedrai! Fred mi ha già promesso un ballo ...”
    Tutta eccitata, l’insegnante di fisica ridacchiò.
    Dinnanzi ai suoi occhioni da cerbiatta prontamente sfoggiati, Liam non poté che capitolare.
    “E sia!” vociò, solenne. “Ad una condizione tassativa: niente ballo. Mai.”
    I due amici si strinsero le mani, vittoriosi per l’incredibile missione portata a termine.






    12 .





    Che festa di merda!
    Reprimendo la nausea, Will gettò via la schifosa birra calda che stava sorseggiando. Sbadigliò, appoggiandosi alla colonna fittizia dietro le sue spalle, e diresse lo sguardo alla pista da ballo. Fu subito costretto a distoglierlo, a causa delle luci abbaglianti.
    Per qualche ragione, Oz e Gunn erano stati arruolati da Harmony, incapace di gestire una stupida festa di ubriachi; Xander era stato rapito da Anya, e Willow e Tara si godevano un meritato momento di intimità.
    Tutti in coppia, tranne lui!
    Sospirò afflitto, roteando gli occhi all’ennesima non-canzone. Avrebbe voluto ficcarsi dei chiodi nelle orecchie, piuttosto che ascoltare il lamento della musica house.
    D’improvviso la sua attenzione venne catturata da una nuvola di seta lilla che aleggiava in pista.
    Cecily.
    Doveva essere supersbronza, perché sembrava non rendersi conto delle sue azioni.
    William cercò di individuare qualcuna delle sue amiche, fallendo. Arrabbiato, si diresse al centro della sala. Degli schifosi volevano approfittarsi della sua ragazza, non avrebbe potuto permetterlo.
    “Maledetto il mio spirito da gentiluomo!” imprecò contro se stesso, afferrando la trottola impazzita. “Cecily! Ferma!”
    “Williaaaaaaaam!” rise lei, volandogli tra le braccia. “Sei qui!”
    “Sei ubriaca, Cec. Vieni via di qui!”
    “No! No! Non sono ubriaca! Mi sto solo … divertendo!”
    Will trattenne il respiro per l’esasperazione.
    “Avanti, dimmi cosa hai bevuto!”
    “Era caldo … freddo! E rosa. E c’erano i fiori di Harmony!”
    “Hai bevuto la vodka di Barbie? In ogni caso, seguimi. Ti porto via da qui, forza.”
    La ragazza oscillò come un arbusto al vento. Per aiutarla, Will le cinse la vita e lasciò che si abbandonasse contro il suo torace.
    “Ti ricordi … l’ultima volta che noi … eri talmente carino tu! Eri carino. Lo sei sempre stato.”
    “Stai male, non sai quello che dici.”
    “So perfettamente quello che dico! Tu eri …”
    Cecily non poté terminare la frase, venne scossa da un conato di vomito e si tese in avanti, tremante.
    “Will, mi viene da …”
    “Lo so. Tieniti a me, ti porto in bagno.”
    Mentre trascinava il quasi cadavere della sua ex, Will pensò che quella notte sarebbe stata decisamente lunga.
    Liam era appena entrato.



    “Siamo arrivati!” esclamò Cecily, particolarmente stridula.
    Will dovette socchiudere gli occhi. Spinse la ragazza dinnanzi al water ancora funzionante e la aiutò a chinarsi.
    “Ascolta, cerca di vomitare adesso. Starai meglio dopo.”
    “No … no! Non voglio!”
    “Cecily, per favore! Ti aiuto, ti metto le dita in gola.”
    La ragazza scoppiò a ridere. Poi si tese in avanti e vomitò l’anima. Will le tenne la fronte, cercò di massaggiarle le spalle mentre rimetteva.
    L’improvviso suono di una voce lo scosse.
    “William! Che succede?”
    Si voltò appena e vide Liam, accanto a lui.
    Deglutì rumorosamente.
    “Liam …”
    “State bene? Cos’è successo a questa ragazza? È tua amica?”
    In un attimo, il professore si era inginocchiato e lo stava aiutando a tenere ferma Cecily.
    Le loro dita ~
    si sfioravano
    “Ha preso qualcosa?” domandò Liam, apprensivo.
    Will si costrinse alla concentrazione.
    “No … non lo so! Penso che abbia solo bevuto.”
    “Okay, allora recupererà con un po’ di riposo ed un bel caffè amaro.”
    La porta del bagnò sbatté con violenza inaudita, un ragazzo sconosciuto fece il suo ingresso.
    “CECILY! CAZZO CEC!” urlò a pieni polmoni.
    Liam si tese.
    “E questo chi è?” chiese all’allievo.
    “Lo conosco solo di-“
    “Vattene Parker!” esclamò Cecily, in lacrime. “Vattene e lasciami in pace!”
    La ragazza si rimise in piedi, barcollante, e fissò piena d’astio il fidanzato.
    “Amore, per favore! È stato uno sbaglio!” si giustificò lui.
    “Uno sbaglio? Uno sbaglio?!? Hai scopato con la mia migliore amica e lo chiami sbaglio? Io ti ammazzo, brutto porco!”
    Cecily si protese e schiaffeggiò Parker sonoramente, finendo poi tra le braccia di William.
    “Sei un porco! Uno schifoso! Non ti avvicinerai più a me, te lo giuro!”
    La ragazza si tese per un altro schiaffo e Parker la bloccò, facendole male.
    Liam si mise in mezzo immediatamente.
    “E tu chi cazzo sei?” sillabò lo sconosciuto. “Lasciate stare la mia fidanzata!”
    “Non è più la tua ragazza e abbassa il tono, idiota, o ti pesto.”
    Parker indietreggiò.
    Intimorito dall’espressione seria del professore, pensò di darsela a gambe prima di finire veramente male. Nel giro di qualche secondo dalla sua fuga, Cecily venne prelevata da Harmony.
    La porta sbatté ancora una volta.
    Liam e Will rimasero soli.
    Un silenzio di tomba scese nel bagno vuoto.
    “Che storia!” fece Will, imbarazzato. “Sembrava di essere protagonisti di una cattiva soap opera!”
    “Già …” mormorò il professore, altrettanto impacciato.
    Non ebbe il coraggio di aggiungere altro e abbassò lo sguardo pieno di vergogna.
    “Sarà meglio che vada.” mormorò il ragazzo, afflitto.
    Fece per muoversi, quando sentì la mano di Liam sulla propria. Esitò.
    “Will …”
    “Sarebbe meglio se io andassi ...”
    “Lo so.”
    “Allora?”
    Liam scosse il capo, incerto.
    “Non so. Non voglio.”
    Le dita dei due innamorati avevano preso a giocherellare e i loro corpi si erano avvicinati, inconsapevolmente.
    “So che saresti andato via …” disse Liam, carezzando il volto tanto sognato.
    Gli occhi del ragazzo brillavano di azzurro intenso alla luce del neon, rivelando un’emozione così grande da essere incontenibile.
    “Che faremo adesso?”
    Liam sorrise malinconico e baciò le labbra dello studente, dolcemente.
    “Non andare via.” sussurrò lui, esitante per lo stupore.
    “No.” dichiarò, fermo.
    Scrutò nel profondo degli occhi di William e lo baciò ancora, pieno di passione e ardore, sino a che non lo sentì aggrapparsi alle sue spalle e tendersi sulle punte per raggiungerlo. Veloce, lo spinse contro una parete e gli baciò il viso, il collo morbido. Strattonò la camicia e percorse senza sosta il torace tiepido, lo stomaco e l’inguine nudi.
    “Liam!” ansimò Will, premendosi contro di lui.
    Senza esitazioni, il professore slacciò i jeans e prese ad accarezzarlo.
    Will tremò di piacere e si spinse nella sua mano, strattonandogli i capelli scuri, baciandolo più violentemente. Le sue gambe si erano sollevate nell’intento di trattenerlo con forza, accanto a sé.
    “William, ho bisogno di te …”
    Il ragazzo morse la spalla dell’insegnante, soffocando un grido. Si strinse a lui come disperato, piagnucolante di eccitazione.
    “Non possiamo … qui …” mormorò Liam, staccandosi leggermente.
    “No, ti prego! No!”
    “Non possiamo, non possiamo …” ripeté il professore, carezzando la pelle candida dell’amato. “Potrebbero vederci.” spiegò, sulle labbra gonfie e arrossate dai baci.
    Will nascose il volto nel suo torace. Poi, alzò lo sguardo chiaro, offuscato dalla passione.
    “Non voglio smettere.”
    “Neanch’io. Vieni … vieni a casa mia.” sillabò Liam, spaventato e vinto.
    Il ragazzo non poté che annuire.







    13 .







    L’aria della notte, pungente e gelida, colpì i visi degli amanti appena usciti dal locale affollato.
    I corpi accaldati vennero scossi da improvvisi brividi di freddo e, dalle bocche, lunghe scie di fiato salirono al cielo come nuvole di fumo.
    “La macchina è qui vicino.” mormorò Liam, stringendosi al giaccone.
    Will lo seguì in silenzio e si accomodò sul sedile passeggero, tremando.
    Liam gli carezzò le braccia.
    “Aspetta, accendo l’aria calda.” disse, cortese.
    Will lo guardò salire sull’auto e strinse le mani irrigidite dalla bassa temperatura.
    “Permettimi di …”
    Liam fece per scaldarlo e finì col baciarlo contro il sedile scomodo. Bastò quello a spingerlo ad affrettare i movimenti. Mise in moto, ansioso.
    “Andiamo.”



    Il breve tragitto fu silenzioso.
    Liam fissava la strada, attento; Will non pronunciava una sillaba, concedendosi ogni tanto il lusso di guardare l’amante.
    L’amante.
    Adesso lo sarebbe diventato.
    Deglutì, in un misto di paura ed eccitazione.
    “Siamo arrivati … è qui.” sillabò Liam. “Vuoi ancora entrare?”
    “Sì.”



    Parcheggiarono.
    Percorsero il vialetto scivoloso e fecero il loro ingresso in casa. Il professore lasciò che William lo precedesse. Accese le luci del corridoio e tolse cappotto e sciarpa.
    “Non l’ho mai fatto prima!” esclamò Will, interrompendo il silenzio.
    Liam lo fissò incerto.
    “Con un uomo, intendo … io …”
    I grandi occhi del ragazzo si abbassarono per la vergogna e il timore. Will si morse le labbra, stringendo le mani nervose.
    “Non dobbiamo per forza.” disse Liam, col cuore in gola per l’emozione. “Mi basta che tu sia qui, non devi …”
    Will si fece avanti e lo scrutò, serio.
    “Io voglio però.” sussurrò dolcemente. “Voglio che tu lo faccia, stasera. Che tu lo faccia, Liam.”
    “Will …”
    L’ennesimo bacio impedì la replica.
    Will si lasciò spogliare del cappotto, del maglione. Rabbrividì ed abbracciò con trasporto Liam, sussurrandogli un nomignolo tenero.
    Angel …”
    Poi, si staccò dall’amante e si diresse in camera da letto.
    Il professore deglutì, immobile.
    Percorse il corridoio e raggiunse il ragazzo che si stava spogliando alla luce della luna. Sospirò di desiderio, lasciandosi andare contro la parete, osservando i vestiti di Will che cadevano sul pavimento. Fissò la sua schiena flessuosa, pallida, le natiche tonde e perfette, la curva della nuca.
    Il ragazzo si voltò e lui rimase a contemplarlo, come un’opera d’arte della più pregiata fattura. Senza fiato.
    Quel corpo agile, sottile e muscoloso insieme, era bellissimo. Bellissimo.
    Pareva quasi un peccato accostare una parola tanto banale alla particolarità che era Will.
    Lo raggiunse, prendendogli le mani, abbracciandolo pieno di trasporto, d’affetto, di devozione. Baciò le labbra morbide, i ricci profumati, gli zigomi spigolosi.
    Capì che avrebbe amato William come nient’altro al mondo.
    “Adesso dovresti spogliarti tu.” suggerì il ragazzo, sbottonandogli la camicia.
    Liam eseguì velocemente.
    In un attimo, spinse il ragazzo sul materasso e salì sul suo corpo esile, chiaro come la luna. Cominciò a baciare ogni centimetro di pelle sul suo cammino, dal collo alle cosce forti. Prese possesso di Will, in ogni modo.
    Il ragazzo ansimò, aggrappandosi alla testiera del letto, implorando dolcemente il suo tocco.
    Sei così bello …” sussurrò Liam.
    Will si tese e offrì le labbra umide.
    Così bello.”
    Fuori aveva cominciato a piovere.
    Piccole gocce d’acqua si abbattevano veloci contro il vetro, producendo un rumore armonico e delizioso.
    Il ragazzo premeva la testa contro i cuscini, esibendo la curva del collo, ansimando vistosamente.
    Liam prese un guanciale e lo mise sotto di lui in modo da alzargli i fianchi. Con cura, continuò a baciarlo, mentre si allungava verso il comodino.
    Will si voltò immediatamente, porgendo la schiena.
    Liam la sfiorò sensualmente e lambì le mani serrate per la tensione.
    Fece girare nuovamente il ragazzo e gli prese il viso arrossato dalla passione.
    Baciò la punta del suo naso.
    Poi, strinse a sé il giovane amante, immergendo il capo nell’incavo del suo collo, assaporando ogni tenero sospiro. Schiuse le gambe snelle, carezzandolo con delicatezza.
    Il ragazzo s’irrigidì e lo respinse. Poi gemette, vinto.
    Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal rumore della pioggia.
    Quando il dolore fu troppo intenso, non trattenne un grido. Si aggrappò a lui, fortissimo.
    “William …”
    “Va bene … va bene … continua.” annuì a denti stretti, gli occhi pieni di lacrime.
    Liam tornò a muoversi. Lo sentì rilassarsi e si concesse un momento d’abbandono.
    Era così caldo, William. Così caldo
    O, forse, i corpi dove era stato prima erano tutti freddi.
    Si chinò nuovamente e baciò l’amante che ansimava.
    Fuori la pioggia si era fatta torrenziale. Lampi veloci illuminavano il cielo scuro, tuoni minacciosi riempivano l’aria col loro boato cupo.
    Solo che loro non li sentivano.
    Loro non li sentivano.








    14 .





    Will dormiva, nel letto di Liam.
    Nudo, steso sulla pancia, intorpidito dalla stanchezza e dai dolori muscolari. Il suo corpo era coperto da lenzuola disfatte, stropicciate. S’intravedevano solo le spalle e una gamba ribelle.
    La luce del giorno gli riscaldava la pelle chiara.
    “Liam …”
    Mugugnando incomprensibilmente, Will si sedette sul materasso.
    Strofinando gli occhi gonfi e arrossati, si concesse uno sguardo generale alla stanza di Liam, sbadigliando mentre si svegliava definitivamente. La camera dell’amante era semplice, spartana, piena di libri e abbellita da qualche acquerello delicato e da pochi ritratti fotografici. Pulita.
    Will strinse gli occhi, ripensando agli eventi della notte appena trascorsa. A Liam.
    Aveva davvero fatto l’amore con lui. Davvero!
    Adesso però, Liam sembrava sparito. Non era voluto rimanere nel letto, accanto a lui. Forse non ne sentiva il bisogno.
    Sentendosi colmare da un’ansia sottile, Will sorrise all’amante che lo raggiungeva con la colazione.
    Liam aveva già fatto la barba e si era vestito di tutto punto, cravatta compresa. La sua immagine composta faceva sprofondare in un baratro di insicurezza Will, che non poteva accettare di sapersi nudo davanti a lui.
    “Per fortuna ti sei svegliato!” sospirò Liam, serenamente. “Credevo che avrei dovuto farlo io … svegliarti, intendo.”
    Il ragazzo scosse il capo, incerto, e prese il suo caffè.
    “Attento,” ammonì Liam. “È caldo.”
    “Okay.”
    “Ho preso anche dei biscotti che … posso uscire a comprarti qualcos’altro, se lo desideri. Perdonami, non sono abituato ad avere ospiti. Io ...”
    “Va bene così, Liam.” mormorò William, posando la tazzina. “Sono solo Will.”
    “Forse sarebbe meglio se uscissi. Qui vicino c’è un bar dove –“
    “Perché stai facendo così?” interruppe lo studente, scombussolato.
    Liam aggrottò le sopracciglia.
    “Così come?”
    “Come se … come se non avessimo passato la notte insieme! Come se fosse tornato tutto normale! Ti sei pentito, vero?”
    Liam schiuse le labbra in un’espressione di stupore.
    Esitò più del dovuto e vide William farsi piccolo dinnanzi ai suoi occhi.
    Si sentì immediatamente in colpa.
    “Ascolta …”
    “Non importa. Ho capito.”
    Il professore afferrò le mani dell’amato e le strinse forte.
    “Ascolta.” ripeté, deciso. “Permettimi di spiegarti. Non voglio umiliarti, William. Io …” prese fiato, imbarazzato e vergognoso, cercando di trovare le parole adatte alla situazione. “Ecco come stanno le cose: sono il tuo insegnante e sono più grande di te. Non avrei dovuto permettere che una cosa del genere ci capitasse, avrei dovuto controllarmi …”
    “Ma tu non –“
    “Ti prego, lasciami finire. Noi due dovremmo lavorare insieme e basta. Io dovrei aiutarti a superare un esame che sarà molto difficile, impegnativo. Tu sei uno studente brillante e meriti di realizzare il tuo sogno.”
    Will chinò il capo e Liam gli prese il volto, carezzandolo.
    “Sei anche una persona speciale. Quello che c’è stato tra noi … è stato unico, intenso. Io non voglio ...” tossì e s’interruppe ancora. “Dobbiamo decidere cosa fare, Will. Questa relazione potrebbe distruggere le nostre carriere. Dovremmo smetterla adesso, sarebbe meglio per tutti e due.”
    Il ragazzo si dimostrò immediatamente contrario all’idea.
    “Tu sei un pazzo se credi che io possa farlo! Non dopo ieri notte!”
    “Lo so, lo so e mi dis –“
    “No! La scelta è anche mia e io non voglio smettere di stare con te! Non posso.”
    Will ricambiò la carezza dell’amante e lo obbligò a sostenere il suo sguardo.
    “Credi che potremmo tornare come prima, solo studente e docente?”
    “Ci sono delle conseguenze che …”
    “Me ne frego delle conseguenze! Stai con me, Liam.”
    Il professore allargò le braccia, sconsolato.
    Baciò le labbra di William e lo spinse contro i cuscini.
    “Quello che ho fatto con te …” cominciò il ragazzo.
    “Lo so, lo so.”
    Liam trattenne il corpo dell’amante tra le braccia. Lo strinse forte, continuando a segnarlo coi baci.
    “Non voglio tornare indietro, Liam.”
    “Neanche io.”



    Era stato estremamente difficile staccarsi da quel letto, da quella bocca. Resistere alla tentazione di farsi amare nuovamente e allontanarsi dal compagno tanto desiderato.
    Alzarsi piano, lavarsi, vestirsi, bere qualcosa.
    Salutare Liam.
    Adesso, mentre camminava per i corridoi affollati del complesso centrale, William sentiva di star male fisicamente, di sentire fisicamente la mancanza dell’altro.
    Avrebbe voluto il suo conforto, il suo abbraccio, il suo tocco.
    Avrebbe voluto piangere, come una stupida checca isterica.
    Un pensiero lo colse, inaspettato e crudele: perché si stupiva? Aveva scopato con un uomo provandone piacere, era una checca a tutti gli effetti!
    Chiuse gli occhi, poggiandosi ad una parete, prendendo un lungo respiro.
    Era davvero un idiota! Non avrebbe dovuto sentirsi tanto triste e sconsolato, gli era capitata una cosa bellissima! Eppure ... avrebbe voluto parlarne con gli amici, spiegar loro l’accaduto e chiedere consiglio.
    Sapeva che sarebbe stato come tradire la fiducia di Liam ed aveva un po’ paura della reazione dei ragazzi. Avrebbero compreso dopotutto?
    Sconsolato e stanco, Will si diresse in caffetteria.



    Fece il suo ingresso nel salone principale attrezzato coi tavoli, individuò immediatamente il gruppo di amici alle prese con la prima colazione.
    Sorrise.
    “Ehi, Shelby!” esclamò Xander, vedendolo arrivare. “Giusto a te pensavamo!”
    Will si sedette, salutando i ragazzi con uno sguardo nervoso.
    “A me? In che senso?”
    Gunn ridacchiò malizioso.
    “Sei sparito ieri. Ti hanno visto entrare in bagno con Cecily e poi puff!”
    “Chissà cosa avete combinato, sporcaccioni!” aggiunse Xander, rincarando la dose.
    L’unico a cui la conversazione non sembrava interessare era Oz.
    “Non è successo niente di importante …” mormorò Will, cercando di sembrare sincero.
    I due amici risero.
    “Sei stato via tutta la notte e non è successo niente di importante? Dai, a noi puoi dirlo!”
    Il ragazzo chinò il capo, imbarazzato.
    Non sapeva cosa avrebbe dovuto inventare.
    “Lei stava male, era ubriaca. Io l’ho solo aiutata e …”
    “… e avete scopato?”
    Quel dialogo sembrava proprio un interrogatorio.
    Per fortuna, Willow e Tara raggiunsero il tavolo dei ragazzi.
    Tara sorrise a Will, informandolo degli ultimi avvisi in bacheca.
    “Stamattina lezione anticipata. Vai in aula 2F, Will. Anche se arrivi con leggero ritardo …”
    “Sì, corro.” replicò il ragazzo, sfruttando l’occasione per volatilizzarsi.



    La giornata era trascorsa più o meno decentemente.
    Concluse le lezioni, un’ansia cieca si era impadronita di William e il ragazzo si era precipitato verso gli uffici dei professori. Verso quello di Liam.
    Aveva bisogno di parlare con lui, di chiarire la situazione. Sarebbe morto d’infarto, se non l’avesse visto per altri due giorni.
    A grandi passi, William si diresse in segreteria e chiese informazioni ad un’impiegata.
    Il professor O’Connor era solo ed avrebbe potuto riceverlo.
    Ringraziando con la voce rotta dall’emozione, Will si precipitò nello studio di Liam. Chiuse la porta alle sue spalle, sospirando.
    “Ehi …” salutò Liam, staccando gli occhi dai suoi libri.
    Il ragazzo sorrise, scuotendo il capo.
    “Non ti aspettavo, Will.”
    “Scusami … dovevo vederti, sai.”
    Il professore annuì, alzandosi dalla scrivania, andandogli incontro.
    “Aspetta!” sussurrò William, teso. “Noi due siamo … siamo okay?”
    “Più che okay.” replicò Liam, prendendogli le mani. “Scusami.” mormorò, carezzando il dolce volto dell’amante.
    Will deglutì, senza fiato.
    “Per cosa?”
    “Per stamattina, per essermi comportato da cazzone.”
    Lo studente alzò lo sguardo, sorpreso.
    Incontrò il sorriso più bello della storia dell’umanità e trattenne ancora il fiato.
    “È una mattina che non penso altro che a te,” riprese Liam. “A come mi sono comportato al risveglio. Sono mortificato. Mi sono perso dietro a stupidi ragionamenti logici e non ho pensato alle tue emozioni.”
    “Hai pensato … a me? Tutta la mattina?”
    .”
    Will sorrise, finalmente.
    Baciò le labbra del professore e lo strinse a sé, forte.
    Liam rise di felicità.
    “Avrei dovuto pensare a come ti saresti sentito, a come ti senti adesso. Non sono bravo a gestire situazioni di questo genere. Non sono bravo con le persone, con le parole, ma tu sei così …”
    Gli occhi del ragazzo si illuminarono di speranza.
    “Allora?” domandò, ansioso.
    “Allora … forse sto sbagliando, forse pagherò le conseguenze dei miei comportamenti … tu, però, baciami. Baciami, Will.”
    William accontentò il desiderio del suo amante.
    Le conseguenze non avevano più importanza.








    15 .






    La sveglia trillava incessantemente, annunciando l’inizio di una nuova giornata piena di opportunità ed emozioni.
    William balzò fuori dal letto con uno scatto felino, lasciando che le coperte ed il pesante piumone ricadessero sul pavimento in un tonfo secco.
    Forse li avrebbe raccolti. Dopo.
    A piedi scalzi si diresse in bagno e, canticchiando un motivetto allegro, fece una doccia veloce.
    “Tu sei malato …” rantolò Xander, dal calore profondo del suo letto.
    Will rise, asciugando i capelli ricci.
    “Alzati e risplendi, Xander! Ogni cosa rifulge!”
    Il coinquilino si voltò, nel tentativo di ignorare le farneticazioni mattutine. William rise ancora.
    Si sentiva felice, euforico. Avrebbe potuto partire per la conquista del mondo!
    Si sentiva pieno di vita, d’amore.
    Accantonati i dubbi e le incertezze che l’avevano assalito al risveglio da Liam, Will aveva fatto la cosa che più gli risultava naturale: si era lasciato andare alle emozioni. Dimenticando ogni vano tentativo di capire cosa stesse accadendo, se stesse diventando omosessuale.
    Era gay da sempre? Era gay solo per Liam?
    Chi se ne fregava!
    Adesso, una consapevolezza nuova lo faceva brillare. Una scintilla che rincorreva da tutta la vita era entrata nel suo cuore, profondamente. Quella scintilla era l’amore, l’amore per Liam.
    Che senso aveva porsi domande inutili?
    Lui sapeva cos’era ad ispirarlo, a fargli sembrare l’aria sempre profumata di menta nuova e gelsomino. E se quell’emozione era amore omosessuale, lui sarebbe stato un omosessuale felice.
    Con Liam, l’uomo più meraviglioso della terra.
    Il più bello, il più elegante, il più maturo, il più divertente.
    Sentiva il suo tocco in ogni libro che sfogliava, in ogni mela che mordeva, in ogni tessuto che stringeva tra le dita. Percepiva il suo respiro ovunque. Lo vedeva continuamente, in tutte le cose. Il suo amante tenero e passionale.
    Erano trascorsi una decina di giorni dall’appassionata confessione di Liam. Dieci giorni spesi a conoscersi, ad amarsi. Dieci giorni che avevano aperto un mondo che il ragazzo non immaginava neanche potesse esistere.
    Nei pomeriggi che avrebbero dovuto impegnarlo al lavoro per il progetto d’esame, William si era recato in casa di Liam e si era lasciato guidare dalla sua esperienza, dalla sua audacia, dalla sua abilità. Aveva sperimentato la sensazione d’essere amato e si era lasciato possedere in tutti i modi possibili.
    Era stato sempre incredibile.
    Naturale.
    Aveva ceduto anima e corpo a Liam, che l’aveva ripagato regalandogli i momenti migliori della sua vita.
    Le giornate più belle, luminose anche nella nebbia.



    “ … E quindi le ho spiegato che doveva andare in amministrazione … Will, mi ascolti?”
    “Cosa?”
    “Stai sognando ad occhi aperti?” domandò Tara, soave.
    Will si voltò e, in un attimo, si rese conto di trovarsi in un luogo pubblico, in pieno giorno, con l’amica e compagna di corso.
    “Ero un po’ … un po’ perso nei miei pensieri!” ammise, facendo spallucce.
    Tara sorrise.
    Studio!” aggiunse lui, prontamente. “Studio!” ripeté, nervoso.
    “Da quando lo studio rende tanto luminosi?”
    Will chinò il capo, incapace di dare risposta.
    “Beh … in un certo senso è come realizzare un sogno che ho coltivato per tanto tempo. È entusiasmante!” esclamò, convinto. “Quante volte abbiamo la possibilità di fare una cosa che ci piace veramente?”
    “Vero.” replicò la ragazza. “E deve farti tanto bene realizzare questo sogno. Ti si legge negli occhi.”
    Will annuì, sospirando di sorpresa.
    Era davvero impossibile nascondere la gioia intima che provava. Anche i ragazzi avrebbero dovuto accorgersi di un tale cambiamento.
    Non avrebbero dovuto?
    “Vai da O’Connor?”
    “Sì, dobbiamo lavorare un sacco.”
    “Capito.”
    Tara riservò all’amico un lungo sguardo d’intesa.
    “Un sogno che si avvera … fa sempre uno strano effetto al cuore, vero?”
    “Sì, sempre.”



    Il sole splendeva, mentre Will entrava nell’ufficio privato del professor O’Connor.
    Per un momento, il ragazzo si domandò se non fosse finito in una meravigliosa isola del Mediterraneo, piuttosto che in edificio antico di Cambridge.
    Aprì tremante la porta e sorrise a Liam, impegnato in una discussione con un collega.
    Lo fissò, pieno di passione, imprimendo nella mente ogni dettaglio della sua immagine paradisiaca.
    Dio, portava la camicia chiara che lui amava tanto! L’avrebbe ucciso, un giorno, con la sua bellezza!
    Will ricambiò il cenno del capo rivoltogli e si fece avanti, mordendosi le labbra piene.
    Strinse la tracolla e sentì un tremito prolungato, il cuore che batteva fortissimo.
    “Avvicinati!” rise Liam. “Lui è Wesley Wyndham Pryce, ne avrai sentito parlare!”
    “Lavora in amministrazione?”
    “Dirigo gli uffici al secondo piano.” replicò il signor Wyndham Pryce stringendo la mano del giovane allievo. “Liam mi ha detto grandi cose sul tuo conto. Sostiene che sei molto brillante e dotato.”
    Will arrossì, cogliendo il doppio senso che gli suggeriva lo sguardo scuro di Liam.
    “Grazie.”
    “Dovresti ringraziare il professor O’Connor, non me.” fu la replica gentile.



    “Grazie, professore.”
    Finalmente soli nell’appartamento dell’insegnante, i due amanti si erano abbandonati al desiderio di aversi.
    Will aveva spinto Liam contro una parete e lui aveva reagito appena, stringendo a sé il corpo magro, assecondando i baci roventi.
    “Prego …”
    “Sono … molto dotato?” scherzò Will.
    Le sue mani scorrevano sotto la camicia del professore, sulla pelle calda e invitante.
    “Non mi provocare, Will.” intimò Liam, premendo il giovane amato contro la parete.
    William ghignò malefico e socchiuse gli occhi, in estasi.
    Sentì le dita di Liam artigliargli la schiena e gemette sonoramente nella sua bocca.
    “Stavo scoppiando … lì dentro, con Pryce … gli avrei urlato di andarsene, se avessi potuto! Avrei gridato a te di … di prendermi ... lì davanti, non m’importava che ...”
    Will si tese, concedendosi alla bocca che lo tormentava sensualmente.
    Con un ringhio sommesso, Liam si sfregò contro il suo inguine e gli prese il volto, arrossato e bellissimo, baciandolo affannosamente. Il ragazzo mormorò qualcosa di incomprensibile e mordicchiò lievemente il collo del professore. Sovvertì le posizioni ancora una volta. Tese in alto le braccia di Liam, in una morsa costrittiva e allettante.
    “Andiamo in camera tua!” comandò, mugolando.
    “Non possiamo …”
    “Perché no?”
    “Sono giorni che non facciamo altro che fare l’amore.”
    “Ed è un male?”
    “No, ma … il lavoro …”
    “Ti prego, ti prego! Studierò! Adesso … facciamo presto.”



    Non era stata una cosa tanto veloce.
    Gli amanti avevano speso quasi tutto il pomeriggio a letto. Spossati, si erano anche concessi un necessario momento di riposo. Liam aveva avvicinato a sé il giovane stanco, lasciandogli chiudere gli occhi nell’incavo del suo collo, carezzandolo e cullandolo dolcemente. Si erano rialzati tardi, colpevoli e ansiosi.
    Erano coscienti di avere una montagna di lavoro di fronte, solo non potevano impedirsi di godere appieno della fiamma che li accendeva, la fiamma di una relazione appena nata. Del resto, era davvero così poco il tempo che passavano insieme, a conoscersi ed amarsi. Ogni momento sembrava insoddisfacente. Non importava quanti pomeriggi trascorressero insieme, quante ore spendessero l’uno nelle braccia dell’altro, rimanevano sempre in preda all’insoddisfazione, al desiderio.



    “ … Non capisco niente!” esclamò William, depresso.
    Da dieci minuti tentava di sottolineare un saggio sulla poetica. Il sole era tramontato e lui si sentiva esausto, costretto a sedere a tavola e a concentrarsi sullo studio.
    Porgendogli una tazza di tè, Liam prese posto accanto a lui.
    “Vediamo cosa non capisci.” sussurrò paziente, circondandogli la vita in un abbraccio morbido.
    Will s’imbronciò.
    “Il quarto e il quinto punto sono arabo!”
    Liam aggrottò le sopracciglia e lesse nuovamente i passaggi, spiegandoli più semplicemente possibile. Will cominciò a prendere appunti, chino sui fogli bianchi.
    “Queste frasi potresti riportarle parola per parola.” propose il professore, baciandogli il capo.
    Will sapeva di buono.
    L’odore dei suoi capelli, il profumo della sua pelle erano le fragranze più dolci che Liam avesse mai respirato.
    Chissà come avrebbe fatto a dimenticarle.
    “Ho sottolineato … Liam!”
    L’irlandese s’era avventurato per i sentieri teneri del collo di William, lasciando dietro di sé una scia umida di baci.
    “ … Avevamo detto … che si studiava …” notò inutilmente il ragazzo.
    Ormai aveva chiuso gli occhi e si era stretto all’amante.
    “È colpa tua.” sancì il professore, serio.
    “Mia?!”
    “Sei delizioso.”
    “Oh, questo è proprio assurdo!”
    Liam attirò a sé il ragazzo e lo spinse a sedere sulle ginocchia.
    “Sei delizioso.” ripeté, scompigliando i ricci biondi con le dita.
    Will lo travolse in un bacio pieno di passione, gli strattonò il maglione e lo fece alzare.
    “Dove stiamo andando, Will?”
    “E me lo domandi?”
    Con un sorriso, Liam raggiunse il ragazzo che correva verso il letto.








    16 .






    Will cantava.
    Nella camera accanto, sul letto sfatto dove aveva appena finito di fare l’amore, Will cantava.
    Liam sorrise, insaponandosi e sciacquandosi sotto il getto tiepido della doccia.
    Chiuse gli occhi assorto, ascoltando la voce di William.
    Era bellissima.
    Il ragazzo si tratteneva, per paura di essere sentito, e sospirava i versi di una vecchia canzone rock.
    Liam si sentiva intenerire da tanta gioia. Avrebbe voluto stringere l’amante e lasciarsi cullare dal suono melodioso del suo canto.
    “Hai finito?” urlò il giovane studente, chiamandolo.
    Liam si avvolse in un asciugamano e lo raggiunse.
    “Sono qui.” mormorò, frizionando i capelli umidi.
    Will sorrise.
    Il ragazzo aveva indossato un paio di boxer grigi e si era seduto sul suo lato favorito del letto sfatto, leggiucchiando i fogli che aveva sparso un po’ per tutta la stanza.
    “E questo … cosa sarebbe?” domandò Liam, stupito da tanto disordine creativo.
    “Appunti delle tue lezioni!” rispose Will, candido. “Mi aiuterai ad interpretarli.”
    Il professore si portò una mano alla fronte.
    “Ma … ma … c’è confusione e non si capisce! Insomma … sono tutti messi per terra, sul comodino, tra le …”
    “Non preoccuparti, io mi oriento bene.”
    “In tutto questo casino?!”
    “Certo!
    Che significa questo? Lo sviluppo economico dell’Inghilterra vittoriana ebbe come conseguenza anche un –“
    “Ah no!” interruppe Liam, strappandogli dalle mani il blocco degli appunti. “Non mi farai queste domande, adesso! Non sono mica una macchina che ricorda tutte le lezioni! A proposito, questa qui quando l’ho tenuta? Comunque, ho un registro e dei documenti nel computer. Ti farò leggere quelli, se vorrai.”
    “Lo voglio.” scherzò Will, sorridente.
    Gettò via i fogli e attirò l’amante in un bacio dolce, pieno di passione.
    “Smettila …” mormorò il professore, mordicchiando le labbra gonfie. “Dobbiamo … lavorare una volta tanto. Abbiamo già perso tanto tempo.”
    Lo studente scosse il capo, imbronciandosi nel suo modo delizioso.
    “È una perdita di tempo se noi –“
    Liam lo interruppe, baciandolo ancora.
    Immerse il volto nei capelli ricci dell’amante e prese un respiro, sussurrando sensualmente.
    Ragazzo, passerei i pomeriggi su questo letto, con te, ma non posso. Finirei per caricarti di lavoro da svolgere nelle ultime settimane, e mi sentirei in colpa per non averti aiutato prima e meglio.”
    Will annuì, staccandosi.
    Prese un quaderno e cominciò a sfogliarlo. Liam si sedeva accanto a lui.
    “Stamattina ho continuato con lo schema che mi avevi chiesto. Sono passato al Settecento e ho evidenziato gli autori che mi avevi indicato.”
    “Bene, perfetto.”
    “Però …”
    “Cosa?”
    “Sono un po’ intristito.”
    “Da cosa?” chiese Liam, preoccupato.
    Will fece spallucce.
    “Da quello che ho letto, da quello che studio! Pare che tutti siano concordi nell’affermare che l’amore va evitato, che fa male e distrugge.”
    “Non tutti, lo sai.”
    “Sì, ma … insomma … mi deprime pensare che ogni amore è destinato a finire, che non si possa fare nulla per evitare il dolore della perdita o del tradimento.”
    Liam scosse il capo.
    “Ogni cosa finisce, è un dato di fatto.”
    “E, quindi, sei d’accordo anche tu?”
    Il professore baciò le labbra umide del suo ragazzo.
    Parlò piano.
    “Tu devi avere un’idea sacra dell’amore. Un’idea esclusiva, ingenua …”
    William si ritrasse offeso.
    “Sono solo un ingenuo per te, vero?”
    L’amante non rispose.
    Imponendosi, lo premette contro il materasso, sulle lenzuola stropicciate.
    “Ragazzo …” ansimò, chinandosi a baciarlo, a carezzargli la pelle calda.
    Will si sentì sciogliere. Fremette e cercò un contatto più intimo col corpo di Liam. Si tese in avanti, esigendo la sua bocca e le sue mani.
    Liam gli sfilò i boxer con una lentezza esasperante.
    “Muoviti, ti prego!”
    Il professore non obbedì. Godette del corpo dell’amato, torturandolo per lunghi minuti. Quando la frustrazione si fece più forte, spinse William sullo stomaco, voltandolo, serrandogli i polsi in una presa costrittiva.
    “Ragazzo mio,” mormorò, insinuando la bocca tra i ricci soffici che chiedevano solo di essere toccati. “Soffrirai e farai soffrire.” affermò, impietoso.
    Will si morse le labbra, gemendo.
    “Ti spezzeranno il cuore e solo allora capirai cos’è la vera passione.” continuò Liam, prendendolo senza preavviso.
    Will ansimò, nel tentativo di sciogliere la tensione dei muscoli, e Liam si spinse ancora dentro di lui. Il ragazzo gemette senza fiato. Con le lacrime agli occhi, si aggrappò al cuscino.
    La mano di Liam raggiunse la sua e la strinse.



    Nel torpore che invadeva ogni fibra del suo corpo, Liam percepì lo squillo fastidioso, lontano del telefono. Non ebbe neanche il tempo di aprire gli occhi che il rumore cessò, lasciando che la casa piombasse nel consueto silenzio.
    Si era addormentato.
    Dopo aver fatto l’amore con Will per l’ennesima volta, si era arreso alla spossatezza.
    Voltandosi, scrutò l’immagine del giovane amante nudo, coperto a malapena dalle lenzuola e tremante di freddo.
    Si avvicinò a lui e lo strinse, avvolgendolo nel calore protettivo delle sue braccia, riparandolo col piumone.
    Era tanto dolce, William.
    I suoi capelli sapevano di menta ed erano ricci e morbidi da fare impazzire. I suoi occhi erano grandi e le ciglia lunghe, eleganti.
    Liam le sfiorò rapito e carezzò gli zigomi pronunciati, immergendo il volto nell’incavo del suo collo. Avrebbe voluto rimanere in quella posizione per sempre.
    Stretto a Will, come un bambino.
    “William?” chiamò, gentilmente. “Will, tesoro, devi svegliarti. Si è fatto tardi.”
    “Ancora un pochino!”
    Liam rise.
    “Svegliati, forza.”
    Lo studente aprì gli occhi e si sedette tra le lenzuola, stropicciando il volto intiepidito.
    “Che ore sono?”
    “È tardi, ci siamo addormentati. Dovresti tornare –“
    “Cacchio, hai ragione!” interruppe Will, raccattando i vestiti sparsi. “I ragazzi mi aspettano!”
    Liam sorrise, allontanandosi.
    “Vado a fare una telefonata.”
    Si diresse in soggiorno e compose il numero della sorella, a Coventry.
    Attese qualche minuto.
    “Pronto?”
    “Pronto, Cordy? Sono io.”
    Dall’altro capo della cornetta si sentì uno sbuffo enfatico.
    “Era ora, sai? Sono stata al telefono per più di mezz’ora e non rispondevi! Mi hai fatta spazientire!” esclamò Cordelia, arrabbiata.
    Liam sospirò.
    “Mi sono addormentato, scusami! Non è che l’ho fatto apposta!”
    “Siamo sicuri?”
    “Certo! Cordy, ma per chi mi prendi? Lo sai che –“
    “Sì, sì. Certo che sì! Beh … come va? Stai bene?”
    Liam sorrise.
    Percepiva i movimenti affannati di William in camera da letto. Il ragazzo stava certamente recuperando gli appunti che aveva sparso dappertutto ed i suoi gesti erano scoordinati per la fretta.
    “Ci sei ancora? Sei caduto in letargo?”
    Liam si riscosse.
    “Sono qui, Cor. Pensavo. Comunque sì, sto bene.”
    “Mi fa piacere sentirlo.”
    “Attendi un attimo in linea.”
    Will lo aveva raggiunto, completamente vestito e con la tracolla piena di appunti.
    “Non volevo disturbarti, sto andando via.”
    “Non disturbi affatto.” sussurrò il professore, baciandogli le labbra piene. “A domani.”
    “A – a domani, Liam.”
    Dalla cornetta si sentiva Cordelia sbuffare d’impazienza.
    Liam sorrise e congedò l’amante, tornando a concentrarsi sulla sua telefonata.
    “Eccomi, scusa.”
    “Poi dovrai dirmi chi era!”
    “Chi era a fare cosa?”
    “Come se non ti conoscessi, Liam!” esclamò la sorella, allusiva. “Hai anche un tono che …”
    “Che tono?”
    “E comunque! Qui c’è tuo nipote che desidera parlarti.”
    “Passamelo!”
    “Subito, talpa.”
    “Obbedisci, corvaccio.”
    Una voce delicata sostituì quella squillante di Cordelia.
    “Zio?”
    “Steven
    , tesoro mio.”







    17 .







    Si muoveva a passi concitati. L’andatura scattante, le mani che si stringevano alla tracolla, il respiro veloce. Stava saltellando leggermente, se ne rendeva conto.
    Sapeva di sembrare stupido, eppure non riusciva a frenarsi.
    Si sentiva come ad un concerto, un concerto pauroso, colmo di gente saltellante e urlante. Il mondo aveva preso a girare al ritmo di una giostra e lui era lì, sul punto più alto.
    Will sospirò, serrando gli occhi.
    Liam l’aveva appena invitato a rimanere da lui per la notte!
    Non aveva parole per descrivere l’euforia che provava per una tale richiesta. Un’eccitazione del genere poteva sembrare immotivata visto che, col professore in questione, lui ci dormiva praticamente ogni pomeriggio, però …
    Dio.
    Avrebbero avuto una notte tutta per loro.
    Una notte per stringersi, baciarsi, parlare, senza preoccupazioni per il tempo a disposizione.
    Avrebbero potuto stare insieme, sino al mattino.
    William si aggrappò alla tracolla, ripensando allo sguardo di Liam.
    Il suo amante era tanto riservato, sfuggente …
    Spesso, Will si sentiva come impotente dinnanzi a tanto mistero e si domandava se, un giorno, avrebbe potuto comprendere appieno ogni emozione e pensiero dell’uomo che amava.
    Anche quando Liam sembrava aprirsi, mostrarsi più intimamente, Will lo sentiva imprendibile e lontano. E, dannazione, avrebbe dato qualsiasi cosa pur di comprendere l’origine del fardello che Liam sembrava portare costantemente, quel velo di rassegnazione e malinconia che offuscava anche i momenti più felici.
    Il ragazzo sbuffò, colpevole per i foschi pensieri.
    Liam era soltanto più saggio di lui, più capace di mantenere un briciolo di assennatezza nella passione, di non buttarsi a capofitto nella nuova relazione. Per lui la felicità non coincideva con un concerto rock nella testa e, forse, era ancora presto per le dichiarazioni d’amore.
    In fondo, non erano necessarie le parole - anche se lui ne aveva bisogno! - Forse si poteva ancora aspettare.
    Anche se faceva male.



    Uno sgradevole bagliore giallastro si diffondeva dal cono elettrico della lampada da tavolo. William sospirò pesantemente. Continuando a picchiettare con la matita sula scrivania, aveva principiato a leggere, per l’ennesima volta, le quattro righe d’introduzione al capitolo da studiare.
    Mancavano trentacinque minuti alle otto.
    Avrebbe dovuto raggiungere Liam.
    “Nella poetica delle prime opere …”
    Liam.
    “Nella poetica …”
    Baciare il suo viso, stringere le mani grandi.
    “Nella poetica …”
    Will sbuffò, lasciando cadere la matita, cercando di trovare una posizione più comoda per la schiena. Ogni espediente sembrava inutile, nella sua testa si susseguivano immagini di Liam e degli incontri d’amore e, per incontrollabile reazione, i jeans diventavano sempre più stretti e fastidiosi.
    Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, portandosi una mano alla fronte.
    Non sarebbe mai riuscito a leggere le due pagine di introduzione. Mai.
    La porta della stanza s’aprì e Xander fece il suo ingresso.
    “Come andiamo da queste parti?” domandò, scherzoso.
    Per tutta risposta, l’amico si accucciò sul libro, tristissimo.
    “Avanti Shelby! Chiudi quell’arnese del demonio e voltati!”
    William eseguì.
    Poté ammirare il coinquilino in pantaloni e giacca arancio, completo di berretto coordinato e scarpe lucide.
    “Ma che …”
    “L’ha preso Anya, per la festa di stasera. Se non lo indosso mi uccide.”
    Will spalancò gli occhi, sorpreso.
    La festa del martedì! L’aveva completamente scordato!
    “Ci vieni, giusto?” chiese Xander, intuitivo.
    “Io … me ne sono completamente … non ci ho …”
    “Dai! Non vieni? Ed io che ci speravo! Will, stai mollando un sacco di pacchi in questo periodo! Che hai?”
    Il ragazzo scosse la spalle, dispiaciuto.
    “Scusami, Xan. Davvero. Non ci ho proprio pensato e devo andare … da mia madre, a cena. Dai miei.”
    Xander aggrottò le sopracciglia, non propriamente convinto. Infine, sospirò.
    Senza nascondere una punta di delusione, sorrise comunque all’amico.
    “Sarà per la prossima volta! Almeno, tu non dovrai indossare un completo simile!”
    Will ridacchiò.
    “A che ora andate?”
    “Alle otto e mezza ci vediamo tutti da Izzie.”
    “Capisco. Vado anch’io e … resto a dormire lì. Non ti preoccupare se non rientro.”
    “Divertiti, amico! Immagino che eccitazione al pensiero di incontrare Matusa Shelby!”
    “Già …”
    “Corro a prendere Tara.” aggiunse Xander, salutando. “Ci vediamo domani!”
    “A domani!”
    Nuovamente solo, Will si rivolse al libro di letteratura.
    Lo chiuse.
    Aveva già studiato abbastanza.



    La luce fredda dei lampioni rischiarava il marciapiede. Si strinse forte al cappotto. La casa di Liam era a pochi metri.
    Si mosse più velocemente, percorrendo il vialetto. Fece per bussare, ma una mano lo spinse dentro, contro la parete del corridoio.
    Liam l’aveva afferrato e lo stava baciando appassionatamente.
    William sorrise beato e chiuse gli occhi nella stretta salda dell’amante.
    “Perché?” mormorò sorpreso, mordicchiando le labbra del professore.
    Pieno di preoccupazione, l’amante gli cinse il volto.
    Attento, esaminò le labbra gelide, le palpebre fredde. Baciò con tenerezza ogni centimetro della pelle arrossata di Will, quasi a volerla riscaldare.
    “Non avrei dovuto permetterti di venire fin qui a piedi.” rivelò infine, dispiaciuto. “Sei freddissimo, stai congelando.”
    Will rifletté, togliendo il cappotto, sfregando le mani pallide.
    “Quindi … è per questo che mi hai spinto dentro? Ti sentivi in colpa?”
    “Sì.” ammise Liam, allargando le braccia. Scosso da un’improvvisa intuizione, si premurò di continuare a spiegare. “ … E non solo, lo sai.” concluse, in un misto di timidezza e malizia.
    William gli cinse le braccia al collo.
    “Mi pareva …” scherzò felice.
    Si tese sulle punte e baciò Liam, ritrovandosi un’altra volta contro la parete.
    “Ti piace qui!” esclamò, lasciandosi spogliare.
    Liam lo immobilizzò e lo baciò ancora e ancora, pieno di ardore disperato.
    A Will mancò il respiro.
    Si premette contro l’amato e strinse i suoi capelli, scompigliandoli.
    “Portami a letto!” comandò, offrendo il collo da mordere.
    “Come siamo autoritari!” ghignò Liam. “Usi sempre questo tono, quando parli con un professore?”
    “Dipende dal professore …”
    I due uomini scoppiarono a ridere e si inseguirono in camera da letto, strattonandosi e spogliandosi a vicenda.
    Seminudi, saltarono sul materasso e si strinsero.
    “Mi fai impazzire!” sussurrò Will, estatico.
    “Fa parte del mio piano malvagio.”
    Il ragazzo rise e si sedette sopra l’amante. Provocante, volò a leccargli la mascella tesa, ruvida per la barba accennata. Con premura, tolse gli ultimi indumenti rimasti e sfregò il naso contro quello di Liam.
    “Sei proprio una testa dura, professor O’Connor!”
    L’interessato sorrise, sfiorandogli le natiche sode.
    “Hai studiato oggi?” domandò, inquisitore.
    Will scoppiò nell’ennesima risata.
    “E mi chiedi questo adesso? Sì, sì! Sì, che ho studiato!” esclamò, enfatico. “Oh frenetiche notti!” recitò, spinto con forza tra le lenzuola. “Oh frenetiche notti! Se fossi accanto a te … queste notti frenetiche sarebbero … la nostra estasi!”
    Liam si staccò dal collo arrossato e dal petto segnato dai morsi.
    In ginocchio, fissò l’immagine gioiosa e scarmigliata di William.
    Sentì il cuore colmarsi di desiderio puro.
    Lentamente prese a leccare il torace del ragazzo, lo stomaco. Schiuse le gambe tremanti e immerse il volto nell’addome teso.
    Will strinse le labbra per non urlare. Afferrò i capelli di Liam e chiuse gli occhi, in abbandono.
    Sentì la bocca umida che lo percorreva e la crema su di lui, come ~
    Su di lui.
    Spalancò gli occhi e gemette forte. Senza pensare, scattò anche in avanti.
    “Shhh … ragazzo mio, calmati.” sussurrò Liam, frenandolo. “Non ho ancora finito. Stenditi, stenditi come prima.”
    Will obbedì, serrando le labbra.
    “Voglio farlo io.” mormorò il professore, con la voce roca per l’eccitazione. “Voglio farlo io.” ripeté cantilenante e peccaminoso.
    “Oh!”
    Liam non si era mai concesso passivamente. Sembrava paradossale e stupido, quasi irrispettoso della dignità di uomo di Will, eppure il ragazzo non aveva percepito alcun rifiuto, né si era sentito umiliato.
    Impegnato nella scoperta di un altro aspetto della sessualità, si era lasciato guidare dall’amante esperto, godendo di gioie sconosciute. Non aveva accantonato le vecchie preferenze erotiche, solo … aveva desiderato Liam.
    In qualsiasi modo. Sempre Liam.
    Ed ora, lui era disteso tra le lenzuola, col volto immerso nei cuscini e la schiena tesa in un’offerta muta.
    Colmo d’emozione, Will s’inginocchiò e carezzò la pelle profumata, baciando la curva della colonna vertebrale, stringendo i fianchi larghi.
    “Will, ti voglio. Ti voglio così tanto …”
    “Anch’io.” mormorò, commosso.
    Vedere Liam così sereno, così pronto ad essere suo, lo sconvolgeva d’amore.
    Chissà come sarebbe stato. Averlo.
    Will sorrise, prima di perdersi nella passione.
    Un pensiero gli attraversò la mente.
    Se potessi ancorarmi
    Stanotte in te.







    18 .





    I raggi solari si diffondevano nella stanza silenziosa, producendo una strana alternanza di bianco e dorato. Dallo spiraglio aperto della finestra, un vento leggero portava con sé i profumi della primavera alle porte, il sentore della mimosa e delle foglie nuove. Ogni tanto, un soffio più forte dei precedenti faceva danzare il tessuto sottile delle tende.
    Tutto era luminoso, quieto.
    William sonnecchiava nell’abbraccio dell’amante già sveglio, impegnato a riempirlo di baci. Le mani strette a quelle di Liam, il ragazzo godeva del calore delle coccole mattutine, dopo l’ennesima notte spesa col professore.
    Avrebbe dovuto cominciare a pensare a nuove scuse per giustificare le sue assenze, visto che nessuno tra gli amici credeva che passasse tanto tempo in casa del padre.
    Il tocco di Liam, però, cancellava ogni preoccupazione concreta.
    “Buongiorno, ragazzo.”
    “Buongiorno.”
    Will si voltò a studiare gli occhi scuri che lo fissavano senza pudore.
    “Perché mi guardi così?” domandò piano.
    Liam non rispose, sfiorò le sue labbra in un bacio.
    Allora, il ragazzo si tese in avanti. Strinse le gambe attorno ai fianchi dell’amante, attirandolo a sé, e allacciò le braccia al suo collo.
    “Così?” sussurrò, chiudendo gli occhi.
    Liam intrecciò i loro corpi, sentì William ansimare nella sua bocca.
    “Senza fretta, ragazzo mio.”
    Il bacio successivo fu languido e lento, come il movimento dei fianchi.
    Il giovane inglese sospirò teneramente e carezzò il volto dell’amante, scrutandolo intensamente.
    Liam era bello, bello da morire.
    Will si sentiva sull’orlo delle lacrime ogni volta che pensava all’armonia dei tratti del suo viso, così serio ed elegante, all’espressione della bocca piegata in un sorriso o in una smorfia.
    Gli occhi scuri tanto … caldi, pieni di dolcezza e di saggezza.
    Castani, come la terra e il liquore al cioccolato.
    Il ragazzo avrebbe voluto dichiarare, confessare, urlare tutto l’amore che provava per Liam, la felicità che provava nell’essere suo soltanto.
    Amava tanto il professore. Annegava in lui e si sentiva completo e in pace. Stare insieme, concedersi a lui, lo colmavano di un’inconsueta sensazione di forza interiore, di beatitudine. Forse, trovava piacevole una perversione, perché da uomo normale non avrebbe dovuto gioire di una sensazione tanto femminile, ma … Come rinunciare ad un amore tanto travolgente?
    Tra le braccia di Liam, Will non si sentiva né etero né omosessuale.
    Solo William, innamorato e splendente.
    Gemette forte e Liam lo strinse, ansante.
    Raggiunse il piacere, aggrappandosi alle spalle larghe dell’amante, scosso dai brividi. Sospirò, adagiandosi sul cuscino.
    Ti amo.” mormorò senza rendersene conto.
    D’improvviso, percepì Liam che si staccava dall’abbraccio. Sentì il corpo irrigidirsi e bloccarsi e il respiro affannoso mozzarsi. Ebbe paura di aver commesso un errore madornale e si fece coraggio, rivolgendosi all’amante.
    “Liam …” chiamò, spaventato.
    Il professore si era alzato dal letto.
    Lo fissava con un’espressione terrorizzata, un misto di angoscia e disapprovazione.
    Will dovette trattenere le lacrime.
    Si sentì male, colpevole, e combatté il pianto che già gli serrava la gola.
    Aveva forse sbagliato qualcosa?
    Si tese in avanti e carezzò le braccia di Liam, cercando di tranquillizzarlo come meglio poteva.
    “Ascolta, è solo una frase, sono solo parole. Se tu vuoi … io posso anche … non dirle più. Se tu non mi – “
    La voce del ragazzo si spezzò.
    “Non cambierà niente tra noi. Non cambierà niente, vero?”
    L’irlandese si sedette sul letto e scrutò le dita tremanti di William, i suoi occhi lucidi di dolore.
    “È vero quello che dici?”
    “Cosa?”
    “Tu mi ami?” domandò, deciso.
    Will scosse il capo.
    “Sì ... sì, ti amo. È così terribile?”
    Liam prese tra le mani il volto del ragazzo.
    Lo baciò disperatamente, come spaventato all’idea di perderlo.



    William rabbrividì e si nascose sotto il piumone tiepido, aprendo gli occhi.
    Senza volerlo si era addormentato da Liam e lui … non c’era.
    Avvertiva la sua assenza nella stanza sobria, silenziosa. L’amante era andato via e l’aveva lasciato solo, a riposare.
    Scuotendosi di dosso il torpore del sonno, il ragazzo si alzò e prese a rivestirsi.
    Si sentiva spaventato, stravolto, intristito.
    L’incontro con Liam era stato più intenso del solito ed era culminato in una dichiarazione che aveva sorpreso il professore. La sua reazione ponderata era quella che più preoccupava William. Il ragazzo temeva che il suo ardore avrebbe condotto ad un allontanamento da parte di Liam che, forse, non provava gli stessi sentimenti e non voleva impegnarsi.
    Scacciando via i pensieri tristi, lo studente prese la tracolla.
    Chinandosi, s’accorse del bigliettino che gli aveva lasciato Liam.

    Dormivi così bene, non ho voluto disturbarti.
    Vediamoci in biblioteca. Aula 5C, secondo piano. Potremo parlare.
    Ti aspetto,
    Liam.

    Will scrutò l’orologio e si affrettò in direzione del campus.



    Liam sedeva in fondo all’aula, appartato e solitario nel suo angolo. Come sempre.
    Will lo raggiunse, esitante per l’emozione. Si sedette accanto a lui e tentò un sorriso nervoso e innaturale. Abbassò lo sguardo.
    “Perché … perché hai voluto che parlassimo qui?”
    Liam scosse il capo.
    “Non volevo restare solo con te.” ammise, a bassissima voce.
    La confessione ferì William, che strinse i bordi del tavolo e trattenne il respiro.
    “Aspetta!” mormorò Liam, sfiorandogli una mano tesa. “Non intendevo dire che … non … sono bravo quando si tratta di queste situazioni e mi dispiace. Ti faccio soffrire.”
    “No.” lo rassicurò Will, con la voce rotta. “È solo che …” sorrise ancora, un po’ spavaldo, e guardò l’amante negli occhi. “Volevo dirti una cosa.”
    “Cosa?”
    “Ci ho pensato e … mi basta comunque, sai?” spiegò, casuale. “Io sto bene con te e non mi lamento. Non mi sono mai lamentato, vero? Quindi, anche se tu non provi … se tu non vuoi dirmi che mi ami, va bene. Non importa. Io … volevo solo dirtelo.”
    “Ma tu mi ami davvero?”
    “Sì.”
    Will abbassò lo sguardo, nuovamente.
    Sentì le mani di Liam sotto il tavolo, impegnate a cercare di raggiungerlo. Le strinse.
    “William,” cominciò il professore, prima di frenarsi. “Io non sono come te, non sono in grado di … non sono come te.”
    La presa si fece più stretta.
    “Ma io … farei di tutto per proteggerti, lo giuro. Non voglio ferirti.”
    “Va bene lo stesso.” disse William. “Ti amo.”













    19 .







    Liam aprì gli occhi e diresse lo sguardo alla foto di Cordelia e Steven, incorniciata ed esposta nella mensola della modesta libreria che aveva acquistato per la camera da letto. Sospirò e si rilassò, riprendendo fiato, godendo del calore della pelle che lo accoglieva morbidamente.
    Le mani di William giocherellavano coi suoi capelli e il cuore del ragazzo batteva forte, ad un ritmo che Liam riusciva sentire dall’addome teso che baciava e carezzava senza sosta.
    Il letto non era abbastanza grande e Will aveva dovuto poggiare la schiena alla testiera per permettere a Liam, alto e imponente, di rannicchiarsi sul suo stomaco.
    “Perché ti piace tanto?” mormorò il ragazzo, sfiorando la fronte dall’amante. “Il mio stomaco, dico.”
    Liam sorrise e alzò lo sguardo.
    “Mi piacciono anche i tuoi piedi, e le tue mani, e il tuo naso …”
    “Smettila!” esclamò lo studente, ridacchiando.
    “È la verità.” continuò Liam. “Mi piacciono i tuoi occhi e le tue labbra.” aggiunse, tendendosi per un bacio lento, profondo.
    “Liam …”
    “Sì?”
    Ti amo.”
    Il professore prese tra le mani il volto del suo ragazzo e lo strinse in un moto di passione.
    Si adagiò su di lui, coprendolo col piumone, poggiando il capo sul suo torace.
    Era tutto diverso da quando William si era dichiarato. Tutto strano. A Liam, per certi versi, appariva più bello e spaventoso. Will che lo fissava con gli occhi grandi, pieni di devozione e ripeteva di amarlo, di volerlo, di desiderarlo … il ragazzo era così intenso e istintivo da riuscire a trasmettere le sue emozioni col tocco delle dita, coi baci, con le parole.
    Non avrebbe potuto tacere i suoi sentimenti. Non avrebbe mai potuto.
    “Mi piacciono …”
    “Cosa, Will?”
    “I tuoi capelli, sono più lunghi adesso.”
    “Dovrò tagliarli.”
    “Non farlo! Mi piacciono.”
    “William …”
    “Sì?”
    “Conosci il bambino e la donna nella foto? Quella sulla libreria.”
    “Sono tuo nipote e tua sorella Cordelia, lo so.”
    “Ma non li conosci …”
    William si tese, improvvisamente attento.
    Scrutò nel profondo degli occhi di Liam e sorrise.
    “Vorresti parlarmi di loro?”
    “Vorrei parlarti di me.”
    “Fallo.”
    Liam chiuse gli occhi e cominciò il suo racconto.
    “Sono nato a Galway.” disse.
    Dovette fermarsi immediatamente, per tossire. Riprese, non senza incertezze.
    Il silenzio di Will era confortante.
    “Sono nato a Galway,” ripeté. “In una notte di pioggia. Mio padre era un commerciante e mia madre una casalinga. Non eravamo ricchi, ma vivevamo bene, non potevamo lamentarci. Le prime estati di cui ho memoria furono felici, spensierate. Andammo in vacanza … dove? Qui in Inghilterra, forse. Fu veramente bello. Solo dopo le cose cominciarono a peggiorare, quando mia madre si ammalò. Tremende emicranie la costringevano a letto. Iniziò così il periodo più triste della mia infanzia.
    “Quando mia madre rimase incinta di Cordelia, pianse per un intero giorno perché non sapeva come avrebbe fatto. Andai da lei, per consolarla, per fare l’uomo. Lei si pulì il volto e disse che saremmo stati sempre felici, che si sarebbe ripresa.”
    Il professore tacque, interrompendosi.
    Tossì ancora.
    “Non ricordo molto di lei. O meglio, il suo ricordo sembra svanire pian piano e perdersi. Credo che avesse i capelli lunghi e mossi come quelli di Cordy. Ricordo il suo profilo tanto simile al mio e l’odore delle torte che preparava …”
    “Liam –“
    “Scusami, divago. Sappi, comunque, che morì a qualche settimana dal mio decimo compleanno. Cordy era molto piccola.”
    Will chiuse gli occhi, pieno di tristezza.
    Sentì la mano di Liam sulla propria.
    “Mio padre era un uomo … molto religioso. La morte della moglie acuì la sua superstizione e lo portò a divenire severo, inflessibile, violento quasi. Il lavoro non andava bene e lui era sempre distante, preoccupato, inaridito. Ricordo un pomeriggio dopo scuola, quando passò mezz’ora a picchiarmi perché avevo fatto tardi e meritavo una punizione.”
    Il corpo di Will ebbe uno scatto.
    A forza, il ragazzo si impose di rimanere in silenzio.
    “Cominciò così. A Cordy non torceva un capello, almeno in questo era rimasto umano; lei, però, era spaventata lo stesso. Si stendeva accanto a me, col suo pupazzetto di pezza, mi abbracciava forte, per farsi coraggio. Cercavo sempre di proteggerla.
    “Agli occhi di mio padre io ero qualcosa di sbagliato, un figlio ribelle, meritevole soltanto di una buona dose di disciplina. Questo suo atteggiamento esasperò le mie tendenze aggressive, distruttive. A tredici anni divenni una specie di …” Liam ridacchiò, pensoso. “Una specie di bulletto irriverente e violento, immischiato sempre in affari con gente adulta. Mi misi con una ragazza molto più grande ed esperta di me e cominciai a bere, ad incendiare automobili, a spaccarmi le ossa in stupide risse. Mio padre, ovviamente, non approvava.
    “Un giorno, a seguito di un litigio particolarmente furioso, arrivò a minacciare anche Cordelia, a prendersela con lei. Non ci vidi più dagli occhi. Ero un ragazzo particolarmente robusto, presi una sedia e gliela spaccai letteralmente sulla schiena. L’avrei anche ucciso in quell’istante, lo so. Da quel giorno non rividi più mio padre.”
    “A – andò via?”
    “Sì. Io e Cordy restammo praticamente soli, affidati di tanto in tanto a qualche parente lontano. Lui non si fece più vedere. Qualche anno dopo, mia sorella venne a conoscenza della sua scomparsa e pianse.”
    William deglutì.
    “L’avrei ucciso, capisci? Ero … ero diventato … vivere in quel modo mi avrebbe condotto alla galera o alla tomba, ne sono sicuro. Fu allora che incontrai il professor Whistler. Era un vecchio irlandese pazzo, che aveva fatto qualche mese in prigione per un’accusa di terrorismo mai provata. Lo evitavano tutti, forse per questo mi affezionai tanto a lui.
    “Whistler mi incoraggiò, mi fece credere che avrei potuto farcela se decidevo di impegnarmi e mettere la testa a posto. Ricominciai a studiare. Riuscii a diplomarmi e ad ottenere una serie di borse di studio. Riuscii a laurearmi.
    “Cordelia rimase incinta ed io la aiutai col suo bambino. Adesso ho un nipote e sono responsabile anche della sua vita, della vita del piccolo Liam Steven.”
    “Si chiama come te?”
    “Sì, è bello non è vero? Mi rende così felice saperlo crescere. È la cosa più bella che mi sia mai capitata! È speciale.”
    Liam tacque, trasognato. Alzò lo sguardo.
    Sentiva il corpo esile dell’amante scosso da un tremito continuo. Gli addominali vibravano sotto il suo tocco. Dolcemente, sfiorò il volto inumidito dalle lacrime.
    “Tesoro, perché piangi?” domandò, impensierito. “Non devi piangere.”
    “Cosa?”
    “Non devi.”
    “Ma io piango perché … perché ti amo, Liam.” sussurrò Will. “Ti amo.” ripeté, tendendosi per un bacio.
    Deciso, spinse Liam tra i cuscini e si inginocchiò sopra di lui.
    Baciò il suo viso, le sue mani, i suoi occhi.
    “Io ti amo, Liam.” ripeté, pensando alle dichiarazioni d’amore fatte.
    Se avevano un valore, avrebbero dovuto provarlo. In quell’istante.
    “William, non …”
    Will scosse il capo e impedì all’amante ogni movimento, bloccandogli i polsi.
    Intrecciò le dita nelle sue e si abbandonò a lui, dolcemente, ansimando.
    Si tese ancora, per stringere Liam che gli teneva i fianchi.
    Nella mente, l’immagine di un ragazzino solo, disilluso.
    Pianse le lacrime che lui non aveva mai versato.





    20 .





    Il sole era tornato a splendere, mentre Liam usciva dagli uffici centrali della Regent House.
    La mattinata era trascorsa nel migliore dei modi. Le programmate ore di lezione si erano trasformate in un quieto dialogo tra docente e studenti, Liam aveva lasciato che lo scambio informale divenisse occasione per conoscere meglio i ragazzi.
    Raramente concedeva tanto spazio gli allievi, perché riteneva opportuno mantenere una sorta di distanza nello svolgimento della professione. Distanza che, in ogni caso, era anche una costante della sua vita e dei suoi rapporti interpersonali.
    Liam era un irlandese chiuso e testardo: questo diceva sempre Will, ridendo.
    Il giovane amante prendeva spesso in giro la tendenza all’isolamento dell’insegnante.
    E Liam, nudo e vulnerabile come non mai, oscillava tra la tenerezza per un ragazzo tanto acuto e l’indignazione per le sue prese in giro.
    Più di tutto, scopriva d’essere accettato per quello che era, ogni singolo giorno.



    “Liam! Ehi, Liam!”
    Una voce allegra interruppe il flusso di coscienza del professore, riportandolo alla realtà.
    Fred, più felice e luminosa che mai, si avvicinava a grandi passi.
    “Ciao! Non ti avevo vista!”
    “Troppo impegnato nelle tue meditazioni?” scherzò lei, ghignando in modo buffo. “Come stai? È un po’ che non ci vediamo!”
    Liam scosse il capo, celando un sorriso imbarazzato.
    “Sono state delle settimane piuttosto frenetiche e ho dovuto lavorare molto.”
    “Ti trovo bene, però! Ti sei ambientato facilmente a Cambridge.”
    “Sì, beh … è merito anche di Wesley. A proposito, lui dov’è?”
    “A dare l’avviso!” esclamò Fred, eccitatissima.
    Per l’emozione aveva anche fatto una specie di saltello contenuto, culminato in un velocissimo battito di mani.
    “Che avviso?” domandò Liam, scombussolato.
    “Sappi che domenica è Pasqua e che, per volere del Cancelliere, sono già stati stabiliti i giorni di vacanza! Ne abbiamo uno in più!”
    “Oh … Pasqua! Dimentico spesso le feste … sarà un’occasione per andare a trovare mia sorella e passare un po’ di tempo con Steven!”
    “Bello, vero?” domandò Fred, retorica. “Wesley mi ha proposto di raggiungerlo nella tenuta da caccia dei genitori e di trascorrere venerdì e sabato da lui!” aggiunse, rossa di contentezza.
    Liam sorrise, divertito.
    Forse, il buon vecchio caro Wes aveva trovato occasione e coraggio per rivelare il suo amore alla professoressa di Fisica.
    “Sarà un weekend magnifico, allora.” disse, rincuorando l’amica ansiosa.
    “Tu lo trascorrerai in famiglia, quindi?”
    “Certamente.”



    Fu il suono del campanello ad annunciare l’arrivo di William.
    Con un sospiro, Liam si precipitò ad aprire al giovane studente prediletto.
    Will lo salutò con un sorriso. Attese che la porta fosse chiusa alle sue spalle per tendersi sulle punte e baciare dolcemente le labbra dell’amante.
    “Buon pomeriggio.” sussurrò sensuale, morbido contro Liam.
    Il professore indugiò con le dita nei capelli ricci e lo strinse forte, in silenzio.
    “Buon pomeriggio a te.”
    “Liam,” mormorò Will, armeggiando con la tracolla ingombrante. “Vuoi leggere quello che ho preparato?”
    “Dopo.”



    “Sei come un gattino pigro. Chiudi sempre gli occhi e fai quasi le fusa, quando ti coccolo.”
    Liam mormorava, sfiorando col naso il volto caldo di Will, adagiato sul cuscino.
    Il ragazzo socchiudeva gli occhi e sbatteva le ciglia lunghe, chiare, lasciandosi carezzare piano.
    “Sei delizioso.” aggiunse Liam, baciando le guance arrossate.
    Will ridacchiò. Coprì il volto con le braccia candide e si rifugiò nell’ombra delle lenzuola sfatte.
    Liam l’abbracciò.
    “Non nasconderti, dai.”
    “Mi hai visto abbastanza.”
    “No, no! Non è mai abbastanza!”
    Il ragazzo rise e svelò gli occhi blu, liquidi, colmi d’emozione.
    Liam trattenne il fiato.
    “I tuoi occhi … sono profondi come il mare.”
    “Sei pessimo nei paragoni romantici!”
    Il professore ghignò e intrecciò le dita in quelle dell’amante.
    “Posso farti un ritratto così?”
    “Nudo? Come nel film? È imbarazzante!”
    “Prometto di raffigurare solo il tuo volto. È splendido in questo istante.”
    “Solo in questo istante?” provocò Will.
    L’amante lo baciò, divertito.
    Will si staccò, curioso.
    “Come lo chiameresti … come lo chiameresti un quadro solo sul mio viso?”
    Giovane Ganimede che dovrebbe concedere le sue grazie all’arte, così lo chiamerei.”
    Il ragazzo si contorse dispettosamente, mordendo le labbra dell’amante.
    “Sei pazzo tu!”
    “Sì, mio giovane Ganimede.”
    Will aggrottò le sopracciglia, imbronciandosi dolcemente.
    “Perché io sono Ganimede?”
    “Mi sembra ovvio! Sei un piccolo ragazzo luminoso e io sono più grande.”
    Vecchio.”
    “Un dio non invecchia.” sospirò Liam, schiaffeggiando le natiche sode dell’amato. “E poi, sono io che ti educo.”
    William rise, ritraendosi.
    Infine, strinse le gambe attorno alla schiena del professore, attirandolo a sé.
    “Pederasta.”
    “Sì, e voglio te.”
    Gli occhi del ragazzo brillarono di blu intenso.
    Si tese, catturando Liam in un bacio interminabile, aggrappandosi ai suoi capelli, deciso a non farlo scappare.
    Lo squillo del telefono interruppe l’idillio amoroso.
    “Dev’essere Cordelia.” spiegò Liam, allontanandosi.
    La telefonata con la sorella lo impegnò per venti minuti. Alla fine, il professore salutò Cordy, promettendole che l’avrebbe raggiunta nel weekend. Raggiunse Will, pigramente adagiato tra i cuscini. Richiamò la sua attenzione, facendolo voltare.
    Il ragazzo sorrise, quasi intimorito.
    In controluce, Liam era uno Zeus glorioso e potente. Oscuro.
    Ade, pieno di rimorso e colpa.
    Will gli tese una mano, catturandogli il volto, e chiuse gli occhi, stringendolo in un sospiro.
    “Vuoi venire a Coventry questo weekend?” domandò Liam, nell’incavo del suo collo.
    “Vuoi che venga?”
    “Te lo sto chiedendo: sì.”
    William si riscosse e replicò, pensoso.
    “Grazie. Sì. Grazie.”
    Liam rise, stupito.
    “Perché mi ringrazi tanto? Sarà bello averti a Coventry.”
    “A me basta sapere che me l’hai chiesto.”
    Intenerito, il professore strinse forte il suo ragazzo.







    21 .





    Quel venerdì mattina d’Aprile era grigio e livido, minaccioso di pioggia. Un vento gelido scuoteva le foglie degli alberi, coperti da brina e ghiaccio sciolto. La città si svegliava piano, animandosi nei rumori del traffico. Le insegne si accendevano, le saracinesche si alzavano.
    Liam parcheggiò accanto al coffee shop di Edie e scrutò l’orologio per una frazione di secondo, prima d’accorgersi che William era già arrivato e lo stava aspettando.
    Suonò il clacson, nel tentativo di richiamare l’attenzione del ragazzo fermo, tremante di freddo. Il giovane studente attraversò la strada, armato di zainetto e giacca leggera. Salì sull’automobile dell’amante e lo salutò con un bacio veloce.
    “Buongiorno.”
    “Buongiorno a te, Will.” sorrise Liam, indugiando sulle labbra gonfie e arrossate. “Hai aspettato molto?”
    “No!”
    “Stai mentendo.”
    “Ti dico di no! Cinque minuti e tu mi hai raggiunto.”
    “Come vuoi.” concesse Liam. “Tremavi, però, e c’è freddo. Se tu ti ammalassi …”
    William sorrise.
    Sono già malato, malato incurabile ...” scherzò, mentre Liam metteva in moto.
    Coventry li attendeva.



    Come ad una gita scolastica; il viaggio in auto con William, rendeva Liam di nuovo adolescente.
    Il ragazzo era rumoroso, divertente, logorroico. Mangiucchiava in macchina e alzava il volume della radio senza preavviso. Lo prendeva in giro, bonariamente.
    A Liam sembrava quasi di volare.
    “ … E così entrò e ci vide con quei cosi. Cazzo! Rido ancora all’espressione del signor Harris: siete ancora bambini! Posate quella robaccia! Ridatela a me!”
    “No!”
    “E se la moglie fosse entrata in quell’esatto istante, tu non sai cosa sarebbe capitato!”
    Liam rise, scacciando le lacrime dagli occhi.
    Will lo fissò pieno di gioia.
    “Questo è stato un aneddoto divertente. Te ne potrei raccontare altri. Non sempre, però, i genitori di Xander sono stati tanto … insomma, è gente un po’ incasinata.”
    Il professore si voltò, carezzò i capelli del giovane amante.
    “Tra poco siamo arrivati.” disse.
    L’espressione di William si colorò di nervosismo e ansia.
    “Da tua sorella.” mormorò il ragazzo, incerto.
    Liam gli prese una mano e la baciò con devozione.
    “Sì.”



    “Allora …”
    “Eccoci!”
    “Eccoci.”
    I due amanti sospirarono all’unisono.
    Will si morse le labbra, scrutando l’ingresso di casa O’Connor.
    Aveva percorso il vialetto assieme a Liam e, ora, attendeva che lui suonasse il campanello.
    Non si sentiva in vena di prendere iniziative.
    “Credo di aver dimenticato il portafoglio in macchina!” esclamò il professore, di colpo.
    Anche a lui pesava l’incontro con Cordelia, soprattutto perché non aveva speso tempo a spiegare la difficile situazione con William, il legame che lo univa al ragazzo.
    “Non lasciarmi qui!” sussurrò Will, imbronciato.
    Liam scosse il capo e corse verso l’auto.
    “Tu suona, ci impiego un secondo!”
    Lo studente lo fissò con astio, mentre scompariva oltre l’incrocio.
    Poi, si armò di coraggio e premette il campanello.
    Sospirò, improvvisamente a corto di fiato.
    Cosa avrebbe dovuto dire alla sorella del suo amante?
    “Chi lo me l’ha fatto –“
    La porta s’aprì.
    Un visino candido, innocente fece capolino.
    “Tu chi sei?” domandò il bambino, aggrottando la fronte in un moto di diffidenza.
    William scrutò gli occhi azzurri, curiosi e acuti, del nipote di Liam.
    Esitò.
    “Ciao! Ciao, io sono William … c’è la mamma? Io sono con –“
    Una voce argentina interruppe la sua confusa spiegazione.
    “Steven, chi è alla porta? Ti ho ripetuto almeno un milione di volte di non aprire quando ... ehi! E tu chi saresti?” domandò Cordelia, evidentemente alterata.
    La sua postura e l’espressione del volto non promettevano nulla di buono.
    Will scosse il capo.
    “Io … io sono solo …”
    “È con me!” esclamò Liam, avanzando con un pacco regalo dall’azzurra carta scintillante.
    Steven lo riconobbe e corse ad abbracciarlo, contento.
    “Campione!” rise lui, stringendo il nipotino. “Cordy!”
    “Liam! Ti vedo messo bene. Sei più tondo nei fianchi!”
    “Ma smettila! Sono un figurino!”
    Cordelia sorrise e accolse il fratello in un abbraccio.
    Curiosa, si voltò a guardare William.
    “Lui chi è?” chiese, senza mezzi termini.
    Una caratteristica dominante in Cordelia era la schiettezza delle opinioni.
    Liam dovette mordersi le labbra prima di replicare.
    “È William, un amico.” mugugnò, lievemente intimidito.
    Il ragazzo salutò in silenzio, con un cenno del capo.
    Cordy strinse la sua mano, gentilmente.
    “Resti con noi per il weekend?”
    Will fece spallucce.
    “Ho pensato,” cominciò Liam, imbarazzato. “Ho pensato che sarebbe stato carino, per una volta, avere compagnia e ... ecco –“
    “Non c’è problema! Datemi i bagagli e cerco una sistemazione. Piacere di conoscerti, William.”
    “Piacere mio.”
    “Vogliamo entrare in casa?” propose Cordelia, sorridente. “Steven si è già appiccicato a Liam ed io voglio proprio conoscerti, Will. Voglio parlare con te.”




    22 .






    Cordelia aveva imbastito un pranzo colossale in occasione del ritorno del fratello.
    La presenza di un ulteriore ospite aveva fomentato l’orgoglio di cuoca della giovane donna perché, se Liam era un buongustaio, anche William non scherzava.
    Servendo una fetta d’arrosto, Cordy sorrise al misterioso amico di Liam.
    Misterioso e carino.
    Incontenibile, Stevie si divertiva a mostrare i disegni realizzati in occasione dell’ultima mostra scolastica. Incurante delle proteste della madre, il bambino si era seduto sulle ginocchia dello zio, impedendogli di concludere il pasto in santa pace. Stretto a lui come in simbiosi, aveva rifiutato di tornare al proprio posto.
    “Vedi, zio? Ho usato i colori proprio come mi hai detto l’ultima volta, fumandoli con le dita …”
    “Sfumandoli.” corresse Liam, dolcemente. “Sei bravo.”
    “Per me ha preso da te!” osservò Cordelia, giudicando i lavori del figlio. “Sono sempre stata una capra nel disegno, tu sei quello talentuoso.”
    Liam rise e diede un bacio al nipote.
    “E hai vinto il primo premio per questi?” domandò, curioso.
    Il bambino annuì, solenne.
    “Sì. Assieme a due bambine di seconda.”
    “Bravo, campione.”
    Will inclinò il capo, ammirando l’espressione gioiosa di Liam.
    I suoi occhi chiari brillarono di speranza.
    Non aveva mai visto l’amante tanto sereno e rilassato. Solo nell’intimità Liam sembrava riappacificarsi con se stesso e sciogliere il nodo di tensione che gravava sulle sue spalle. Stare in famiglia, accanto ai cari doveva fargli davvero bene.
    “Ti è piaciuto?”
    Will si girò, col cuore stretto dall’emozione.
    “Cosa?” domandò a Cordelia che lo fissava intensamente.
    “L’arrosto.” sussurrò lei. “Mi chiedevo se –“
    “Oh sì! Sì, certo! Era tutto buonissimo, complimenti.”
    “Grazie!”
    Liam rideva per le birichinate di Steven e Will si sentiva distratto da lui, incapace di concentrare l’attenzione su altro.
    Cordelia se ne rendeva conto.
    “Sono belli, vero?” chiese al ragazzo che le dava le spalle.
    William arrossì.
    “Sì.”
    “Mi accompagneresti in cucina un attimo?”
    “Sicuro.” sillabò lo studente, alzandosi da tavola.
    Cordelia sorrise, precedendolo.
    “Siete una strana miscela voi due.” insinuò, maliziosa.
    “Cosa?”
    “Tu e Liam,” rispose sicura. “A vedervi dall’esterno, dico. Ma forse è per questo che state tanto bene assieme.”



    Liam si era già accomodato in salotto, quando Will e Cordy lo raggiunsero col vassoio del caffè e il dolce.
    Il professore aggrottò le sopracciglia, dispiaciuto.
    “Avete preparato il caffè? Io … non lo sapevo! Credevo … mi dispiace, avrei potuto aiutarvi. Sono proprio un maleducato.”
    “Esatto!” scherzò Cordy, ironizzando sul perenne senso di colpa del fratello. “Sei un gran maleducato!”
    Liam s’imbronciò, oscurandosi.
    “Non c’è bisogno che tu faccia del sarcasmo!” mugugnò, offeso.
    Cordelia rise e gli servì la sua tazzina d’amaro.
    Prelevò Steven, esausto, e lo strinse a sé, lasciandolo sonnecchiare tra le sue braccia.
    Liam carezzò i capelli morbidi del nipote.
    “Allora, William.” iniziò Cordy, sorridente. “Parlami di te.”
    Imbarazzato, lo studente prese a massaggiarsi la nuca.
    “Non saprei che dire!” rispose, vago.
    “Parlami di quello che fai, di come hai conosciuto Liam, della vostra amicizia. Mio fratello non è solito invitare ospiti in casa, tu devi essere molto speciale.”
    Il professore scrutò Will con apprensione e timore.
    I suoi occhi scuri divennero quasi più grandi, più espressivi.
    “Beh, frequento il terzo anno della facoltà di Lettere di Cambridge. Liam, il profess … Liam ha scelto di farmi da tutor per un progetto d’esame, è così che siamo diventati … amici.”
    Liam scosse il capo, intervenendo.
    “Sì, così! Lavorando con William mi sono accorto … del suo talento, della sua intelligenza. È stato naturale diventare … amici.”
    Cordelia sorrise, sorniona.
    Decise di stemperare la tensione del momento con una battuta. Del resto, aveva già intuito quello che c’era da capire.



    “Accomodati. È piccola, ma pulita e in ordine.”
    William fece il suo ingresso nella stanza degli ospiti, stringendo lo zaino con le sue cose.
    La camera era semplice, arredata con mobili di legno chiaro, accogliente.
    “La finestra da un po’ fatica ad aprirsi e non c’è la tv. Se vuoi posso –“
    “Non fa niente!” esclamò il ragazzo, in una scrollata di spalle. “Vivo in un campus studentesco!”
    Cordelia rise.
    “Sistema le tue cose che apro un po’. Facciamo cambiare l’aria.”
    Will prese il pigiama e lo poggiò su una sedia.
    “Non lo fa per ferirti.” disse la padrona di casa, impegnata con l’ingranaggio consumato della finestra.
    Le mani del ragazzo ebbero uno scatto.
    “Come?”
    “Non si comporta così per ferirti. È il suo modo di fare. Liam è sempre molto cauto e riflessivo. Un po’ troppo, a mio avviso. Dovrebbe rilassarsi e sorridere più spesso.”
    “Io …”
    “Ecco fatto!” esclamò Cordy, voltandosi trionfale. “Sono super forzuta! Dico, per Liam devi essere molto importante.”
    Will scosse il capo, incerto.
    “Non … non conoscevi neanche il mio nome. Tu sei sua sorella e non sai niente di me e, probabilmente, non dovrei neanche dirti –“
    “Io ho già capito tutto! Non ci voleva uno scienziato, sai?”
    “Ah …”
    “Ma non devi dispiacerti! Io trovo che sia una cosa bellissima. Da tanto tempo Liam non si apriva a qualcuno. Tu mi sembri perfetto per lui.”
    “Perché?” domandò il ragazzo.
    “Perché lo ami.”
    Will tacque, sorpreso.
    “Neanche per questo ci vuole lo scienziato!” esclamò lei, scherzosa. “Guardi mio fratello come se fosse l’unica cosa al mondo di cui t’importa! Lo fissi con tenerezza, con passione. Arrossisci quando si parla di lui, gli rivolgi bellissimi sorrisi, senza contare tutta la spiegazione sgangherata riguardo alla vostra amicizia! Sai, credo che anche una persona senza il mio infallibile talento intuitivo avrebbe capito! Sei innamorato di lui.”
    Cordelia si avvicinò a William, seduto e pensieroso. Gli prese una mano.
    “Perché sei così triste?”
    “Non sono triste, tutto il contrario anzi.”
    “Hai paura che Liam non mi abbia detto niente perché ti ritiene poco importante?”
    “Ecco ...”
    Cordy sospirò, comprensiva.
    “Liam è un uomo complesso, difficile.” spiegò, paziente. “A volte mi chiedo come le persone possano stargli accanto senza sprofondare in un baratro di depressione nera!”
    Will rise.
    “Lui è così. È chiuso, riservato, testardo come un mulo. Crede che sia suo dovere caricarsi le spalle di ogni peso e responsabilità. Pensa di essere l’unico capace di gestire il dolore, l’unico a dover soffrire in silenzio per il bene degli altri. Liam deve proteggere ad ogni costo, ma esita a lasciarsi proteggere.
    “Quello che ha fatto, nascondendomi la tua esistenza, l’ha fatto ancora una volta per proteggere me, per non farmi preoccupare. Lui sa quanto sia bello e nobile il sentimento che prova per te, solo che tutta la situazione, il vostro rapporto … potrebbe essere interpretato male. Capisci, William?”
    “Sì.”
    “Mio fratello è proprio rimasto ai tempi dell’infanzia con me! Lui è il maggiore e deve prendersi cura della sorellina bisognosa. Bisognerebbe fargli entrare in quella zucca pettinata male che non è più così!”
    L’espressione di Cordelia si fece risoluta, seria.
    “Sai, lui non è concede fiducia con facilità. Averti invitato in casa, con la famiglia … tu sei davvero speciale. Liam non ha mai invitato nessuno in casa nostra, lo sapevi?”
    Will spalancò gli occhi limpidi.
    Cordy annuì.
    “Mai nessuno. È convinto che Steven debba crescere protetto dal via vai di gente che cattura il suo affetto e sparisce. Da quando se ne è andato il padre di … Liam si è quasi sostituito al padre di mio figlio e ama Steven più di ogni altra cosa al mondo. Averti invitato a conoscere il suo adorato nipotino è importante.”
    “Io non lo sapevo … non pensavo …”
    “Sono convinta anch’io che tu sia speciale. Se ti ha scelto, deve essere così.”
    Will trattenne il fiato e Cordelia stemperò la tensione con una gomitata scherzosa.
    “Sono stata leggermente inquietante, vero?”
    “Giusto un po’!” mormorò il ragazzo.
    “Tutta quella suspance e quel tono sostenuto … Beh, in effetti, sono piuttosto forte ad inquadrare le persone. Posso dire con certezza di non sbagliare mai! … Quasi.”
    “Sei un essere superiore!”
    “E non scordarlo!”
    Will sorrise, rassicurato.
    “Sembra che il mio lavoro sia concluso.” sospirò Cordelia, alzandosi. “Buonanotte, Will. Ti auguro di dormire serenamente.”
    “Lo farò, grazie.”
    “Ah! E chiudi quella finestra o ti verrà la polmonite!”




    23 .





    Il manico del carrello premeva contro il suo torace.
    Le mani, leggermente sudate, lo stringevano debolmente, a scatti.
    La luce artificiale feriva gli occhi.
    Accanto a lui, Liam aveva l’aria corrucciata e pensosa di chi prende una decisione ardua e difficile.
    Sulle mozzarelle da acquistare.
    “Questa sembra più buona, vero?” domandò il professore, voltandosi a guardare Will.
    Il ragazzo fece spallucce, disinteressato.
    Non capiva molto di marche ed era, in ogni caso, una buona forchetta.
    “Scade troppo tardi!”
    “Quindi? Più tardi è e meglio –“
    “Sarà piena di conservanti.”
    “Ah.”
    Will tacque, sprofondando nell’imbarazzo.
    Puntualmente comprava i prodotti con la scadenza più lontana, preoccupandosi poco della salute e della qualità.
    “Vediamo se c’è quella italiana.” mormorò Liam, concentratissimo.
    Will sorrise, osservandolo mentre si destreggiava alla ricerca di latticini italiani.
    Aveva mani grandissime Liam.
    Molto più belle delle sue, magre e trascurate. Le mani del suo amante erano eleganti, armoniose. Lisce e pallide, proporzionate alle dimensioni dei polsi. Quasi bianche alla luce dei neon e fredde, spesso. Affusolate, le mani di Liam sembravano quelle di un pianista.
    Nella mente di William erano inestricabilmente strette alle sue, in un pugno forte ed infinitamente delicato.
    Le mani del suo uomo lo proteggevano, conoscevano la grazia e la gentilezza.
    Quel giorno, Liam indossava un anello portato tante volte. Piccolo e metallico, ornato da un quadrato centrale da cui partivano quattro bracci diversi: la croce di santa Brigida, protettrice dell’Irlanda e dei bambini.
    Liam era o era stato, in qualche momento della vita, cattolico.
    Le sue abitudini religiose, come tante piccole cose che s’imparano da bambini, erano rimaste un punto fermo nel caos. In qualche modo, avevano resistito.
    Anche se Liam non credeva più.
    “Che hai?” indagò il professore, interrompendo il corso dei pensieri di William.
    “Io? Niente!”
    Il ragazzo gemette lievemente, quando sentì la mano dell’amante sulla guancia.
    “Hai quello sguardo …”
    “Che sguardo?”
    “Sei così caldo e sei … arrossito. Hai gli occhi che brillano.”
    “Davvero?”
    “Sì, sembrano tutti liquidi e luminosi alla luce. Sembrano –“
    “Saranno i neon.”
    Liam scosse il capo e si avvicinò per un bacio. Will si ritrasse, quasi spaventato.
    “Ci vedono.” mormorò, esitante.
    “Non siamo a Cambridge.” rispose lui, sfiorandogli le labbra con dolcezza.
    Will sorrise per l’emozione.



    Le risate di Liam e Stevie echeggiavano per il corridoio.
    Cordelia e Will entrarono in camera degli ospiti contagiati dalla gioia dei loro cari.
    La donna aveva portato con sé due cuscini per l’ospite.
    “Non resta che prendere le federe e metterli a letto. Solo che non ricordo dove … puoi controllare i cassetti?”
    Will obbedì, volenteroso.
    Per primo, individuò lo scomparto con le lenzuola e prese a cercare.
    “Ce ne sono due, ma sono … rosa!”
    “Un colore delicato e rilassante.” osservò Cordelia, diplomatica.
    Il ragazzo scoppiò a ridere.
    Cordy ghignò complice e tese la mano, afferrando un album scuro, nascosto nelle profondità dell’armadio di riserva.
    William spalancò gli occhi per la sorpresa.
    “Voglio mostrarti una cosa.” mormorò la padrona di casa, accomodandosi sul letto dell’ospite. “È di Liam, credevamo di averlo perso nel trasloco, ma …”
    Delicatamente, lei pulì la superficie scura dell’album, sciogliendo i lacci logori che lo sigillavano. Dentro, erano custoditi decine di disegni a matita, a carboncino. Ritratti e paesaggi di finissima fattura, realizzati dalle belle mani di Liam.
    “Ti piacciono, vero? Alcuni di questi disegni sono stati realizzati quando ancora abitavamo in Irlanda. Sono d’epoca, in un certo senso.”
    Will scosse il capo, intimorito da un improvviso pensiero.
    “Ma … lui vorrebbe che …”
    “Non preoccuparti.” fece Cordy, conciliante. “Liam è molto riservato, ma mostra sempre i suoi disegni alle persone che ama.”
    Will arrossì e non osò aggiungere altro.
    Cordelia rise.
    “Sei così timido! Mi piaci. Ah … ecco! Il primo!”
    Nel foglio ingiallito dal tempo, il ritratto di una ragazza, sorridente e lieta.
    “Lei è Buffy.” spiegò, indicandola.
    Will scrutò il volto della giovane.
    Il naso curiosamente imperfetto, i grandi occhi chiari, spalancati e scintillanti di vita, l’acconciatura pratica, sportiva. Qualcosa, nella ragazza, sembrava rifulgere. L’espressione fresca da adolescente tradiva una forza ed una determinazione singolare.
    “Lei è … beh, il grande amore tormentato di Liam! La ragazza che mio fratello lasciò prima di trasferirsi in Inghilterra. Personalmente, trovavo la loro relazione melodrammatica e noiosa. Erano semplicemente due ragazzini incazzati con l’Irlanda e il mondo e si creavano tutta quest’epica romantica per giustificare il loro malessere! Non mi stava molto simpatica Miss Summers, anche se devo ammettere che mio fratello impazziva per lei. So che, adesso, Buffy è diventata un medico famoso e stimato. Buon per lei.”
    Will non trovò parole adatte ad un commento.
    Si lasciò catturare dall’ennesimo ritratto di donna.
    Più matura, sensuale e consapevole.
    “Darla.” mormorò Cordelia.
    Il viso triangolare e perfetto della ragazza era ritratto obliquamente, quasi in modo distorto.
    Lei non sorrideva, si limitava a fare una smorfia compiaciuta all’artista che, evidentemente, l’adorava. I capelli lisci, sciolti incorniciavano occhi verdi e dorati come quelli dei gatti. Il sopracciglio destro era sollevato, in una posa ammiccante.
    “Darla, la donna che Liam frequentò nei suoi anni più … tormentati. Te ne ha parlato?”
    “Sì, mi ha detto qualcosa.”
    “Bene, lei era la partner in crime del giovane scavezzacollo che era mio fratello. Il loro legame è durato molto, nonostante lei fosse più grande, ed è stato asfissiante, ossessivo. Sono contenta che Liam sia riuscito a troncare con lei, non penso fosse salutare una relazione del genere.”
    Ancora un foglio, ancora un profilo.
    Di giovane uomo, forte e ambizioso.
    “Lindsay!” spiegò Cordy, ridendo. “Oddio! Non credevo che avesse fatto … oh, cavolo! Will, ti presento l’acerrimo rivale del mio fratellone! Lo ricordo bene, quel patetico idiota! Lui e Liam hanno cominciato a detestarsi sin dal primo incontro. In seguito la loro relazione è … involuta, mi verrebbe da dire. Hanno messo in mezzo anche il sesso ed è stato quasi peggio.”
    Cordelia proseguì col suo catalogo.
    “Darla, Darla, Buffy … io con un’acconciatura che non ti permetterò mai di vedere … oh!”
    Una piccola foto stropicciata rivelava un Liam giovane, sorridente, travestito da nobiluomo settecentesco.
    Will la prese.
    L’amante in costume doveva avere vent’anni al massimo.
    Il suo sguardo era diverso. Più aperto, divertito, istintivo.
    Lo sguardo di un ragazzo che godeva senza troppi pensieri delle gioie della vita.
    “Questa l’hanno scattata ad Halloween. Vedi, dietro, tutte quelle zucche?”
    “Sì. Lui … sembra così felice. Era davvero bellissimo quando si sentiva felice ...”
    Cordy aggrottò le sopracciglia, incuriosita dall’affermazione del giovane ospite.
    “Non era felice,” dichiarò infine. “Era ubriaco.”
    Riprese a sfogliare le pagine dell’album e s’imbatté in una foto che la fece sussultare.
    “Doyle …” sospirò, portandosi una mano al cuore.
    Di riflesso, Will si tese a confortarla.
    “Stai bene?” domandò, preoccupato.
    Cordy sorrise, scuotendo il capo.
    “Sì, sto bene. Lui … beh, immagino l’avrai intuito: è Doyle, il padre di Steven.”
    William tacque, riflessivo.
    “Non sapevo … non sapevo di questo ritratto e sono rimasta un po’ sorpresa, ecco tutto.” sminuì lei, carezzando il profilo dell’uomo gentile, dolce che aveva amato.
    “Ma lui è …”
    “Non c’è più. È morto sul lavoro, prima che Steven nascesse. Erano molto amici, Doyle e Liam, e fu proprio mio fratello a presentarmelo. Partimmo per l’Inghilterra tutti assieme, una sera di fine luglio. Doyle aveva uno stupido borsone a fiori che perse durante il viaggio e … cercammo alloggio in una casa popolare e vivemmo nella stessa stanza, per mesi.
    “Presto, Liam trovò lavoro: al porto di giorno, in pizzeria la notte. Non so davvero quando trovasse il tempo per studiare e preparare gli esami! Io trascorrevo le giornate con Doyle. Lui era buffo e stupido, non riusciva a combinarne una giusta e sembrava sempre sul punto di baciarmi solo che non lo faceva mai! Ci mettemmo insieme nel giro di poco tempo e furono quattordici mesi bellissimi, pieni di risate e di amore. Doyle aveva preso a lavorare nello stesso porto di Liam, orario praticamente continuato.”
    Cordelia si portò una mano alla bocca, trattenendo il pianto.
    “Accadde una sera. Mio fratello doveva studiare e rimase a casa. Doyle cadde da un’impalcatura e venne schiacciato per errore. Io non so cosa –“ disse, interrompendosi bruscamente. “Mio fratello impazzì. Passò le notti ad imprecare e a sentirsi in colpa. Era convinto che, se fosse stato presente, la tragedia non si sarebbe compiuta. Non riusciva ad accettare che Doyle … In ogni caso, mi aveva fatto un regalo prima di andarsene, quel gran cretino! Nel giro di otto mesi diventai madre di Steven e il resto lo sai.”
    Will annuì.
    Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto dal rumore della porta che si apriva.
    Era proprio Liam.
    “Cor? Stevie è crollato, dovresti metterlo a letto.” suggerì il professore, cullando il nipote che teneva stretto al petto.
    Cordy sorrise e prese il figlio, allontanandosi dopo aver augurato la buonanotte.
    Liam chiuse la porta alle sue spalle.
    Adocchiò l’album da disegno, aggrottando le sopracciglia.
    “Mi dispiace.” esordì William, alzando lo sguardo. “Li ho visti.”
    Il professore ripose i ritratti e si sedette sul letto dell’amante, accanto a lui.
    “Perché ti scusi?” sussurrò, carezzandogli il volto.
    “Non so … sei un uomo riservato.”
    Liam rifletté.
    “Non fa niente. Non mi dà fastidio.” rispose.
    “No?”
    La replica seguente fu un bacio e un abbraccio.
    Will si ritrovò col capo poggiato sui cuscini.
    Liam lo scrutava, emozionato.




    24 .






    “Dobbiamo parlare.”
    Liam stava lavando i piatti.
    Aveva le mani immerse nell’acqua schiumosa del lavandino. La sua pelle, priva della protezione dei guanti, era arrossata e calda.
    “Cos –“
    “Dobbiamo parlare.” ripeté Cordelia, inflessibile.
    Con un gesto deciso, la donna aveva chiuso la porta della cucina e fissava il fratello, minacciosa.
    Liam aggrottò le sopracciglia, confuso.
    “Cos’è successo?”
    “Dimmelo tu!” ripeté lei, spalancando gli occhi con fare teatrale. “E spiegami perché non mi hai detto niente! Sei piombato in casa, con questo ragazzo … cosa dovrei pensare? Non mi hai accennato nulla, neanche nelle telefonate!”
    “Cordelia …”
    “Io credevo che mi dicessi tutto! Non tutto, è ovvio, ma tutto! Sei una maledetta testa dura, Liam! Ti ostini con questo atteggiamento da ‘mi tengo tutto dentro e sprofondo nell’abisso della depressione’, ma io sono tua sorella e sono qui per te! Non ti avrei giudicato, se mi avessi rivelato di esserti innamorato di uno studente! Santo cielo, sono cose che succedono e lui mi sembra tanto un bravo ragazzo e tu … oddio!”
    Liam rimase fermo, immobile.
    Sollevò solo le mani. Gocciolanti.
    “Hai finito con la tua tirata?” chiese, incerto.
    La sorella s’imbronciò.
    “Sì, ho finito.”
    “Bene.”
    “Credevo mi dicessi tutto.”
    Liam chinò il capo.
    “Perdonami.”
    “Non voglio che mi domandi perdono, voglio che mi dici perché mi hai nascosto l’esistenza di William! Tu sei innamorato di lui.”
    Il professore sospirò, turbato.
    L’ultima frase di Cordelia l’aveva scosso nel profondo, riempiendogli il cuore di paure e incertezze.
    “Io … so che non vorresti sentirlo, ma mi dispiace. Veramente. Non avrei neanche dovuto portarlo in casa, a queste condizioni. Mi dispiace tanto, Cor.”
    “Non essere dispiaciuto. Dimmi solo perché temevi il mio giudizio. Sai, lui mi piace. È carino, dolce e ha un bel paio d’occhi espressivi. Mi sembra comprensivo e generoso. Sa fare le battute ed apprezza il mio polpettone!”
    Per la prima volta dall’inizio della conversazione, Liam sorrise.
    “Gli è piaciuto davvero.” disse.
    “Lo so. So anche che ti ama, ti ama tanto.”
    “Lui … lui ti ha detto che …”
    “Non ce n’era bisogno!” fece Cordy, allargando le braccia. “Quel ragazzo brilla d’amore per te! Basta vedere il modo in cui ti guarda per capirlo. Da quanto tempo state insieme?”
    Il fratello avvampò, imbarazzato.
    “Noi … non stiamo insieme … non potremmo, è complicato.”
    “Complicato. Chissà perché me lo aspettavo!”
    La voce di Liam si fece carezzevole, sofferente.
    “È uno studente.”
    Cordelia tacque.
    “NON GLI HAI DETTO NULLA?!” esclamò poi, sconvolta.
    “Cordelia, ti prego! Ci sentono!”
    “Non gliel’hai detto? Non gli hai detto che lo ami?”
    Il professore strinse gli occhi, gesticolando.
    “Non dovremmo neanche farlo questo discorso! Non è consigliabile … è complicato!”
    “Ma tu dovresti dirglielo. Se lo ami, dovresti farlo. Diresti solo la verità, Liam!”
    Lui non rispose e si sedette, improvvisamente stanco.
    Cordy lo raggiunse e gli carezzò le sue spalle tese.
    “State già insieme, rischiate già. Cosa cambierebbe se dichiarassi il tuo amore? Di cosa hai paura?”
    “Ho paura di me stesso,” sussurrò Liam. “Di quello che faccio alle cose. La vita dovrebbe essere bella e luminosa, ma per quanti sforzi io faccia – “
    La sorella si accomodò accanto a lui che sembrava indifeso e fragile, nonostante la statura imponente.
    “Liam, ascoltami. Convinciti di quello che sto per dire, perché è la verità. Tu sei un uomo meraviglioso, unico. Sei gentile e buono. Proteggi quelli che ami, sei pronto al sacrificio e doni generosamente il tuo tempo, il tuo aiuto. Sai ascoltare e sei ragionevole, quando si tratta di risolvere i problemi. Sei molto bello - non per nulla mi somigli! - e hai molto da offrire. Hai molto da offrire alla persona che ti ama, e non fai nulla alle cose. Non sei colpevole di niente. Ficcati in quella dannata testa che meriti l’amore e la felicità che questo ragazzo può darti! Meriti di essere felice.”
    Cordy sorrise.
    “Ti ricordi quando Steven era piccolo? Piangeva sempre ed io non riuscivo mai a tranquillizzarlo. Un giorno, scoppiai a piangere anch’io. Come avrei fatto senza il tuo aiuto? Senza la tua stupida canzone di Manilow stonatissima e atroce, e il tuo abbraccio confortante? Sei il mio eroe, senza di te Stevie non sarebbe venuto su così bene.”
    Liam la strinse forte, senza aggiungere altro.
    “Per questi ed altri motivi, dovrei lavorare in un centro di assistenza psicologica.” scherzò lei. “Sto facendo tirocinio con Mister Depressione!”
    “Smettila, Crudelia.”
    “Finiscila tu, Deadboy.”
    Liam chiuse gli occhi.
    La stanza profumava di limone.



    Si erano salutati sulla soglia di casa, qualche minuto prima del tramonto.
    Liam si occupava dei bagagli e Cordelia chiacchierava con William, facendosi promettere che si sarebbero rivisti presto, augurandogli buona fortuna e chiedendogli una piccola dose di pazienza in più.
    Il professore aveva chiamato il ragazzo e, trafelato, l’aveva raggiunto prima di congedarsi dai familiari.
    Un abbraccio a Cordelia, forte e affettuoso, intervallato da un migliaio di raccomandazioni paterne. Un bacio a Steven.
    Il bambino, dispiaciuto e solo, sedeva sulle scale.
    Liam l’aveva raggiunto e si era chinato a guardarlo negli occhi.
    Così diversi dai suoi, così simili.
    Un bambino ed il suo quasi papà.

    “Verrò a vederti il quindici, per la recita scolastica.”
    “Ti mostrerò i nuovi disegni.”



    Il cielo era sereno, terso.
    La fredda oscurità crepuscolare sembrava tingerlo di mille sfumature di blu.
    Celeste, ceruleo, azzurro, indaco … i colori negli occhi di William.
    Accucciato nel sedile passeggero, silenzioso, il ragazzo guardava la strada che scorreva.
    Aveva il capo leggermente abbassato per la stanchezza; dall’angolazione privilegiata, il suo naso imperfetto e i bei zigomi pronunciati si prestavano ad uno strano gioco di luci e ombre.
    Freddi e severi, i toni di azzurro deprimevano il volto, mentre lampi di giallo e rosa lo esaltavano, rivelandolo nell’espressione tranquilla, riflessiva.
    La luce artificiale, che colorava le palpebre pesanti e le labbra gonfie, dava a William un aspetto infinitamente giovane, fragile. Teneramente immaturo.
    Il ragazzo sembrava fatto di carne zuccherina. Da assaggiare.
    La piega imbronciata della sua bocca esprimeva, però, una cupa tristezza, una malinconia incontenibile.
    “Ehi … Will.”
    Il ragazzo si voltò. Sorrise.
    “Non sono di compagnia, vero?”
    Liam ricambiò il sorriso, confortato.
    “Non preoccuparti. Sei stanco?”
    “Sì.”
    “Senti … conosco un motel qui vicino. Potremmo … potremmo passare la notte lì, visto che sei tanto stanco. Domani ci alziamo presto e torniamo a Cambridge. Sarebbe un’occasione per passare la notte insieme prima del ritorno.”
    “Sì.” affermò Will, senza pensarci un secondo. “Sì, andiamo.”



    “Questa è la stanza. Non c’è il televisore. Il bagno è quello a destra, l’acqua calda ci mette un po’ ad arrivare e le prese non funzionano. Ci sono queste qui, a lato. Se avete bisogno di qualcosa, chiamate.”
    Il tizio grassoccio che si occupava degli alloggi diede le chiavi a Liam e si dileguò.
    Il professore chiuse la porta, orientandosi nella stanza spoglia, priva di comodità.
    William si era seduto sul letto matrimoniale, coperto da un piumone verde opaco, smorto; con piccole spinte saggiava la durezza del materasso.
    “Come ti pare?” domandò Liam, incerto.
    Il ragazzo sorrise calorosamente.
    “Perfetto.”
    “Bene. Nelle borse ci sono le provviste che ci ha lasciato Cordelia, potremmo mangiare quelle. Se vuoi, però, posso scendere di sotto, vedere cos’hanno. Vuoi qualcosa di caldo, vero? Una fetta di pizza?”
    “Sto bene così. Prendiamo le bibite e le patatine e mangiamo quello che ci ha dato Cordy.”
    Liam si grattò la nuca, sconsolato.
    “Che hai?” chiese Will, adocchiando il gesto nervoso.
    “Niente. Solo che … questo posto fa veramente schifo, non avrei dovuto permettere che ci mettessi piede. Non avevo pensato a quanto fosse squallido e tu –“
    William ridacchiò, divertito.
    “Non preoccuparti, professore. Sono contento all’idea di passare un’altra notte con te, soli e lontani dal resto del mondo. Sono davvero contento.”
    Liam si abbandonò alle braccia che lo cingevano, alle labbra che lo sfioravano, delicate.
    “Voglio ringraziarti.”
    “Per che cosa?”
    “Per avermi portato a conoscere la tua famiglia.” mormorò il ragazzo, premuroso. “So quanto ha significato per te, sono le persone che più ami al mondo, e sono così –“
    Liam prese il volto dell’amante e lo baciò appassionatamente.
    “Sono io che devo ringraziare te.” sussurrò, col fiato corto. “Sono io. Lascia che ti dimostri quanto ti sono grato.”



    “… E da grande vuole diventare come te …”
    Stretti stretti nel letto troppo morbido, Will e Liam godevano degli ultimi attimi di veglia.
    Il ragazzo inglese, steso sul fianco, abbracciava il professore, ascoltando assorto il ritmo del suo battito cardiaco. I suoi capelli ricci, indisciplinati solleticavano il petto nudo di Liam.
    Profumavano di menta.
    Per il freddo, Will aveva indossato una maglia che l’amante tirava su occasionalmente, nello sfiorargli la schiena.
    Era caldo e assonnato.
    Sbadigliava ad ogni parola.
    Accarezzandolo, Liam fissava il soffitto, ad occhi aperti.
    “… Stevie è davvero un bel bambino e ti somiglia molto, sai? Ti somiglia … ha il tuo sguardo accigliato …”
    Il professore baciò il capo dell’amato.
    “Sei meraviglioso con lui. In ogni tuo gesto si vede quanto gli vuoi bene …”
    Le ciglia di Will sbattevano più velocemente nel combattere la spossatezza.
    La voce del ragazzo era roca. Le parole sparse, sognanti.
    “Sarai un padre fantastico, coi tuoi bambini … tu sarai un padre … li renderai felice e li crescerai bene. Sarai un padre fantastico …”
    Stringendolo più forte, Liam ascoltò il respiro di Will che scivolava nel sonno.
    Deglutì, nell’oscurità della stanza.





    25 .





    Il lieve ticchettio della pioggia contro il vetro animava di musica la cucina silenziosa.
    Limpida, la luce mattutina la rischiarava, illuminandola nell’essenzialità accogliente.
    Nel fare il suo ingresso, Liam non s’azzardò ad accendere la lampada.
    Con calma, godette del piacere solitario di preparare il caffè, catturando con lo sguardo la bellezza del giorno nascente.
    Will dormiva placido, nel suo letto.
    Sorridente, il professore ripensò all’incontro della sera prima e si concesse uno sguardo all’orologio.
    Nonostante gli sforzi tesi a sfinirlo, continuava ad alzarsi prestissimo. Non poteva svegliare il ragazzo, stanco e poco propenso alle levatacce, l’unica soluzione era tornare in camera a gustare in silenzio la paradisiaca visione dell’amante dormiente.
    William aveva preso possesso del letto, stendendosi a gambe e braccia spalancate.
    Nudo, coperto a malapena dalle lenzuola stropicciate, lo studente respirava quietamente nella penombra della stanza. I timidi raggi solari, filtranti dalle imposte chiuse, illuminavano la curva elegante della sua schiena, i ricci biondi dai riflessi dorati.
    Liam sospirò illanguidito, chinandosi all’altezza del capo di Will, sopprimendo il desiderio di sfiorarlo. Non voleva disturbare il suo riposo.
    Tuttavia, il proposito di guardare senza toccare risultava alquanto difficile da onorare.
    Con accortezza, l’insegnante si concesse di scostare una ciocca ribelle, che pareva invitarlo alla carezza con la sua consistenza soffice e profumata.
    Indugiando più del dovuto, diede un bacio leggero alla spalla luminosa dell’amato. Si tese a scrutare la sua espressione corrucciata, trattenendo una risata affettuosa.
    Era buffo, Will. Adorabile.
    Neanche nel sonno riusciva a rimanere in silenzio per più di un minuto e le coperte che lo avvolgevano pativano spesso per i movimenti avventati da ciclone pieno di vita.
    Liam era estasiato da tanta energia, da tanta passione.
    Si sentiva quasi un adolescente, desideroso di stringere, baciare, prendere ancora.
    L’oscuro potere che William esercitava imbrigliava la volontà e i pensieri razionali.
    Oscuro potere.
    L’insegnante ridacchiò, ironico.
    A cosa avrebbe paragonato il suo Will?
    Il suo Will,
    Era bello,
    Bellissimo.
    Pareva nato per essere amato.
    Dolcemente Liam gli massaggiò i capelli, sfiorando la nuca.
    William reagì, sospirando lungamente di piacere. Teso contro le dita dell’amante, il ragazzo mugolò come un gattino soddisfatto.
    Deliziato, Liam intensificò il ritmo delle carezze, sfiorando con le labbra la base del collo, il punto prediletto che amava riempire di baci e morsi appassionati.
    L’espressione di Will era degna di ritratto.
    Tuttavia, realizzare un ritratto comportava fatica, distacco, tempo … cose a cui non voleva pensare circondato dal calore della pelle amata.
    Pigro, il professore si premette contro la schiena del ragazzo, omaggiandola con bacetti impercettibili.
    Con ingordigia, spogliò il corpo dell’amante, privandolo del misero riparo delle lenzuola. Attento, prese a scrutarlo, deciso a non tralasciare neanche il minimo dettaglio.
    Will era snello e muscoloso, quasi androgino.
    Sottile, pallido come un dio fanciullo scolpito nel marmo.
    Il giovane studente inglese era Ganimede adorato dagli uomini e dal dio, Antinoo imbronciato e pieno di grazia.
    I suoi ricci di miele lo rendevano simile ad un soggetto di ritrattista preraffaellita, la linea tesa dei polpacci e delle braccia tradiva, invece, un’invidiabile prestanza fisica.
    Liam era soverchiato, sconvolto dall’attrazione per la sua bellezza.
    Ogni singolo dettaglio, dal profilo della mascella alla curva delle natiche, diveniva ai suoi occhi esempio di incontrastabile perfezione.
    Infreddolito, lo studente si voltò e si strinse forte, coprendo il torace vulnerabile.
    Premuroso, il professore si precipitò a riscaldarlo col piumone.
    Il ragazzo mugugnava e sorrideva, inconsapevole.
    Liam lo amava.
    Lo amava
    .
    Per anni aveva pensato alla passione come a qualcosa di tremendo e doloroso, portatore di lacrime e disperazione. Accanto a William però, Liam sentiva di riscoprire la gioia dell’amore romantico, la tenerezza senza odio.
    Anche le ansie e le incertezze che, di tanto in tanto, sentiva di provare non erano così tremende e spaventose. Dovute, piuttosto. Ombre insignificanti nella luminosità splendente di un sole.
    L’amore che provava per Will lo riscaldava dentro, gli infondeva coraggio, lo rendeva completo e sicuro. Perché aveva tanta paura a dichiararlo?
    Temeva le conseguenze, l’abbandono, la perdita … ma William era più forte di tutto.
    Il suo Will, confusionario e dolce, sarebbe rimasto per sempre, come un punto fermo nella vita.
    Eccitato e felice, Liam si sentì sussurrare una dichiarazione d’amore.
    Ghignò, ironico.
    Finalmente disturbato nel suo riposo, il ragazzo aggrottò la fronte, socchiuse gli occhi.
    “Cosa … cosa fai? Perché mi guardi così?” domandò, con la bocca impastata dal sonno.
    Liam fece spallucce, carezzandolo.
    “Come?”
    “Ho … ho detto qualcosa mentre … ho detto qualcosa?”
    “No.”
    “Allora? Ho una faccia sbattuta?”
    Il professore scosse il capo.
    “È che ti amo.” ammise, con naturalezza.
    Will si accigliò, turbato.
    Spalancò gli occhi.
    “Ripeti.” comandò, senza ulteriori spiegazioni.
    Liam fu contento di obbedire.
    “Ti amo.” ribadì, serio. “Ma lo sai questo, no?”
    Will non trovò lo spunto per ricambiare la risata.
    Si tese e baciò l’amante, con decisione e rapidità.
    “L’hai detto.”
    “Sì.” assicurò lui, avvolgendolo in un abbraccio. “L’ho detto.”
    “Ripeti ancora.” disse il ragazzo, in un sorriso.





     
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    Ad occhi chiusi, sospirando, Liam godeva del massaggio dell’amante sulla pelle umida.
    Le mani di Will lo carezzavano, solleticando la schiena calda e profumata, intervallando la dolce consistenza della spugna al delicato posarsi delle labbra.
    Will amava prendersi cura di Liam.
    C’era, nella sua passione, una componente tenera che quasi faceva da contrasto con l’aggressività erotica di cui pure era capace. Colmo di devozione, il ragazzo si concedeva a Liam e sentiva Liam concedersi a lui, senza più remore.
    “Sei pronto.” sussurrò William, premendo il viso nell’incavo del collo dell’insegnante.
    Liam sorrise al solletico provocato dai suoi ricci.
    Spense il getto della doccia e aiutò l’amato ad asciugarsi, avvolgendolo in un morbido asciugamano di spugna, ricevendo un bacetto come premio alla gentilezza.
    “Stamattina lavori?”
    “Nel pomeriggio. Tu, lezione?”
    “Nessuna, però devo andare via immediatamente.” rispose Will, scuotendo il capo.
    Senza preoccuparsi di asciugare i capelli, il ragazzo si avviò in camera da letto.
    I suoi abiti giacevano nella poltrona accanto al matrimoniale sfatto.
    Anche Liam si vestiva pigramente.
    “Come mai devi scappare?”
    “Ho un’infinità di cose da sbrigare. Devo passare in segreteria, incontrare Xander, studiare …”
    “Ecco, sì: dovresti.”
    William s’imbronciò.
    “Non fare il professore con me!” esclamò offeso, agguantando i jeans sgualciti. “In questo istante risulteresti poco credibile.”
    Liam non indossava che i boxer.
    “Hai ragione,” ammise lui, a malincuore. “Ma devi studiare lo stesso. Sai che lo dico per te.”
    “Sì, lo so.” replicò il ragazzo, affettuoso.
    Animato da inconsueto coraggio, provò ad intavolare con una discussione più seria.
    “Sai, pensavo …”
    “A cosa?”
    “A noi.” esalò, quasi senza fiato.
    Liam si tese all’ascolto, vagamente turbato dal tono di voce e dall’espressione del ragazzo.
    “Cosa pensavi?”
    Will sorrise.
    “Stiamo insieme da quanto? Da mesi, ormai. A pranzo devo incontrare Xander, dobbiamo discutere di sciocchezze da coinquilini, di organizzazione per le vacanze estive e, pensavo, potrebbe essere l’occasione giusta per parlargli di noi. Sarebbe bello.”
    Immobile, il professore sciolse il nodo di tensione che gli serrava la gola.
    Prese una maglia nera.
    La indossò.
    “Non credo sia una buona idea.” mormorò, infine. “Mi sembra pessima, per la verità.”
    “Non lo conosci neanche! Non conosci Xander né il resto dei miei amici! Nessuno sa della nostra relazione!”
    “Ed è un bene, non credi? In gioco c’è la tua carriera e il test d’ammissione al dottorato. Rendere pubblica la nostra storia sarebbe controproducente, in questo momento ed in queste circostanze.”
    William aggrottò la fronte, scettico.
    “Chi parla di renderla pubblica? Io intendo rivelarlo solo ai ragazzi.”
    “È la stessa cosa.”
    “No. Loro non lo sbandiererebbero ai quattro venti!”
    “Ne sei convinto?”
    William afferrò la giacca scivolata sul pavimento, serrando la presa più del dovuto.
    “Non mi piace il tuo tono.” affermò, deciso. “Stai escludendo una possibilità a priori, senza conoscere le persone di cui parli, giudicandole preventivamente.”
    “Per carità, non sto giudicando nessuno!”
    “Ah no? Tu credi che Xander e gli altri correranno a dare l’avviso al Cancelliere, non appena sapranno di noi due! Come puoi fidarti così poco di loro? Sono i miei amici.”
    “Saranno anche tuoi amici,” concesse Liam, severo. “Ma sono ancora ragazzini. Non sapranno gestire un’informazione del genere. Correranno a confidarla a destra e a manca, compromettendo il lavoro di mesi, compromettendo il nostro legame.”
    Lo studente spalancò le braccia, sorpreso.
    “Hanno la mia stessa età! Sono un ragazzino anch’io?”
    “Non volevo dire questo …”
    “E cosa volevi dire, sentiamo? Non mi consideri al tuo stesso livello?”
    “William, non esagerare! Non distorcere il senso delle mie parole.”
    “Non sono io quello che esagera! Hai bocciato una proposta naturale, senza ascoltare.”
    “Cosa c’è da ascoltare? Quello che chiedi non ha senso!”
    Il ragazzo strinse gli occhi, esasperato.
    “Non hanno senso le continue bugie che invento per fugare sospetti, per venire da te senza troppe domande! Sto ingannando tutti, sono un bugiardo.”
    Liam sospirò.
    Si tese in avanti, incerto se carezzare William.
    Rimase fermo, compostamente.
    “Non li stai ingannando.” disse. “Stai solo cercando di gestire al meglio la situazione. Sei uno studente, stai preparando una tesi di dottorato e ti agevoli della mia esperienza. Non dovresti avere una relazione con me. Non dovresti.”
    “Ma ce l’ho! Cosa cambia se lo dico a Xander?”
    “E se Xander lo dice ad altri? Cosa cambia, allora? William, io potrei anche essere licenziato per quello che sto facendo con te. Non è saggio, non è giusto, non è raccomandabile. Dio solo sa quante volte –“
    “Non ricominciare. Non ricominciare, per favore. Riesci solo a farmi sentire colpevole.”
    “Non voglio farti sentire colpevole!” mormorò il professore, in un sussurro strozzato. “Non voglio.” ripeté, frustrato dall’impotenza. “Ma non voglio essere oggetto di pettegolezzi ed azioni disciplinari. Non voglio compromettere per sempre la tua carriera.”
    Will chinò il capo.
    Esausto, si sedette sulla poltrona, coprendo il volto con le mani fredde.
    “E quindi? È questo quello che suggerisci, continuare a mentire?” chiese, amareggiato. “Io non ce la faccio più. Non ho mai mentito per così tanto tempo.”
    “Smettila di dire che menti!”
    “Ma è quello che faccio!” sbottò il ragazzo, inferocito. “Come fai ad essere così insensibile? Non ti capisco davvero! Tu non sei per niente come me, non so nemmeno perché –“
    “Perché mi ami?” terminò Liam, a labbra strette. “Dillo. Non sai perché mi ami. Lo capisco.”
    “Non fare la vittima!”
    “Io sono il carnefice.”
    “Smettila, Liam! Smettila! Non ti sto incolpando di nulla, ti chiedo solo di ascoltarmi!”
    “Perché? Perché adesso? Stavamo così bene fino a qualche minuto fa, perché dobbiamo litigare?”
    “Perché io ti ho chiesto una cosa e tu non hai fatto che alzare muri su muri!” replicò Will, scattando in piedi.
    “Lasciami, allora.”
    “Non dire stronzate …”
    “Lasciami, William.” ripeté il professore, avanzando inesorabile, afferrando il volto del giovane amante. “Lasciami se sei troppo stanco, ma non compromettere il futuro che stai costruendo. I tuoi amici potrebbero isolarti o cercare di vendicarsi.”
    “Non Tara e Will. Loro capirebbero, lo sento.”
    Liam scosse il capo.
    “Non è delle ragazze che mi preoccupo e lo sai. Xander e gli altri sanno che sei omosessuale? Sanno che provi attrazione per gli uomini?”
    Will serrò gli occhi, negandosi allo sguardo dell’amante.
    “Rispondimi, William. È di questo che si tratta. Io non sono soltanto un insegnante, sono anche un uomo adulto, del tuo stesso sesso. La gente tende a non capire questo genere di cose.”
    “Ma … non è più come prima. Noi non siamo emarginati …”
    Liam sorrise amaramente.
    “Non sai di quanta rabbia, di quanta invidia e pregiudizio sono capaci le persone. Ci metterebbero al patibolo, credimi.”
    Will si abbandonò a lui, stanco.
    Socchiuse gli occhi e sfiorò le mani tese di Liam.
    “Non c’è soluzione.” disse. “Non c’è soluzione.”
    Il professore annuì, impietoso.
    Provò a baciare le labbra dell’amato che si ritrasse immediatamente, d’istinto.
    “Non farlo.”
    “William …”
    “Non farlo adesso. Hai vinto, va bene? Hai vinto, ma non toccarmi.”
    Liam esitò, sorpreso.
    Lasciò il volto di William e si distanziò di un passo dall’amante risentito.
    “Non diremo niente neanche stavolta.” sospirò il ragazzo, quasi a se stesso.
    Silenzioso, prese a raccogliere appunti, libri, la tracolla consumata.
    “Ho molti impegni.” dichiarò, congedandosi. “Devo andare.”



    Liam lo ritrovò nel tardo pomeriggio, seduto in una panchina solitaria, nella stradina asfaltata che costeggiava le rive del Cam.
    Sembrava così minuto e fragile – giovane – accartocciato su stesso, avvolto in una felpa immensa e chiara come la sua pelle. Il bagliore del sole che tramontava sul fiume tingeva il suo volto di mille sfumature d’arancio, di rosato. Il suo profilo era netto e inconfondibile nella luminosità tenue del paesaggio.
    Pareva ancora più bello.
    “William.” chiamò il professore, intimidito.
    Ad un passo dalla panchina vuota non osava avvicinarsi.
    “Will …”
    “Siediti.” mormorò il ragazzo, facendogli spazio, indicando il posto libero. “Siediti accanto a me.”
    Liam accolse l’invito e serrò le labbra, costringendosi ad un religioso silenzio.
    Will lo affiancò e gli prese una mano.
    “Va tutto bene. Abbiamo già fatto pace.” mormorò, deciso.
    Liam serrò la stretta in preda ad un immenso dispiacere.
    “Perdonami.”
    “L’ho già fatto.”
    “Sono inqualificabile. Sono la persona più inadatta a vivere una storia d’amore.”
    Will accennò un sorriso.
    “Immaginavo che l’avresti detto.”
    “È la verità.” sussurrò lui, inflessibile. “Finisco per ferire quelli che amo, inevitabilmente. Non volevo farlo a te, ma è successo anche stavolta.”
    “Capita di discutere.”
    “Non voglio più farlo, però.”
    “Neanch’io. Non m’importa di non poterlo dire a nessuno, se il premio è poter stare con te. Tra la libertà di dichiararmi e il tuo amore, sceglierei sempre e solo il tuo amore.”
    Sorpreso e commosso, Liam si tese e baciò le labbra di Will.
    Si staccò da lui, col fiato corto.
    “Ti amo.”
    “Ti amo anch’io.”
    “Troverò un modo per non farti soffrire, troverò un modo per –“
    “Taci.” comandò il ragazzo. “Stringi la mia mano.”
    Liam obbedì, senza una parola.
    Rivolse lo sguardo al sole caldo e alle stelle nel cielo.
    Lontano da lui, due paia di occhi scuri scrutavano l’incontro amoroso, in un misto di livore, eccitazione e rabbia.







    27 .







    Camminando per il dormitorio con una canzone da fischiettare, Will non si accorse di aver superato il corridoio che conduceva alla sua stanza. Giunto dinnanzi all’ala delle ragazze, si bloccò e provò a guardarsi intorno per capire come tornare indietro.
    William Shelby, un uomo con la testa rigorosamente altrove.
    Nella mente del ragazzo si alternavano le immagini dell’incontro di riappacificazione con Liam. Una calma assoluta gli pervadeva il cuore, i muscoli stanchi, intorpiditi. La dolcezza della passione pienamente soddisfatta.
    Liam, desideroso di fare ammenda, si era concesso a lui in tutti i modi possibili, esprimendogli lo sconfinato bisogno che provava e rafforzando il vincolo d’amore.
    L’intensità del sentimento era tale da sconvolgere.
    Sospirando assorto, Will entrò finalmente in camera sua.
    Salutò Xander, che preparava gli appunti da portare a lezione.
    “Ciao, Xan.”
    “Will. Credevo non tornassi neanche stamattina.”
    Sorridente, il ragazzo si gettò sul letto che lo attendeva.
    “Sai come funziona, ogni tanto mio padre si ricorda di avermi messo al mondo e –“
    “Basta con queste stronzate.” esalò Xander, mortalmente serio.
    William indugiò, lo sguardo sulla schiena contratta del coinquilino.
    “Che hai detto?”
    “Ho detto basta con le stronzate.” ripeté l’amico, fronteggiandolo. “Non sei stato a dormire dai tuoi.”
    “Xander …”
    “Non dirmi altre vaccate, Shelby! Tu detesti anche la vista di tuo padre, è assurdo pensare che vai a casa sua ogni fottuta notte! Inoltre, non ti vedo mai prendere l’auto, quando esci dal dormitorio.”
    “Perché vado nei parcheggi dal cortile esterno.”
    “Sì, altre cazzate. Quanto sei ipocrita, Will! Mi fai schifo.”
    Il ragazzo inglese si tese, serrando i pugni in un moto di anticipazione timorosa.
    “Cosa ti hanno detto?”
    “Non ho avuto bisogno di sentire niente, genio. Ti ho visto. Ti ho visto limonare alle panchine con quel … oh cazzo William, hai una storia col tuo tutor?!”
    Will sospirò, dispiaciuto.
    “È successo. Io e Liam …”
    “Io e Liam?” ripeté Xander, fuori di sé dalla rabbia. “Cominci i discorsi così? Da quanto tempo continua questa recita, da quando l’hai conosciuto? Per questo sculettavi tanto per farti assegnare a lui!”
    “Io non sculettavo, Harris! Conoscevo a malapena Liam.”
    “Ti prego, non chiamarlo per nome in quel modo! Quel tizio è un professore ed è più vecchio di te di almeno una decina d’anni. È un autentico bastardo se pensa di poter venire qui a fare i suoi comodi con gli studenti!”
    “Che dici?!” esclamò Will, attonito. “Quello che lui ha con me non l’ha con nessun altro!”
    “Dicono tutti così, lo dice anche Hamilton che promuove chi gli dà il culo. Tu non hai fatto niente del genere, vero William? Non sei arrivato fino a quel punto?”
    L’interpellato non rispose.
    Serrò le labbra, immobile.
    Xander spalancò gli occhi al limite dello stravolgimento.
    “Non ci posso credere!” ululò, sconcertato. “Dio, non ci posso credere!”
    Will provò ad avvicinarsi a lui, comprensivo.
    “Queste sono cose che capitano. Io mi sono innamorato di lui e –“
    “MA CHE CAZZO DICI?!” sbottò Xander, volgare.
    Il suo volto era rosso per la collera.
    “Che cazzo dici?” ripeté, falsamente calmo. “Tu non sei gay! Diamine Will, tu ed io ci facevamo le seghe davanti alle foto di Cameron Diaz! Cos’è?! Sai passato dall’altro lato della barricata? I tuoi gusti si sono evoluti da bionda, piccola e sexy ad alto, moro e maschio?!”
    Il ragazzo chiuse gli occhi, frustrato.
    Provò a spiegare.
    “Neanche io l’avevo previsto, ma è successo! E, ti giuro, è la cosa più bella che mi sia mai capitata! Liam mi ama ed io lo amo.”
    “Non crederai a queste idiozie?! Quel tipo vuole solo scopare e ti usa perché sei un bersaglio facile, perché è un professore ed ha il coltello dalla parte del manico! Perché ti metterebbe col culo a terra se lo lasciassi!”
    “Non è vero!”
    “Vi amate tanto? Perché, allora, non andate a dirlo al Cancelliere, in amministrazione o semplicemente alla gente che vi sta accanto?! Sei caduto nella trappola di un bugiardo manipolatore, Will! Non c’è altra spiegazione.”
    Il ragazzo tese le braccia.
    “Come fai a dirlo?!” gridò. “Ti è davvero così difficile accettare il mio amore per un altro uomo?!”
    Xander scrollò le spalle, incredulo.
    “Non è possibile. Non hai fatto che mentire per mesi, nascondendo a tutti la verità, inventando stupide scuse. Il Will che conosco non l’avrebbe mai fatto, c’è qualcosa sotto.”
    “Non c’è niente, non c’è –“
    “Mi vuoi dire che sei veramente così?” interruppe Xander. “Sei un bugiardo ed un traditore di natura? Eravamo anche in pensiero per te, dannazione! Per le tue continue assenze e il tuo allontanamento! Abbiamo pensato che … e invece no! Sei un piccolo Giuda nato, Shelby?”
    Will serrò i pugni.
    “Non parlarmi con questo tono.”
    “Con che tono devo parlarti, adesso?” replicò l’amico. “Non lo so più! Io credevo di conoscerti, ma scopro di non aver capito proprio un cazzo! Hai tradito la mia fiducia, William, hai tradito la fiducia delle persone che ti vogliono bene. Come fai a non vergognarti?”
    “Mi dispiace, ma non c’era altra soluzione. Non avrei potuto continuare a vederlo, se …”
    “… Se ci avessi detto tutto, vero? Furbo, il dottor O’Connor. Veramente molto furbo.”
    “Non è come pensi!”
    “Ti sbagli, è esattamente come penso. Quel figlio di puttana irlandese ti sta usando a suo piacimento.”
    Incapace di controllarsi, Will strattonò la maglia del coinquilino, spingendolo contro la libreria.
    La replica dell’avversario non tardò ad arrivare.
    “Sei diventato anche manesco?”
    “Smettila con queste cazzo di domande sarcastiche! Non sai niente di quello che sto passando!”
    “No, non so niente. Non so assolutamente niente.”
    Xander infierì su Will, premendolo contro una scrivania.
    Il ragazzo se lo scrollò di dosso con uno strattone.
    “Non volevamo metterci nei guai! Non volevamo separarci!” spiegò, concitato.
    “E avete raccontato un mare di stronzate! Ma io so che è stata una sua idea! Tu hai solo acconsentito vigliaccamente. Ti piace così tanto l’irlandese?”
    “Da morire, Harris.”
    “Ti piace così tanto fargli da putt –“
    Il destro di William fendette l’aria e colpì il naso di Xander.
    Il ragazzo indietreggiò, stordito.
    Barcollante, si portò le mani al volto, nascondendosi allo sguardo.
    L’amico si tese, sconvolto e dispiaciuto. Provò a sfiorarlo.
    “Dannato inferno! Scusami, non volevo!”
    Il giovane ferito si inginocchiò per terra, scacciando la presenza di Will, imprecando sommessamente.
    “Mi hai colpito … mi hai colpito …”
    “Mi dispiace! Non volevo, credimi.”
    Alzando gli occhi, luminosi d’odio e disprezzo, Xander lanciò un ultimatum.
    “Sparisci.” intimò, determinato. “Sparisci prima che io mi rialzi. Non voglio più vederti, William. Non voglio più avere niente a che fare non te. Mi fai solo schifo.”
    Atterrito, Will indietreggiò di un passo.
    Provò a scusarsi ancora, ma non trovò parole adatte.
    Afferrata la giacca e la tracolla, corse via dalla stanza.






    28 .






    La luce mattutina era fastidiosa, violenta e accecante.
    Con una mano a coprire gli occhi e l’altra a scansare i passanti, William correva in direzione dell’abitazione di Liam. L’amante, salutato solo qualche ora prima, poteva ancora essere in casa e Will aveva bisogno di lui, del suo conforto, della sua capacità di razionalizzare.
    L’atteso confronto con Xander si era consumato e il ragazzo impazziva al pensiero di un rifiuto dell’amico. Di tutte le cose che sarebbero potute accadere, quella gli pareva la peggiore in assoluto.
    “Liam! Liam!” chiamò, bussando insistentemente alla porta.
    Nel quartiere residenziale regnava un silenzio soffocante.
    “Liam!” ripeté, senza speranza.
    Evidentemente, il professore era uscito.
    Impossibile pensare di cercarlo, non in quelle condizioni.
    Mesto, Will si decise a ripercorrere i suoi passi. A vagare per le aule del campus, colmo d’ansia e di incertezza.



    Ritornò in stanza, al dormitorio, intorno alle cinque del pomeriggio.
    Xander non c’era.
    Will non sapeva se sentirsi sollevato per l’incontro evitato o temere il peggio. Un trasferimento dell’inquilino, magari. Impotente, si sedette sul letto. Provò ad immaginarsi solo, senza amici e si sentì devastare dalla tristezza. Sprofondò tra i cuscini, chiuse gli occhi. Lo squillo del telefono lo riscosse, impedendogli di riposare.
    Si tese di scatto.
    “Pronto?”
    All’altro capo intervenne una voce femminile acuta, dal lieve accento gallese.
    “È lei William Shelby?” domandò la sconosciuta.
    Will s’imbronciò, incuriosito.
    “Sono io.” rispose. “Con chi parlo?”
    “Buonasera signore, sono la nuova domestica e chiamo per conto di Roger Shelby, suo padre.”
    “Mi dica.”
    “Il signore mi ha chiesto di informarla che la attende nel suo studio, la prega di raggiungerlo immediatamente.”
    “Cosa? Perché? È successo qualcosa a mia madre? Dov’è lei?”
    “La signora è uscita qualche minuto fa, ha detto che tornerà per cena. È suo padre che desidera vederla.”
    “Capisco.” sussurrò il ragazzo. “Dica a Roger che sono sulla strada.”
    Afferrando le chiavi dell’auto, Will uscì nuovamente.



    Fu la sconosciuta domestica, nuovo acquisto di casa Shelby, ad aprirgli la porta.
    La giovane, simpatica e esile, si presentò a Will e lo accompagnò sino all’ingresso dello studio paterno. Anche lei pareva perplessa per la singolare richiesta, ma conosceva poco Roger Shelby e non si sarebbe permessa di sindacare le sue abitudini. Congedandosi con cordialità, la ragazza lasciò l’ospite da solo.
    Will bussò, trattenendo un sospiro.
    “Papà …” mormorò, in un saluto svogliato.
    Lentamente chiuse la porta alle sue spalle.
    “Accomodati e stai in silenzio. Sto concludendo una lettura.” informò Roger, inforcando gli occhiali e tornando ad scrutare i suoi volumi antichi.
    Will serrò le labbra.
    Pazientemente, si predispose all’attesa.
    Lo studio del padre non era cambiato di una virgola dall’ultima volta che vi aveva messo piede, qualche anno prima.
    Cupo, riccamente arredato, pareva un’immagine vittoriana, sbiadita e lontana nel tempo, avvolta in un’aura di legno d’acero. Morbidi tappeti di marca coprivano l’elegante parquet, costantemente lucidato e curato sino a risultare nuovo. Due ampie librerie si contendevano le pareti, sfoggiando agli occhi dei visitatori un bagaglio letterario non indifferente.
    Alle pareti, i ritratti dei nonni, dei bisnonni; la famiglia completa, con William bambino, imbronciato e serio. Neanche un quadro di Joyce, neanche una delle sue bellissime creazioni astratte e piene di vita.
    “Mi hai fatto chiamare con urgenza, mi sono quasi spaventato. Adesso che sono qui e ti comporti come se fossi un fantasma?” domandò Will, stufo.
    Roger chiuse il tomo che reggeva con le belle mani lunghe e pallide.
    Alzò lo sguardo di vetro. Chiaro, come quello di William.
    “Ti sei quasi spaventato?” ripeté, affascinato.
    Will notò una sfumatura particolare nella sua voce, di anticipazione e gelo.
    Fece spallucce, incerto.
    “Mi hai fatto chiamare con urgenza.”
    Il padre esitò, assaporando un lungo respiro, saggiando la consistenza di una vecchia stilografica raramente adoperata.
    “Mi stupisce che tu sia capace di tanto. Provare paura. Potrebbe esserti salutare, William. Il timore è un naturale impulso alla conservazione. Se razionalizzato e incanalato, può rivelarsi un grande strumento di sopravvivenza. Dubito che tu abbia un tale senso in te, figlio mio. Dovresti provare timore per le conseguenze. Dovresti imparare a frenare i tuoi istinti più bassi.”
    Will strinse la mascella, controllando l’impulso di reagire.
    “Perché mi hai fatto chiamare?” chiese, deciso.
    Roger tolse gli occhiali e massaggiò il naso aquilino, nascondendo il volto tra le mani.
    “Stamattina ho riletto il vecchio trattato di un maestro sull’educazione dei fanciulli. Ho scrutato le mie pubblicazioni trentennali, provando un forte senso di mestizia e amarezza.”
    “Cosa –“
    “Non hai ancora imparato a non interrompere l’interlocutore che parla. Sei avventato e irruento, esattamente come tua madre. Imparerai a cambiare anche tu.”
    William trattenne l’ennesima domanda, serrando i pugni sino a farli tremare.
    Il padre tornò a fissarlo con malcelato disprezzo.
    “Per anni,” disse, proseguendo nel monologo. “Per anni ho insegnato nelle università inglesi più prestigiose, preparando e formando la futura classe dirigente. Tre quarti del corpo amministrativo e docente di Cambridge ha dato esami col sottoscritto, sottoponendosi al giudizio, crescendo nella preparazione. Ho stretto la mano di giovani laureandi che, nel giro di anni, sarebbero divenuti direttori di banche, avvocati, membri stimati del tessuto sociale di questa nazione. Sono stato un ottimo insegnante e non ho mai dubitato dell’onestà intellettuale dei miei metodi. Ho cresciuto un figlio, un unico figlio, donandogli la possibilità di eccellere, di accedere al meglio. Evidentemente, ho fallito.”
    Will non replicò all’affermazione del padre.
    Concentrato, provò ad analizzarne il significato recondito.
    Nel cuore, la sensazione d’inadeguatezza spesso provata dinnanzi al genitore severo e inflessibile.
    “Come hai potuto guastare tutto?” domandò Roger, serrando le labbra in un gemito di disapprovazione.
    “Che intendi?”
    “Tu ... sei la più grande delusione della mia esistenza.”
    Le vene del collo dell’anziano docente s’ingrossarono senza che egli avesse urlato.
    Una consapevolezza dolorosa ferì la coscienza di Will.
    “So di quale vergogna ti stai macchiando,” annunciò il padre, stanco e implacabile. “So cosa stai facendo con quel –“
    “Sai di Liam.”
    Gli occhi del professore fiammeggiarono.
    “Non osare mai più nominarlo in mia presenza! Voglio che dimentichi e cancelli questo sventurato passo della tua giovinezza. Stai umiliando te stesso e la tua famiglia, mi fai quasi pena.”
    “Tu mi fai pena!” replicò William, aggressivo. “Non sai niente di me!”
    “Non osare parlarmi con questo tono!” inveì il signor Shelby, battendo la mano sulla superficie della scrivania. “Sei un debole, William! Un egoista senza cervello! Anni e anni di sacrifici gettati al vento … per cosa? Dovresti essere migliore di così! Dovresti essere un uomo adulto!”
    Will ingoiò una replica piena d’odio e provò a farsi forza, respirando lentamente.
    “Ho passato ore a chiedermi cosa ti avesse spinto ad una tale, insensata scelta. Sei sempre stato un mediocre, William, e adesso …”
    “Smettila, cazzo.”
    “Come, prego?”
    Il ragazzo serrò la mascella sino ad impallidire.
    “Smettila, cazzo!” esclamò a gran voce.
    Lo sguardo del padre si fece ancora più collerico.
    “Non spetta a te decidere! Io amo Liam e continuerò ad avere una relazione con lui!”
    “Non ti azzarderai! Porrò fine a questo scempio. Anzi, ho già provveduto.”
    Arrossato, col cuore in gola, Will si bloccò, sciogliendo i pugni chiusi.
    “Cosa hai fatto?”
    “Ho contattato alcuni amici di vecchia data, ho stabilito il necessario per porre fine a questa incresciosa situazione.”
    “Cosa?”
    “Il dottor O’Connor verrà trasferito in un’altra sede, lascerà l’incarico al termine di Giugno. Al suo posto verrà assunto un collega stimato, effettivamente capace di tenere separati gli ambiti della carriera da quelli della vita privata. Tu proseguirai coi tuoi studi, avanzerai domanda per sostenere l’esame di dottorato e concluderai la tua carriera triennale nel modo più brillante possibile, volgendoti ad uno studio ancora più approfondito e rigoroso …”
    “… Non puoi. Non puoi farmi questo …”
    “Di questa faccenda non si parlerà mai più, né in casa né altrove.”
    William cercò appoggio alla parete.
    Sospirò, socchiudendo le labbra tremanti.
    “Non puoi separarmi da lui, io non posso vivere senza Liam.”
    “Dimenticherai questa sciocca cotta giovanile. Cercherai una ragazza di buona famiglia, magari.”
    “Non puoi.”
    “Posso e l’ho già fatto. Liam O’Connor sta per lasciare questa città.”
    Will si tese, arrivando a scrutare il crepuscolo grigio oltre le finestre candide.







    29 .






    Ardente di rabbia, Will corse fuori dalla casa paterna.
    Superò velocemente il giardino e raggiunse il cancello d’ingresso nei pressi del quale aveva parcheggiato l’auto. Disperato, si abbatté sullo sportello freddo, lasciandosi andare ad un urlo di dolore sordo, primitivo.
    Liam stava per lasciarlo, la gioia dei mesi spesi nell’amore svaniva inesorabilmente.
    Singhiozzando inconsolabile, il ragazzo si fece forza e salì in macchina.
    Una fitta coltre di nebbia permeava l’aria della sera, conferendole una consistenza lattiginosa e opaca, impenetrabile.
    Will dovette socchiudere gli occhi e scacciare le lacrime che gli inumidivano il volto per potersi concentrare alla guida. A causa dello stordimento emotivo, che rendeva difficile la concentrazione, sbagliò lo svincolo da imboccare per raggiungere la città universitari e dovette fare un tratto di strada superiore al previsto, estenuante. Alle porte del centro storico, la stanchezza divenne intollerabile. Le gambe tremavano e il volante si faceva più scivoloso. Preoccupato di poter fare un incidente, Will decise di parcheggiare.
    Si accostò ad un marciapiede, sul tratto di strada che precedeva il corso principale.
    Chiuse gli occhi.
    Il pensiero di tornare al dormitorio somigliava ad un incubo, sopportare anche il disgusto di Xander pareva impossibile.
    Spinto dalla necessità, scelse di rimandare il ritorno in camera, decise di concedersi una passeggiata rilassante.
    Scese dall’auto e venne investito da una folata di vento gelido che lo fece rabbrividire.
    Ancora una volta aveva dimenticato di portare con sé un giaccone più pesante, adatto al freddo della sera. Rischiando un malanno, testardo, Will sfregò le braccia in un gesto di tiepida consolazione e prese a camminare in direzione della piazza illuminata.
    Accanto a lui un corteo allegro di studenti e studentesse in libera uscita.
    Nell’aria, profumo di birra.
    Infreddolito e stanco, Will entrò in un locale.



    Bruciante, l’alcool cancellava i pensieri foschi che tormentavano l’anima del giovane inglese.
    Con lo sguardo perso nel vuoto, in preda ad un’apatia soffocante, William scrutava il bicchiere colmo di liquore da ingurgitare. Il terzo, nel giro di pochi minuti dall’ingresso.
    A poca distanza dal suo tavolo, una folla festante di colleghi danzava al ritmo sostenuto della musica elettronica. Le luci psichedeliche, rossastre e abbaglianti si alternavano in un effetto frastornante. Will le scrutava nello specchio distorto del suo drink. Fuori, la nebbia si era fatta più fitta.
    Intorpidito dal calore della stanza chiusa, il ragazzo escluse il pensiero di rimettersi in strada, alla ricerca di un locale più tranquillo.
    Una voce lo colse impreparato.
    “William Shelby?”
    Will si voltò, curioso di scorgere lo sconosciuto che l’aveva interpellato.
    Intercettò lo sguardo, profondo e indecifrabile, di un giovane uomo sorridente.
    “Sei tu William?”
    L’interpellato aggrottò la fronte, sorpreso.
    “Tu chi saresti?” ritorse, prontamente.
    Lo sconosciuto mantenne il sorriso immobile.
    “Mi chiamo Edward Myles, probabilmente avrai sentito parlare di me.”
    “Oh … sì. Sei l’assistente di Marcus Hamilton, ho un’amica che segue le tue lezioni.”
    Edward fece un cenno affabile e si accomodò al tavolo dello studente senza attendere invito.
    Concedendosi uno sguardo lungo alla consumazione del ragazzo, piegò la labbra in un’espressione ansiosa e soddisfatta.
    “Sono contento che tu mi conosca. Ricordi il mio nome.”
    Will soppresse un sospiro di fastidio, cercò di concentrarsi.
    “Sì, per puro caso.”
    Edward accennò una risata.
    “Cosa ci fai qui tutto solo? Dove sono i tuoi amici?”
    Il ragazzo si tese istintivamente, sorpreso dal tono confidenziale della domanda.
    “Loro … loro non sono qui.” rispose infine, guardingo. “Non sono venuti. Avevo bisogno di stare un po’ per conto mio.”
    “Ho notato. Hai bevuto abbastanza, non trovi?”
    Impaziente, William scattò in piedi e si allontanò in direzione della cassa.
    “Ehi, dove vai?”
    Will si voltò. Scrutò Edward, con decisione e severità.
    “Noi non ci conosciamo ed io non ti ho invitato a bere con me. Sto andando via.”
    “Così presto?”
    “Sono stanco.”
    “Rimani almeno un altro po’.” suggerì l’assistente Myles, socchiudendo gli occhi scuri.
    Un bagliore artificiale rischiarò il suo volto pallido, indistinguibile e cupo nell’oscurità del locale.
    “Rimani.” fu l’invito languido.
    Will indugiò, a disagio.
    Chinò il capo e sentì la mano di Edward che cercava la sua.
    La respinse.
    “Mi dispiace,” disse. “Non m’interessa, non voglio.”
    L’assistente piegò il capo, in un gesto malizioso e studiato.
    “Adesso dici che non vuoi, ma quando si trattava del tuo prezioso irlandese ti sei concesso senza remore.”
    L’espressione di Will divenne di pietra.
    Il ragazzo trattenne lo stupore, mordendosi le labbra addolcite dall’alcool.
    “Cosa c’entra il professor O’Connor?”
    Per tutta risposta, Edward lo attirò a sé, avvicinando la bocca all’incavo del collo, sfiorando con le dita la schiena tesa e la nuca invitante.
    “Io so tutto.” fece, sensuale. “So tutto.”
    “Lasciami!” esclamò il ragazzo, staccandosi brutalmente.
    L’assistente strinse la sua maglia quasi a volerla strappare.
    “Non puoi andare via.”
    “È quello che sto facendo, invece.”
    “Così farai licenziare il tuo prezioso amante, non supererai il test di ammissione al dottorato.”
    “Cosa dici?!”
    Edward non rispose.
    Lasciò la parola a Marcus Hamilton, alto e imponente dietro di lui.







    30 .





    “Cosa diavolo succede qui?”
    “È quello che dovremmo domandarti noi.” rimbeccò Hamilton, sarcastico. “Cosa diavolo succede, William caro?”
    Al centro del corridoio William fronteggiava Hamilton e Myles che, fermi dinnanzi a lui, gli ostruivano il passaggio e gli impedivano di allontanarsi. Sicuro nella sua veste autoritaria, il professore osservava l’espressione incerta del ragazzo con un irritante sorriso di compiacimento.
    “Cosa volete da me?” chiese lui, socchiudendo gli occhi stanchi.
    L’alcool cominciava a fare effetto, provocandogli un senso di confusione e incompiutezza.
    “Cosa volete?”
    “Quello che vorrebbe qualsiasi insegnante in buona fede: aiutarti, mantenere le distanze in un sano rapporto di formazione educativa.”
    “Voi non state affatto mantenendo le distanze.”
    I docenti si sorrisero, malevoli.
    “Stai fraintendendo i nostri intenti, caro ragazzo. Noi siamo qui per aiutarti.” soffiò Edward, seducente. “Liam O’Connor ha abusato della sua posizione, costringendoti a pratiche riprovevoli. Siamo qui per denunciare il suo comportamento scorretto e salvare la tua carriera promettente.”
    “Ma che cazzo dite?!” esalò Will, stordito. “Liam non ha mai fatto niente del genere! Quello che c’è stato tra noi è stato perfettamente consensuale! Noi ci siamo innamorati!”
    “Che tenerezza! Anche tuo padre la pensa allo stesso modo?”
    Il ragazzo deglutì a vuoto.
    “Cosa c’entra mio padre?”
    “Stamattina, al telefono, non sembrava contento di sentire della tua relazione.”
    “L’avete detto a mio padre! Siete stati voi?!”
    Il giovane inglese tese un braccio e lo poggiò alla parete umida, frenando un principio di vertigine. Stanco, provò a comprendere meglio la situazione difficoltosa dalla quale non sapeva come evadere.
    “Avete telefonato a mio padre?” ripeté, forzandosi alla calma.
    Hamilton tossì, compunto.
    “Dal momento in cui abbiamo appreso della novità infausta. Ci siamo sentiti in dovere di informare il professor Shelby. Come sai, è uno stimato membro della comunità docente.”
    “Voi … voi … non avevate alcun diritto!”
    “Ti spiego io chi non ha diritti.” riprese l’insegnante, deciso. “Liam O’Connor non ha diritto ad intrattenere una relazione sessuale illecita con uno studente.”
    “Non è illecita! Io sono maggiorenne!”
    “La penserà così anche il Cancelliere? Gli atti dello statuto dell’università confermeranno? Quella che O’Connor ha commesso è una violazione bella e buona del codice di comportamento a cui è sottoposto! La pena per un’infrazione tanto grave è la sospensione dal servizio, il licenziamento in tronco!”
    “No!”
    “Non mi credi? Vai in amministrazione e chiedi informazioni. Dimentico, però, che la vostra è una relazione segreta. È stato l’irlandese a chiederti di tacere?”
    Will ansimò, schiacciato dalla sofferenza.
    Alzò lo sguardo per scrutare in quello gelido di Hamilton, rifuggì la cattiveria nell’espressione di Myles che si avvicinava a lui e gli sollevava la maglia.
    “Hai deciso che è tempo di rovinare il tuo amato professore?”
    “No.”
    “Allora cedi alle nostre richieste e noi non riveleremo a nessuno quello che abbiamo scoperto. Terremo segreto e foto compromettenti tutte per noi.”
    “Foto? Che foto?”
    “Quelle di te che stringi il dolce maestro.” sussurrò Edward, carezzando il collo di Will con la lingua.
    Il ragazzo rabbrividì di disgusto e si negò, con uno strattone.
    L’assistente lo schiaffeggiò, inviperito.
    “Fottetevi.” mormorò William. “Fottetevi entrambi. Non farò quello che chiedete.”
    “Lo farai, invece. Lo farai o distruggeremo la reputazione di O’Connor e lo trascineremo in giudizio. Tu lo ami, vero?”
    Will trattenne il fiato.
    “Lo ami?”
    “Cosa volete che faccia.” sillabò infine, vinto.
    Hamilton sorrise magnanimo e tese le mani in avanti, arrivando a sfiorargli le gambe coperte dallo spesso tessuto dei jeans.
    “Non è giusto. Io non -“
    “Sta zitto.”









    La camera era spartana, sudicia.
    Avvolta in un’oscurità cieca, sgombra di mobili.
    Dal piano di sopra si udivano i rumori dei giovani in festa, lo strepitio dei passi e dei salti che facevano vibrare le pareti, il rimbombo cupo della musica elettronica. L’unica finestra, blindata come quella di un carcere, rivelava il bagliore indistinto e verdastro dell’illuminazione urbana.
    Will giaceva sul letto misero. Nudo, tremante di dolore.
    Le lenzuola strette nei pugni, gli occhi serrati contro il cuscino.
    Il corpo dell’estraneo, imponente e caldo, lo avvolgeva in una stretta mortale, soffocante.
    Due mani grandi, lievemente irruvidite percorrevano la schiena tesa allo spasimo, artigliando i fianchi appuntiti, lasciando marchi e segni visibili come cicatrici.
    La voce dell’estraneo ansimava volgari imprecazioni.
    I sussurri di Liam erano molto diversi.
    Più dolci, profondi.
    Anche le sue mani erano belle e gentili, capaci di donare piacere in un tocco leggero, amiche del corpo tenero che modellavano e scuotevano come il vento con la fiamma.
    Il profumo di Liam era unico, intenso.
    Cipriato e legnoso insieme, salino di sudore.
    L’odore della pelle nuda, maschile e rassicurante, era capace di comunicare forza senza eccessiva veemenza. Intenso perché indelebile.
    Indelebile.
    Le dita che frugavano Will lo lasciavano sofferente e lamentoso come una bestia ferita a morte.
    Il sangue delle labbra morse per trattenere i gemiti macchiava il tessuto del cuscino abusato.
    Candido.
    Vuoto.










    31 .








    William scosse il capo e calciò via le lenzuola luride che lo circondavano.
    La luce del giorno rischiarava a malapena la camera interrata del locale da ballo.
    Risvegliandosi dal sonno agitato che l’aveva colto intorno all’alba, il ragazzo sbatté le palpebre arrossate. Aveva gli occhi appiccicosi di saliva, la bocca asciutta e amara. Fremente di dolore e freddo, provò a tendersi, a sgranchire le dita ancora strette al cuscino lacero.
    Un intollerabile puzzo di sudore permeava l’aria.
    Will si portò una mano alle labbra, combattendo il disgusto.
    Strinse le braccia e raggiunse i vestiti sparsi, indossandoli con inconsueta lentezza.
    La schiena gli doleva, non riusciva a costringersi all’immobilità per più di qualche secondo. I polsi, segnati dai lividi e dai morsi, tremavano incontrollabilmente.
    Coraggioso, il ragazzo riuscì a ricomporsi senza fare rumore.
    In ordine, raggiunse la scala interna che conduceva all’uscita.



    Il salone principale del locale era sgombro. Solo un inserviente si dedicava alla pulizia del pavimento con fare disinteressato. Will lo superò senza salutare e s’immerse nell’accecante radiosità mattutina.
    Un capogiro lo colse impreparato.
    Poggiando una mano alla parete, il ragazzo continuò a camminare in avanti, in direzione del corso principale. Stordito, perse l’equilibrio.
    Cadde sulle ginocchia. Vomitò.
    Un forte attacco di tosse lo costrinse a piegarsi su se stesso e Will ansimò, spaventato all’idea di soffocare. Con gli occhi offuscati dalla stanchezza, si rialzò in piedi. Tornò a camminare.
    La terra sporcava i jeans logori, strappati all’altezza delle ginocchia.
    Pulendo la bocca con la maglietta sgualcita, William si diresse alla prima fermata della metropolitana. Non aveva forza per guidare.



    Una volta in camera, sospirò rassicurato e si abbandonò all’ombrosità familiare e confortante.
    Xander era uscito, il corridoio era silenzioso.
    Esitante, William si mosse in direzione del letto intonso. Si stese, per porre rimedio al dolore di schiena che lo affliggeva, strinse il cuscino morbido tra le dita.
    Improvvisamente qualcosa in lui si ruppe.
    Non riuscì a controllare l’alternarsi dei singhiozzi ed esplose in un pianto disperato.
    L’avevano sporcato, l’avevano sporcato per sempre.
    Non sarebbe più tornato l’innocente che era.
    Premendo il volto nel cuscino, Will cominciò a gemere senza sosta, implorando Dio e Liam e gli amici.
    Una mano tra i capelli lo riscosse.
    Si scansò, nel tentativo di allontanarla.
    “William, sono io.”
    Il ragazzo ingoiò le lacrime, intimorito.
    “Xander?”
    L’amico annuì, indugiando nella carezza delicata.
    “Sì, sono io.”
    “Mi - mi tolgo subito … vado subito via, dammi solo cinque minuti … altri cinque minuti …”
    Will riprese a piangere, serrando i denti nel tentativo di frenare i brividi.
    Preoccupato, Xander si sedette accanto a lui.
    “Cosa è successo?” domandò gentile.
    Il coinquilino non rispose.
    Xander notò i jeans strappati, i polsi segnati dai lividi e l’odore di …
    “Cosa è successo, Will? A me puoi dirlo. Io ti aiuterò, vedrai.”
    William scosse il capo.
    “Mi ha fatto male.” esalò, a bassa voce.
    “Chi ti ha fatto male? È stato quell’O’Connor?”
    Il pianto s’intensificò alla pronuncia del nome.
    “No! Oh … no, ti prego!”
    “Chi è stato, allora?”
    “Ha – Hamilton …”
    “Oddio.”
    “È stato Hamilton. Mi ha fatto male ... mi ha fatto tanto male …”
    Xander trattenne il fiato, impietrito.
    Tornò a carezzare i capelli dell’amico.
    Con dolcezza.






    32 .






    Xander riempì un bicchiere d’acqua e chiuse il rubinetto, con accortezza.
    Sfinito, William dormiva, nella stanza accanto al piccolo bagno.
    Per interminabili minuti il ragazzo aveva cercato di spiegare all’amico le condizioni in cui s’era trovato, ciò che aveva dovuto fare e non avrebbe mai voluto. Xander l’aveva ascoltato in silenzio, stravolto dal disgusto e dal dispiacere. Ansimante, William si era aggrappato alla sua maglia, bisognoso di comprensione e perdono. Aveva pianto, ancora. Era sprofondato in un sonno cieco come quello dei bambini.
    Xander aveva potuto approfittare del momento di stanchezza per telefonare a Tara e Willow, avvertirle dell’accaduto e chieder loro consiglio.
    Will non voleva andare alla polizia, né sporgere denuncia in amministrazione.
    Costringerlo a fare qualunque cosa, nelle sue condizioni, pareva una follia impensabile. Non restava che assecondarlo, almeno nei primi momenti. Aiutarlo.
    Imponendosi fermezza, Xander raggiunse il coinquilino assopito.
    Poggiò il bicchiere pieno sul suo comodino ed aggiustò i lembi della coperta che lo proteggeva.
    William non si voltò.
    Socchiuse gli occhi lucidi di lacrime e sofferenza, sospirando.
    “Xan …”
    “Sono io, Will. Ti sei addormentato.”
    “Quanto?”
    “Pochissimo, neanche un’ora. Riposa.”
    “Non riesco.”
    “Ne hai bisogno invece, riposa.” ripeté l’amico, affettuoso.
    William fissava la parete, inerme.
    Le sue labbra secche erano piegate in un broncio amaro, il volto giovane era impallidito e segnato da un dolore inesprimibile.
    Xander lo scrutava, colpevole.
    Non era passato molto tempo da quando, in preda alla collera, l’aveva insultato senza riguardo.
    Adesso era semplicemente troppo tardi per chiedere scusa.
    “Ti ho portato un po’ d’acqua fresca,” esalò, pacato. “Non vuoi bere?”
    “Non ci riesco.” ripeté l’altro, meccanico.
    “È solo acqua e comunque dovresti mangiare. Sei praticamente a digiuno da ieri, di questo passo ti sentirai male.”
    Aggrottando la fronte in un tacito rifiuto, Will provò a spiegare.
    “Non riesco. Mi ha fatto così male … non ci riuscirò più.”
    “Non dire così, adesso.” mormorò Xander, nel goffo tentativo di risultare confortante. Aveva paura, ma doveva dissimulare. “Vedrai che andrà tutto bene. Ti prometto che troveremo un modo per sistemare la situazione.”
    “Hanno … hanno fatto delle foto, credo. Loro …”
    “Non preoccuparti, ci sbarazzeremo anche di quelle.”
    Singhiozzando, Will si strinse a se stesso, vergognoso.
    “Mi dispiace.”
    “Non è colpa tua.”
    “Io gliel’ho permesso …”
    “Non avevi altra scelta. Ascoltami William, io ti aiuterò e anche i ragazzi ti appoggeranno.”
    Per la prima volta dall’ingresso in camera, il giovane inglese trovò il coraggio di voltarsi a scrutare l’espressione dell’amico. La comprensione che vi lesse lo portò nuovamente alle lacrime. Imbarazzato, premette il viso contro il cuscino. Trattenne il fiato.
    Gentile, Xander tornò a carezzargli i capelli.
    “Ti proteggeremo noi.”
    “Ho tradito la vostra fiducia, ho mentito.”
    “Dimenticalo. Noi ti proteggeremo. Ti vogliamo bene, sai?”
    Will accennò un sorriso incredulo.
    “E … lui? Come mi guarderà lui?” domandò, incerto.
    L’amico esitò, pensoso.
    “Lui ti amerà ancora, vedrai.” sussurrò, infine. “Se il suo sentimento è autentico, continuerà ad amarti.”
    “Mi sento così in colpa ...”
    “Non devi.” assicurò Xander, alzandosi lentamente. “Non devi. Adesso vado a prenderti qualcosa da mettere sotto i denti, torno subito.”
    Annuendo debolmente, Will richiuse gli occhi.
    Xander si congedò dalla stanza più silenziosamente possibile.



    Una volta fuori, fece un cenno a Tara e Willow che, in disparte, attendevano notizie.
    “Sta molto male.” disse soltanto, avanzando in direzione dell’angolino solitario che le accoglieva.
    Tara abbracciava Willow, tremante di tensione, e le massaggiava la schiena contratta.
    “Non c’è niente che possiamo fare? Possibile che non voglia sporgere denuncia?”
    “Gliel’ho proposto, ma lui ha rifiutato categoricamente. L’unica cosa da fare sarebbe costringerlo ad alzarsi dal letto e, onestamente, io non mi sento di forzarlo.”
    Willow prese un respiro, mordendosi le labbra.
    “Ma in questi casi … in questi casi è necessario tempismo! Cosa facciamo se – se …”
    “Hai ragione ma –“
    “Sì che ho ragione, Xander! Ho ragione, per la miseria!” sbottò la ragazza, sciogliendosi dall’abbraccio protettivo della fidanzata. “Ho anche ragione quando dico che sei un stronzo, che non avresti dovuto trattarlo in quel modo! Sta con uomo? Beh, capirai! Anche io sto con una ragazza! Notizia flash: anch’io sono omosessuale! Omosessuale, lesbica!”
    Tara scosse il capo, turbata.
    Sapeva che la reazione concitata dell’amante era dettata dalla partecipazione emotiva.
    Nei momenti peggiori Willow non riusciva ad imporsi il necessario autocontrollo.
    “Mi dispiace!” esclamò la giovane, imbarazzata. “Mi dispiace.”
    “Non fa niente.” replicò Xander, sorridendo malinconico. “Hai ragione come dici. Sono stato un vero coglione ed ho detto delle cose che … spero che William potrà perdonarmi alla fine di tutto questo casino.”
    “Sì, ma adesso che facciamo?” insistette Tara, preoccupata. “Non possiamo permettere che Hamilton la passi liscia!”
    “Questo no. Infatti, sappiamo già a chi dobbiamo rivolgerci. È tutta colpa di quel bastardo e sarà lui a sistemare le cose!”
    “V - vuoi andare da O’Connor?”
    “Esatto!”
    “E ti riceverà?”
    “Guai a lui se non lo farà!” minacciò Xander.
    Determinato, si diresse agli uffici dei professori.









    33 .







    Stanco e disinteressato, Liam si dedicava alla correzione dei saggi tematici presentati nel corso dell’ultima settimana di lezione. L’esame scritto, escogitato per sondare la preparazione generale dei ragazzi, aveva prodotto come risultato testi enormi, dettagliatissimi e accurati, impossibili da visionare in un lasso di tempo ridotto. Non restava che armarsi di caffè espresso in quantità industriale e pregare l’ingegnosa Atena per un agevole svolgimento del compito.
    Quasi a metà dell’opera, l’attenzione dell’insegnante venne catturata dal brusio proveniente dal corridoio.
    Il professore si tese, incuriosito.
    Bussarono alla porta del suo ufficio.
    “Dottor O’Connor …” sospirò la segretaria, mortificata.
    Liam le rivolse uno sguardo pieno di comprensione.
    “Mi dica.”
    “C’è qui un ragazzo che chiede di lei. Gli ho spiegato che non è orario di ricevimento, ma sembra non voler sentire ragioni.”
    “Lo faccia accomodare, non si preoccupi.”
    La porta si aprì nuovamente e Xander Harris fece il suo ingresso.
    Liam si alzò in piedi di scatto.
    Conosceva il migliore amico dell’amante, l’aveva osservato spesso in compagnia di William. Sapeva che la sua visita non poteva essere casuale.
    “Buonasera, cosa posso fare per lei?”
    Il giovane studente socchiuse gli occhi, minaccioso.
    “Mi può dare del tu. Siamo intimi del resto, non è vero?”
    Liam decise di non indugiare oltre.
    “Sei venuto per William?” domandò, onesto. “Hai scoperto la verità?”
    Il ragazzo sorrise malignamente.
    “È questo il suo unico pensiero, non rivelare quello che succede? Lei è veramente un bastardo!”
    “Non ti permetto di parlarmi con questo tono.”
    Xander serrò i pugni, trattenendo l’istinto fisico all’aggressione.
    “Io lo sapevo!” sbraitò, colmo di rabbia. “Sapevo che lei avrebbe provocato solo dolore e sofferenza a William! Gliel’ho anche detto, ma lui non ha voluto ascoltarmi! Per colpa sua, adesso –“
    “È successo qualcosa a William? Sta male?”
    “Sta peggio.”
    “Cosa gli è capitato?”
    Xander si coprì il volto, sconfitto.
    “È stato Hamilton.” disse soltanto.
    “Cosa ha fatto? Che c’entra con William?”
    “Si è sempre vociferato delle attività illecite del professore. Secondo alcuni approfitta del suo potere per ottenere favori e premiare gli studenti che più gradisce, secondo altri … non sono gli studenti a concedersi, è lui che pretende la prestazione sessuale minacciandoli.”
    Liam spalancò gli occhi.
    Una vertigine improvvisa lo disorientò. Dovette reggersi alla scrivania.
    “Cosa stai tentando di dirmi? Cosa è capitato?”
    “Will non è tornato in stanza ieri sera, avevamo litigato. Vi ho visti l’altro giorno, alle panchine. Vi baciavate. Sono corso a dirlo a Will ed è successo un gran casino. Sono volate parole pesanti e pugni, come vede.” ironizzò il ragazzo, indicando il naso gonfio. “Ho detto a William che non avrei più voluto vederlo e lui mi ha preso in parola, si è dileguato. La mattina dopo è tornato in stanza, ma io non c’ero. Ad attenderlo, una telefonata del padre. Roger Shelby è il più grande coglione che esista a questo mondo, ha insultato il figlio come fosse merda e non si è curato di lasciarlo andare via solo, indebolito e triste. William è andato a bere ed ha incontrato Hamilton e il suo assistente, Myles.”
    “Mio Dio …”
    “Loro l’hanno convinto a prestarsi al ricatto, puntando tutto sullo scandalo che si sarebbe creato alla notizia della vostra relazione. William ha tentato di negarsi, ma loro l’hanno costretto.”
    “È … è così che ti ha detto?”
    “Sta mettendo in dubbio la sua parola?” chiese Xander, inviperito.
    La rabbia scemò nel decifrare l’espressione contratta dell’interlocutore.
    Il professore era senza fiato.
    “Hamilton ha forzato William.” disse il ragazzo, addolorato. “Lo ha –“
    “No.”
    Impallidito, Liam si sedette.
    Strinse i bordi della scrivania, quasi ad accertarsi di vivere in una dimensione reale, e scrutò negli occhi dello studente dinnanzi a lui. Deglutì.
    “Come sta adesso?”
    “È in camera. Gli avevo detto di sporgere denuncia, ma non si sente. Dice che Hamilton gli ha fatto male e che non può muoversi.”
    “Mio Dio …”
    “Ci sono … ci sono delle foto a quanto pare, di più non so. William non ha potuto spiegarmi altro.”
    “Capisco.”
    Xander insistette.
    “Non lo abbandonerà, vero? Farà quanto in suo potere per aiutarlo? Lui non voleva!”
    “Penserò io ad Hamilton.” sancì Liam, deciso. “Voi … dovete prendervi cura di lui, invece. Dovete prendervi cura di lui. Ha forse bisogno di un medico?”
    “Non ne ho idea. Adesso non sembra nelle condizioni di … è veramente a pezzi.”
    L’insegnante annuì, con gli occhi pieni di lacrime.
    “Prendetevi cura di lui.” ripeté, accorato.
    Senza una parola, si diresse alla porta, incurante dei testi da correggere.
    Xander si voltò a guardarlo, sbalordito.
    “A quanto pare Roger Shelby ha fatto disporre il suo trasferimento!” esclamò, dubbioso.
    “Non ne ho assolutamente notizia e m’importa poco in questo momento. Grazie d’essere venuto ad avvertirmi, signor Harris.”







    34 .







    William si tese sino a ritrovarsi seduto sul letto.
    A stento, frenò l’istinto d’urlare e nascose il volto tra le mani, trattenendo un singhiozzo disperato.
    Per una volta l’oscurità della stanza gli parve sconosciuta e spaventosa. Tossì, scostando la coperta che lo soffocava, sfregando la pelle umida di sudore.
    Improvviso, lo colse il pensiero ossessivo di una doccia. Non si era più lavato da quando
    Avviluppato in una sensazione di calore insopportabile e nauseato dal suo stesso odore, il ragazzo spalancò la finestra, respirando a pieni polmoni l’odore dell’erba e del vento.
    “Ehi.”
    Sorpreso, si voltò di scatto, arrivando a colpire una scrivania.
    Xander lo scrutò, preoccupato.
    Reggeva un vassoio colmo di tramezzini e tè bollente.
    “Ti sei svegliato. Sono sceso a prenderti qualcosa, come avevo promesso. Devi mangiare.”
    Will scosse il capo vigorosamente.
    La debolezza lo disorientò e Xander lo sorresse prontamente.
    “Non vedi? Non ti reggi neanche sulle gambe.”
    “Devo lavarmi, Xan.”
    L’amico esitò e Will chiuse gli occhi, addolorato.
    Devo lavarmi.” ripeté piano.
    Xander cercò di trovare un compromesso ragionevole.
    “Prima bevi un po’ del tuo tè. Sei davvero pallido, non vorrei che svenissi mentre fai la doccia.”
    “Per favore …”
    “Su questo sono irremovibile.” mormorò lo studente.
    Accompagnandolo nei movimenti con gentilezza, fece sedere il coinquilino.
    William era pur un sempre un uomo come lui, sentiva l’imbarazzo della situazione inconsueta, eppure non poteva tirarsi indietro. Non poteva lasciarlo solo.
    “Grazie per quello che stai facendo.”
    “Non è niente. Adesso bevi, è caldo.”
    William annuì e, con estrema lentezza, si costrinse a finire la tazza.
    Tossì infine, affaticato.
    Xander lo studiò, riflessivo.
    “Perché hai aperto la finestra?”
    “C’è puzza.” sussurrò William, torturando le dita nervose. “C’è puzza.”
    “Will …”
    “Io dovrei lavarmi adesso. Faccio schifo.”
    “Non fai schifo, William, e se penso a quello che ti ho detto solo poche ore fa mi sento una merda. Sono stato uno stupido, ho reagito senza pensare. Non volevo ferirti, però. Tu sai di non essere disgustoso.”
    William tremò, gli occhi pieni di lacrime.
    Impacciato, Xander provò a carezzargli la schiena irrigidita, a stringerlo a sé.
    “Questa cosa di O’Connor …” cominciò, comprensivo. “Io devo ancora capirla bene, ma non è sbagliata. Sono certo che c’è un motivo se ti sei innamorato di lui e, comunque, noi siamo sempre amici, vero?”
    “Sì?”
    “Siamo amici, per sempre. Forza, vai a lavarti. Io ti aspetto.”
    Veloce, Will si diresse al bagno.
    Chiuse la porta, incerto.



    La caffetteria di Facoltà era colma di avventori, rumorosa e accogliente.
    Liam sorseggiava il suo whiskey, scrutando le pareti in legno scuro che recavano le insegne storiche dell’università, le foto più celebri del corpo docente di Cambridge.
    Oltre le ampie vetrate del locale, il cielo si abbandonava alla notte rassicurante e bella, illuminata dal bagliore candido della luna.
    “È un po’ presto per bere, non trovi?”
    L’inflessione accademica dell’interlocutore risultò inconfondibile alle orecchie dell’insegnante.
    Liam alzò lo sguardo stanco per incontrare quello di Wesley.
    “Non voglio ubriacarmi.”
    “Non verresti in un bar frequentato da colleghi e allievi.” concordò l’amico.
    Incurante, prese posto al tavolo, ordinò un altro bicchiere di whiskey.
    “È irlandese?” domandò, colloquiale.
    Liam annuì.
    “Mi sembrava giusto omaggiare.”
    “Bushmills?”
    “Sì.”
    L’amministratore attese l’arrivo della sua consumazione, in silenzio.
    “Cosa è successo?” chiese, asciutto.
    Liam pareva più sfinito del solito, cinereo e malinconico.
    “Hai mai … hai mai sentito voci su Marcus Hamilton?”
    “Voci di che genere?”
    “Riguardo al suo comportamento nei confronti dei ragazzi, sulla sua moralità e su quello che combina negli uffici, in casa o dove diamine vuole.”
    Wesley aggrottò la fronte in un cipiglio indagatore.
    Esitò per un istante, infine rispose.
    “Sì.”
    “Cosa, per la precisione?”
    “Si tratta di pettegolezzi e –“
    “Cosa.” ribadì Liam, determinato.
    “So che Hamilton è un uomo profondamente scorretto ed ho il sospetto che abusi del suo potere per ottenere favori sessuali. Nessuno ha mai sporto denuncia ed io non posso fare nulla, devo accontentarmi dei miei presentimenti.”
    “Capisco.”
    “Se mi dicessi cosa è capitato, forse riuscirei ad aiutarti.”
    Liam scrutò il fondo del bicchiere vuoto.
    Chinò il capo.
    “Non puoi fare più niente, Wesley. Davvero.”
    “Spiegami.”
    Il professore irlandese trattenne una smorfia disgustata e ironica.
    Sospirò, impercettibilmente.
    “Ho un amante, uno studente: William Shelby.” rivelò, impietoso. “Ci vado a letto e mi piace, ma non ho mai detto nulla per paura di una sanzione disciplinare e per il timore di rovinare la carriera al ragazzo. Hamilton ha scoperto tutto ed ha usato il segreto per fare del male a William.”
    L’amministratore spalancò gli occhi, sorpreso.
    “Non stai scherzando, vero?”
    “Sono più serio che mai.”
    “Santo cielo! Io … Marcus ha approfittato del ragazzo?”
    “Sì.” ammise Liam, in un sussurro afflitto.
    “William deve denunciare il crimine.”
    “No. Ho già pensato alla prossima mossa e Will deve starne fuori.”
    “Cos’hai intenzione di fare?”
    “Niente di grave.”
    “Liam …”
    “Ho una sorella ed un nipote, non finirò in galera.”
    Wesley attese, valutando le affermazioni dell’amico.
    “Ricordati qual è il limite.” raccomandò, coscienzioso.
    Seguì un silenzio teso, insostenibile.
    “È buono il whiskey.” osservò l’amministratore, nel tentativo di riprendere il dialogo.
    Liam accennò un sorriso pensoso.
    “Questo qui,” spiegò. “Viene fatto invecchiare almeno cinque anni, dieci o quindici se è di qualità, in botti usate per lo sherry. Per questa ragione ha un sapore così pieno. Ho imparato queste cose da ragazzo, in estate. Quando terminava la scuola, andavo a lavorare nella piccola azienda del mio vicino. Produceva un ottimo liquore.”
    Wesley annuì.
    “Sembri esausto, Liam.” disse.
    “Davvero? Pensi che io sia esausto?”
    “Penso che tu sia un brav’uomo.”
    Liam deglutì, commosso.
    Wesley domandò un’ultima cosa.
    “Ami davvero quel ragazzo, non è così?”
    L’altro non rispose.
    Alzò lo sguardo inquieto, che non celava gli incubi e le paure.
    Col bagliore di una lampada che si spegneva alle sue spalle, Liam O’Connor sembrava il ritratto di un viandante in congedo.
    “Buona fortuna, amico mio.”









    35 .






    L’aria della sera era piacevolmente fresca. Un venticello leggero scuoteva le foglie verdi, i fiori di campo appena sbocciati nelle aiuole che abbellivano l’ingresso della Regent House.
    A passo svelto, Liam varcava la soglia degli uffici deserti dell’amministrazione centrale.
    Un bagliore flebile gli indicava il percorso da seguire. Attraversato il corridoio ombroso, il professore raggiunse la porta di un ufficio legale. La voce dell’avvocato, intenta ad ultimare un lavoro, lo frenò dal bussare.
    “Entra, bel maschione. Per te è aperto.”
    “Buonasera, Lilah.” salutò Liam, chiudendosi la porta alle spalle.
    L’avvocato Morgan sorrideva, oltre la scrivania di vetro lucido.
    Il suo volto sensuale era piegato da una smorfia sottile, enigmatica.
    Gli occhi chiari brillavano di luce pericolosa.
    Avanzando sicuro verso la poltrona libera, Liam studiava la stanza solitaria.
    L’ufficio della Morgan era un esempio di sobria eleganza.
    Interamente arredato nelle mille tonalità del grigio, vantava mobili di pregiata fattura, candidi tappeti e costosi quadri minimalisti. Solo una pianta, rigogliosa e vera, rompeva la monotonia cromatica. Liam la scrutava.
    “Sei venuto a complimentarmi per il mio gusto?” domandò l’avvocato, ironica.
    “Credevo che apprezzassi il silenzio pregnante.”
    “Lo apprezzo, credimi, ma apprezzo anche la loquacità. Tu mi sembravi un tipo più diretto.”
    Sospirando, il docente rivolse lo sguardo all’interlocutrice.
    Sto cercando le parole.”
    Lilah scoppiò a ridere.
    “Per me?! Se questa è una proposta indecente, levati i pantaloni e finiamola!”
    “È indecente in un certo senso, ma i miei pantaloni rimangono dove sono.”
    “O’ Connor!” esclamò lei, accasciandosi teatralmente lungo la scrivania. “Sono stanca, sto facendo straordinario, tu mi vieni a trovare e non lo fai neanche per tirarmi sul il morale?! Ma ti ha mandato lo zio Wes?”
    “No.”
    “Oh, certo. Tu sei un uomo deciso, quando stabilisci di agire lo fai di testa tua ...”
    “Sei una donna molto potente.” constatò Liam, atono. “Devi aiutarmi a distruggere Marcus Hamilton.”
    La risata di Lilah echeggiò per i corridoi della Regent House.
    “Stai scherzando, vero?”
    “Non sono mai stato tanto serio.”
    L’avvocato scacciò le lacrime divertite e Liam la avvicinò, pericolosamente.
    “Ascoltami,” disse, perentorio. Nello sguardo scuro un bagliore violento. “Voglio concederti l’occasione della tua vita. Cosa desideri da questa professione?”
    “Soldi, potere: quello che vogliono tutti.”
    “Li avrai, li avrai una volta che Hamilton avrà pagato.”
    Lilah aggrottò le sopracciglia, incuriosita.
    “Cosa è successo, O’Connor? Piombi qui – potevi, peraltro, piombare più spesso – e te ne esci con questa bella proposta. Chiedi a me - a me - di aiutarti ad incastrare Marcus ... ma sai con chi stai parlando?”
    “Perfettamente.”
    “Allora spiegami: perché mai dovrei collaborare con te?”
    “Perché il caso che sto per proporti potrà fruttarti molto in termini di popolarità, potere e denaro, perché ti sbarazzeresti del tuo principale avversario alla guida dell’amministrazione, perché diventeresti l’unico avvocato di rappresentanza del corpo docente. Scegli tu il motivo.”
    La Morgan si leccò le labbra, ingolosita.
    “Dimmi.”
    “Hamilton ha approfittato di uno studente, ricattandolo, abusando di lui. So che non è nuovo a questo genere di giochetti, ti chiedo di raccogliere le testimonianze che lo inchioderebbero e mandarlo al diavolo, una volta per tutte.”
    “La fai semplice tu! Nessuno ha mai sporto denuncia ed io –“
    “Puoi convincerli.”
    “Non se ne parla!”
    “Sei l’unica che possa farlo.”
    “Ma non ho mai agito. Cosa mi farà cambiare idea adesso?”
    Liam prese un respiro profondo.
    “Lo denuncerò personalmente e affiderò il caso a qualcuno. Non intendo fermarmi per nessuna ragione. L’azione legale terminerà solo quando Hamilton avrà subito una sentenza di condanna definitiva.”
    “Sei convinto di quello che dici … non temi per le sorti della tua carriera?”
    Il professore non esitò.
    “Non m’importa, ho preso una decisione.”
    Lilah accavallò le gambe.
    Accigliata, estrasse un bastoncino di liquirizia dalla confezione di dolci sulla scrivania.
    Lentamente cominciò a mordicchiare la punta nera.
    “E, spiegami, perché intraprenderesti questa santa crociata? Cosa c’è in gioco? Sii sincero però, mi accorgo se menti.”
    Il professore chinò il capo, pudico.
    “Hamilton ha toccato il ragazzo sbagliato.”
    Lilah rise ancora.
    “Hai un amante, non è così? Hai un amante ed è uno studente.”
    “Lilah …”
    “Questa sì che è una cosa eccitante! Ed io ho già capito chi potrebbe essere il fortunato! È il biondino, non è vero? Quello che ti porti sempre appresso.”
    Il professore socchiuse gli occhi, sorpreso.
    “Come –“
    “Per carità! Bisognerebbe essere ciechi per non capirlo! Il ragazzo non ha occhi che per te, ti segue come un cagnolino fedele. Vuoi farmi credere che, con tutti gli amichetti che ti sei fatto, nessuno si è accorto che lo scopavi?! Assurdo! In ogni caso siete una coppia davvero arrapante. Devo anche dire che mi hai stupita, non ti credevo capace del gusto per i maschietti …”
    “Lilah …”
    “Sei proprio un bimbo birichino!”
    “Dimmi cos’hai intenzione di fare. Intraprenderai l’azione legale contro Hamilton?”
    La Morgan rifletté, silenziosa.
    “Dovrei mettermi a combattere contro i mulini a vento … per cosa? Perché il tuo ragazzo non ha tenuto le gambe ben chiuse?”
    “Si chiama abuso sessuale.” replicò Liam, duro. “Hai lacune in dottrina?”
    “Non m’importa.” ribatté lei, candida. “Non sono la grande paladina dei deboli e degli oppressi, non m’importa se il tuo William ha accettato di prestarsi ad un ricatto. Non è né il primo né l’ultimo, doveva stare più attento. Non combatterò una battaglia persa in partenza per difenderlo.”
    “Non è persa in partenza se ti impegni!”
    “E perché dovrei?”
    Il professore strinse la mascella, rabbioso.
    “Per i soldi e il potere! Per insegnare a gente come Hamilton che non sono i padroni del mondo. Perché ti piacerebbe, lo so.”
    Lei non rispose e Liam la fissò, intensamente.
    “Ti piacerebbe.” ribadì, languido.
    Per un attimo il suo volto parve trasfigurato.
    Acceso d’odio, bello di una bellezza diversa.
    Nel suo barlume di rassegnata fatalità e coraggio, Liam era terribile e splendido.
    “Quelli come Hamilton non pagano mai fino in fondo. Io, però, voglio fare abbastanza male da scalfire la superficie per sempre.”
    “Ti rivolgi alla persona sbagliata.”
    “Non credo proprio. Ti sto offrendo la possibilità di salire sul carro del vincitore, di diventare la prima donna alla guida dell’ufficio legale di Cambridge, non sarai tanto stupida da gettare tutto alle ortiche, non sei così fedele ad Hamilton. Tradirlo sarà la tua carta vincente.”
    Lilah cedette.
    “Faremo come vuoi.” disse.
    “Voglio che l’inchiesta parta il più presto possibile. Più in fretta ci muoviamo e più aumentano le possibilità di vittoria.”
    “Non ho bisogno che qualcuno mi insegni come fare il mio mestiere.”
    Liam incassò con una scrollata di spalle.
    “Voglio una foto.” aggiunse.
    “Cosa?”
    “Ho saputo che possiedi foto che ritraggono Hamilton in atteggiamenti compromettenti, alla faccia della profonda amicizia che vi lega. Voglio una foto.”
    “Chi ti dice che io le tenga qui?”
    Il professore allargò le braccia.
    “Come vuoi!” concesse lei, alzandosi.
    Estrasse un volume dalla libreria.
    Mostrò una polaroid.
    “Questa basta?”
    “È sufficiente, sì. Voglio avere la garanzia che tu agirai.”
    “Ce l’hai.”
    Liam insistette, determinato.
    “Devi fottergli la reputazione … e devi tenere fuori il ragazzo.”
    Lilah spalancò gli occhi, incredula.
    “Come faccio senza la sua –“
    “Ne avrai di testimonianze, non preoccuparti. Io e Wesley persuaderemo le vittime, monterai una causa infinita. L’unica condizione che ti chiedo è che William ne stia fuori. Non m’importa del resto, ti cedo i soldi e la gloria, ma lui non deve essere travolto dallo scandalo.”
    L’avvocato si tese, nervosa.
    “Capisci che senza di lui sarà più difficile.”
    “Lo so. È la mia unica condizione.”
    “Vuoi proteggere il tuo amante, non è così?”
    “Rispondimi.”
    “Accetto.” replicò l’avvocato.
    Persuaso, Liam si congedò dalla stanza grigia.









    36 .







    In uscita dall’ufficio di Lilah Morgan, Liam diede un’occhiata fugace all’orologio.
    Le lancette segnalavano un’ora tarda, ora di cena, ed i gorgoglii dello stomaco confermavano la veridicità dell’indicazione. Affamato, il professore si diresse al distributore automatico; silenzioso, rammentò le cene sensuali consumate assieme al ragazzo.
    L’espressione gioiosa di William, le sue labbra dal sapore dolce o salato, gli occhi chiari e luminosi, la schiena meravigliosamente contratta alle carezze.
    Sfinito, Liam premette la fronte contro il distributore, inspirando rumorosamente.
    Sentiva il corpo in fiamme.
    Sentiva il feroce, inarrestabile languore della vendetta da consumare.
    Provò a riflettere sul ruolo da giustiziere che si era ritagliato, evocò le memorie dell’adolescenza violenta, ai limiti della legalità. Anche allora si era sentito padrone di una forza onnipotente. Solo la saggezza e la comprensione avevano salvato la sua anima. Non l’istinto, che non era cambiato, ma il pensiero di Cordelia e Steven, il dolore vissuto.
    Adesso sentiva di poter abbracciare il lato oscuro col controllo necessario, spassionatamente.
    Aveva consapevolezza di essere la guida e non il mezzo, la volontà che dominava lo scopo. Inoltre Hamilton meritava di marcire in galera.
    Lo meritava.
    Individuata una debole luminosità proveniente dal fondo del corridoio, Liam meditò su quanto fossero solerti gli insegnanti di Cambridge. Si diresse all’ufficio di Marcus Hamilton, ancora aperto.



    La testa di cazzo lavorava ancora.
    A capo chino, sulla scrivania stracolma di documenti, redigeva memorie e apponeva firme. Accanto a lui enormi volumi di diritto, ritratti celebri e dipinti costosi.
    Liam li scrutava attentamente, mangiucchiando lo snack all’arancia.
    “Buonasera, O’Connor.” salutò Hamilton, senza staccare lo sguardo dalle sue carte. “Potresti anche spostarti di lì, riempi di briciole il tappeto.”
    Per tutta risposta, Liam gettò in terra i residui del dolce con la carta da confezione.
    Hamilton piegò le labbra in una smorfia contrita.
    “A cosa devo l’onore?” domandò ancora.
    Liam avanzava, minaccioso e lento come un predatore.
    “Passavo per caso …”
    “Non sei venuto a difendere l’onore di uno studentello spaurito?”
    “Io? Mi stavo solo divertendo un pochino. Ti immaginavo con un grosso preservativo in testa, uno che ti coprisse interamente così da essere pronto all’uso. Sai com’è, ogni tanto mi piace lasciare spazio alla fantasia.”
    “Dovresti sapere che sono sempre pronto all’uso. Il tuo prezioso William lo sa.”
    Liam si morse la lingua. Poggiò una mano nervosa sulla poltrona di pelle, stringendola con forza.
    “Allora, teppista irlandese, sei venuto a parlare d’affari o a pestarmi? Immagino che la tua puttana ti abbia detto come –“
    Con un gesto rapido Liam circondò la scrivania di Hamilton, premette l’insegnante contro i fogli, bloccandogli le mani, impedendogli qualsiasi movimento.
    “Prima regola: non nominarlo. Non nominarlo o ti uccido.”
    Eccitato, Marcus si lasciò andare ad una risatina divertita.
    “Sino a questo punto tieni a lui? Ma ti capisco, ti capisco. Quel William è una grande scopata, la migliore degli ultimi mesi.”
    “Stai. Zitto.”
    “Lo sai come ansimava quando lo prendevo? Era osceno. La cosa più erotica che –“
    Liam colpì il capo dell’avversario più volte, sino a stordirlo.
    Strinse i capelli umidi di sudore, strappandoli, e trattenne un urlo feroce.
    Hamilton perse un respiro, soffocò un’implorazione dolorosa.
    “Dannazione, O’Connor! Cosa stai facendo?!”
    “Non capisci?! Sono venuto ad ammazzarti, Marcus.” sillabò il professore, rabbioso. “Sono venuto ad ucciderti.”
    Afferrato un antico tagliacarte, lo fece balenare dinnanzi allo sguardo dilatato dal terrore del nemico. Con la punta incise un segno tra i documenti.
    “Non capisci cosa sono venuto a fare?”
    “Ti prego … ti prego non –“
    “Uomo di merda, già mi preghi? Credi che io abbia finito con te?”
    “Non me la bevo … non me la bevo! Hai intenzione di rinunciare alla tua carriera, alla famiglia e ai soldi per uccidere un rivale?”
    “Sono un teppista di strada, lo hai detto anche tu.”
    “A chi lasceresti il ragazzo, non ti preoccupi di lui?”
    “Cazzi miei.” fu la robusta e lapidaria risposta.
    Hamilton tentò di muoversi e Liam gli serrò il braccio sino a slogarglielo.
    “MALEDIZIONE! Maledetto irlandese!”
    “Non provare a fare lo stronzo con me, ti avverto. Io sono molto peggio.”
    Allentando la presa, si avvicinò all’orecchio dell’avversario.
    Cominciò a sussurrare dolcemente.
    “Ti farei a pezzi in questo momento, non sai quanto desidero accoltellarti a morte e vedere il tuo schifoso sangue che macchia il pavimento.”
    Hamilton rabbrividì, terrificato.
    “Lo sai che io queste cose le ho fatte davvero, l’hai sempre saputo. Ho ridotto a brandelli i miei nemici, pestandoli sino a farli diventare scemi. Ho fatto del male a gente senza scrupoli e tu vieni a fare lo stronzo con me? Sei solo un patetico succhiacazzi, ma ti farò passare la voglia …”
    Scosso dai brividi, Hamilton si contorse nella morsa letale.
    Un forte odore d’urina impregnò l’aria della stanza.
    “Ora ti dirò cosa faremo,” iniziò Liam, paziente. “Quando ti chiederanno delle contusioni e del braccio, risponderai che eri distratto e sei caduto dalla culla. Tu non mi hai mai visto.”
    “Ma –“
    “Non interrompere mentre parlo! Dicevo, non mi hai mai visto, non sono mai stato qui, e non hai visto neanche William Shelby. Tu non l’hai sfiorato neanche con un dito. Tutti gli altri … tutti i ragazzi che verranno a denunciarti li avrai visti eccome. Ammetterai le tue colpe dinnanzi ad una giuria, proverai l’umiliazione e la vergogna di essere additato dalla gente per quello che sei: una bestia schifosa. Finirai in galera.”
    “Cosa? C – come …”
    “Altrimenti ti ucciderò, sappilo. Sarà una cosa lenta ...”
    Hamilton annuì, sull’orlo dello svenimento.
    “Un’ultima cosa,” aggiunse Liam. “Ci sono foto del ragazzo?”
    “Non –“
    “CI SONO FOTO?!”
    “Nel cassetto a destra … c’è un cd …”
    Liam frugò tra i fascicoli riposti, individuò il cd con le iniziali del suo amante.
    “Altro?” inquisì, impietoso.
    “No …”
    “Non mentire!”
    “Te lo giuro, non c’è nient’altro!”
    Soddisfatto, il professore si staccò dall’avversario.
    Lo lasciò scivolare sul pavimento, inerme.
    “Cerca di darti una lavata, puzzi di piscio. Ricorda quello che ti ho detto.” intimò, prima di uscire dallo studio nauseabondo.
    Alle sue spalle, Hamilton gridava.
    “Hai vinto, O’Connor! Hai vinto! Ma non dimenticare che stai facendo tutto questo per una cosa che ho avuto anch’io! Il tuo prezioso William mi ha dato la stessa cosa che credevi riservata a te! Torna indietro, O’Connor! Torna indietro!!”


    La luna era ancora alta in cielo e il venticello leggero profumava di fiori appena sbocciati.
    Esausto, Liam si appoggiò alla parete.
    Per riprendere fiato.







    37 .








    Giugno terminava e nel campus si respirava aria di rinnovamento.
    In un’aula magna gremita Liam O’Connor aveva informato gli studenti del prossimo congedo. I ragazzi, sinceramente dispiaciuti, lo avevano trattenuto più del solito, salutandolo e augurandogli ogni bene. Il professore aveva celato la commozione per l’affetto che non sapeva di suscitare.
    Wesley e Fred avevano reso gli ultimi giorni di permanenza piacevoli, occupandosi delle questioni burocratiche, affiancando Liam nei compiti più faticosi.
    Davvero gentili i futuri coniugi Pryce.
    Lo scandalo che coinvolgeva il corpo docente di Cambridge era partito, abilmente giostrato da una Lilah schierata alla difesa dei diritti degli studenti.
    Decine di ragazzi si erano presentati dinnanzi al consiglio generale dell’università, furiosi per il crimine subito, decisi a chiedere giustizia. Il potere ventennale del Cancelliere Travers aveva cominciato a vacillare. Tra i membri anziani si cominciava a delineare il profilo del sostituto.
    Hamilton assaggiava la vergogna del suo declino.



    Liam sfogliava gli ultimi documenti da firmare, le direttive del programma semestrale da impartire agli allievi in attesa del supplente. Il suono del campanello lo distrasse. Si diresse alla porta, veloce.
    Ad aspettarlo, una donna elegante. Gli occhi grandi, castani, i capelli biondi, scossi dal vento tiepido. Non ebbe tempo di riconoscere la somiglianza.
    “Mi perdoni, lei è il professor O’Connor?” domandò la sconosciuta.
    “Sì, cosa posso fare per lei?”
    “Sono Joyce Shelby, vorrei parlarle.”
    Imbarazzato, quasi intimorito, Liam fece largo all’ospite, lasciandola accomodare in casa.
    Si sedettero in cucina, il professore cominciò a preparare del tè.
    Joyce mantenne un distaccato riserbo per qualche minuto. Attenta, si dedicò all’osservazione del giardino oltre la finestra; i fiori vivaci pullulavano d’insetti, l’erba era stata falciata con cura.
    “Vuole del limone?”
    Scuotendo il capo, la signora sorrise.
    “Lo aggiungo io.”
    Liam annuì.
    Nei suoi tratti riusciva a scorgere la grazia di William, la sua espressione da eterno ragazzino, il modo di atteggiarsi leggero, adorabile.
    “Sono belle le abitazioni che l’amministrazione mette a disposizione dei docenti.” constatò la signora, sorseggiando il suo tè. “Mi scusi,” fece poi. “Non so come cominciare questa conversazione. Non mi sarei mai aspettata di dover …”
    “La capisco.”
    Joyce chinò lo sguardo, compostamente.
    Aggiunse dello zucchero alla sua bevanda, colpendo la tazza col cucchiaino metallico.
    “Non appena ho ricevuto la telefonata di Willow mi sono precipitata. Da quando frequenta l’università, William non ha avuto un malore importante, una febbre … Mi sono impensierita, pensavo ad un ricovero in ospedale. Quando ho incontrato le ragazze ho saputo che era quasi peggio. Non mi aspettavo che mi rivelassero determinate cose, non credevo che anche William fosse coinvolto nello scandalo che ha travolto Marcus Hamilton. L’ultima volta che ho parlato di faccende di cuore con mio figlio, lui si crucciava per l’amore di una compagna di corso.”
    “Mi rendo conto della sua difficoltà.” asserì Liam, sincero. “Vorrei farle sapere che William l’avrebbe informata comunque. Tiene moltissimo alla sua approvazione.”
    “Sì, lo so …”
    La signora posò la tazza.
    La scrutò a fondo, riflessiva.
    “Sa, quando era bambino William stava sempre male. Era pallido e minuto, molto più magro dei ragazzini della sua età. I miei familiari lo giudicavano troppo debole, ma io sapevo che non era così. Mio figlio è sempre stato molto più forte, più determinato degli altri. Sono sicura che sarà capace di affrontare anche questo dolore. Avrà me al suo fianco, come sempre.”
    Il professore non soppresse il sospiro di sollievo che tratteneva in gola.
    “Io amo mio figlio.” affermò Joyce, semplicemente. “M’importa poco di quello che è successo.”
    “La devo informare che suo marito la pensa diversamente.”
    “Ho saputo anche questo. La ringrazio professore, ma non voglio parlarne con lei.”
    “Certamente. Quello che mi premeva sapere è che William non sarebbe stato solo. Mi ha già rassicurato col suo atteggiamento, non aggiungerò nulla.”
    La signora Shelby aggrottò le sopracciglia e stirò le labbra in un’espressione combattuta.
    “Voi due … come è potuto succedere?” domandò istintivamente. “Lei è un insegnante, non avrebbe dovuto coinvolgere William in una relazione clandestina!”
    “Me ne rendo conto.”
    “Perché lo ha fatto, allora?”
    Il professore scosse il capo.
    “Mi permetta di non rispondere. Può immaginarlo, però.”
    Joyce strinse la tovaglia, trattenendo l’impulso alla fuga.
    “Io … io non so davvero come comportarmi.”
    “Si tranquillizzi, non lo so neanche io.”
    “Lei merita tutta la mia diffidenza. È un uomo adulto ed avrebbe dovuto tenere presenti i rischi del suo comportamento. Del resto, anche William è adulto, ha scelto lei in piena consapevolezza, sarebbe ipocrita non ammetterlo.”
    “Apprezzo la sua obiettività.”
    “Mi chiedo soltanto …”
    La signora Shelby si morse la lingua, ansiosa.
    “Mi chiedo soltanto una cosa: William è attratto dagli uomini?”
    Liam aggrottò la fronte, dispiaciuto.
    “Per quello che mi è dato sapere era sinceramente infatuato della compagna di corso. Non posso rispondere per lui.”
    “Capisco. Non importa comunque, non importa davvero.”
    La signora si alzò dal tavolo. Ringraziò e fece per congedarsi.
    “Sta andando da lui?” chiese il professore, fulmineo.
    “Sì.”
    “Bene.” replicò ancora, impedendosi di aggiungere altro.
    Joyce lo scrutò, seria.
    “Lei sa che deve andare via, vero? William affronterà un momento veramente difficile, non ha bisogno di essere al centro di uno stupido scandalo, di trascinarsi da un’aula all’altra per il rilascio di testimonianze e di subire il disprezzo di studenti che neanche lo conoscono. Lei deve andare via.”
    “Ho già preparato ogni cosa.”
    Joyce non disse nulla.
    Si diresse alla porta, in silenzio.
    La chiuse.









    38 .







    “Le sere blu d’estate, andrò per i sentieri …”


    Col fiato corto e la gola stretta dall’emozione, William chiudeva il libro di poesie.
    Nella penombra della camera silenziosa osservava il mondo esterno da una finestra.
    L’estate tanto attesa si stava consumando dinnanzi ai suoi occhi segnati e stanchi.
    Incerti.


    La mamma era venuta a trovarlo ed era stato orribile.
    Orribile, leggere nei suoi occhi l’assoluta consapevolezza di quanto era accaduto.
    Ancora una volta William si era sentito indegno, sporco come mai nella vita.
    Joyce non aveva detto nulla.
    L’aveva solo carezzato con uno sguardo così pieno d’amore da farlo spezzare.
    Per farlo spezzare.
    Era stato terribile aggrapparsi a quello sguardo, a lei.
    Terribile e bellissimo.
    Tra le braccia della madre William avrebbe voluto gridare, scappare, smettere di esistere.
    Lasciarsi stringere forte, più forte.
    Sino a dimenticare la sensazione.
    Essere fuori da se stesso.



    “La cosa … la cosa più strana …”
    I fogli bianchi caddero dalle mani di Tara.
    La ragazza sospirò, muta.
    “La cosa più strana è stata la sensazione che ha preceduto … prima che lui …”
    William si morse le labbra, rosso di vergogna.
    “Anche quello è stato brutto, soprattutto quando mi ha
    obbligato a sentire … è stato –“
    “Continua, te la senti di continuare?”
    “Adesso no, Tara. Per favore. Non ce la faccio.”



    Xander si era dileguato nella prima mattinata, deciso a raggiungere Anya.
    Aveva svegliato l’amico, obbligandolo a mangiare qualcosa sotto il suo sguardo attento e severo.
    William l’aveva salutato con calore. Poi si era seduto sul letto.
    Aveva cominciato ad attendere, passivamente.


    Lo studio aveva perso importanza e valore, senso.
    Per anni, si era illuso che i sacrifici fatti avrebbero portato a qualcosa.
    Adesso si rendeva conto di avere tra le mani solo un pugno di sabbia.
    Non intendeva smettere, certamente no, avrebbe solo preso una pausa.
    Una pausa.


    Ad occhi chiusi, Will si lasciava cullare dal limbo d’ombre perenne. All’esterno, la bellezza della giornata assolata.
    Scostò il libro e fece per sdraiarsi, ma il suo corpo saturo di pigrizia lo spinse a tendersi.
    Tremante, raggiunse il telefono.
    Compose un numero. Staccò la chiamata.
    Al secondo tentativo riuscì ad udire la voce desiderata.
    Trattenne il fiato.









    “Pronto? Pronto? William, sei tu?”



    “William, sei tu?”



    “Sei tu.”



    “Conosco il tuo respiro.”






    Will non riuscì a trattenere un singulto e si rimproverò mentalmente.
    Era proprio una checca pietosa.



    “William …”
    “Liam … sono io, sì.”
    Stringendo i pugni in uno sfoggio di coraggio, William si costrinse a continuare la conversazione.
    “Mi mancavi. Volevo sentire la tua voce. Forse ho interrotto qualcosa ... Stavi lavorando? Chiamo più tardi e –“
    “No! No, io sono in casa e ... È bello sentirti.”
    “Anche per me.”
    “Ascolta …”
    All’altro capo si percepì una forte esitazione.
    “Ascolta, cosa ne diresti di incontrarci? Vengo io da te, ci metto un minuto. Cosa ne diresti, William?”
    “Va bene.”




    Di minuti ne passarono quattordici.
    William li trascorse sciacquandosi il viso, comandando alle mani di non tremare.
    Quando Liam bussò, il ragazzo si appiattì alla finestra, nervosamente.
    “William?”
    “Entra, è aperto.”
    Liam chiuse la porta alle sue spalle, timidamente.
    “È stato facile trovare la stanza?” domandò il ragazzo, colloquiale.
    “Sì, abbastanza … sì.”
    “Bene.”
    Liam esitò, si concesse un lungo attimo d’osservazione silenziosa.
    Il giovane amante era pallido, emaciato. Indossava una tuta larghissima e recava negli occhi i segni delle notti insonni, dei pianti disperati. Spaventato, non osava avvicinarsi, trasmettendo lo stesso timore a Liam che rimaneva immobile accanto alla porta.
    Col cuore stretto dalla sofferenza.
    “Allora, come stai?” mormorò il docente, gentile.
    “Meglio. Sto meglio.”
    “Sono contento di sentirlo.”
    Will annuì.
    “E … mangi?”
    “Come, scusa?”
    “Ti ho chiesto se mangi, sei dimagrito e sembri molto stanco. Sai che non devi rifiutare il cibo, ti fa male.”
    “Oh … io ci sto provando.”
    “Sei andato in ospedale? Per un controllo, intendo. Dopo quello che è successo –“
    “Sì. Non ti preoccupare.”
    “Okay.”
    Liam scosse il capo.
    “Sono contento che tu stia bene.” sussurrò, commosso.
    William sorrise.
    “È bello rivederti.”
    “Anche per me. Liam …”
    “Non c’è bisogno. Non voglio toccarti né abbracciarti.” anticipò il professore, apprensivo.
    “Mi dispiace.”
    “Non devi preoccuparti, davvero. Io capisco. Volevo solo vederti e … sapere che stai meglio è una consolazione per me, non ho bisogno d’altro.”
    William si strinse le braccia, addolorato, e Liam lo fissò, pieno d’amore sino a spezzarlo.
    “Cerca di riposare, prenditi cura di te stesso, concediti il tempo che ti serve.”
    “Lo farò.”
    “Vederti è stato così …”















    Nota:
    I versi iniziali sono tratti da una poesia di Arthur Rimbaud, “Sensazione”.

     
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    39 .






    Venerdì, sera d’estate.
    Notte stellata e umida, odorosa di violette e margherite.
    Liam la trascorreva, cucinando in silenzio.
    Spento il televisore fastidioso, il professore si dedicava alla preparazione della cena. Accanto a lui un libro di testo da spulciare, una raccolta di poesie.
    La stradina che conduceva alla sua abitazione era più desolata che mai. Liam riusciva a sentire i passi dell’unico viandante che la percorreva.
    E si fermava, dinnanzi alla sua porta.
    Impensierito, il professore si diresse all’ingresso. Prese un respiro.
    “William.” mormorò, attonito.
    La figura esile del ragazzo si materializzò nell’ombra.
    Illuminato a metà, secondo una strana, impossibile logica, William pareva un angelo bellissimo e imperfetto.
    Il suo angelo perduto.
    Liam sentì una scossa al cuore.
    Preda di un impeto incontrollabile, afferrò il ragazzo e lo spinse in casa, premendolo contro la parete spoglia del corridoio. Coprì il suo corpo col proprio e baciò le labbra piene, dolci.
    Will si scansò. Lo morse e serrò gli occhi, nel tentativo di allontanarlo.
    Liam insistette. Gli strinse i polsi quasi a fargli male.
    In trappola, William si concesse a lui.
    “Ragazzo mio, ragazzo mio … cosa ti ha fatto?”
    “No …”
    “Cosa ti ha fatto?” ripeté Liam, cieco di dolore.
    Con le mani percorse la schiena tesa nell’amante, i fianchi stretti. Immerse il volto nell’incavo del collo, scosso dai brividi, e baciò le guance umide di lacrime.
    “Cosa ti ha fatto?”
    “Mi dispiace.” sussurrò William, addolorato.
    Il professore lo scansò abbastanza da poterlo fissare.
    “Non hai nulla di cui dispiacerti.”
    “Mi dispiace! Non gli ho detto di no …”
    Liam trattenne il fiato.
    “No! No amore mio, no! Non è stata colpa tua, non ti ha lasciato scelta. Tu non hai nessuna colpa.”
    Il ragazzo tossì, disperato.
    “Io potevo … potevo … e invece mi sono lasciato sporcare! Gli ho permesso di farmi quello!”
    “No! Will, non è così! Come puoi pensarlo?”
    “Non riesco neanche a capire come fai … come fai a toccarmi ancora.”
    “Io ti amo tanto.” dichiarò Liam, onesto. “Ti amo.”
    Strinse a sé l’amante ferito, lo baciò con trasporto, passione.
    “Ti amo da morire, tu sei il ragazzo migliore che conosca.”
    “Avrei … avrei dovuto …”
    “Non lo dire, non dire niente. Non m’importa di quello che è successo.”
    Il ragazzo chiuse gli occhi, abbandonato all’amante.
    Il suo abbraccio era divenuto languido, sensuale.
    “Ti prometto, Will … ti prometto che sistemerò ogni cosa. Andrà tutto bene, te lo prometto.”
    “Non mi lasciare.”
    Il professore si staccò bruscamente, continuando a cingere il volto di William.
    Non rispose.
    “William.” chiamò, baciandogli le labbra. “Devi riposare adesso. Devi riposare. Cosa vuoi che faccia? Chiamo Xander e gli dico di venire qui?”
    “Voglio andare a piedi.”
    “Sei sfinito.”
    “Voglio andare a piedi.” ribadì William, scacciando le lacrime. “È la prima volta che esco di sera dopo quello che mi è capitato. Voglio fare una passeggiata.”
    “Io non posso accompagnarti …”
    “Per favore! Solo per questa volta, nessuno direbbe niente.”
    Liam esitò, pensoso. Infine intrecciò le dita in quelle di Will.
    “Come vuoi.” concesse.
    Il ragazzo sorrise e lui ne fu contento.
    Lo aiutò a pulirsi il volto e lo fece passeggiare in silenzio, ai confini del campus.
    Quando William fu troppo stanco per continuare, lo scortò sino in camera sua, nel dormitorio curiosamente deserto. Lo salutò, impacciato e timido. Raggiunse casa.
    I bagagli pronti alla partenza lo attendevano.












    40 .






    I bagagli erano pronti.
    Ben ordinati, riempiti metodicamente e senza eccessi. Contenenti solo l’indispensabile.
    Liam li scrutava attentamente, seduto al tavolo spoglio, con una sigaretta tra le labbra.
    Non fumava da una vita, dagli anni turbolenti dell’adolescenza. Dopo un iniziale periodo di sperimentazione aveva deciso di troncare con un’abitudine sciocca che l’avrebbe reso schiavo.
    Concedendosi un altro tiro, il professore raggiunse il telefono che squillava.
    “Pronto?”
    “Oh, che diamine!” sbottò Cordelia, all’altro capo della linea.
    “Cordy?”
    “Chi vuoi che sia?”
    “Perché mi chiami? Avevamo stabilito che ci saremmo visti domani, al mio arrivo.”
    “Taci! Come faccio a non chiamarti? Sei in casa da solo, non è vero?”
    “Sì …”
    “E starai rimuginando sicuramente. Come se non ti conoscessi!” esclamò la sorella, con la voce rotta dall’emozione.
    Liam tentò di calmarla.
    “Non piangere, forza. Pensa se ti vedesse Steven, si spaventerebbe. Fatti coraggio, Cordy.”
    “È solo che .. non riesco a pensarti lì solo. Posso immaginare la tua sofferenza e vorrei essere da te, per consolarti.”
    Il professore accennò un sorriso commosso.
    “Ci sei, non vedi?” sussurrò, intenerito. “E domani ci rivedremo.”
    “Sì, sì … hai ragione. Verrò a prenderti alla stazione e –“
    “Non c’è bisogno.”
    “Ho già deciso! Verrò a prenderti alla stazione, insieme aspetteremo Steven all’uscita di scuola. È così contento al pensiero che tornerai a stare da noi, ti vuole tanto bene.”
    “Anch’io gliene voglio, moltissimo.”
    “Mi spezza il cuore sapere quello che ti è capitato.”
    “Cordelia …”
    “Parliamo d’altro, va bene. Hai mangiato?”
    Liam aggrottò la fronte, spaesato.
    “Non ho fame.” ammise infine.
    “Ecco, lo sapevo! Non hai fame, sei solo, non vuoi uscire … i sintomi ci sono tutti! Devo impedirti di cadere nell'abisso della depressione cosmica!”
    “Vediamo che sai fare, allora: impediscimi di deprimermi.”
    “Come?”
    “Raccontami … qualcosa. Ultimamente mi chiedevo se –“
    Il professore s’interruppe, imbarazzato.
    “Coraggio, dimmi.” lo esortò, lei.
    “Volevo chiederti: la mamma era castana?”
    Cordy esitò.
    “Perché vuoi saperlo?” domandò, seria.
    “Non so …” replicò Liam. “Ne parlavo a William, tempo fa, e mi è venuto il dubbio. Se non vuoi affrontare l’argomento io –“
    “Era bionda. La mamma era bionda.”
    “Davvero? Io dissi che era mora e che ti somigliava.”
    “No, somigliava a te. Aveva il tuo volto, molto più femminile e delicato. Io somiglio più a zia Eide.”
    “Ricordavo male, ma tu come fai ad essere tanto sicura di quello che dici? Quando lei è scomparsa io avevo dieci anni, tu eri ancora più piccola.”
    “Ho visto le sue foto.” rivelò Cordy. “Me le ha spedite papà, qualche inverno prima che morisse. Le teneva sigillate in un vecchio baule, voleva che le avessimo noi. Sai, non te ne ho parlato prima perché temevo la tua reazione. Tu e papà non avete più parlato da quando …”
    “Capisco, non preoccuparti. Hai le sue foto, quindi?”
    “Sì, e ci sei anche tu. Eri un bambino tremendo!”
    “Perché mai?” rise Liam.
    “Beh, si capisce dallo sguardo! In tutti gli scatti avevi un’espressione da piccolo teppista. La mamma, invece, era dolce. Inoltre, tu l’hai ritratta.”
    “Cosa?!”
    “Sì, ora non lo ricordi magari, ma quando eravamo più giovani tu le facesti un bellissimo ritratto. L’ho confrontato con le fotografie ed ho riconosciuto il suo volto. Probabilmente, nel profondo, continui a custodire la sua immagine. Sono certa che tu non l’abbia dimenticata.”
    “Non sapevo di aver realizzato un ritratto … com’è?”
    “Bellissimo. Ho sempre pensato che un giorno l’avrei esposto in salone, anche se ho sempre esitato. Non voglio vederti soffrire.”
    Il professore chiuse gli occhi, riflessivo.
    “È davvero così bella?”
    “Sembra un angelo. Papà mi raccontò anche … papà mi raccontò anche di quando scappasti di casa, all’età di cinque anni.”
    “Io? Scappai di casa?!”
    “Te l’ho detto che eri una vera peste!” scherzò Cordelia, rallegrata. “Una mattina d’Aprile fuggisti e ti nascondesti per un giorno intero. Tutto il vicinato si mobilitò per cercarti, ma alla fine fosti tu a tornare a casa, stanco e impaurito. Ricordi la strada dove abitavamo, vero?”
    “Certo.”
    “Quando superasti l’incrocio, incontrasti i colleghi di nostro padre e ti spaventasti. Temevi che t’avrebbero sgridato. Dietro di loro c’era la mamma. Veloce, ti fiondasti tra le sue braccia e lei ti accolse con amore.”
    “Non mi sgridò?”
    “No! Come avrebbe potuto? Aveva trascorso ore di terrore nell’attesa di trovarti, tu eri il suo tesoro più prezioso ed aveva bisogno di te. La capisco adesso, la capisco. E, per favore, non raccontiamo questo episodio a Stevie! Non vorrei che tentasse di emularti!”
    “Come vuoi, bocca chiusa per i prossimi trenta, quarant’anni.”
    “Mi pare un lasso di tempo ragionevole.” convenne Cordy. “Lei ti amava tanto, Liam. Devi saperlo.”
    Il professore non rispose. Prese un respiro.
    “Un giorno torneremo in Irlanda per scoprire di non essere mai andati via.”
    “Sì, un giorno.”
    “Cor, ricordi il diciassettesimo compleanno di Doyle?”
    “Come potrei dimenticare?”
    “Raccontalo.”












    41 .







    Lo Sky Blue era una tonalità di colore propria del cielo limpido estivo o del mare cristallino vicino alle coste. Caratteristica curiosa di quest’azzurro così particolare era che non fosse considerato colore primario da alcuni inglesi. Del resto la sua categorizzazione andava dal celeste al turchese chiaro.
    Liam aveva appreso tutte queste nozioni in un corso di pittura, seguito per volere di Cordy che si lamentava dell’enorme talento del fratello sprecato e nascosto. In totale il futuro docente non aveva imparato niente che non sapesse già, aveva comunque scoperto la storia di uno dei suoi colori preferiti.
    Quello che avrebbe rivisto anni dopo, negli occhi di un giovane studente inglese.



    La giornata era tiepida, soleggiata.
    Stanco per il tratto di strada percorso in taxi, Liam poggiò il bagaglio sul pavimento della stazione ferroviaria e si sedette in una panchina vuota. Il treno sarebbe arrivato a minuti, per precauzione aveva deciso di anticiparlo.
    “Sei qui.”
    Il professore si voltò di scatto, spaventato, e si tese in avanti.
    Serrò gli occhi, incredulo.
    “William …” chiamò, senza fiato.
    Il giovane amante lo fronteggiava, a pochi metri di distanza.
    Pallido e fragile lo scrutava, trattenendo l’impulso di avvicinarsi.
    “Ti ho trovato, sei qui.”
    “William, come … come hai fatto a …”
    “È stato Wesley a dirmi che saresti venuto alla stazione. Sono andato nel suo ufficio e l’ho implorato di rivelarmi il giorno della tua partenza. Non potevo lasciarti andare così, non potevo ... Lui è stato gentile, mi ha anche accompagnato. In fondo ha capito che era mio diritto rivederti.”
    Liam scosse il capo, agitato.
    “Non avrebbe dovuto! Ho fatto di tutto per non coinvolgerti e –“
    “Ma non puoi non coinvolgermi!” urlò Will, serrando i pugni. “È una decisione che spetta anche a me, io non posso vivere senza di te!”
    Il professore sospirò, addolorato.
    “Sono venuto a prenderti,” continuò il ragazzo, determinato. “Sono venuto a riportarti a Cambridge, da me. Ti impedirò di partire.”
    “Non fare questo …”
    “Perché no?!” esclamò ancora, arrivando a toccare Liam.
    Il professore si ritrasse, svelto.
    “Non supplicarmi, non è giusto.”
    “Cosa vuoi che me ne importi della dignità e dell’orgoglio, se te ne vai?! Sono pronto a mettermi in ginocchio pur di farti restare! Ti prego, ti scongiuro, non andare via!”
    Liam tese una mano, tremante, e sfiorò il volto del ragazzo.
    William piangeva senza ritegno.
    “Non farmi questo … per favore … non farmi questo …”
    “Calmati. Calmati, William.”
    “Io non –“
    “Calmati adesso.”
    Will prese fiato e tossì forte.
    Liam lo sorresse, preoccupato.
    “Calmati.” ripeté, composto. “Devi capire che questa è l’unica soluzione possibile. Non puoi buttare la tua carriera al vento, non puoi lasciarti coinvolgere dallo scandalo. Ci sarà il processo e i tuoi cari ti staranno accanto, tu dovrai essere coraggioso. Quando sarà il momento, riuscirai a sostenere l’esame di ammissione al dottorato e lo superai col massimo dei voti, ne sono certo. Raggiungerai l'obiettivo ti eri prefissato.”
    “Parli come mio padre!” replicò il ragazzo, scansandosi con violenza. “Come lui, mi tratti da bambino, pretendi di sapere cosa è giusto per me! Non lo sai, te lo assicuro. Non lo sai o rimarresti.”
    “William …”
    “Non m’importa del dottorato, non ce la faccio più a studiare, voglio solo che resti accanto a me.”
    “Non posso.” mormorò Liam. “Non posso.”
    Separandosi da Will, si chinò sul borsone. Estrasse un’agendina in pelle.
    “Ecco qui.” disse.
    Stordito dal dolore, William socchiuse gli occhi, in un tentativo di concentrazione.
    Liam reggeva un libricino rosso.
    “Cos’è?”
    “È il tuo regalo. Pochi giorni fa hai compiuto gli anni, non ti ho regalato nulla per l’occasione. Lo faccio adesso: buon compleanno, ragazzo mio. Spero che questa agendina ti accompagni nei viaggi e raccolga i tuoi pensieri e le tue poesie. Hai talento, sappilo.”
    Le mani di Will raggiunsero quelle di Liam, si strinsero attorno al taccuino.
    “È molto bello, grazie.”
    “Vorrei tu lo tenessi sempre con te. Devo andare ora.”
    “Oh no! No!”
    Con uno scatto William afferrò la maglia di Liam, si premette contro di lui.
    “No!” ripeté, serrando la presa. “Ti prego, ti prego … Io ti amo.”




    Ad occhi chiusi, Will sentiva le labbra di Liam sul viso, sulla fronte, tra i capelli.
    Il suo alito caldo contro il lobo dell’orecchio destro.
    Ed un sussurro intimo, potente.

    “Ragazzo mio …”

    La voce dell’amante era carezzevole e profonda.
    Piena di tristezza.

    “Ragazzo mio.”




    Will pianse, disperato.
    Sentì Liam abbandonarlo e, per lunghi minuti, non ebbe il coraggio di riaprire gli occhi. Quando lo fece, il treno era già partito. Lui non c’era più.
    Senza forze, lo studente si accasciò sulla panchina sgombra, stringendo tra le dita l’agendina rossa, ultimo dono del suo amato. Tremante, decise di sfogliarla. Le pagine intatte erano lisce e profumate, solo le prime erano segnate dalla penna.





    Mio amato William,
    perdonami se non sono bravo come te ad inventare versi.
    Prendo in prestito questi, da Verlaine.
    Spero che ti piacciano.
    Con infinito amore,
    Liam.







    Noi saremo,
    a dispetto di stolti e di cattivi
    che certo guarderanno male la nostra gioia,
    talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?
    Andremo allegri e lenti sulla strada modesta
    che la speranza addita, senza badare affatto
    che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?
    Nell’amore isolati come in un bosco nero,
    i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,
    saranno due usignoli che cantan nella sera.
    Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,
    non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene
    accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.
    Uniti dal più forte, dal più caro legame,
    e inoltre ricoperti di una dura corazza,
    sorrideremo a tutti senza paura alcuna.
    Noi ci preoccuperemo di quello che il destino
    per noi ha stabilito, cammineremo insieme
    la mano nella mano, con l’anima infantile
    di quelli che si amano in modo puro, vero?





    Terminata la lettura, il ragazzo diresse lo sguardo alle rotaie.
    Sembravano galleggiare in un mare di lacrime.









    Nota: I versi appartengono a Paul Verlaine, la poesia si intitola Noi saremo.





     
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    E da qui il finale cambia.
    Oltre alle innovazioni generali e le correzioni fatte alla storia ho deciso che sarebbe stato necessario modificare la parte conclusiva, per renderla molto più credibile ed in linea con la narrazione.
    Spero che i nuovi capitoli vi piacciano!









    Nos deux coeurs, exhalant leur tendresse paisible,
    Seront deux rossignols qui chantent dans le soir












    42 .








    Liam amava trascorrere i primi momenti di veglia ad occhi chiusi, immaginando il percorso del sole nel cielo. Niente sveglie né orologi per lui. Il suo corpo – la macchina mortalmente perfetta che era il suo corpo – aveva imparato a sincronizzarsi automaticamente con gli appuntamenti del tempo, il sonno si era fatto ancora più leggero. Il professore non poteva che adeguarsi.
    L’appartamento nuovo, acquistato in prossimità del collegio dove insegnava, era luminoso e ampio, troppo grande per un uomo solo. Anche il letto risultava spesso freddo, vuoto.
    Liam combatteva silenziosamente col disagio.

    Il collegio che lo aveva assunto era privato, di indirizzo letterario - pedagogico.
    Liam si trovava discretamente bene. Adorava insegnare agli adolescenti, sentiva di aiutarli non solo nell’apprendimento ma anche nel confronto con i dubbi e le problematiche della loro età.
    Per il resto non aveva stretto grandi amicizie né rapporti privilegiati.
    Wesley e Fred ogni tanto lo andavano a trovare.
    Si erano sposati.

    Verso mezzogiorno, col sole alto in cielo, l’aria assumeva una consistenza pesante e aspra.
    Liam si dirigeva in casa, solitario, percorrendo la stessa via alberata.
    In autunno cadevano le foglie.




    Un’altra giornata lavorativa giungeva a conclusione.
    Stanco, vagamente impensierito, il professore scrutava il giornale sottobraccio, scosso dal vento che muoveva le pagine. Dinnanzi alla porta di casa si chinò lievemente, a cercare il mazzo di chiavi nella ventiquattrore scura.
    Una voce conosciuta lo fece voltare.
    Liam trattenne il fiato, sorpreso.

    “Ehi.”

    A pochi metri da lui, nell’altro lato del marciapiede, c’era William Shelby, Will che lo chiamava.
    Il professore serrò gli occhi e li riaprì, incerto se credere all’immagine che gli mostravano.
    Il suo ragazzo …
    “Liam? Ciao. Scusami per questa improvvisata, ma passavo di qui e … in realtà ero in città per un viaggio, ho pensato di informarmi e raggiungerti. Sono stato al liceo, mi hanno spiegato che eri già uscito, che finisci presto di questi tempi, e mi hanno dato anche le indicazioni necessarie a raggiungerti. Ho assicurato loro di non essere un malintenzionato, solo un amico di vecchia data!”
    Il professore non riuscì a sorridere alla battuta.
    Mosse un passo in avanti. Si bloccò.
    Scrutò William che era cambiato, era diverso.
    Portava i capelli più corti, di un colore inguardabile, biondo oltre ogni limite.
    “Mi dispiace non aver avvertito prima. Non ho il tuo numero di telefono e il viaggio è stato organizzato su due piedi. Avrei dovuto contattarti.”
    “No … no, davvero. Sono felice di rivederti. Io sono – Come hai saputo che lavoravo qui?”
    Will sorrise.
    “Wesley.”
    “Ah.”
    “A quanto pare è il mio informatore supersegreto.”
    “Oh, capisco. È bello rivederti, stai andando già via? Devi stare molto in città?”
    “Io ho un colloquio domattina e rimarrò un paio di giorni. Andrò in hotel.”
    “No!” esclamò il professore, agitato. “Voglio dire, posso ospitarti io. Puoi stare da me, non c’è alcun problema.”
    “Non saprei …”
    “Per favore, permettimelo.”
    Il ragazzo annuì, pensoso.
    “Ti aiuto col bagaglio.” mormorò Liam.



    Per un lunghissimo, interminabile anno Liam O’Connor si era imposto di non pensare a William.
    Al suo nome, scritto a matita sulle pagine dei libri, al profumo di menta dei suoi ricci sparsi.
    Adesso il ragazzo sedeva nella cucina del nuovo appartamento, silenzioso ed educato attendeva il tè.
    “ … E quindi hai cominciato a fare colloqui di lavoro?”
    “Ah, sì! È solo una cosa per un piccolo giornale locale, mi hanno offerto uno stage provvisorio e non so se accettare. Devo ancora terminare gli studi.”
    Il professore si voltò, pensoso. William scosse il capo.
    “Non è stato facile riprendere.” confessò, lievemente imbarazzato.
    “È comprensibilissimo.” replicò Liam. “Non c’è fretta comunque, tu sei un ottimo allievo e sono certo che chiunque lo riconoscerebbe. Quando vorrai affrontare il dottorato –“
    “Non lo farò più. Non lo farò … voglio solo laurearmi e dedicarmi ad altro. Voglio cominciare a scrivere sul serio: è il mio sogno e dovrei cominciare a realizzarlo, non credi?”
    “Tu devi fare quello che ti rende felice.”
    William non rispose.
    Afferrò la tazza fumante che il professore gli porgeva.
    “E dimmi,” fece ancora lui. “Ci sono novità nella tua vita? Esci ancora con i ragazzi che –“
    “Xander e gli altri? Sì. Certo, non ci vediamo più spesso come prima, ma siamo rimasti molto amici. È merito loro se ho superato … se il periodo più difficile è stato sopportabile. Attualmente Xander e Anya hanno deciso di sposarsi, mi hanno scelto come testimone.”
    “Congratulazioni!”
    “Ci pensi? Sarà molto strano, ma sono felice per loro. Sono una coppia fantastica, sono fatti l’uno per l’altra, si vede.”
    Liam annuì.
    “Sono contento che ti abbiano circondato persone così affidabili.”
    “Sì …”
    “Tu lo meritavi. Dopo quello che è capitato, dopo tutti i rifiuti che … tu lo meritavi.”
    “Liam …”
    “Scusami, non so neanche perché sto tirando in ballo questa faccenda. Non avrei dovuto dire –“
    “Ho sporto denuncia contro Hamilton.” interruppe William, veloce.
    Liam si sentì raggelare in un istante.
    “Ho sporto denuncia contro Hamilton.” ripeté il ragazzo, ansioso. “Non avrei potuto tacere quello che mi era capitato. Ho resistito per l’intera estate, ma a Settembre mi sono recato in centrale. È stato difficile ma necessario. Ho dovuto confrontarmi ancora con lui, con Myles che girava a piede libero per i corridoi della Facoltà. Io … io non potevo tacere.”
    “Ma … l’avevo fatto per te, per non coinvolgerti in uno scandalo indegno, per proteggerti.”
    “Sì, ma era successo e il silenzio sarebbe stata la cosa peggiore di tutte. Cerca di capire.”
    Il professore represse il senso di colpa che lo attanagliava.
    Si alzò da tavola e cominciò a cercare dei biscotti da offrire all’ospite.
    William studiò i suoi movimenti, preoccupato.
    “Sei arrabbiato con me perché te l’ho detto? Mi dispiace averla buttata così, ma –“
    “Non sono arrabbiato con te, William, come potrei esserlo? Tu sei stato coraggioso.”
    “Non voglio intristirti.”
    “Non lo fai,” sussurrò Liam, voltandosi appena per sfoggiare un sorriso rassicurante. “Non lo fai. È solo che … è bello rivederti.” balbettò, serrando le labbra per la commozione. Si sentiva prossimo alle lacrime.
    “Forse sarebbe meglio se io andassi …”
    “No! No, ti prego.”
    “Ma …”
    “Sembri stanco, hai il volto segnato dalle occhiaie e pallido. Puoi rimanere a riposare un po’, ti sveglierò quando vorrai e potrai decidere. Del resto il colloquio è domani, no?”
    “Sì.”
    “Allora perché non resti?”
    William esitò. Infine prese una decisione.
    “Posso restare. Posso restare qui, se lo vuoi.”
    “Certo che lo voglio.”
    Il ragazzo inclinò il capo, teneramente.
    “È bello rivederti.” aggiunse, una volta di più.








     
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    Kiki, posso fare un commento a colori? :unsure:
    William, un arcobaleno, mille sfumature. Dolce, fragile al contempo forte e coraggioso. Unico, rifulgente.
    Liam, verde con pennellate di blu. Calmo, solido, perseverante, saggio. Ma come il mare in tempesta sa essere forte e impetuoso.
    Xander, marrone. Non riflette prima di agire, si basa su quello che vede. E ferisce.
    Willow e Tara, giallo con punte di viola. Vedono oltre le apparenze.
    Cordelia, giallo. Solare, libera, saggia. In molti aspetti l’opposto di Liam.
    La storia d’amore, invece, è bianca, pura, innocente. Ha tante sfaccettature, ingloba tutti i colori, è completa. Un amore nato giorno dopo giorno, che deve affrontare le insidie che la vita irrimediabilmente pone davanti. Un sentimento che viene calpestato, abusato da chi non ne comprende la portata ma che cresce contro tutto e tutti.

    Lo so, è un commento strampalato. Ma mi hai regalato talmente tante emozioni che dovrei quotare praticamente tutta la storia.

    Mi soffermo solo su alcuni aspetti che hai trattato magistralmente:
    -La violenza subita da William. Hai reso il tutto con dei toni così delicati, quasi onirici, senza mai cadere nel volgare. L’hai fatta sentire in tutta la sua crudeltà, la calma che pervade ogni singola parola è devastante. E la continua comparazione con Liam. Mi hai fatto commuovere.
    -La reazione di Xander dopo la violenza. È toccante. Ha capito d’aver sbagliato, ha reagito d’istinto cacciando William, ma ora non si fa da parte anzi lo aiuta, lo tiene ancorato a questo mondo.
    -Il faccia a faccia Hamilton-Liam. Qui ho rivisto Angelus, il suo demone si è liberato ma questa volta per proteggere chi ama. Affascinante.

    CITAZIONE
    Conosco il tuo respiro.

    Con queste parole mi hai steso, definitivamente.

    Come credo tu abbia intuito da questo commento (che sembra quasi un tema, lo so, tendo a essere logorroica!) la storia mi è piaciuta, un sacco a dire il vero, non era facile rendere questa coppia con tutte le sue complessità nella vita reale, complimenti!
     
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    Eccomi col nuovo capitolo



    NeverMind: Carissima! çOç
    Come posso ringraziarti per le tue parole? Grazie davvero per i complimenti e per il bellissimo commento "a colori" che hai fatto. Te ne intendi, per caso? Quella degli abbinamenti cromatici e dei significati nascosti delle tinte è una cosa che mi fa impazzire.
    Anche tu compari il Liam contro Hamilton ad Angelus. Ho sentito questo paragone da molti commentatori, ma non ho mai pensato di descrivere Angelus in quel contesto. Liam è disperato, non sadico e, certamente, si avvicina all'Angel più cupo. Grazie ancora!







    43 .







    William riaprì gli occhi nel tardo pomeriggio, al tramonto.
    Liam l’aveva convinto a rimanere da lui, a riposare un paio d’ore in camera da letto. Dimentico della promessa di svegliarlo presto, il professore aveva lasciato dormire il ragazzo per un lasso di tempo considerevole, dedicandosi con calma alle faccende domestiche.
    Seduto sul materasso, finalmente sveglio, Will si rese conto che il cielo era scuro.
    Scostò la coperta di lana che lo proteggeva e scese al piano di sotto. Liam era intento a preparare la cena.
    “Ehi.”
    Il professore si voltò di scatto, lievemente imbarazzato.
    Sorrise, terminando di affettare della carne rossa ancora cruda.
    “Mi hai spaventato.” Mormorò scherzoso. “Non ti avevo sentito arrivare.”
    “Scusami, ho fatto piano per non disturbarti. Stai cucinando … tanto!”
    Accanto al piano cottura erano poggiati un primo a base di riso e pomodoro, due contorni ed un antipasto da ultimare. Il professore stava friggendo le verdure che avrebbero accompagnato il secondo di vitello.
    “Non ricordavo cosa preferissi …” spiegò Liam, lievemente imbarazzato.
    “E così hai preparato tutto? Non avresti dovuto, non ce n’era bisogno.”
    “No, davvero. È un piacere ospitarti e vorrei … ho pensato che sarebbe stato cortese organizzare una bella cena.”
    William sogghignò, divertito.
    “Sembra tutto squisito e, per la cronaca, ho sempre amato la tua cucina. Apprezzavo tutto quello che mi preparavi, quando restavo a dormire da te.” Concluse, arrossendo impercettibilmente.
    Preda dello stesso sentimento, Liam chinò il capo, socchiuse gli occhi.
    “Sei sempre stato un’ottima forchetta.” Disse. “Vuoi aiutarmi con la tavola?”
    “Certamente, cosa vuoi che faccia?”



    Si sedettero a tavola intorno alle otto di sera.
    Liam uscì un attimo, per comprare del vino rosso nella bottega in fondo alla strada, e Will si premurò di curare la disposizione delle portate e dei piatti. Non resistette alla tentazione e riempì quello di Liam con le insalate, indovinando le sue possibili scelte. il professore rientrò in casa col volto luminoso ed un sorriso raggiante di gioia.



    “ … Mi dicevi di questo colloquio.” Mugugnò Liam, servendosi dell’altra pasta.
    William lo imitò e rispose.
    “Sì, è una piccola cosa, un’opportunità che potrebbe rivelarsi piacevole. Vorrei poterla conciliare allo studio e arrivare all’obiettivo finale, lo sai, la laurea e basta.”
    “Mi pareva che ci tenessi molto al dottorato … sei un ottimo studente, non credi che sarebbe ingiusto rinunciare ad una possibilità del genere?”
    “Forse. Il punto è che, in questo momento, non mi sento in grado di continuare con quel percorso, inoltre devo ancora ultimare la tesi. Sono in ritardo.”
    “Succede. Non dovresti considerarla una cosa grave, tu non dovresti …”
    William sorrise all’esitazione concitata di Liam.
    Fece spallucce.
    “Dopo la tua partenza non sono più riuscito a studiare. Era estate ed io ero così stanco e affaticato …”
    “È comprensibile.”
    “Quell’estate decisi di lasciare il campus e tornare dai miei. Mi spaventava l’idea di rivedere mio padre, ma non sopportavo neanche il pensiero di essere un peso per i miei amici. Non ero molto di compagnia, trascorrevo le giornate da solo, nel dolore, e non avrei potuto seguire Xander e gli altri in vacanza come ogni anno. Era inutile rimanere al campus.
    “Chiamai mai madre, al termine della sessione d’esami di luglio, e le chiesi di ospitarmi. Lei non si oppose neanche per un attimo, mi aveva proposto tante volte la stessa cosa ed era più tranquilla a sapermi in casa. Mio padre, del resto, stava andando via …”
    “Come?” interruppe Liam, sorpreso.
    William sorrise ancora, mesto.
    “I miei hanno divorziato e mio padre si è trasferito in una villa londinese di proprietà dei suoi antenati.”
    “Mi dispiace, non ne sapevo nulla.”
    “Non preoccuparti. Erano anni che loro non si parlavano né si comportavano come una vera coppia, in un certo senso immaginavo che, prima o poi, sarebbero arrivati al punto di rottura. Casualmente questo è coinciso con il mio ritorno in casa …”
    “Non penserai di essere responsabile, vero?”
    Il ragazzo sospirò, pensoso.
    “La mia mente è stata attraversata da così tanti pensieri … no, comunque. No. Non sono responsabile del divorzio dei miei genitori, mi ha ferito soltanto l’allontanamento di mio padre. È andato via senza neanche salutarmi, non ha voluto vedermi. È quasi assurdo a dirlo, sono incoerente forse, ma una parte di me avrebbe voluto che lui restasse …”
    “Lo capisco.”
    “Ero sollevato a saperlo lontano, non avrei sopportato i suoi giudizi crudeli, eppure soffrivo per il suo gesto.”
    “Capisco cosa intendi, davvero.”
    “In ogni caso,” riprese William, sereno. “Non ero solo, c’era mia madre. Lei è stata buona con me, ha cercato di aiutarmi nonostante le mie chiusure continue. Non era facile parlare.”
    Liam si morse le labbra, addolorato.
    “Lei è stata la mia ancora,” sussurrò il giovane inglese. “Mi ha sostenuto ed ha compreso la mia necessità di sporgere denuncia. Non avrei potuto vivere col peso di un segreto tanto grande, sarei morto lentamente.”
    “Mi dispiace tanto … mi dispiace.”
    “Così, a Settembre, siamo andati insieme alla polizia. È stato un momento difficile, ma necessario.”
    “E poi? La tua vita è ricominciata?”
    “No. Ho avuto bisogno di altro tempo, ho ancora bisogno di tempo.” Spiegò Will, onesto. “Mi rendo conto di sembrare debole e patetico …”
    “Non lo sei per niente, anzi.”
    “È bello sapere che non mi giudichi male.”
    “Come potrei?”
    “Grazie.” sospirò William, pianissimo. “A Settembre ho cominciato a vedere uno specialista, per superare il trauma della violenza. Non ho frequentato corsi né studiato né lavorato. Non avevo l’energia necessaria a fare nulla, in realtà, e sono rimasto in casa a prendermi cura di me stesso, a poltrire come un ghiro.”
    “Hai fatto bene.”
    Il ragazzo non rispose.
    Sorrise a Liam, inclinando il volto d’istinto.
    “E tu? Non mi racconti niente? Lavori in un liceo adesso, deve essere stimolante.”
    “Lo è.” Confermò il professore, vergognoso. Non amava molto parlare di se stesso e avrebbe voluto risultare di conforto in quella circostanza. “Lo è davvero. Io … non ero più abituato, non ho mai lavorato veramente con una classe di adolescenti. È faticoso!”
    “Ma ne vale la pena o no?”
    “Sì, ne vale la pena.”
    “Eri un ottimo insegnante universitario, sono certo che potresti riprendere il lavoro, volendolo. Ultimamente Wesley mi parlava proprio di un posto vacante …”
    “Siete diventati amici?” interruppe Liam, incuriosito.
    “Sì,” rispose il ragazzo. “Lui mi ha aiutato nel periodo più duro.”
    “Sono contento. Sono davvero contento che tu non sia rimasto solo.”
    “Wesley mi ha anche parlato di te qualche volta, delle tue telefonate sporadiche …”
    “Ah.”
    “Anche quello ha aiutato.”
    Liam chinò il capo, incapace di continuare la conversazione.
    Si premurò di servire a William il vitello e di riempirgli il bicchiere.
    “Scoppieremo se continuiamo così!”
    “Io scoppierò, tu riesci a mangiare tantissimo e a rimanere pelle e ossa. Non so dove metti tutta la roba …”
    “Lo sai, invece, ma non lo dici.”
    Il professore raccolse la provocazione con stile.
    Alzò lo sguardo, piegando le labbra in un ghigno malizioso.
    “E quei capelli?! Hanno un colore assurdo.”
    “Ho perso una scommessa ed ho dovuto pagare pegno. Mi piacciono, però: mi donano. E, poi, ti immagini Xander coi capelli ossigenati?”
    “Per carità! Sei molto meglio tu.”
    Le mani dei commensali si sfiorarono inavvertitamente e Liam sentì di arrossire in maniera vistosa.
    Deglutì, allontanandosi di scatto, imponendosi il necessario controllo.
    “Rimani a dormire da me?” chiese, incapace di sopprimere l’emozione che sentiva.
    “Non so ...”
    “Per favore. È tardi per cercare un hotel decente. Un’altra notte soltanto, William.”
    “Un’altra notte, d’accordo.”











    Note: Nel dialogo con Liam ho ripreso una battuta tra Angel e Cordelia. Mi piaceva molto e credo che sia carina. È bello Will ossigenato, nevvero? :3











     
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    Sono felice che il commento ti sia piaciuto! :)
    Non me ne intendo moltissimo di colori, cromie e significati. Diciamo che so l’Abc! Mi piace poter descrivere qualcosa o qualcuno non solo attraverso le parole ma utilizzando le tinte. È un livello più profondo. Sarà per questo che amo molto la pittura e la fotografia. Adoro i colori.
    Nemmeno io ho visto il tuo Liam sadico, ma nella sua disperazione l’ho trovato molto razionale, una furia cieca, quasi oscura ecco perché mi ha rimandato ad Angelus. Il lato oscuro, feroce di Angel io lo identifico nel suo demone.
    Il nuovo capitolo. Che dirti? Riesci sempre a farmi provare qualcosa, credo che potresti scrivere un ricettario di cucina e io mi commuoverei.
    È bello il loro incontro, come si stanno ritrovando e riscoprendo. Sono pronti per continuare la strada che avevano intrapreso ma che in realtà non avevano mai lasciato. Si amano e si percepisce.
     
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    Eccomi ancora!

    NeverMind: Non so come ringraziarti! Mi lusinghi! *///* Anche io adoro i colori e i significati nascosti, mi piace leggere tanto a questo proposito. Sì, capisco cosa intendi quando ti riferisci alla furia controllata di Liam e, paradossalmente, proprio perché è trattenuta (da motivazioni umani stavolta) io penso all'Angel incacchiato stile Seconda Stagione di AtS, ma mi piacerebbe sentire tanto le tue considerazioni e anche, perché no?, la tua opinione su Angel/Angelus. Esprimi pure il tuo parere, noi ne abbiamo bisogno! >O<


    Intanto, il nuovo capitolo.






    44 .








    Quella notte William si risvegliò più volte.
    Inquieto, scese al piano di sotto, deciso a prendere un po’ d’acqua e a concedersi un momento di tranquilla riflessione in piedi. Liam gli aveva ceduto il letto, ancora una volta, e si era accomodato sul divano. Il ragazzo quasi non riusciva a dormire circondato dalle lenzuola che profumavano di lui.
    Raggiunto il frigo, Will si servì un bicchiere d’acqua ghiacciata. Nel silenzio generale poté udire un lamento soffocato. Spaventato, si precipitò in soggiorno e scorse Liam, sepolto tra le coperte, col volto segnato da una smorfia di dolore e la fronte sudata per l’affanno. Stava avendo un incubo.
    Delicatamente Will si chinò accanto a lui, tese una mano.
    Liam gemeva pianissimo e serrava gli occhi, disperato.
    Vinto da un moto di compassione, il ragazzo provò ad accarezzargli i capelli.
    Ritirò la mano immediatamente, spaventato all’idea di un improvviso risveglio.



    La mattina seguente nessuno dei due fece menzione dell’accaduto. William trovava imbarazzante il pensiero di confessare quanto aveva visto e Liam sembrava non ricordare neanche l’incubo.
    Tutto considerato la colazione fu piacevole.
    Liam dovette congedarsi presto, per via delle lezioni, e si offrì di accompagnare William all’appuntamento di lavoro. Il ragazzo accettò di buon grado, seppure affascinato dalla prospettiva di orientarsi da solo in una città sconosciuta.
    “Uscirò dal liceo intorno alle due.” Mormorò il professore, rivolto al ragazzo che già attraversava il marciapiede. “Ricordi dove si trova il liceo, vero?”
    “Sì.”
    “Se finissi presto … potremmo ritrovarci da me, all’ingresso della scuola. O vuoi le chiavi di casa per prendere la tua roba?”
    “Ti aspetterò davanti al liceo.”
    “Perfetto.”
    “A più tardi, Liam.”
    “A più … in bocca al lupo. In bocca al lupo, Will.”
    William si voltò per sorridere.
    I suoi occhi scintillavano.



    Come concordato il ragazzo scelse di attendere l’uscita del professore e si sedette su una panchina libera, nel giardino curato che affiancava l’istituto scolastico. Per raggiungerlo, Liam si congedò dai colleghi più bruscamente del solito.
    “Eccoti! Non ti vedevo dal portone principale! Credevo che ti saresti fermato proprio all’ingresso, nell’atrio. Con questa rara, bella giornata? Sono stato uno sciocco!”
    William annuì, assente.
    Tra le mani reggeva una busta di noccioline quasi intatta.
    “Hai fame? Possiamo pranzare in un ristorante, se lo desideri, o tornare in casa. Posso prenderti il pollo. Fanno un pollo con patate eccezionale da queste parti.”
    “Siediti accanto a me.” comandò Will, impassibile.
    Liam dovette eseguire.
    Presagiva un terrificante confronto finale e non riusciva quasi a respirare. Aveva cercato di evitare in tutti i modi il momento del distacco da William, adesso avrebbe dovuto arrendersi.
    “Non sono venuto per questo.” mormorò il ragazzo, dopo qualche istante di penoso silenzio.
    “Per cosa?”
    “Per questo.” ripeté. “Per esigere le tue attenzioni, per farmi viziare come un bambino, per scoprire se hai ripreso a vivere la tua vita …”
    “William, non dire così.”
    “Dovremmo parlarne prima o poi, non credi? Noi stavamo insieme. Stavamo insieme ed io … ho sempre pensato che ti saresti colpevolizzato troppo per quello che mi è capitato con Hamilton.”
    “Non lo nominare, ti prego.”
    “Ma ho bisogno di nominarlo!” replicò Will. “Ho bisogno di nominarlo ed ho bisogno che tu sappia che non ti odio né ti ritengo responsabile della violenza che ho subito.”
    Liam chinò il capo, vergognoso, e si morse le labbra nel tentativo di trattenere le lacrime.
    “Sapevo che avresti reagito così. Sono arrivato a conoscerti bene, non trovi? Voglio che tu sappia che desidero ancora la tua felicità, non provo alcun rancore nei tuoi confronti.”
    Il professore non riuscì a frenare un singhiozzo.
    Si portò una mano al volto, per nasconderlo, ma venne frenato da Will che la strinse tra le sue.
    “Guardami, Liam. È tutto finito adesso. Noi stiamo bene, stiamo bene entrambi …”
    “No …”
    “Certo che sì.”
    “No. Avrei dovuto proteggerti.”
    “L’hai fatto.”
    “Non avrei dovuto lasciarti solo!”
    William non rispose.
    Scrutò nel profondo dello sguardo scuro di Liam.
    “Va tutto bene.” Provò a dire, commosso.
    Liam annuì e lo strinse forte, piangendo.
    Non ricordava uno sfogo tanto intenso dai tempi dell’infanzia. Dopo la morte della madre i suoi pianti erano divenuti sempre più rari. Tra le braccia di William, Liam si sentiva sconquassare dentro, non ricordava quanto dolorose fossero le lacrime. Disperato, cercò di aggrapparsi al ragazzo che rispondeva alla sua stretta.
    Tossì forte, staccandosi di colpo.
    “Ti ho fatto male?”
    Will negò.
    “Scusami … non so che mi è preso … non faccio questo genere di cose …”
    “Lo so.”
    “Scusa.”
    “Smetti di scusarti, sto bene. Per questo ero venuto da te.”
    “Per … farmi piangere?”
    “Per liberarti.”
    Il professore deglutì, senza fiato.
    Sorrise, nonostante gli occhi rossi.
    “Ti ringrazio. Sto molto meglio.”
    “Sono contento.” Replicò il ragazzo, carezzandogli le mani. “Possiamo tornare ad essere amici, adesso, vero?”
    “A – amici? Amici … sì.”
    “Sì.”
    Le mani dei due uomini rimasero intrecciate per un interminabile istante.
    Liam provò un desiderio feroce di tendersi e baciare le labbra di William, ma si trattenne.
    Sorrise ancora.
    “Lo vuoi il pollo?”
    “A patto che ci siano tanti condimenti a lato.”
    “Ce ne saranno quanti ne vorrai.” Sospirò, in un eccesso di tenerezza e gratitudine.
    Si fece da parte e allontanò le dita di William, non senza sforzo.
    “Ti invito a pranzo da me, allora.”













    NdA: Che lenta tortura, vero? XD Ma ci stanno arrivando, gli spucci ... ci stanno arrivando ...


     
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    Here we are!
    Eccoci col capitolo finale di Love, molto diverso da quello redatto nella prima versione.
    Ho riflettuto a lungo sull’opportunità di integrare qualcosa dai brani conclusivi originali, ho anche pensato di protrarre l’ospitalità di William per qualche pagina ancora, ma credo che questa conclusione, così come concepita, sia armoniosa ed in linea con lo spirito generale della fiction. Spero davvero che vi piaccia, mi mancherà moltissimo questa storia. ç__ç
    Per la seconda volta William e Liam mi lasciano! Li ho amati tanto, veramente. ♥

    Ci risentiamo presto, con l'Epilogo.








    45 .







    Pranzarono col pollo e le patatine, così come promesso da Liam.
    Quasi non osarono rivolgersi la parola, tesi e preoccupati l’uno delle reazioni dell’altro. L’autocontrollo che si erano imposti sin dal primo istante si era sciolto con le lacrime di Liam. Rimanevano solo la paura, la nostalgia, il desiderio; l’istinto antico degli amanti che prendeva il sopravvento in ogni istante e, in ogni istante, veniva represso per paura delle conseguenze.



    Con la mente affollata dai pensieri il professore studiava il profilo di Will, intento a consumare una porzione di alette piccanti con salsa. La sua espressione curiosa non era cambiata affatto, eppure lo sguardo adulto tradiva nuove consapevolezze e il peso del dolore vissuto. L’allievo dolce e fragile, il cucciolo bisognoso di tenerezze si era rivelato un uomo forte e coraggioso.
    “Smettila, mi imbarazza.”
    “Cosa?” chiese Liam, spaesato.
    “Sapere che mi fissi mentre mangio. Smettila, per favore.”
    “Scusami.” Sussurrò il professore. “Confesso che mi diverte guardarti, sei veramente un pozzo senza fondo.”
    William aggrottò la fronte e s’imbronciò, offeso.
    “Ho già finito!” disse, pulendosi le dita sporche.
    “Scherzavo! Continua pure!”
    “No, davvero: sono sazio.”
    “Come vuoi.”
    Liam si alzò da tavola e mise i piatti sporchi nel lavello.
    “Vuoi una mano?”
    “No, grazie.”
    “Allora io salgo di sopra, vado a preparare la valigia.”
    Il professore non osò replicare.
    Chinò il capo, intristito, deciso a non far pesare i suoi sentimenti.
    Empatico, Will tese una mano e gli sfiorò la schiena in una lieve carezza.
    Rabbrividirono entrambi al ricordo di un gesto analogo culminato nel loro primo bacio.
    “Salgo, allora.” Ripeté William, incerto.
    “Ti raggiungo subito.”



    La dita del ragazzo tremavano.
    Nervoso, non riusciva neanche a chiudere la cerniera della valigia.
    “È bloccata?” domandò Liam, sorprendendolo alle spalle.
    Will si morse le labbra per la sorpresa, si voltò a guardarlo.
    “No, no … ho fatto.”
    “Bene.” Mormorò il professore, poggiato allo stipite della porta, con le maniche della maglia scura ancora alzate. “Anche se avrei voluto poterti aiutare in qualcosa, in una piccola stupidaggine almeno …”
    “Perché?”
    Liam non rispose.
    Raggiunse Will e lo aiutò a poggiare la valigia sul pavimento. Il bagaglio era leggero.
    “Partirai e tornerai a mancarmi.” Rivelò.
    “Liam –“
    “Scusami, non dovrei neanche dirla una cosa del genere. Sono stato io a … lasciarti, non ho alcun diritto di farti sentire in colpa adesso. È solo che mi piacerebbe rimanere in contatto. Amici, come hai detto prima. Potrei anche aiutarti con lo studio, se ne hai bisogno.”
    “In realtà non studiavamo molto, quando stavamo insieme.”
    Lo sguardo di Liam si fece più scuro, Will gli prese una mano. La strinse.
    “Non voglio perderti ancora, voglio stare con te …”
    “Come amici.”
    “Voglio stare con te.”
    Il professore deglutì. Poggiò le mani intrecciate sul torace di Will ed ebbe modo di percepire il battito accelerato del suo cuore.
    Trattenne il fiato, emozionato.
    “Non ho mai amato nessuno quanto te.” Dichiarò il ragazzo, lievemente. “So che la mia età non rende solenne questa affermazione, so che alla luce della tua esperienza non conta come –“
    “Conta più di ogni altra cosa al mondo.” Interruppe Liam, onesto.
    Will inclinò il capo.
    “Quando ci frequentavamo, i primi tempi, mi sentivo spesso un ragazzino stupido, un illuso. Tu avevi avuto altre storie prima della nostra, avevi vissuto molto più di me. Temevo di risultare ai tuoi occhi soltanto come il giovane studente innamorato del suo mito, qualcuno per cui non rischiare troppo.”
    “Mi dispiace, non sono stato un buon amante. Avrei dovuto farti capire che ti amavo anche quando non lo dicevo, dal primo momento. William, io ti ho amato dal primo momento, questo devi saperlo. Non ho mai amato nessuno quanto te.”
    Il ragazzo sospirò, in lacrime, e Liam lo abbracciò, commosso.
    Oh cielo, quanto gli era mancato …
    Il profumo della sua pelle, delle maglie comode e mal stirate, l’odore dei capelli morbidi nonostante la tinta, il tepore del corpo snello premuto contro il suo.
    Liam si staccò appena e carezzò il viso amato con le dita fredde. Lo baciò con devozione, sulla fronte, sulle guance.
    “Dammi un bacio vero.”
    Non esitò un istante. Sfiorò le labbra di Will con tenerezza dapprima, con crescente passione poi. Cinse i suoi fianchi magri e lo fece sdraiare sul letto alle loro spalle. Cessò di muoversi quando la stretta si fece più salda e i cuori battevano all’unisono.
    “Ti amo tanto.” Sussurrò, il volto nascosto nell’incavo del collo del ragazzo.
    “Ti amo anch’io.”
    Sentì un brivido potente e tornò a tendersi sulle braccia. Sorrise.
    “Sei tornato, ragazzo mio. Sei tornato.”
    Will non disse nulla. Si tese in avanti, in un muto invito a protrarre il bacio.
    Liam lo accolse e fu più ardente, più selvaggio. Riuscì a fermarsi a stento, ansimante di eccitazione.
    “Non voglio spaventarti.”
    “Non lo fai.”
    “L’ombra di Hamilton …”
    “Liam, stai con me. Non ho bisogno d’altro.”
    Il professore chiuse gli occhi, rapito.
    Ogni cosa sapeva di Will.



    Si salutarono al tramonto, nel corridoio di casa O’Connor.
    Mano nella mano raggiunsero la porta d’ingresso e si strinsero a lungo, con trasporto.
    “Vieni da me.” mormorò William, col volto sepolto nel torace dell’amante. “Vieni da me.”
    Liam non rispose, lo baciò con passione.
    “Vieni a Cambridge, ti aspetterò.”
    “Ti raggiungerò al più presto.”
    “Così potrò presentarti mia madre …” Scherzò il ragazzo, gioioso.
    Il suono di un clacson interruppe le loro effusioni.
    Liam diede un bacetto a Will e aggiustò i capelli biondi, disordinati.
    “Il taxi è arrivato, ti aiuto a sistemare il trolley nel bagagliaio.” Disse, percorrendo il vialetto che dava sulla strada.
    L’aria era umida e odorava di violette e pioggia d’autunno.
    Sereno, William si voltò ad abbracciare l’amante un’ultima volta, prima di salire sul taxi. Gli consegnò un’agendina rossa, piccola e consumata, da serbare con cura, e il professore la strinse, stupito.
    Mormorò una promessa sulle sue labbra.





     
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  11. °NeverMind°
     
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    Data l’ora spero di scrivere qualcosa che abbia un senso!
    Per quanto io ami vederli tutti spucciosi *__* il capitolo precedente non mi ha delusa, anzi. Avevano bisogno di liberarsi di tutte le paure e dei mostri che avevano ostacolato il loro percorso.

    CITAZIONE
    “Smetti di scusarti, sto bene. Per questo ero venuto da te.”
    “Per … farmi piangere?”
    “Per liberarti.”

    :cry: :cry: :cry: Io.adoro.William.

    Non ho letto il precedente finale ma posso dirti che questo per me è perfetto, decisamente in linea con tutta la storia. Nulla di affrettato ma così spontaneo che non avrei immaginato nient’altro se non questa conclusione.
    Aspetto l’epilogo anche se devo dirti che mi dispiacerà molto, mi ero affezionata alla loro storia!

    Scriverò anche un commento sensato su Angel dato che ora non ne sono proprio in grado. Posso dirti che è una figura che inquadro difficilmente, mi ha sempre affascinato/inquietato questa sua personalità doppia – modalità con o senza anima -. Non l'ho amato molto in Btvs ma mi sono ricreduta seguendo, seppur poco, Ats.
     
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    Dunque, eccomi qui con l’epilogo!
    Mamma mia, ancora una volta ci siamo e sono felicissima di aver condotto questa storia sino alla sua naturale conclusione. Mi sono impegnata tanto e ci tenevo a non lasciarla WIP, soprattutto perché è un racconto che mi ha accompagnata per tanto tempo.

    NeverMind: Tenchiù so mach! çOç *abbraccia* Sono davvero contenta che questa storia ti sia piaciuta e che tutto ti sia sembrato plausibile e bilanciato. Grazie per i tuoi commenti dettagliati e ricchi di spunti di riflessione!


    Un bacione, adesso, e buona lettura!










    Epilogo .







    Il taxi percorreva l’ordinata autostrada inglese. La mattina era eccezionalmente assolata, nonostante la lieve foschia all’orizzonte; la luce esaltava il verde dei prati, l’azzurro del cielo sgombro. L’atmosfera delle campagne londinesi era selvaggia come quella irlandese.
    Quasi come quella irlandese.
    Liam sorrise a se stesso, richiamando alla mente le immagini dell’ultima vacanza estiva, con Cordelia, Groo, Steven e William. Insieme alla famiglia aveva speso giornate intere in lunghe passeggiate rilassanti, ed era stato magnifico.
    Tossendo, il professore tentò di ignorare i brividi di freddo e il mal di testa che sentiva da qualche ora, da quando il suo aereo era atterrato. Non poteva permettersi di manifestare stanchezza, non adesso che era tanto vicino a casa, a Villa Shelby.
    William lo stava aspettando.



    “Buongiorno, signor O’Connor!”
    “Buongiorno, Louise!” salutò cordiale, all’indirizzo della domestica impegnata a rassettare i tappeti all’ingresso.
    Joyce aveva fatto arredare il salone principale con nuovi mobili, etnici e colorati.
    “Liam, sei tornato!” esclamò la suocera, andandogli incontro a braccia aperte.
    Il professore sorrise, lasciandosi abbracciare.
    “Sono contenta di vederti. Il viaggio è andato bene? La permanenza in America è stata piacevole?”
    “È trascorsa lentamente, mi sentivo solo.”
    Joyce annuì, divertita.
    “William è seduto in giardino, sotto la grande quercia. Stamattina è uscito e ha deciso di lavorare all’aperto. Io sto preparando il risotto e l’arrosto, vi attendo a tavola tra un’oretta.”
    “Raggiungo Will e rientriamo insieme.”
    “Liam …” mormorò la signora, tastando la fronte del genero, apprensiva. “Sei pallido, ti senti bene?”
    “Sì … insomma, non proprio, ma sì.”
    “Non avrai preso l’influenza? Rimani dentro.”
    “Oh no!”
    “La tua fronte è calda.”
    “Sto benissimo, vado da Will.”
    “Uhm!” borbottò Joyce. “Stai attento.”
    “Lo farò, mamma.”



    Il prato era stato falciato di recente. L’erbetta nuova era cresciuta con ostinazione e grazia.
    Liam camminò lento, in direzione della quercia. Tolse la giacca, poggiandola su uno dei rami maestosi e antichi, e raggiunse William che, seduto su una coperta da campeggio, lavorava al computer.
    Teneramente si strinse a lui, immergendo il volto nel torace snello, sospirando di consolazione.
    Il compagno gli cinse la schiena e gli baciò il capo.
    “Bentornato.” Disse. “È andato bene il viaggio?”
    “Senza di te è stato orribile.” Rispose Liam, sincero.
    William scoppiò in una sonora risata.
    “Attendevo la notizia di qualche americano da schianto che ti allontanasse da me! Vorrà dire che mi resterai appiccicato per tutta l’esistenza.”
    “Non ti sto appiccicato!” protestò Liam, ad occhi chiusi.
    Seguì un istante di confortevole silenzio. Le dita di Will s’intrufolarono nei capelli del professore.
    “Allora, com’è l’America?”
    “Caotica, esagerata, rumorosa.”
    “Non fuggirai da me, vero?”
    “Mai. Mi sei mancato tanto.”
    “Hai la febbre, amore.” sentenziò William, stringendo l’amante nel tentativo di proteggerlo dal vento.
    “Non ho la febbre io! Non ho mai la febbre!”
    “Sei caldo.”
    “Sono vivo.”
    “Sei molto caldo!”
    ribatté William, accompagnando l’esclamazione ad uno schiaffetto scherzoso. “Sarà meglio tornare in casa e prendere una compressa effervescente.”
    “Rimaniamo qui.”
    “Liam …”
    “Non ho niente e qui è bello. Rimaniamo.”
    “Come vuoi.”
    Liam prese una mano del compagno e la strinse, giocherellando con la fede d’oro che splendeva sull’anulare sinistro.
    “Com’è andata a te? Passata una buona settimana?”
    “Al solito. Il direttore mi ha chiesto di redigere un articolo all’ultimo secondo e ho dovuto fare i salti mortali per accontentarlo. Lunedì pubblicheranno il nuovo libro.”
    “Sono contento. Sappi che i miei allievi si sono innamorati di te.”
    “Cosa?”
    “Ho letto loro alcuni passi tratti dalla tua raccolta e si sono appassionati, le foto sul web hanno fatto il resto. Adesso gli studenti mi considerano l’uomo più fortunato del mondo, non a torto peraltro.”
    “Anche tu non sei male. Ricordo che esercitavi un certo fascino dietro la cattedra, qualcuno c’è anche cascato …”
    “Oh smettila, ragazzo!”
    William rise ancora, di gusto.
    “Cosa c’è?”
    “Ho superato i trenta e continui a darmi del ragazzo, neanche fossi uno sbarbatello!”
    Liam piegò le labbra in una smorfia soddisfatta.
    “Saremo vecchi, con l’artrosi, le dentiere e i pannolini; tu ti lamenterai dell’umidità che fa male alle ossa ed io continuerò a romperti le palle col disordine in camera da letto … e sarai sempre il mio ragazzo. Sempre.”
    “Sei romantico.” Sussurrò William, nascondendo il naso nei suoi capelli.
    Profumavano di buono.
    “Dobbiamo andare a rivedere il quadro.”
    “È già esposto in galleria?”
    “Sì.”
    Anni addietro, nel corso di un autunno meraviglioso e pieno di vita, Joyce aveva realizzato un quadro premonitore: A Love Story.
    Moderno, astratto, il dipinto ritraeva due figure che si stringevano, al centro della tela, confondendosi in un mare di colore. Anime indefinite, dai contorni appena accennati, erano circondate dal nero dell’angoscia, dal rosso della passione, dal rosa della tenerezza e dal viola del dolore. Le anime intrecciate si amavano.
    Terminato il lavoro, Joyce si era decisa a mostrarlo al figlio, in una domenica prima del tradizionale pranzo. L’urlo di una domestica aveva impedito che si alzasse il telo e William avrebbe rivisto lo stesso quadro anni dopo, di ritorno da un viaggio, con la mano saldamente legata a quella di Liam.
    “Ho sempre pensato che gli artisti siano chiaroveggenti, mi piacevano tanto le teorie di Rimbaud.” Constatò il professore, baciando il torace del compagno. “Tu profumi di margherite ed erba nuova.”
    “E tu odori di febbre. Alziamoci, forza, prima che mia madre venga a sgridarci come ragazzini.”
    I due amanti fecero per aiutarsi e finirono a fare la lotta per gioco.
    Si spintonarono per tutto il tragitto, dalla quercia verso casa.









    The End .°




     
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  13. °NeverMind°
     
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    Degno epilogo per una storia meravigliosa.

    Amo questi due insieme, le loro debolezze, le insicurezze, l'amore, la tenerezza.
    Sono felice che finalmente siano vivi. Ne hanno passate tante, troppe.

    Inutile dirti che ho adorato la descrizione del quadro. *spuccia*
    L'hai reso perfettamente, in fondo cos'è una storia d'amore se non l'unione di due anime avvolte in un insieme di sentimenti contrastanti? Perfetto, assolutamente.

     
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12 replies since 25/2/2011, 22:53   445 views
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